sezione VI; decisione 16 maggio 1996, n. 681; Pres. Ancora, Est. Piscitello; Ente poste italiane c.Nardò (Avv. Caprioli). Conferma Tar Puglia, sez. I, 28 febbraio 1995, n. 39Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 371/372-375/376Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190124 .
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PARTE TERZA
Visto l'atto di costituzione in giudizio. Udito il relatore cons. Salemi, e uditi altresì per le parti l'avv.
Colarizi per i ricorrenti, l'avv. De Stefano, per l'amministrazio
ne l'avv. Compagno, per l'interveniente dott. G. Compagno. Ritenuto che sussistono le ragioni richieste dalla legge per l'ac
coglimento della sospensiva. Considerato che non risulta rispettata la disposizione di cui
all'art. 4, 4° comma, d.l. 57/87.
Per questi motivi il Tar del Lazio, III sezione, accoglie la
suindicata domanda incidentale di sospensione.
Art. 2.
Sono fatte salve le domande comunque inviate al Ministero, senza soluzione di continuità, dalla data del decreto ministeriale 22 dicembre
1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 30 gennaio 1996, n. 9-bis, fi
no al termine del 15 luglio 1996.
Sono, altresì, valide le domande spedite a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento entro il termine indicato. A tal fine fa fede il
timbro a data dell'ufficio postale accettante.
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 16 maggio 1996, n. 681; Pres. Ancora, Est. Piscitello; Ente poste italiane
c. Nardo (Avv. Caprioli). Conferma Tar Puglia, sez. I, 28
febbraio 1995, n. 39.
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Destituzione —
Patteggiamento della pena — Equiparazione a condanna pe nale — Esclusione — Autonomo accertamento dei fatti (Cod.
proc. pen., art. 444, 445; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto
degli impiegati civili dello Stato, art. 85).
Nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d.
patteggiamento) la pubblica amministrazione non può proce dere alla destituzione del dipendente limitandosi a porre a
base di tale provvedimento unicamente l'accertamento conte
nuto nella sentenza penale, che non ha efficacia nei giudizi civili ed amministrativi e che non implica un riconoscimento
di colpevolezza, ma deve procedere ad accertare autonoma
mente i fatti per i quali la pena è stata applicata, utilizzando
anche le risultanze del procedimento penale. (1)
(1) I. - Va preliminarmente ricordato che secondo la costante giuris prudenza della Corte costituzionale la destituzione automatica del pub blico dipendente a seguito di condanna penale, ritenuta illegittima per l'impossibilità di adeguare la sanzione al caso concreto, in relazione alla obiettiva gravità dei fatti commessi, non ha più cittadinanza nel nostro ordinamento. Infatti, Corte cost. 14 ottobre 1988, n. 971, Foro
it., 1989, I, 22, con nota di Virga, «Revirements» della Corte costitu
zionale e conseguenze della pronuncia d'incostituzionalità della destitu
zione di diritto nel campo del pubblico impiego, ha dichiarato l'illegitti mità costituzionale dell'art. 85, lett. a), d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, nella parte in cui non prevede, in luogo della destituzione di diritto dei dipendenti dello Stato condannati per i reati ivi elencati, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare (parimenti poi la stessa dichiarazione di illegittimità, anche in via conseguenziale, ha colpito altre disposizioni analoghe).
Tale principio poi risulta positivamente recepito dall'art. 9 1. 7 feb braio 1990 n. 19 che in generale prevede che il pubbico dipendente non
può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale; ma occor re l'instaurazione di un procedimento disciplinare che può concludersi anche con l'adozione del provvedimento di destituzione.
Questo orientamento è successivamente stato ribadito anche in epoca più recente da Corte cost. 27 aprile 1993, n. 197, id., 1994, I, 385, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, 4° comma, 1. 19 marzo 1990 n. 55, quale introdotto dall'art. 1 1. 18 gennaio 1992 n. 16, nella parte in cui prevede la decadenza dall'impiego dei pubblici dipendenti condannati con sentenza passata in giudicato per uno dei
Il Foro Italiano — 1996.
Diritto. — L'appello è infondato.
La sentenza del Tar, che ha annullato il provvedimento di
destituzione dall'impiego del ricorrente signor Nardo (provvedi mento adottato dal direttore generale del personale del ministe
ro delle poste e telecomunicazioni in esito al procedimento di
sciplinare instaurato nei confronti dell'interessato dopo una sen
tenza penale di condanna patteggiata), sarebbe errata — secondo
l'Ente poste appellante — in quanto ha ritenuto che l'accerta
mento contenuto nella sentenza penale di patteggiamento non
potesse essere dall'amministrazione posto a base del provvedi mento sanzionatorio. In ogni caso — soggiunge l'appellante —
non è vero che l'amministrazione non abbia valutato le affer
reati contemplati dalla legislazione sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso, in quanto tale disposizione sostanzialmente reintroduce nell'ordinamento l'istituto della destituzione di diritto già dichiarato il
legittimo. In sostanza, la mancanza di automatismo risponde anzi ad
un'esigenza costituzionale di proporzionalità della sanzione (Corte cost. 1° giugno 1995, n. 220, id., 1996, I, 47).
Si ha quindi che in generale (sia in caso di condanna a seguito di dibattimento che di patteggiamento della pena) occorre che la pubblica amministrazione, datrice di lavoro, instauri un procedimento disciplina re teso ad accertare i fatti addebitati e contestati al dipendente, la loro incidenza sul rapporto di pubblico impiego e le eventuali giustificazioni addotte dal dipendente medesimo. In entrambi i casi quindi non c'è alcun automatismo e, quand'anche la sentenza penale di condanna ab bia efficacia di giudicato nei limiti previsti dall'art. 654 c.p.p., c'è al meno un quid pluris da accertare e verificare: il negativo riflesso dei fatti penalmente rilevanti, di cui al procedimento penale così concluso
si, sulla prosecuzione del rapporto di impiego e la proporzionalità della sanzione àll'accertata condotta colpevole (od in ipotesi dolosa) del di
pendente. II. - Il diverso rilievo che la sentenza di applicazione della pena a
richiesta delle parti (art. 444 c.p.p.) ha rispetto alla ordinaria sentenza di condanna a seguito di dibattimento, passata in giudicato, non risiede
quindi in un possibile automatismo della destituzione, che possa in ipo tesi affermarsi in un caso e negarsi nell'altro, giacché tale automatismo — in ragione della citata giurisprudenza costituzionale — deve ritenersi escluso in entrambe le ipotesi; in realtà ciò che in qualche misura è diverso è l'utilizzo delle risultanze del processo penale. La sentenza pe nale di condanna nei giudizi civili o amministrativi che non abbiano ad oggetto le restituzioni o il risarcimento del danno dovuti dal condan nato o dal responsabile civile ha efficacia di giudicato nei limiti previsti dal cit. art. 654 c.p.p.; invece tale efficacia non ha — come espressa mente prevede l'art. 445 c.p.p. — la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti «pur essendo equiparata ad una pronuncia di
condanna»; può aggiungersi che Corte cost., ord. 13 dicembre 1991, n. 455, Foro it., Rep. 1992, voce Pena (applicazione su richiesta), n.
78, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legitti mità costituzionale dell'art. 445 cit. sollevata nella parte in cui prevede appunto che la sentenza non ha efficacia nei giudizi civili o amministra
tivi, pur essendo la stessa equiparata ad una pronuncia di condanna ai sensi dell'ultimo inciso del 1° comma di tale disposizione; per altro verso poi Cass., sez. un., 27 marzo 1992, Di Benedetto, id., 1993, II, 9, ha ribadito che tale pronuncia — ancorché sia equiparata ad una
pronuncia di condanna a tutti gli effetti che non siano quelli espressa mente previsti dal 1° comma dell'art. 445 cit. — si differenzia da que st'ultima perché non implica un accertamento pieno, e quindi una moti
vazione, della responsabilità penale dell'imputato, ma richiede soltanto la verifica della sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 444 c.p.p. Analoga differenziazione è fatta da Corte cost. 11 dicembre 1995, n.
499, id., 1996, I, 1152, e da Cass. 27 febbraio 1996, n. 1501, id., Mass., 155, in tema di azione di regresso dell'Inail e di azione risarcitoria per il «danno differenziale» nei confronti del datore di lavoro ex art. 10
d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124.
Quindi, in fondo il problema interpretativo del significato dell'equi parazione della sentenza di applicazione della pena a richiesta delle par ti alla pronuncia di condanna, equiparazione appunto prevista dall'ulti ma parte del 1° comma dell'art. 445 cit., è assai ridimensionato nella
fattispecie del procedimento disciplinare perché è pacifico che tale sen tenza non ha efficacia nei giudizi civili ed amministrativi.
Per un riepilogo dei vari orientamenti giurisprudenziali che si conten dono il campo circa la definizione della «natura» della sentenza di pat teggiamento, cfr. la nota di richiami a Cass. 26 giugno 1995, Capriglia, id., 1996, II, 359 e a Pret. Trento-Borgo Valsugana 23 novembre 1994, ibid., 397. Da ultimo, cfr. anche Cass., sez. un., 8 maggio 1996, De
Leo, inedita, con riferimento a sentenza di «patteggiamento» ritenuta inidonea giuridicamente a costituire il presupposto per l'operatività del la revoca di cui all'art. 168, 1° comma, n. 1, c.p.
III. - Non di meno però appare opportuna la puntualizzazione opera ta dalla pronuncia in rassegna che evidenzia come la sentenza di appli
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
mazioni formulate a propria discolpa dal dipendente, tanto è
vero che nel verbale della commissione di disciplina si legge che
la stessa commissione non le ha ritenute sufficientemente provate. Le argomentazioni dell'appellante non sono, ad avviso del
collegio, sufficienti ad infirmare il chiaro iter logico del giudice di primo grado in base al quale sono state ritenute fondate le
doglianze dell'interessato attinenti al rapporto tra sentenza pe nale di condanna patteggiata e sanzione disciplinare.
cazione della pena a richiesta delle parti non implica per il condannato un riconoscimento di colpevolezza; ma — aggiunge significativamente la medesima pronuncia — «alcuni fatti, emersi nel corso del giudizio
penale ed indiscussi dalle parti, possono ritenersi positivamente accerta
ti». Quindi l'amministrazione pubblica, muovendo proprio da tali risul
tanze (e non già adagiandosi su di esse, come se ci fosse — al pari dell'ordinaria sentenza di condanna passata in giudicato — un accerta mento positivo e definitivo della colpevolezza del dipendente), deve pro cedere al «completamento» degli accertamenti necessari.
In senso conforme è anche parte della giurisprudenza dei tribunali
amministrativi. In particolare, Tar Piemonte, sez. II, 11 novembre 1993, n. 331, id., Rep. 1994, voce Impiegato dello Stato, n. 1080, ha ritenuto
legittima la destituzione dal servizio di un vigile sanitario in quanto adottata all'esito di procedimento disciplinare nel quale era stata accer
tata, in via autonoma rispetto alla sentenza penale di patteggiamento, la sussistenza dei fatti rilevanti. Analogamente, Tar Lazio, sez. II, 14
novembre 1991, n. 1758, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1159, ha ritenuto
legittimo il provvedimento di destituzione dall'impiego adottato ex art.
84, lett. b) e c), d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, nei confronti di un dipen dente colpevole di concorso in malversazione, sulla base di un'autono
ma valutazione disciplinare del fatto commesso e indipendentemente dal fatto che in sede penale al dipendente fosse stata comminata la
pena a seguito di patteggiamento. Mette conto ricordare anche Tar Pie
monte, sez. II, 10 febbraio 1993, n. 73, id., Rep. 1993, voce cit., n.
1126, che ha precisato che nell'ambito delle pronunce di condanna in
sede penale che comportano la decadenza dall'impiego ex art. 15, com
ma 4 quinquies, septies e octies, 1. 19 marzo 1990 n. 55, come modifi
cato dall'art. 1 1. 18 gennaio 1992 n. 16, non può ritenersi ricompresa anche la sentenza di patteggiamento adottata ai sensi dell'art. 444 c.p.p.
Il fatto che la sentenza di patteggiamento non abbia efficacia di giu dicato nel procedimento disciplinare non esclude poi che trovi applica zione il 2° comma dell'art. 9 1. 7 febbraio 1990 n. 19, secondo il quale la destituzione può essere inflitta all'esito del procedimento disciplina
re, che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla
data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevoca
bile di condanna e concluso nei novanta giorni successivi; nel senso
che tale disposizione si applica anche nel caso di sentenza di patteggia
mento, che a tal fine può considerarsi equiparata ad una pronuncia di condanna, v. Tar Marche 18 giugno 1993, n. 392, ibid., n. 1121.
Deve però anche registrarsi un diverso orientamento giurisprudenzia le che tende in sostanza ad equiparare la sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna, Infatti, Tar Lazio, sez. II, 7 ottobre 1993, n. 1148, id., Rep. 1994, voce cit., n. 957, ha ritenuto che la sentenza
emessa a seguito di patteggiamento abbia l'efficacia di sentenza di con
danna con riferimento all'accertamento dei fatti materiali che furono
oggetto del giudizio penale ed alla loro riconducibilità alla responsabili tà dell'incolpato. Così anche Tar Toscana, sez. I, 2 giugno 1994, n.
370, ibid., n. 1082 — nell'affermare che il provvedimento di destituzio
ne, adottato a seguito di condanna penale per fatti ritenuti di particola re gravità e discredito in ordine all'attività lavorativa svolta dal dipen dente all'interno dell'amministrazione, può avere a fondamento le risul
tanze istruttorie e gli elementi emersi nel giudizio penale — ha precisato che tale accertamento non richiede il previo svolgimento di un'autono
ma istruttoria né una particolare motivazione in ordine ai fatti conte
stati atteso che, ove il procedimento penale si sia concluso con il rito
del patteggiamento della pena ex art. 444 c.p.p., la relativa sentenza
equivale ad una pronuncia di condanna sotto il profilo della responsa bilità penale; conf. Tar Toscana, sez. I, 23 marzo 1993, n. 237, id.,
Rep. 1993, voce cit., n. 1018.
In dottrina, sulla rilevanza della sentenza di patteggiamento nel pro cedimento disciplinare, v. Melillo, Il provvedimento disciplinare a ca
rico dei pubblici dipendenti di fronte alla l. 19/90 e al patteggiamento ex art. 444 s. nuovo c.p.p., in Riv. amm., 1994, 130; Stanizzi, Natura
giuridica della sentenza di c.d. patteggiamento e suoi effetti nel proce dimento disciplinare, in Trib. amm. reg., 1994, II, 205. Sulla destitu
zione del pubblico dipendente, v., oltre Virga, op. cit., Viola, Il pub blico impiego nell'emergenza: la destituzione del pubblico dipendente a seguito di condanna penale, in Cons. Stato, 1994, II, 343; Magri,
«Decadenza» del pubblico dipendente a seguito di sentenza di condan
na e giudicato penale , in Dir. regione, 1994, 89; Pinto, La cessazione
dall'ufficio dei pubblici dipendenti nell'art. 1 l. 16/92: destituzione o
decadenza?, in Regioni, 1994, 346; Raimondi, Esiste ancora la destitu
zione di diritto?, in Foro amm., 1992, 2088; Cantaro, Ancora su desti
tuzione di diritto e decadenza: novità e conferme della più recente giuris
prudenza costituzionale, in Giur. costit., 1993, 1349.
Il Foro Italiano — 1996.
Esattamente ha rilevato, infatti, il Tar che «dalla lettura del
provvedimento di destituzione e dagli atti relativi risulta eviden
te che il procedimento disciplinare ha trovato il suo unico pre
supposto nello svolgimento del giudizio penale a carico del di
pendente e che la sentenza emessa il 4 novembre 1992 dal Tri
bunale di Lecce ha costituito riferimento essenziale per le
contestazioni mosse nei confronti del Nardo»; dall'esame degli atti in questione appare evidente, inoltre, che «l'amministrazio
ne è pervenuta alla determinazione impugnata ritenendo accer
tata, da parte dell'autorità giudiziaria, la responsabilità del ri
corrente in ordine ai fatti addebitatigli e, in particolare, alla
sottrazione della schedina vincente».
La fallacia del procedimento logico seguito dall'amministra
zione è stata messa chiaramente in luce dal Tar con l'analisi
più rigorosa degli effetti dell'applicazione della pena patteggia ta (ex art. 444, 2° comma, c.p.p.) sul procedimento sanzionato
rio instaurato dall'amministrazione stessa a seguito della con
clusione del procedimento penale. È stato rilevato, infatti, che — nell'applicazione della dispo
sizione del citato art. 444 c.p.p. — il giudice era tenuto esclusi
vamente a verificare se non sussistevano le condizioni per il pro
scioglimento dell'imputato ex art. 129 c.p.p. (cioè per una asso
luzione nel merito) e se la qualificazione giuridica del fatto era
corretta.
Se è vero — come affermato nella relazione al progetto preli minare del nuovo codice di procedura penale (in G.U., suppl. ord. n. 2 del 24 ottobre 1988, pag. 107-8) — che «non occorre
un positivo accertamento della responsabilità penale», sicché è
sufficiente che dagli atti non risultino le premesse del proscio
glimento (ripugnando, evidentemente, al sistema di giustizia pe nale positivo la sottomissione convenzionale alla pena, atteso
il carattere indisponibile della materia), può condividersi piena mente l'affermazione della sentenza appellata secondo cui «la
sentenza patteggiata non presuppone e non comporta . . . alcun
puntuale accertamento della responsabilità dell'imputato in me
rito ai reati ascrittigli». La circostanza che l'applicazione della
pena sia richiesta dalle stesse parti non implica, d'altra prate, un riconoscimento di colpevolezza, trattandosi di una scelta pro cessuale riconducibile non già ad una presunzione di colpevo lezza giuridicamente rilevante bensì ad esigenze di alleggerimen to degli oneri processuali della fase dibattimentale e, per quan to riguarda l'imputato, anche a possibili considerazioni di
incertezza degli esiti del giudizio. L'assenza di certezza legale della sentenza patteggiata in me
rito alla responsabilità dell'imputato (alla quale si riconnette an
che la previsione dell'art. 445 c.p.p. che esclude l'efficacia di
tale tipo di sentenza nei giudizi civili o amministrativi) non esclu
de, evidentemente, che taluni fatti, emersi nel corso del giudizio
penale ed indiscussi dalle parti, possano ritenersi positivamente accertati. Ciò è avvenuto, nel caso di specie, per quanto concer
ne le circostanze che la raccomandata contenente la schedina
vincente sia giunta a Lecce nell'ufficio in cui operava il Nardo
e che la vincita in questione sia stata incassata dalla madre del
predetto, ma — come ha osservato il Tar — tale considerazione
non può valere per altri profili rimasti comunque controversi
(quale quello relativo alla materiale sottrazione della schedina
da parte del ricorrente). L'autonomia del giudizio disciplinare rispetto al giudizio pe
nale conclusosi con la sentenza patteggiata ex art. 444, 2° com
ma, c.p.p. — nonostante la previsione dell'art. 445, 1° comma,
ultimo inciso, c.p.p. secondo cui, «salve diverse disposizioni di
legge, la sentenza è equiparata ad una pronuncia di condanna» — impone, dunque, per le considerazioni appena esposte, il com
pletamento, da parte dell'amministrazione, degli accertamenti
necessari ai fini della sicura individuazione di una precisa re
sponsabilità disciplinare del dipendente in ordine ai fatti già ascrit
tigli in sede penale. Il dovere di procedere ad un autonomo accertamento ed ap
prezzamento dei fatti non può considerarsi pienamente e valida
mente adempiuto da parte dell'amministrazione qualora — co
me nel caso di specie — questa si limiti a far valere (ritenendosi
erroneamente vincolata dalla pronuncia giurisdizionale sul pun
to) una sorta di presunzione relativa di colpevolezza del dipen
dente, «gravando il predetto dell'onere di produrre prova con
traria» e concludendo poi per la responsabilità del dipendente
stesso, «non avendo egli saputo fornire la dimostrazione ri
chiesta».
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PARTE TERZA
Il percorso logico seguito dalla appellata sentenza del Tar,
sottoposta al vaglio critico del collegio, come sopra esposto, fa ritenere pienamente meritevole di conferma la sentenza in
questione, per la validità dei principi in essa affermati e per la loro attinenza alla fattispecie concretamente esaminata.
L'appello in esame deve, quindi, essere rigettato.
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 15 aprile 1996, n. 561; Pres. P. Salvatore, Est. C. Salvatore; Min. tra
sporti (Avv. dello Stato Fiengo) c. Soc. Icarus (Avv. Valen
tini), Soc. Aeroporti di Roma (Avv. Valentini), Soc. Piove
rà e Soc. Fezia (Avv. Pietrolucci). Accoglie Tar Lazio 19
giugno 1995, n. 1065.
Opere pubbliche — Concessione — Subconcessione — Durata — Illegittimità — Fattispecie.
Opere pubbliche — Concessione — Subconcessione — Utilizza
zione del bene — Disciplina (D.leg. 19 dicembre 1991 n. 406, attuazione della direttiva 89/440/Cee, in materia di procedu re di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, art. 4).
Opere pubbliche — Concessione — Subconcessione — Diniego di assenso ministeriale — Contrarietà con precedente palese mente illegittimo — Legittimità (L. 10 novembre 1973 n. 755,
gestione unitaria del sistema aeroportuale della capitale e co
struzione di una nuova aerostazione nell'aeroporto intercon
tinentale «Leonardo da Vinci» di Roma-Fiumicino, art. 4).
È illegittima, se di durata superiore alla concessione primaria, la subconcessione con la quale la società concessionaria della
gestione del sistema aeroportuale della città di Roma, affida ad un terzo la realizzazione di un complesso alberghiero al
l'interno dell'aeroporto stesso. (1) È legittima la subconcessione assentita senza il rispetto delle
procedure ad evidenza pubblica disciplinate dal d.leg. 19 di
cembre 1991 n. 406 se, sotto il profilo formale, la contropre stazione in favore della subconcessionaria consiste nel diritto
di gestire l'opera e nell'obbligo di pagare alla concedente un
corrispettivo e, sotto un profilo più generale, non si sia in
presenza di «esercizio» ma di «utilizzazione» dell'opera. (2)
(1) Non constano precedenti in termini. Il Consiglio di Stato considera la disposizione, contenuta nella con
venzione stipulata tra ministero dei trasporti e società Aeroporti Roma, che vieta al concessionario di affidare servizi in subconcessione di dura ta superiore a quella della concessione primaria, espressione dal princi pio secondo cui nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet: in una precedente controversia sorta tra la stessa società conces sionaria della gestione dell'aeroporto romano ed altro subconcessiona
rio, il Pretore di Roma (ord. 1° febbraio 1986, Foro it., 1986, I, 818, con nota di richiami) aveva impiegato il medesimo principio, per giun gere alla conclusione secondo cui «quand'anche il concessionario abbia
disposto in tutto o in parte del bene concessogli in favore dei terzi
(. . .) l'autorità concedente è legittimata ad esercitare nei loro confronti
gli stessi poteri esercitabili nei confronti del concessionario». Nel senso dell'inammissibilità della concessione di servizi per una du
rata novennale rinnovabile, in contrasto con l'art. 4 1. 17 dicembre 1986 n. 890, che fissa in cinque anni la data massima del rapporto, v. Corte
conti, sez. contr., 18 dicembre 1992, n. 79, id., Rep. 1993, voce Con cessioni amministrative, n. 15.
(2) Per l'affermazione secondo cui la concessione di servizi pubblici si distingue dall'appalto di servizi perché nel primo caso il corrispettivo consiste nel diritto di gestire il servizio e di esigere i pagamenti delle
tariffe, ovvero in tale diritto accompagnato da controprestazione pecu niaria, laddove nel secondo caso è rappresentato esclusivamente in una
prestazione pecuniaria, v. Coli. arb. Torino 24 maggio 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Contratti della p.a., n. 91.
Sulla nozione di concessione di costruzione e gestione, sull'ambito di applicazione della disciplina comunitaria sui lavori pubblici, nonché
Il Foro Italiano — 1996.
È legittimo il diniego ministeriale di assenso della subconcessio
ne contrario ad un precedente comportamento palesemente
illegittimo. (3)
sulla figura della concessione di committenza o di servizio, v. Tar Sici
lia, sez. Catania, 6 novembre 1993, n. 741, ibid., voce Opere pubbliche, n. 175 (secondo cui la chiave di lettura che concepisce le concessioni di opere pubbliche come strumento per concedere la realizzazione di
un'opera più o meno complessa, sarebbe superata dalla disciplina della 1. 19 marzo 1990 n. 55, dal d.leg. 19 dicembre 1991 n. 406 e dalla direttiva Cee 17 settembre 1990 n. 531); Corte conti, sez. contr., 20 febbraio 1992, n. 13 e Tar Campania, sez. II, 22 aprile 1992, n. 83, id., 1993, III, 300, con nota di richiami (la decisione del Tar afferma la legittimità della concessione di costruzione assentita senza il rispetto delle norme sulla aggiudicazione degli appalti nelle ipotesi in cui il con cessionario non abbia l'obbligo dell'esecuzione dei lavori); Cons. Stato, ad. gen., 1° ottobre 1993, n. 95 e sez. II 19 giugno 1991, n. 570, id., 1994, III, 65, con nota di richiami di Fracchla (secondo tale ultimo
parere allorché il concessionario garantisca il risultato si verserebbe nel
l'ipotesi di concessione di costruzione e di gestione). Quanto al rapporto tra società concessionaria della gestione del siste
ma aeroportuale e terzi, la giurisprudenza si è espressa in modo non univoco. Si è ad esempio affermato (Cass. 7 novembre 1989, n. 4645, id., Rep. 1990, voce Aerodromo, n. 1) che l'atto con cui la prima affi da a privati, dietro corrispettivo, terreni facenti parte del demanio del
l'aeroporto impiegati per attività inerenti ai servizi aeroportuali (nella specie: prestazioni di agenzia doganale e di spedizione) sarebbe qualifi cabile come subconcessione. Anche il rapporto intercorrente tra Con sorzio autonomo del porto di Genova e socieà Aereanavale avente ad
oggetto la gestione dei servizi di ristorante bar, rivendita tabacchi, duty free shop, il gift shop, è qualificato come concessorio da Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 1993, n. 171, id., Rep. 1994, voce cit., n. 5. Nel senso invece che l'atto con cui l'amministrazione attribuisce ad un pri vato il diritto di falciare l'erba cresciuta su un aeroporto costituisce un semplice contratto di diritto privato perché non altera o comprime in alcun modo la piena utilizzabiltià del bene da parte dell'amministra zione stessa, v. Cass. 8 novembre 1976, n. 4073, id., Rep. 1976, voce Concessioni amministrative, n. 28. Per l'affermazione secondo cui il
negozio con cui una società privata concessionaria di suolo demaniale aeronautico devolve a terzi locali adibiti ad agenzia bancaria, costitui sce un comune contratto di locazione, v. Trib. Torino 2 aprile 1984, id., Rep. 1985, voce Aerodromo, n. 4. V. infine (il parere non riguarda però la subconcessione in materia aeroportuale), Cons. Stato, sez. II, 19 giugno 1991, n. 570, cit., ove si afferma che l'atto con cui la società concessionaria dalle Ferrovie dello Stato per la costruzione di nuove linee ferroviarie ad alta velocità, attribuisce la loro costruzione ad im
prese private dovrebbe essere qualificato non già come subconcessione, bensì come contratto innovativo di servizi e di prestazioni.
(3) Non constano precedenti in termini. Nel senso che non sarebbe configurabile il vizio di eccesso di potere
per contraddittorietà quando l'organo di controllo adotta decisioni di verse in ordine a provvedimenti di analogo contenuto, atteso che l'erro re eventualmente commesso in alcuni casi non può costringerlo a perse verare nel medesimo errore, Tar Sicilia, sez. II, 3 marzo 1994, n. 238, Foro it., Rep. 1994, voce Atto amministrativo, n. 342.
Nel senso che la contraddittorietà giuridicamente rilevante tra com
portamenti dell'amministrazione può configurarsi soltanto in quanto ven
ga dedotta con riferimento ad atti validi, Tar Sicilia, sez. I, 14 gennaio 1993, n. 11, id., Rep. 1993, voce cit., n. 320.
La giurisprudenza, in più occasioni, si è occupata dell'esercizio del
potere di assenso del ministro dei trasporti sui rapporti subconcessori instaurati dalla società Aeroporti Roma. Per l'affermazione secondo cui l'ordinanza con cui il ministro dei trasporti intima al subconcessio nario il rilascio dei locali avuti in uso dal concessionario costituisce la determinazione consequenziale all'implicita revoca dell'assenso alla
subconcessione, v. Pret. Roma, ord. 1° febbraio 1986, cit. Sui criteri cui deve attenersi il ministro in sede di esercizio del potere di assenso, v. Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 1982, n. 332, id., Rep. 1983, voce Concessioni amministrative, n. 6, ove si afferma che «il principale pa rametro cui il controllo deve ispirarsi sta nell'accertamento se l'even tuale inserimento del terzo nell'organizzazione aeroportuale vada ad in cidere negativamente nella gestione unitaria dell'aeroporto; di talché l'as senso può essere legittimamente rilasciato soltanto qualora l'attività
programmata dal subconcessionario rappresenti un servizio di assisten za in senso obiettivo (. . .), sia coerente con la gestione aeroportuale nella sua globalità, non ne ostacoli il perseguimento dei fini e non deb ba essere svolta esclusivamente dalla concessionaria . . .».
Quanto all'ulteriore profilo, affrontato dalla decisione, dell'apparte nenza alla giurisdizione del giudice amministrativo della controversia avente ad oggetto la legittimità dell'atto amministrativo di assenso del
rapporto di subconcessione, si ricordi l'orientamento secondo cui il con traente a fronte degli atti del procedimento amministrativo che accom
pagna la stipulazione dei contratti con la pubblica amministrazione, è titolare non già di diritti soggettivi, bensì di interessi legittimi: v. Tar
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