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sezione VI; decisione 16 maggio 1996, n. 681; Pres. Ancora, Est. Piscitello; Ente poste italiane c....

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sezione VI; decisione 16 maggio 1996, n. 681; Pres. Ancora, Est. Piscitello; Ente poste italiane c. Nardò (Avv. Caprioli). Conferma Tar Puglia, sez. I, 28 febbraio 1995, n. 39 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 371/372-375/376 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190124 . Accessed: 28/06/2014 08:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.33 on Sat, 28 Jun 2014 08:36:52 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione VI; decisione 16 maggio 1996, n. 681; Pres. Ancora, Est. Piscitello; Ente poste italiane c. Nardò (Avv. Caprioli). Conferma Tar Puglia, sez. I, 28 febbraio 1995, n. 39

sezione VI; decisione 16 maggio 1996, n. 681; Pres. Ancora, Est. Piscitello; Ente poste italiane c.Nardò (Avv. Caprioli). Conferma Tar Puglia, sez. I, 28 febbraio 1995, n. 39Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 371/372-375/376Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190124 .

Accessed: 28/06/2014 08:36

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PARTE TERZA

Visto l'atto di costituzione in giudizio. Udito il relatore cons. Salemi, e uditi altresì per le parti l'avv.

Colarizi per i ricorrenti, l'avv. De Stefano, per l'amministrazio

ne l'avv. Compagno, per l'interveniente dott. G. Compagno. Ritenuto che sussistono le ragioni richieste dalla legge per l'ac

coglimento della sospensiva. Considerato che non risulta rispettata la disposizione di cui

all'art. 4, 4° comma, d.l. 57/87.

Per questi motivi il Tar del Lazio, III sezione, accoglie la

suindicata domanda incidentale di sospensione.

Art. 2.

Sono fatte salve le domande comunque inviate al Ministero, senza soluzione di continuità, dalla data del decreto ministeriale 22 dicembre

1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 30 gennaio 1996, n. 9-bis, fi

no al termine del 15 luglio 1996.

Sono, altresì, valide le domande spedite a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento entro il termine indicato. A tal fine fa fede il

timbro a data dell'ufficio postale accettante.

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 16 maggio 1996, n. 681; Pres. Ancora, Est. Piscitello; Ente poste italiane

c. Nardo (Avv. Caprioli). Conferma Tar Puglia, sez. I, 28

febbraio 1995, n. 39.

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Destituzione —

Patteggiamento della pena — Equiparazione a condanna pe nale — Esclusione — Autonomo accertamento dei fatti (Cod.

proc. pen., art. 444, 445; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto

degli impiegati civili dello Stato, art. 85).

Nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d.

patteggiamento) la pubblica amministrazione non può proce dere alla destituzione del dipendente limitandosi a porre a

base di tale provvedimento unicamente l'accertamento conte

nuto nella sentenza penale, che non ha efficacia nei giudizi civili ed amministrativi e che non implica un riconoscimento

di colpevolezza, ma deve procedere ad accertare autonoma

mente i fatti per i quali la pena è stata applicata, utilizzando

anche le risultanze del procedimento penale. (1)

(1) I. - Va preliminarmente ricordato che secondo la costante giuris prudenza della Corte costituzionale la destituzione automatica del pub blico dipendente a seguito di condanna penale, ritenuta illegittima per l'impossibilità di adeguare la sanzione al caso concreto, in relazione alla obiettiva gravità dei fatti commessi, non ha più cittadinanza nel nostro ordinamento. Infatti, Corte cost. 14 ottobre 1988, n. 971, Foro

it., 1989, I, 22, con nota di Virga, «Revirements» della Corte costitu

zionale e conseguenze della pronuncia d'incostituzionalità della destitu

zione di diritto nel campo del pubblico impiego, ha dichiarato l'illegitti mità costituzionale dell'art. 85, lett. a), d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, nella parte in cui non prevede, in luogo della destituzione di diritto dei dipendenti dello Stato condannati per i reati ivi elencati, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare (parimenti poi la stessa dichiarazione di illegittimità, anche in via conseguenziale, ha colpito altre disposizioni analoghe).

Tale principio poi risulta positivamente recepito dall'art. 9 1. 7 feb braio 1990 n. 19 che in generale prevede che il pubbico dipendente non

può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale; ma occor re l'instaurazione di un procedimento disciplinare che può concludersi anche con l'adozione del provvedimento di destituzione.

Questo orientamento è successivamente stato ribadito anche in epoca più recente da Corte cost. 27 aprile 1993, n. 197, id., 1994, I, 385, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, 4° comma, 1. 19 marzo 1990 n. 55, quale introdotto dall'art. 1 1. 18 gennaio 1992 n. 16, nella parte in cui prevede la decadenza dall'impiego dei pubblici dipendenti condannati con sentenza passata in giudicato per uno dei

Il Foro Italiano — 1996.

Diritto. — L'appello è infondato.

La sentenza del Tar, che ha annullato il provvedimento di

destituzione dall'impiego del ricorrente signor Nardo (provvedi mento adottato dal direttore generale del personale del ministe

ro delle poste e telecomunicazioni in esito al procedimento di

sciplinare instaurato nei confronti dell'interessato dopo una sen

tenza penale di condanna patteggiata), sarebbe errata — secondo

l'Ente poste appellante — in quanto ha ritenuto che l'accerta

mento contenuto nella sentenza penale di patteggiamento non

potesse essere dall'amministrazione posto a base del provvedi mento sanzionatorio. In ogni caso — soggiunge l'appellante —

non è vero che l'amministrazione non abbia valutato le affer

reati contemplati dalla legislazione sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso, in quanto tale disposizione sostanzialmente reintroduce nell'ordinamento l'istituto della destituzione di diritto già dichiarato il

legittimo. In sostanza, la mancanza di automatismo risponde anzi ad

un'esigenza costituzionale di proporzionalità della sanzione (Corte cost. 1° giugno 1995, n. 220, id., 1996, I, 47).

Si ha quindi che in generale (sia in caso di condanna a seguito di dibattimento che di patteggiamento della pena) occorre che la pubblica amministrazione, datrice di lavoro, instauri un procedimento disciplina re teso ad accertare i fatti addebitati e contestati al dipendente, la loro incidenza sul rapporto di pubblico impiego e le eventuali giustificazioni addotte dal dipendente medesimo. In entrambi i casi quindi non c'è alcun automatismo e, quand'anche la sentenza penale di condanna ab bia efficacia di giudicato nei limiti previsti dall'art. 654 c.p.p., c'è al meno un quid pluris da accertare e verificare: il negativo riflesso dei fatti penalmente rilevanti, di cui al procedimento penale così concluso

si, sulla prosecuzione del rapporto di impiego e la proporzionalità della sanzione àll'accertata condotta colpevole (od in ipotesi dolosa) del di

pendente. II. - Il diverso rilievo che la sentenza di applicazione della pena a

richiesta delle parti (art. 444 c.p.p.) ha rispetto alla ordinaria sentenza di condanna a seguito di dibattimento, passata in giudicato, non risiede

quindi in un possibile automatismo della destituzione, che possa in ipo tesi affermarsi in un caso e negarsi nell'altro, giacché tale automatismo — in ragione della citata giurisprudenza costituzionale — deve ritenersi escluso in entrambe le ipotesi; in realtà ciò che in qualche misura è diverso è l'utilizzo delle risultanze del processo penale. La sentenza pe nale di condanna nei giudizi civili o amministrativi che non abbiano ad oggetto le restituzioni o il risarcimento del danno dovuti dal condan nato o dal responsabile civile ha efficacia di giudicato nei limiti previsti dal cit. art. 654 c.p.p.; invece tale efficacia non ha — come espressa mente prevede l'art. 445 c.p.p. — la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti «pur essendo equiparata ad una pronuncia di

condanna»; può aggiungersi che Corte cost., ord. 13 dicembre 1991, n. 455, Foro it., Rep. 1992, voce Pena (applicazione su richiesta), n.

78, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legitti mità costituzionale dell'art. 445 cit. sollevata nella parte in cui prevede appunto che la sentenza non ha efficacia nei giudizi civili o amministra

tivi, pur essendo la stessa equiparata ad una pronuncia di condanna ai sensi dell'ultimo inciso del 1° comma di tale disposizione; per altro verso poi Cass., sez. un., 27 marzo 1992, Di Benedetto, id., 1993, II, 9, ha ribadito che tale pronuncia — ancorché sia equiparata ad una

pronuncia di condanna a tutti gli effetti che non siano quelli espressa mente previsti dal 1° comma dell'art. 445 cit. — si differenzia da que st'ultima perché non implica un accertamento pieno, e quindi una moti

vazione, della responsabilità penale dell'imputato, ma richiede soltanto la verifica della sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 444 c.p.p. Analoga differenziazione è fatta da Corte cost. 11 dicembre 1995, n.

499, id., 1996, I, 1152, e da Cass. 27 febbraio 1996, n. 1501, id., Mass., 155, in tema di azione di regresso dell'Inail e di azione risarcitoria per il «danno differenziale» nei confronti del datore di lavoro ex art. 10

d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124.

Quindi, in fondo il problema interpretativo del significato dell'equi parazione della sentenza di applicazione della pena a richiesta delle par ti alla pronuncia di condanna, equiparazione appunto prevista dall'ulti ma parte del 1° comma dell'art. 445 cit., è assai ridimensionato nella

fattispecie del procedimento disciplinare perché è pacifico che tale sen tenza non ha efficacia nei giudizi civili ed amministrativi.

Per un riepilogo dei vari orientamenti giurisprudenziali che si conten dono il campo circa la definizione della «natura» della sentenza di pat teggiamento, cfr. la nota di richiami a Cass. 26 giugno 1995, Capriglia, id., 1996, II, 359 e a Pret. Trento-Borgo Valsugana 23 novembre 1994, ibid., 397. Da ultimo, cfr. anche Cass., sez. un., 8 maggio 1996, De

Leo, inedita, con riferimento a sentenza di «patteggiamento» ritenuta inidonea giuridicamente a costituire il presupposto per l'operatività del la revoca di cui all'art. 168, 1° comma, n. 1, c.p.

III. - Non di meno però appare opportuna la puntualizzazione opera ta dalla pronuncia in rassegna che evidenzia come la sentenza di appli

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

mazioni formulate a propria discolpa dal dipendente, tanto è

vero che nel verbale della commissione di disciplina si legge che

la stessa commissione non le ha ritenute sufficientemente provate. Le argomentazioni dell'appellante non sono, ad avviso del

collegio, sufficienti ad infirmare il chiaro iter logico del giudice di primo grado in base al quale sono state ritenute fondate le

doglianze dell'interessato attinenti al rapporto tra sentenza pe nale di condanna patteggiata e sanzione disciplinare.

cazione della pena a richiesta delle parti non implica per il condannato un riconoscimento di colpevolezza; ma — aggiunge significativamente la medesima pronuncia — «alcuni fatti, emersi nel corso del giudizio

penale ed indiscussi dalle parti, possono ritenersi positivamente accerta

ti». Quindi l'amministrazione pubblica, muovendo proprio da tali risul

tanze (e non già adagiandosi su di esse, come se ci fosse — al pari dell'ordinaria sentenza di condanna passata in giudicato — un accerta mento positivo e definitivo della colpevolezza del dipendente), deve pro cedere al «completamento» degli accertamenti necessari.

In senso conforme è anche parte della giurisprudenza dei tribunali

amministrativi. In particolare, Tar Piemonte, sez. II, 11 novembre 1993, n. 331, id., Rep. 1994, voce Impiegato dello Stato, n. 1080, ha ritenuto

legittima la destituzione dal servizio di un vigile sanitario in quanto adottata all'esito di procedimento disciplinare nel quale era stata accer

tata, in via autonoma rispetto alla sentenza penale di patteggiamento, la sussistenza dei fatti rilevanti. Analogamente, Tar Lazio, sez. II, 14

novembre 1991, n. 1758, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1159, ha ritenuto

legittimo il provvedimento di destituzione dall'impiego adottato ex art.

84, lett. b) e c), d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, nei confronti di un dipen dente colpevole di concorso in malversazione, sulla base di un'autono

ma valutazione disciplinare del fatto commesso e indipendentemente dal fatto che in sede penale al dipendente fosse stata comminata la

pena a seguito di patteggiamento. Mette conto ricordare anche Tar Pie

monte, sez. II, 10 febbraio 1993, n. 73, id., Rep. 1993, voce cit., n.

1126, che ha precisato che nell'ambito delle pronunce di condanna in

sede penale che comportano la decadenza dall'impiego ex art. 15, com

ma 4 quinquies, septies e octies, 1. 19 marzo 1990 n. 55, come modifi

cato dall'art. 1 1. 18 gennaio 1992 n. 16, non può ritenersi ricompresa anche la sentenza di patteggiamento adottata ai sensi dell'art. 444 c.p.p.

Il fatto che la sentenza di patteggiamento non abbia efficacia di giu dicato nel procedimento disciplinare non esclude poi che trovi applica zione il 2° comma dell'art. 9 1. 7 febbraio 1990 n. 19, secondo il quale la destituzione può essere inflitta all'esito del procedimento disciplina

re, che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla

data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevoca

bile di condanna e concluso nei novanta giorni successivi; nel senso

che tale disposizione si applica anche nel caso di sentenza di patteggia

mento, che a tal fine può considerarsi equiparata ad una pronuncia di condanna, v. Tar Marche 18 giugno 1993, n. 392, ibid., n. 1121.

Deve però anche registrarsi un diverso orientamento giurisprudenzia le che tende in sostanza ad equiparare la sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna, Infatti, Tar Lazio, sez. II, 7 ottobre 1993, n. 1148, id., Rep. 1994, voce cit., n. 957, ha ritenuto che la sentenza

emessa a seguito di patteggiamento abbia l'efficacia di sentenza di con

danna con riferimento all'accertamento dei fatti materiali che furono

oggetto del giudizio penale ed alla loro riconducibilità alla responsabili tà dell'incolpato. Così anche Tar Toscana, sez. I, 2 giugno 1994, n.

370, ibid., n. 1082 — nell'affermare che il provvedimento di destituzio

ne, adottato a seguito di condanna penale per fatti ritenuti di particola re gravità e discredito in ordine all'attività lavorativa svolta dal dipen dente all'interno dell'amministrazione, può avere a fondamento le risul

tanze istruttorie e gli elementi emersi nel giudizio penale — ha precisato che tale accertamento non richiede il previo svolgimento di un'autono

ma istruttoria né una particolare motivazione in ordine ai fatti conte

stati atteso che, ove il procedimento penale si sia concluso con il rito

del patteggiamento della pena ex art. 444 c.p.p., la relativa sentenza

equivale ad una pronuncia di condanna sotto il profilo della responsa bilità penale; conf. Tar Toscana, sez. I, 23 marzo 1993, n. 237, id.,

Rep. 1993, voce cit., n. 1018.

In dottrina, sulla rilevanza della sentenza di patteggiamento nel pro cedimento disciplinare, v. Melillo, Il provvedimento disciplinare a ca

rico dei pubblici dipendenti di fronte alla l. 19/90 e al patteggiamento ex art. 444 s. nuovo c.p.p., in Riv. amm., 1994, 130; Stanizzi, Natura

giuridica della sentenza di c.d. patteggiamento e suoi effetti nel proce dimento disciplinare, in Trib. amm. reg., 1994, II, 205. Sulla destitu

zione del pubblico dipendente, v., oltre Virga, op. cit., Viola, Il pub blico impiego nell'emergenza: la destituzione del pubblico dipendente a seguito di condanna penale, in Cons. Stato, 1994, II, 343; Magri,

«Decadenza» del pubblico dipendente a seguito di sentenza di condan

na e giudicato penale , in Dir. regione, 1994, 89; Pinto, La cessazione

dall'ufficio dei pubblici dipendenti nell'art. 1 l. 16/92: destituzione o

decadenza?, in Regioni, 1994, 346; Raimondi, Esiste ancora la destitu

zione di diritto?, in Foro amm., 1992, 2088; Cantaro, Ancora su desti

tuzione di diritto e decadenza: novità e conferme della più recente giuris

prudenza costituzionale, in Giur. costit., 1993, 1349.

Il Foro Italiano — 1996.

Esattamente ha rilevato, infatti, il Tar che «dalla lettura del

provvedimento di destituzione e dagli atti relativi risulta eviden

te che il procedimento disciplinare ha trovato il suo unico pre

supposto nello svolgimento del giudizio penale a carico del di

pendente e che la sentenza emessa il 4 novembre 1992 dal Tri

bunale di Lecce ha costituito riferimento essenziale per le

contestazioni mosse nei confronti del Nardo»; dall'esame degli atti in questione appare evidente, inoltre, che «l'amministrazio

ne è pervenuta alla determinazione impugnata ritenendo accer

tata, da parte dell'autorità giudiziaria, la responsabilità del ri

corrente in ordine ai fatti addebitatigli e, in particolare, alla

sottrazione della schedina vincente».

La fallacia del procedimento logico seguito dall'amministra

zione è stata messa chiaramente in luce dal Tar con l'analisi

più rigorosa degli effetti dell'applicazione della pena patteggia ta (ex art. 444, 2° comma, c.p.p.) sul procedimento sanzionato

rio instaurato dall'amministrazione stessa a seguito della con

clusione del procedimento penale. È stato rilevato, infatti, che — nell'applicazione della dispo

sizione del citato art. 444 c.p.p. — il giudice era tenuto esclusi

vamente a verificare se non sussistevano le condizioni per il pro

scioglimento dell'imputato ex art. 129 c.p.p. (cioè per una asso

luzione nel merito) e se la qualificazione giuridica del fatto era

corretta.

Se è vero — come affermato nella relazione al progetto preli minare del nuovo codice di procedura penale (in G.U., suppl. ord. n. 2 del 24 ottobre 1988, pag. 107-8) — che «non occorre

un positivo accertamento della responsabilità penale», sicché è

sufficiente che dagli atti non risultino le premesse del proscio

glimento (ripugnando, evidentemente, al sistema di giustizia pe nale positivo la sottomissione convenzionale alla pena, atteso

il carattere indisponibile della materia), può condividersi piena mente l'affermazione della sentenza appellata secondo cui «la

sentenza patteggiata non presuppone e non comporta . . . alcun

puntuale accertamento della responsabilità dell'imputato in me

rito ai reati ascrittigli». La circostanza che l'applicazione della

pena sia richiesta dalle stesse parti non implica, d'altra prate, un riconoscimento di colpevolezza, trattandosi di una scelta pro cessuale riconducibile non già ad una presunzione di colpevo lezza giuridicamente rilevante bensì ad esigenze di alleggerimen to degli oneri processuali della fase dibattimentale e, per quan to riguarda l'imputato, anche a possibili considerazioni di

incertezza degli esiti del giudizio. L'assenza di certezza legale della sentenza patteggiata in me

rito alla responsabilità dell'imputato (alla quale si riconnette an

che la previsione dell'art. 445 c.p.p. che esclude l'efficacia di

tale tipo di sentenza nei giudizi civili o amministrativi) non esclu

de, evidentemente, che taluni fatti, emersi nel corso del giudizio

penale ed indiscussi dalle parti, possano ritenersi positivamente accertati. Ciò è avvenuto, nel caso di specie, per quanto concer

ne le circostanze che la raccomandata contenente la schedina

vincente sia giunta a Lecce nell'ufficio in cui operava il Nardo

e che la vincita in questione sia stata incassata dalla madre del

predetto, ma — come ha osservato il Tar — tale considerazione

non può valere per altri profili rimasti comunque controversi

(quale quello relativo alla materiale sottrazione della schedina

da parte del ricorrente). L'autonomia del giudizio disciplinare rispetto al giudizio pe

nale conclusosi con la sentenza patteggiata ex art. 444, 2° com

ma, c.p.p. — nonostante la previsione dell'art. 445, 1° comma,

ultimo inciso, c.p.p. secondo cui, «salve diverse disposizioni di

legge, la sentenza è equiparata ad una pronuncia di condanna» — impone, dunque, per le considerazioni appena esposte, il com

pletamento, da parte dell'amministrazione, degli accertamenti

necessari ai fini della sicura individuazione di una precisa re

sponsabilità disciplinare del dipendente in ordine ai fatti già ascrit

tigli in sede penale. Il dovere di procedere ad un autonomo accertamento ed ap

prezzamento dei fatti non può considerarsi pienamente e valida

mente adempiuto da parte dell'amministrazione qualora — co

me nel caso di specie — questa si limiti a far valere (ritenendosi

erroneamente vincolata dalla pronuncia giurisdizionale sul pun

to) una sorta di presunzione relativa di colpevolezza del dipen

dente, «gravando il predetto dell'onere di produrre prova con

traria» e concludendo poi per la responsabilità del dipendente

stesso, «non avendo egli saputo fornire la dimostrazione ri

chiesta».

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PARTE TERZA

Il percorso logico seguito dalla appellata sentenza del Tar,

sottoposta al vaglio critico del collegio, come sopra esposto, fa ritenere pienamente meritevole di conferma la sentenza in

questione, per la validità dei principi in essa affermati e per la loro attinenza alla fattispecie concretamente esaminata.

L'appello in esame deve, quindi, essere rigettato.

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 15 aprile 1996, n. 561; Pres. P. Salvatore, Est. C. Salvatore; Min. tra

sporti (Avv. dello Stato Fiengo) c. Soc. Icarus (Avv. Valen

tini), Soc. Aeroporti di Roma (Avv. Valentini), Soc. Piove

rà e Soc. Fezia (Avv. Pietrolucci). Accoglie Tar Lazio 19

giugno 1995, n. 1065.

Opere pubbliche — Concessione — Subconcessione — Durata — Illegittimità — Fattispecie.

Opere pubbliche — Concessione — Subconcessione — Utilizza

zione del bene — Disciplina (D.leg. 19 dicembre 1991 n. 406, attuazione della direttiva 89/440/Cee, in materia di procedu re di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, art. 4).

Opere pubbliche — Concessione — Subconcessione — Diniego di assenso ministeriale — Contrarietà con precedente palese mente illegittimo — Legittimità (L. 10 novembre 1973 n. 755,

gestione unitaria del sistema aeroportuale della capitale e co

struzione di una nuova aerostazione nell'aeroporto intercon

tinentale «Leonardo da Vinci» di Roma-Fiumicino, art. 4).

È illegittima, se di durata superiore alla concessione primaria, la subconcessione con la quale la società concessionaria della

gestione del sistema aeroportuale della città di Roma, affida ad un terzo la realizzazione di un complesso alberghiero al

l'interno dell'aeroporto stesso. (1) È legittima la subconcessione assentita senza il rispetto delle

procedure ad evidenza pubblica disciplinate dal d.leg. 19 di

cembre 1991 n. 406 se, sotto il profilo formale, la contropre stazione in favore della subconcessionaria consiste nel diritto

di gestire l'opera e nell'obbligo di pagare alla concedente un

corrispettivo e, sotto un profilo più generale, non si sia in

presenza di «esercizio» ma di «utilizzazione» dell'opera. (2)

(1) Non constano precedenti in termini. Il Consiglio di Stato considera la disposizione, contenuta nella con

venzione stipulata tra ministero dei trasporti e società Aeroporti Roma, che vieta al concessionario di affidare servizi in subconcessione di dura ta superiore a quella della concessione primaria, espressione dal princi pio secondo cui nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet: in una precedente controversia sorta tra la stessa società conces sionaria della gestione dell'aeroporto romano ed altro subconcessiona

rio, il Pretore di Roma (ord. 1° febbraio 1986, Foro it., 1986, I, 818, con nota di richiami) aveva impiegato il medesimo principio, per giun gere alla conclusione secondo cui «quand'anche il concessionario abbia

disposto in tutto o in parte del bene concessogli in favore dei terzi

(. . .) l'autorità concedente è legittimata ad esercitare nei loro confronti

gli stessi poteri esercitabili nei confronti del concessionario». Nel senso dell'inammissibilità della concessione di servizi per una du

rata novennale rinnovabile, in contrasto con l'art. 4 1. 17 dicembre 1986 n. 890, che fissa in cinque anni la data massima del rapporto, v. Corte

conti, sez. contr., 18 dicembre 1992, n. 79, id., Rep. 1993, voce Con cessioni amministrative, n. 15.

(2) Per l'affermazione secondo cui la concessione di servizi pubblici si distingue dall'appalto di servizi perché nel primo caso il corrispettivo consiste nel diritto di gestire il servizio e di esigere i pagamenti delle

tariffe, ovvero in tale diritto accompagnato da controprestazione pecu niaria, laddove nel secondo caso è rappresentato esclusivamente in una

prestazione pecuniaria, v. Coli. arb. Torino 24 maggio 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Contratti della p.a., n. 91.

Sulla nozione di concessione di costruzione e gestione, sull'ambito di applicazione della disciplina comunitaria sui lavori pubblici, nonché

Il Foro Italiano — 1996.

È legittimo il diniego ministeriale di assenso della subconcessio

ne contrario ad un precedente comportamento palesemente

illegittimo. (3)

sulla figura della concessione di committenza o di servizio, v. Tar Sici

lia, sez. Catania, 6 novembre 1993, n. 741, ibid., voce Opere pubbliche, n. 175 (secondo cui la chiave di lettura che concepisce le concessioni di opere pubbliche come strumento per concedere la realizzazione di

un'opera più o meno complessa, sarebbe superata dalla disciplina della 1. 19 marzo 1990 n. 55, dal d.leg. 19 dicembre 1991 n. 406 e dalla direttiva Cee 17 settembre 1990 n. 531); Corte conti, sez. contr., 20 febbraio 1992, n. 13 e Tar Campania, sez. II, 22 aprile 1992, n. 83, id., 1993, III, 300, con nota di richiami (la decisione del Tar afferma la legittimità della concessione di costruzione assentita senza il rispetto delle norme sulla aggiudicazione degli appalti nelle ipotesi in cui il con cessionario non abbia l'obbligo dell'esecuzione dei lavori); Cons. Stato, ad. gen., 1° ottobre 1993, n. 95 e sez. II 19 giugno 1991, n. 570, id., 1994, III, 65, con nota di richiami di Fracchla (secondo tale ultimo

parere allorché il concessionario garantisca il risultato si verserebbe nel

l'ipotesi di concessione di costruzione e di gestione). Quanto al rapporto tra società concessionaria della gestione del siste

ma aeroportuale e terzi, la giurisprudenza si è espressa in modo non univoco. Si è ad esempio affermato (Cass. 7 novembre 1989, n. 4645, id., Rep. 1990, voce Aerodromo, n. 1) che l'atto con cui la prima affi da a privati, dietro corrispettivo, terreni facenti parte del demanio del

l'aeroporto impiegati per attività inerenti ai servizi aeroportuali (nella specie: prestazioni di agenzia doganale e di spedizione) sarebbe qualifi cabile come subconcessione. Anche il rapporto intercorrente tra Con sorzio autonomo del porto di Genova e socieà Aereanavale avente ad

oggetto la gestione dei servizi di ristorante bar, rivendita tabacchi, duty free shop, il gift shop, è qualificato come concessorio da Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 1993, n. 171, id., Rep. 1994, voce cit., n. 5. Nel senso invece che l'atto con cui l'amministrazione attribuisce ad un pri vato il diritto di falciare l'erba cresciuta su un aeroporto costituisce un semplice contratto di diritto privato perché non altera o comprime in alcun modo la piena utilizzabiltià del bene da parte dell'amministra zione stessa, v. Cass. 8 novembre 1976, n. 4073, id., Rep. 1976, voce Concessioni amministrative, n. 28. Per l'affermazione secondo cui il

negozio con cui una società privata concessionaria di suolo demaniale aeronautico devolve a terzi locali adibiti ad agenzia bancaria, costitui sce un comune contratto di locazione, v. Trib. Torino 2 aprile 1984, id., Rep. 1985, voce Aerodromo, n. 4. V. infine (il parere non riguarda però la subconcessione in materia aeroportuale), Cons. Stato, sez. II, 19 giugno 1991, n. 570, cit., ove si afferma che l'atto con cui la società concessionaria dalle Ferrovie dello Stato per la costruzione di nuove linee ferroviarie ad alta velocità, attribuisce la loro costruzione ad im

prese private dovrebbe essere qualificato non già come subconcessione, bensì come contratto innovativo di servizi e di prestazioni.

(3) Non constano precedenti in termini. Nel senso che non sarebbe configurabile il vizio di eccesso di potere

per contraddittorietà quando l'organo di controllo adotta decisioni di verse in ordine a provvedimenti di analogo contenuto, atteso che l'erro re eventualmente commesso in alcuni casi non può costringerlo a perse verare nel medesimo errore, Tar Sicilia, sez. II, 3 marzo 1994, n. 238, Foro it., Rep. 1994, voce Atto amministrativo, n. 342.

Nel senso che la contraddittorietà giuridicamente rilevante tra com

portamenti dell'amministrazione può configurarsi soltanto in quanto ven

ga dedotta con riferimento ad atti validi, Tar Sicilia, sez. I, 14 gennaio 1993, n. 11, id., Rep. 1993, voce cit., n. 320.

La giurisprudenza, in più occasioni, si è occupata dell'esercizio del

potere di assenso del ministro dei trasporti sui rapporti subconcessori instaurati dalla società Aeroporti Roma. Per l'affermazione secondo cui l'ordinanza con cui il ministro dei trasporti intima al subconcessio nario il rilascio dei locali avuti in uso dal concessionario costituisce la determinazione consequenziale all'implicita revoca dell'assenso alla

subconcessione, v. Pret. Roma, ord. 1° febbraio 1986, cit. Sui criteri cui deve attenersi il ministro in sede di esercizio del potere di assenso, v. Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 1982, n. 332, id., Rep. 1983, voce Concessioni amministrative, n. 6, ove si afferma che «il principale pa rametro cui il controllo deve ispirarsi sta nell'accertamento se l'even tuale inserimento del terzo nell'organizzazione aeroportuale vada ad in cidere negativamente nella gestione unitaria dell'aeroporto; di talché l'as senso può essere legittimamente rilasciato soltanto qualora l'attività

programmata dal subconcessionario rappresenti un servizio di assisten za in senso obiettivo (. . .), sia coerente con la gestione aeroportuale nella sua globalità, non ne ostacoli il perseguimento dei fini e non deb ba essere svolta esclusivamente dalla concessionaria . . .».

Quanto all'ulteriore profilo, affrontato dalla decisione, dell'apparte nenza alla giurisdizione del giudice amministrativo della controversia avente ad oggetto la legittimità dell'atto amministrativo di assenso del

rapporto di subconcessione, si ricordi l'orientamento secondo cui il con traente a fronte degli atti del procedimento amministrativo che accom

pagna la stipulazione dei contratti con la pubblica amministrazione, è titolare non già di diritti soggettivi, bensì di interessi legittimi: v. Tar

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