Sezione VI; decisione 12 febbraio 1964, n. 110; Pres. D'Avino P., Est. Toro; Comune di Livorno(Avv. Giannini) c. Camera di commercio, industria e agricoltura di Livorno e Min. industria ecommercio (Avv. dello Stato Peronaci)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 8 (1964), pp. 303/304-307/308Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23154865 .
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303 PARTE TERZA 304
frappongono al sistema della gara unica perchè in con
trasto con la delibera del consiglio di amministrazione
dell'azienda monopolio banane del 4 aprile 1962 e della
gara plurima per la impossibilità di conservare il segreto delle offerte.
Anche riguardo a queste censure si deve osservare, in
via pregiudiziale, che i ricorrenti non sono, allo stato, por tatori di un interesse qualificato ed attuale alla impugna zione del bando sia perchè non hanno documentato la loro
qualità di concorrenti, sia perchè gli inconvenienti ipotiz zati potrebbero essere dedotti solo nel caso che nel con
creto svolgimento della gara dovessero verificarsi le lesioni
all'interesse della segretezza delle offerte ed alla par con
dicio che essi anticipatamente deducono.
In ogni modo può osservarsi quanto segue sul merito
delle censure sottoposte :
1) Non esiste contrasto tra la deliberazione dell'A.m.b.
di indire « pubbliche gare » e la previsione dell'art. 1 del
bando che allude a un'unica gara. Dalle modalità di parte
cipazione o da tutto il sistema risulta chiaramente che se
unica è la procedura sussiste tuttavia una ben delineata
specificazione dei singoli oggetti della gara (concessioni)
per ciascuna delle quali il concorso è del tutto distinto e
si svolge tra i soli aspiranti che lo abbiano chiesto.
2) Gli inconvenienti che si supponga possano derivare
dalla simultaneità delle operazioni o dal loro svolgimento in successione per ciascuna delle concessioni subastate (vio lazione della segretezza della scheda dell'amministrazione
nel primo caso, e violazione della par condicio nel secondo), sono in teoria eliminabili, o non sussistono. In particolare
può ben ammettersi che le singole concessioni siano of
ferte ad un prezzo base diverso, tenuto conto della diversa
ubicazione e delle caratteristiche di ciascuna zona di con
cessione, senza che con ciò si violi il principio della par condicio che deve operare nell'ambito del concorso alle
singole concessioni ma non postula un livellamento delle
condizioni per tutte le concessioni subastate.
3) L'eventualità che l'amministrazione non abbia la
materiale possibilità di accertare, in breve spazio di tempo, la disponibilità e l'efficienza dei locali offerti dai singoli concorrenti non può essere anticipatamente dedotta come
vizio del bando. Essa potrebbe costituire motivo di gra vame nel caso che abbia in concreto a verificarsi.
4) Va disatteso l'altro profilo di violazione della par condicio che viene proposto in relazione al diverso conte
nuto delle concessioni (alcune con sedi di esercizio non
determinato, alcune plurime, ecc.). Tale censura non tiene
conto del fatto che il concorso alle singole concessioni dà
luogo ad altrettante gare nell'àmbito di ciascuna delle quali la par condicio rimane rispettata.
Lo stesso è da dirsi per quanto concerne il rilievo del
differente quantitativo di banane offerto per le singole concessioni, della diversità dei canoni anche a parità di
quote di assegnazione, della diversa misura delle cauzioni
e del deposito per spese.
5) Circa la censura proposta nei confronti della dispo sizione del bando che richiede la prova della disponibilità di un locale idoneo per ciascuna delle concessioni alle quali
l'aspirante intenda partecipare entro il massimo di quattro, sembra che la prescrizione sia del tutto ovvia per la stessa
serietà della partecipazione alla gara. I ricorrenti osservano
che di fronte alla prescrizione stessa sta il fatto che le
concessioni ottenibili sono soltanto due al massimo, sicché
l'aspirante che intenda concorrere a quattro concessioni si
troverebbe nella necessità di attrezzare un numero di locali
maggiore di quelli che potrebbe utilizzare nella ipotesi più favorevole. Ma tale inconveniente non può ritenersi rile
vante e risolversi in un vizio di legittimità, poiché i con
correnti sono liberi di valutare la convenienza di una par
tecipazione plurima alle gare. Il vizio potrebbe ipotizzarsi solo se le condizioni poste dal bando rendessero ingiusta mente gravose le condizioni per la partecipazione alle gare nel limite delle due concessioni ottenibili nel massimo.
6) Pure immune da censura è la prescrizione che
obbliga gli aspiranti a presentare a corredo della domanda
un. certificato attestante l'idoneità fisica, considerando da una parte il carattere dell'attività del concessionario, dal l'altra la circostanza clie l'art. 4, lett. e, del bando, che con
tiene tale prescrizione, precisa che l'idoneità fisica richiesta è quella necessaria ai fini dell'esercizio della concessione. Tale precisazione esclude di per sè la eventualità che possa verificarsi l'esclusione dalla gara se non in presenza di una inidoneità assoluta e palese, tale da rendere effettivamente
impossibile il pieno svolgimento delle attività connesse alla
qualità di concessionario, anche ai fini della pubblica igiene.
7) Infine i ricorrenti lamentano che l'A.m.b. abbia
disposto nelle more della procedura una ulteriore riduzione del prezzo di cessione delle banane ai concessionari gros sisti, dettaglianti e consumatori senza che si sia proceduto ad una proporzionale riduzione dei canoni minimi.
La censura è inammissibile poiché non è riferibile ai
provvedimenti impugnati. Il ricorso va pertanto respinto. Le spese seguono la
soccombenza.
Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione VI ; decisione 12 febbraio 1964, n. 110; Pres.
D'Avino P., Est. Toro ; Comune di Livorno (Avv. Giannini) c. Camera di commercio, industria e agri coltura di Livorno e Min. industria e commercio (Avv. dello Stato Peronaci).
Fiera e mereati — Atti del presidente della camera
di commercio — Definitività (Legge 25 marzo 1959
a. 125, norme sul commercio all'ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, ecc., art. 7).
Giustizia amministrativa — Fiere e mercati — Atti
del presidente della camera di commercio — De
finitività —- Errore scusabile (R. d. 26 giugno 1924
n. 1054, t. ti. sul Consiglio di Stato, art. 34 ; legge 25
marzo 1959 n. 125, art. 7). Fiera e mercati — Presidente della camera di com
niercio — Presidenza della commissione per il
mercato all'ingrosso — Delegabilità — Limili
(Legge 25 marzo 1959 n. 125, art. 7 ; d. min. 10 giugno
1959, approvazione del regolamento tipo per il mercato
all'ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, art. 3).
I provvedimenti emanati dal presidente della camera di com
mercio in materia di fiere e mercati sono definitivi. (1) Può considerarsi scusabile l'errore di chi ha impugnato con
ricorso al ministro dell'industria e commercio un atto
del presidente della camera di commercio in materia di
fiere e mercati. (2)
(1) Non risultano precedenti. In materia di fiere e mercati, la giurisprudenza che si sta
formando sulla legge del 1950 ha già avuto occasione di di chiarare definitivi gli atti prefettizi di approvazione del regola mento comunale del mercato all'ingrosso (Cons. Stato, Sez. V, 10 novembre 1962, n. 848, Foro it., Rep. 1902, voce Fiera e mer
cati, n. 4), e di nomina della commissione per il mercato, di
cui alla massima (Sez. V 20 maggio 1961, n. 217, id., 1961, III, 181, con nota di richiami).
(2) Non risultano precedenti specifici. La decisione riportata si uniforma alla ferma giurispru
denza secondo la quale la scusabilità dell'errore deve dipendere non da elementi soggettivi, ma da ragioni obiettive, come la novità della legge da applicare, l'esistenza di contrasti giuri
sprudenziali, ecc. ; v. Sez. V 9 marzo 1963, n. 117, Foro it., Rep. 1963, voce Giustizia amministrativa, n. 70 ; 31 marzo
1962, n. 282, id., Rep. 1962, voce cit., n. 57 ; 24 novembre 1962, n. 925, ibid., n. 60 ; 28 settembre 1962, n. 695, ibid., n. 61 ; Cons, giust. amm. sic. 14 dicembre 1962, n. 547, ibid., n. 28 ;
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305 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 306
Il presidente della camera di commercio può delegare a pre siedere la commissione per il mercato all'ingrosso gestito da un comune anche persona diversa da quelle indicate
dal regolamento-tipo del mercato (sindaco, o assessore
all'annona dello stesso comune), ma solo in presenza di
specifici motivi, che devono essere esposti nell'atto. (3)
La Sezione, eoe. — Il comune di Livorno ha impugnato due atti, e cioè: 1) il provvedimento del presidente della
camera di commercio, che ha delegato il comandante Testa
a presiedere la commissione del mercato all'ingrosso per i
prodotti ittici ; 2) l'art. 3, 1° comma, del regolamento-tipo
per i mercati all'ingrosso, approvato con decreto min. 10
giugno 1959.
L'impugnazione con unico ricorso è ammissibile, perchè il provvedimento del presidente della camera di commercio
costituisce atto di esecuzione della norma regolamentare. Le due impugnative, peraltro, sono distinte, e vanno esa
minate distintamente, anche perchè riguardano ammini
strazioni diverse, e cioè il presidente della camera di com
mercio, l'una, e il ministero dell'industria e commercio, l'altra.
Il ricorso contro il provvedimento del presidente della
camera di commercio è tardivo : esattamente il ministero
ha ritenuto il carattere definitivo del detto provvedimento emesso nell'esercizio del potere di cui all'art. 7, 1° comma, della legge 25 marzo 1959 n. 125. In contrario, il ricor
rente comune di Livorno ha osservato, sia pure principal mente allo scopo di giustificare la sua domanda di riam
missione in termine, che la legge avrebbe sottoposto tutta
la materia dei mercati all'ingrosso ad un insieme di organi dello Stato, costituiti, in sede locale, dalle commissioni di
mercato, di cui all'art. 7, dalle commissioni provinciali, di
cui all'art. 4, e dalla commissione centrale, di cui all'art.
14. Oltre tutto, aggiunge il comune, nella specie, la camera
di commercio, come tale, sarebbe fuori causa, perchè non
la camera, ma il presidente della camera cadrebbe in con
siderazione, in quanto presidente della commissione di
mercato.
Queste considerazioni non possono essere condivise. La
materia dei mercati all'ingrosso risulta affidata dalla legge, in massima parte, ai comuni e alle camere di commercio, che nominano la totalità dei componenti delle commis
sioni provinciali (art. 4) e una parte di quelli delle com
missioni di mercato ; l'altra parte è nominata dagli enti e
categorie interessate (art. 7). Queste nomine sono fatte
dalle camere di commercio, come tali, e inoltre le camere
di commercio sostengono tutto l'onere della spesa per il
funzionamento delle commissioni di mercato e di quelle
provinciali (art. 7, ult. parte). Il ministero emana il rego
19 gennaio 1962, n. 30, ibid., n. 29. Per applicazioni di questo
principio, v. Cons, giust. amm. sic. 19 ottobre 1963, n. 228, id.,
Rep. 1963, voce cit., n. 71 ; Sez. IV 5 giugno 1963, n. 427, ibid., n. 43 ; Cons, giust. amm. sic. 13 aprile 1962, n. 185, ibid., n. 44 ; Sez. VI 8 maggio 1963, n. 232, ibid., n. 182 ; Sez. V 10 marzo
1962, n. 231, id., Rep. 1962, voce cit., n. 30 ; Sez. VI 26 feb
braio 1964, n. 186, Foro amm., 1964, I, 2, 247 ; 22 gennaio 1964, n. 54, ibid., 90 ; Sez. V 9 febbraio 1963, n. 40, Foro it.,
Rep. 1963, voce Piano regolatore, n. 458. Sull'errore scusabile, cfr. la decisione dell'Adunanza ple
naria 5 febbraio 1964, n. 5, retro, 97, con nota di richiami. V. anche Sez. V 20 gennaio 1962, n. 100, Foro it., Rep. 1962, voce
Giustizia amministrativa, n. 438 ; Sez. IV 25 ottobre 1961, n.
457, id., 1962, HE, 80. Per i limiti di applicabilità dell'istituto dell'errore scu
sabile, v. Sez. IV 9 gennaio 1963, n. 3, id., Rep. 1963, voce
cit., n. 258. Per una singolare ipotesi di errore scusabile, in
relazione all'art. 27, n. 4, del t. u. sul Consiglio di Stato, v. Sez.
IV 4 marzo 1964, n. 195, Foro amm.., 1964, I, 2, 364.
(3) Non risultano precedenti specifici. Sul valore del regolamento-tipo per i mercati all'ingrosso,
(approvato con decreto min. 10 giugno 1959), al quale, secondo
la legge del 1959, devono uniformarsi i regolamenti dei singoli
mercati, v. Sez. V 10 novembre 1962, n. 848, Foro it., Pep. 1962, voce Fiera e mercati, n. 3.
lamento-tipo (art. 8), ma all'ente che ha istituito il mercato spetta il potere di adottarlo (art. 9). Il ministero ha il po tere generale di coordinamento e di vigilanza in senso lato, ma dall'insieme della disciplina della legge risulta chiaramente che la materia dei mercati all'ingrosso non è stata sottratta agli enti locali (comuni e camere di com mercio) nè è stata sottoposta ad organi dello Stato, ai quali è restata solo la vigilanza e il coordinamento delle varie attività (che interessano anche lo Stato).
Perciò il presidente della camera di commercio esercita i poteri di cui all'art. 7, nella sua specifica qualità di pre sidente dell'ente che ha interessi istituzionali in materia, e che sopporta l'onere totale delle spese. E poiché la ca mera di commercio è un ente autonomo, non subordinato
gerarchicamente al ministero, nè d'altra parte la legge prevede un ricorso gerarchico improprio, si può concludere che i provvedimenti dei presidenti delle camere di com mercio, di cui all'art. 7 della legge, hanno carattere de finitivo.
Tuttavia il collegio ritiene scusabile Tenore in cui è incorso il comune di Livorno quando ha creduto impugna bile detto provvedimento in via amministrativa, con ricorso al ministro dell'industria e commercio, e tale ricorso ha
proposto nel termine di legge, il 24 ottobre 1959. Si deve tener presente che la legge era stata pubblicata nella Gaz zetta ufficiale dell'11 aprile 1959 e che il provvedimento in questione è stato emanato nella prima applicazione della nuova legge. Fermo il principio, affermato in giurisprudenza, che l'errore non può essere ritenuto scusabile in relazione a circostanze soggettive, perchè questo costituirebbe una estensione troppo vasta del beneficio, e praticamente po trebbe far venir meno ogni termine di legge, bene si può parlare di scusabilità quando invece si tratta della prima applicazione di una legge nuova, per la quale non si sono avute ancora pronunzie di giurisprudenza. Questo è il caso di specie, onde la Sezione ritiene di rimettere in termini il comune per il ricorso giurisdizionale, e di passare perciò all'esame delle censure proposte in questa sede dal comune contro gli atti impugnati. (Omissis)
Fondato, invece, è il ricorso contro il provvedimento del presidente della camera di commercio, per violazione dell'art. 3 del regolamento, e per difetto di motivazione.
La legge ha istituito, come si è accennato, una commis sione per ogni mercato all'ingrosso, sotto la presidenza del
presidente della camera di commercio, o di un suo dele
gato (art. 7). Il regolamento ha stabilito (art. 3) che, qua lora il presidente della camera di commercio non ritenga di poter assumere la presidenza della commissione, delega di massima, nei casi in cui il mercato è gestito dal comune, il sindaco o l'assessore all'annona.
Nella specie, il mercato all'ingrosso dei prodotti ittici di Livorno è gestito dal comune, e il presidente della ca mera di commercio ha delegato a presiedere la commissione di mercato non il sindaco, nè l'assessore all'annona, ma un
estraneo all'amministrazione comunale e non ha indicato in alcun modo le ragioni che l'hanno indotto a questa delega, non conforme alla previsione di massima della norma
regolamentare. Giustamente il comune di Livorno ha osservato che la
previsione di massima della norma non può avere altro
significato se non che l'assessore all'annona e il sindaco
(dei comuni minori) sono riconosciuti come i designati naturali alla carica di presidente di quelle commissioni,
preposte a mercati gestiti dal comune, e che debbano sus
sistere ragioni particolari perchè si possa ritenere giustifi cata la deroga alla previsione di massima. Tali ragioni debbono essere indicate, sia pure sobriamente, nel prov vedimento di delega, e invece nella specie nessuna ragione è stata indicata, nè per quanto riguarda l'esclusione del
l'assessore e del sindaco, nè in ordine alla qualificazione della persona delegata.
Le censure del ricorso, pertanto, risultano fondate, e il
provvedimento impugnatoci palesa illegittimo ^e deve
essere annullato.
Ne discende l'irrilevanza della questione di legittimità
Il Poro Italiano — Volume LXXXVU — Parte IH
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307 PARTE TERZA 308
costituzionale della legge, anche in relazione all'impugna zione del provvedimento del presidente della camera di
commercio. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DISTATO.
Adunanza generale ; parere 24 gennaio 1963 (ricorso straor
dinario) ; Sandrini c. Terme di Salsomaggiore.
Partecipazioni statali — Terme di Salsomaggiore — Rapporto del gestore eon lo Stato —- Natura
gerarchica — Atti del gestore — Definitività —
Insussistenza (R. d. 19 aprile 1934 n. 761, norme per la gestione diretta dell'Azienda termale di Salsomag
giore da parte dello Stato).
Anteriormente alla costituzione di apposita società prevista nella legge 21 giugno 1960 n. 649, concernente la disci
plina dell'ente di gestione per le aziende termali, ecc., il
rapporto tra lo Stato e il gestore dell'Azienda termale di
Salsomaggiore aveva natura gerarchica, e, pertanto, i
provvedimenti da questo emanati non erano definitivi. (1)
(1) La questione esaminata nella decisione in rassegna, che a seguito della entrata in vigore della legge 21 giugno 1960 n. 649 e della successiva costituzione della società per azioni Terme di Salsomaggiore non dovrebbe più aver ragione di sus sistere oggi, presenta interesse scientifico in relazione al pro blema di qualificazione della posizione delle aziende pertinenti allo Stato nei rapporti con quest'ultimo.
Non occorre compiere in questa sede un'indagine ricostrut tiva della tipologia delle varie specie di aziende statali, per sollecitare l'attenzione della dottrina e del legislatore sulla
eterogeneità delle discipline giuridiche via via emanate per sin
gole aziende : è sufficiente, con riferimento alla Azienda termale di Salsomaggiore di cui fu disposta la gestione diretta da parte dello Stato (r. decreto 19 aprile 1934 n. 761), notare come l'am ministrazione cosiddetta autonoma, in cui si estrinsecava la ge stione statale a mezzo di un gestore di nomina ministeriale, realizzasse in realtà una nozione di autonomia il cui valore concettuale sarebbe erroneo assumere in un senso logicamente apprezzabile. Si è in presenza, invero, in fattispecie del tipo qui esaminato, di dislocazioni di amministrazioni statali cui
corrispondono non autonomie funzionali — chè l'interesse per seguito è di stretta pertinenza statale — ma naturali e necessarie disarticolazioni organizzatorie nei confronti di un apparato sta tale che di per sè non potrebbe ovviamente procedere all'assol vimento di determinati compiti.
Il gestore nominato dal ministro (prima, delle finanze ; poi, delle partecipazioni statali), con compiti di amministra zione « in nome e per conto » dello Stato e previa approvazione ministeriale per ogni atto impegnativo oltre l'anno solare, è evidentemente una espressione tangibile della presenza dello Stato nel perseguimento di finalità che non possono ritenersi
proprie dello organismo che esprime con la sua autonomia
l'esigenza di un apparato materiale e amministrativo sganciato dall'apparato ministeriale che esplica i poteri di pertinenza. Ne deriva che la posizione del gestore nei confronti dello Stato e per esso del ministro che ne ha operato la nomina equivale funzionalmente a quella di un direttore ministeriale, donde la conclusione fatta valere in sede giurisprudenziale circa la natura
gerarchica del predetto rapporto : a parte ogni deduzione di carattere sistematico, v'è nel caso di specie una disposizione normativa assai eloquente, secondo cui « il gestore ha, in ogni caso, la responsabilità e la incompatibilità dei funzionari dello Stato » (art. 1, 2° comma).
Per una visione unitaria recente in tema di aziende pubbliche, v. Treves, Azienda (diritto pubblico), voce dell' Enciclopedia del diritto, IV, pag. 741 segg. ; L'organizzazione amministrativa, 1964, pag. 86 segg. ; Ciriec, Le imprese pubbliche e la cooperazione in Italia, pag. 122.
La decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 settembre 1950, n. 412, leggesi in Foro it., 1950, III, 225, con nota di richiami.
S. D'A.
L'Adunanza, eco. — Com'è noto le Terme di Salsomag
giore furono costituite con r. decreto 19 aprile 1934 n. 761
come azienda patrimoniale dello Stato e gestite diretta
mente dall'amministrazione delle finanze a mezzo di ap
posito gestore, al quale veniva affidato l'esercizio delle
terme « con amministrazione autonoma, in nome e per conto dello Stato ».
In virtù del suddetto decreto il gestore veniva nomi
nato dal ministro e costituiva organo dell'amministrazione delle finanze, la quale doveva considerarsi il soggetto cui la
attività del gestore faceva capo. In base a tali premesse questo Consiglio, con decisione 2
settembre 1950, n. 412 della Sez. IV (Foro it., 1950, III,
225), ritenne la sussistenza di un rapporto di gerarchia fra il gestore ed il ministro, giacché altrimenti ogni legame fra l'amministrazione e gestore sarebbe stato annullato, ed il gestore stesso si sarebbe dovuto considerare come
capo di una organizzazione autarchica del tutto avulsa
dallo Stato. E pertanto in quell'occasione il Consiglio ri
conobbe che avverso i provvedimenti del gestore, nella
fattispecie concernenti il licenziamento del personale, fosse proponibile ricorso gerarchico al ministero, in quanto il provvedimento del gestore non aveva carattere di defi
nitività.
Tali principi, i quali questo Consiglio ritiene di dover
confermare anche nella presente vertenza, non risultano
modificati dalla successiva evoluzione dell'ordinamento in
materia, fino al momento della emanazione dell'impugnato
provvedimento. Come è noto, infatti, per la legge 22 dicembre 1956
n. 1189, sono state trasferite al ministero delle partecipa zioni statali tutte le aziende patrimoniali. Poiché, peral tro, in virtù dell'art. 1 della legge citata, al ministero sud
detto sono devoluti tutti i compiti e le attribuzioni spet
tanti, a norma delle disposizioni allora vigenti, al mini
stero delle finanze, per quanto attiene alle partecipazioni da esso gestite ed alle aziende patrimoniali dello Stato, deve
convenirsi che il trapasso di attribuzioni e di competenze da un ministero all'altro, ad eccezione della modifica sog
gettiva, non ha modificato la posizione della azienda nei
confronti dello Stato.
Nè la posizione stessa risulta poi modificata dalla costi
tuzione dell'ente autonomo di gestione per le aziende ter
mali, avvenuta in virtù del decreto pres. 7 maggio 1958
n. 576. Invero, in virtù dell'art. 1 dello statuto dell'ente,
allegato al suddetto decreto, venivano rinviati ad una suc
cessiva emananda legge la determinazione ed il trasferi
mento delle partecipazioni statali nel settore termale che
l'ente stesso avrebbe dovuto gestire. È sopraggiunta successivamente la legge 21 giugno
1960 n. 649, concernente la disciplina dell'ente di gestione
per le aziende termali nonché altri provvedimenti per l'in
quadramento delle partecipazioni statali. Gli art. 1 e 2
della legge suddetta autorizzano il ministro per le parte
cipazioni statali a costituire società per azioni aventi per
oggetto lo sfruttamento di acque termali e minerali o atti
vità connesse, mediante conferimento in capitali dei diritti
appartenenti alle aziende patrimoniali dello Stato elencate
nel decreto min. 20 aprile 1957, art. 1, nonché della pro
prietà dei beni appartenenti alle aziende medesime, e pre vedono il trasferimento a tali società delle relative conces
sioni di acque termali e minerali. Da tali norme si desume
che l'operatività della legge, e quindi l'inquadramento dell'azienda in parola nell'àmbito delle partecipazioni sta
tali, non avviene automaticamente, ma solo a seguito della costituzione di apposita società che, al momento
dell'emanazione dell'atto e della proposizione del relativo
ricorso, non risulta costituita.
Dalle considerazioni che precedono consegue che il
provvedimento emesso dal gestore delle terme deve consi
derarsi come provvedimento riferibile all'amministrazione,
privo del carattere di definitività. Dal che consegue il co
rollario che il ricorso straordinario, proposto avverso di
esso, non può ritenersi ammissibile, in base al principio per il quale contro i provvedimenti dell'amministrazione, non
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