+ All Categories
Home > Documents > sezione VI; decisione 17 febbraio 1986, n. 131; Pres. Buscema, Est. Vacirca; Commissario...

sezione VI; decisione 17 febbraio 1986, n. 131; Pres. Buscema, Est. Vacirca; Commissario...

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: lamkhanh
View: 214 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
5
sezione VI; decisione 17 febbraio 1986, n. 131; Pres. Buscema, Est. Vacirca; Commissario straordinario per il «Gruppo Maraldi »(Avv. Bonsignori, Crialese, A. e M. Nigro) c. Soc. Finanziaria saccarifera italo-iberica (Avv. Nicolò, M. S. Giannini, Punzi) e Min. industria. Regolamento di competenza Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 405/406-411/412 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180984 . Accessed: 28/06/2014 18:27 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.44 on Sat, 28 Jun 2014 18:27:03 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezione VI; decisione 17 febbraio 1986, n. 131; Pres. Buscema, Est. Vacirca; Commissario straordinario per il « Gruppo Maraldi » (Avv. Bonsignori, Crialese, A. e M. Nigro) c. Soc.

sezione VI; decisione 17 febbraio 1986, n. 131; Pres. Buscema, Est. Vacirca; Commissariostraordinario per il «Gruppo Maraldi »(Avv. Bonsignori, Crialese, A. e M. Nigro) c. Soc.Finanziaria saccarifera italo-iberica (Avv. Nicolò, M. S. Giannini, Punzi) e Min. industria.Regolamento di competenzaSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 405/406-411/412Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180984 .

Accessed: 28/06/2014 18:27

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 193.105.245.44 on Sat, 28 Jun 2014 18:27:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezione VI; decisione 17 febbraio 1986, n. 131; Pres. Buscema, Est. Vacirca; Commissario straordinario per il « Gruppo Maraldi » (Avv. Bonsignori, Crialese, A. e M. Nigro) c. Soc.

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

osservazioni entro il termine di 5 giorni dalla data di pubblica zione (prevista per il 1° marzo 1982).

Nel caso di specie la commissione sindacale non sollevò alcuna obiezione in ordine al numero delle classi (né avrebbe potuto farlo, posto che l'art. 24 1. n. 463/78 limita la sua competenza ai

problemi delle dotazioni organiche del personale e dei provvedi menti riguardanti il personale stesso).

I rappresentanti sindacali della scuola f.lli Rosselli in data 26

marzo 1982 contestarono la scelta di riduzione del numero delle

prime classi (tre al posto di sei) fatta dal provveditore, sostenen

do, in sintesi, che non sarebbe stato tenuto conto del numero

delle domande di iscrizione.

II provveditore, nell'adottare i provvedimenti impugnati, si

limitò a dichiarare di aver preso visione di tali osservazioni senza

motivare in ordine alla loro reiezione.

Ritiene il collegio che in questo comportamento non possano individuarsi i vizi denunciati dagli appellanti. I rappresentanti

sindacali, infatti, non avevano alcuna competenza in ordine alla

determinazione del numero delle nuove classi, materia rispetto alla quale lo stesso provveditore non aveva discrezionalità alcuna, essendo vincolato al criterio fissato nella citata ordinanza, peraltro non impugnata, di formazione del numero delle prime classi sulla

base del numero degli allievi iscritti nelle singole zone alla quinta elementare.

Non esisteva, pertanto, alcun obbligo di motivazione da parte del provveditore, che, in ordine al numero delle classi, si era

limitato ad applicare le disposizioni impartite dal ministero.

Col secondo motivo gli appellanti lamentano la violazione degli art. 6, 12 e 15 d.p.r. 31 maggio 1974 n. 416 perché il provvedito re non ha sentito il parere del consiglio di istituto, del consiglio scolastico distrettuale e del consiglio scolastico provinciale.

Per quanto riguarda il consiglio d'istituto, esattamente il T.A.R.

ha osservato che le sue attribuzioni sono limitate all'indicazione

dei criteri per la formulazione delle classi, che nulla hanno a che

vedere con la determinazione del loro numero.

I consigli scolastici distrettuali parimenti non hanno alcuna

competenza nella materia in esame.

I consigli scolastici provinciali, infine, hanno competenze con

sultive in ordine alla programmazione dello sviluppo e della

distribuzione territoriale delle istituzioni scolastiche ed educative, con la quale, malgrado gli sforzi fatti dagli appellanti per dimostrare il contrario, i provvedimenti in esame non hanno

niente in comune, trattandosi, come si è già detto, di provvedi menti in sostanza destinati a dimensionare la scuola Rosselli alla

realtà della zona nella quale sorge.

Con l'ultimo motivo si denuncia eccesso di potere per sviamen

to ed illogicità e violazione dell'art. 10, 3" comma, r.d. 4 maggio 1925 n. 653, che disciplina l'eccedenza delle domande rispetto alla

capienza degli istituti e prescrive regole per la realizzazione di

zonizzazioni, e per avere disposto il provveditore prima la

riduzione degli organici e della zona di competenza della scuola e

poi quella delle classi.

Anche questo motivo dev'essere rigettato. II 3° comma dell'art. 10 r.d. n. 653/25 deve ritenersi inapplica

bile per incompatibilità con le disposizioni (lex specialis) relative

all'istituzione della scuola dell'obbligo, in base alle quali non è

più immaginabile l'ipotesi in esso contemplata di una carenza di

posti nella scuola media che comporti la necessità di formare una

graduatoria delle domande in base alla quale assegnare i posti

disponibili. In una simile evenienza era logico che, nel vecchio

ordinamento scolastico, compatibilmente col posto occupato in

graduatoria, fosse attribuito rilievo alle preferenze espresse nelle

domande, ma tale criterio non ha più alcun significato in un

sistema nel quale, per definizione, il posto nella scuola dell'obbli

go è garantito a tutti.

Al contrario, nel nuovo sistema deve valere un criterio che

consenta di fatto di realizzare l'obbligo scolastico e sembra al

collegio che quello prescelto dal ministero (purché temperato da

un minimo di elasticità che consenta di far fronte ad esigenze

imprevedibili da valutare caso per caso, quali, ad esempio, i

trasferimenti di nuove famiglie nel quartiere o l'opportunità di

non separare membri della stessa famiglia) sia adeguato e im

prontato a quel principio di imparzialità e di buon andamento

dell'amministrazione che ne deve sempre orientare le scelte.

Quanto al fatto che il provvedimento di determinazione degli

organici abbia preceduto il provvedimento di rideterminazione

della zona di competenza della scuola Rosselli e quello di

riduzione delle classi, il collegio osserva che non è ravvisabile in

tale comportamento l'eccesso di potere per sviamento denunciato

dagli appellanti, poiché si ha sviamento di potere quando l'atto

Il Foro Italiano — 1986.

emanato per la tutela di un interesse diverso dall'interesse pub blico alla cui tutela l'atto stesso è per sua natura finalizzato,

mentre, nella specie, tutti gli atti del provveditore sono stati

adottati, in armonia con gli scopi cui sono naturalmente preordi nati, per la realizzazione di una più razionale distribuzione della

popolazione scolastica nel territorio e per una migliore utilizza zione delle strutture esistenti.

Né può ritenersi che tale comportamento sia viziato da irrazio

nalità ove lo si consideri come la realizzazione di un organico

disegno al quale tutti i provvedimenti adottati sono finalizzati;

che, anzi, l'organicità del disegno, quando, come nella specie,

questo è diretto a fini previsti dalla norma, è dimostrazione di

razionalità. Per tutti i motivi sopra illustrati l'appello deve esere rigettato.

(Omissis)

I

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 17 febbraio

1986, n. 131; Pres. Busckma, Est. Vacirca; Commissario

straordinario per il « Gruppo Maraldi » (Avv. Bonsignori,

Crialese, A. e M. Nigro) c. Soc. Finanziaria saccarifera ita

io-iberica (Aw. Nicolò, M.S. Giannini, Punzi) e Min. in

dustria. Regolamento di competenza.

Giustizia amministrativa — Grande impresa in crisi — Provve

dimento ministeriale — Ricorso — Competenza territoriale

(R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 195; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali ammini

strativi regionali, art. 3; d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, provvedi menti urgenti per l'amministrazione straordinaria delle grandi

imprese in crisi, art. 1, 2; 1. 3 aprile 1979 n. 95, conversione in

legge, con modificazioni, del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, art.

unico).

Il ricorso contro l'autorizzazione ministeriale alla vendita di una

azienda da parte del commissario amministratore straordinario

di una grande impresa in crisi, rientra nella competenza del

T.A.R. nella cui circoscrizione l'impresa stessa ha la sua sede

principale. (1)

(1) Non risultano precedenti. La decisione ha considerato, per escluderla, la possibilità che la

competenza territoriale sul ricorso contro l'autorizzazione ministeriale alla vendita di un'azienda da parte del commissario amministratore straordinario di una grande impresa in crisi, venga determinata, anziché in base alla sede principale dell'impresa stessa, in base alla collocazione dei beni la cui alienazione è stata cosi autorizzata: i termini della questione di competenza territoriale, cosi impostati, sono assai poco frequenti, perché profilano l'eventualità che il tribunale amministrativo regionale da riconoscersi come territorialmente compe tente sia comunque periferico, senza coinvolgere, come è la regola, il T.AjR. per il Lazio.

Per qualche altro riferimento, di nuovo nella prospettiva della gran lunga più frequente alternativa di competenza territoriale tra tribunale amministrativo regionale periferico e quest'ultimo, v. le pronunce relative a diversi problemi di competenza territoriale concernenti comunque la materia dei provvedimenti amministrativi incidenti sulla gestione e sulla attività di imprese variamente soggette a interventi del genere da parte dell'amministrazione. Cosi, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 2 giugno 1986, n. 408, Foro it., 1986, III, 359, con nota critica di P. De Vecchis, la quale ha affermato la competenza del tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede l'azienda di credito, sul ricorso contro il provvedimento col quale il ministro del tesoro ha sciolto i suoi organi ordinari. La decisione profila una distinzione dell'ipotesi nella quale il provvedimento impu gnato incida solo in via mediata e riflessa sull'attività dell'azienda di credito (come nel caso risolto: di qui l'affermazione della competenza del tribunale amministrativo regionale periferico), da quella nella quale tale provvedimento abbia, viceversa, una rilevanza immediata su di essa (come nel caso di provvedimenti di messa in liquidazione dell'azienda stessa, in cui la competenza sarebbe comunque del T.A.R. per il Lazio; ed è questa distinzione che, tra l'altro, la nota di De Vecchis particolarmente critica). Cosi, la decisione, può prendere le distanze dalla giurisprudenza consolidata, senza contraddirla fron

talmente, che è a favore della competenza del T.A.R. del La

zio, sui ricorsi contro i provvedimenti del genere suddet to: sez. IV 30 marzo 1976, n. 236, id., Rep. 1976, voce Giustizia amministrativa, n. 150, relativa al ricorso contro il provvedi mento di messa in liquidazione di una società finanziaria; sez. V 9

aprile 1976, n. 173, id., 1976, III, 297, con nota di richiami, relativa

This content downloaded from 193.105.245.44 on Sat, 28 Jun 2014 18:27:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezione VI; decisione 17 febbraio 1986, n. 131; Pres. Buscema, Est. Vacirca; Commissario straordinario per il « Gruppo Maraldi » (Avv. Bonsignori, Crialese, A. e M. Nigro) c. Soc.

PARTE TERZA

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; sezione III; sentenza 30 novembre 1985, n. 1986; Pres.

Felici, Est. Minicone; Soc. Coembit (Aw. Annesi, Pottino) c.

Min. industria e altro (Aw. dello Stato Onufrio), Soc. Gen

ghini (Aw. De Crescenzo, Rossano).

Giustizia amministrativa — Grande impresa in crisi — Ammini

strazione straordinaria — Continuazione — Ricorso da parte di

creditore — Interesse — Sussistenza (D.l. 30 gennaio 1979 n.

26, art. 2; 1. 3 aprile 1979 n. 95, art. unico).

Liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordina

ria — Grande impresa in crisi — Decreto di continuazione

dell'amministrazione — Difetto di motivazione — Illegittimità

(D.l. 30 gennaio 1979 n. 26, art. 1, 2; 1. 3 aprile 1979 n. 95,

art. unico).

Il creditore di una grande impresa in crisi, che aveva proposto istanza di fallimento di questa, ha interesse ad impugnare il

decreto col quale il ministro dell'industria ha viceversa autoriz

zato per due anni la continuazione della sua amministrazione

straordinaria. (2)

È illegittimo il decreto con il quale il ministro dell'industria ha

autorizzato la continuazione per due anni dell'amministrazione

straordinaria di una grande impresa in crisi, senza specificare

quali siano i motivi di interesse pubblico a favore di tale

continuazione che ha affermato come sussistenti, e senza aver

considerato anche i contrari interessi delle imprese creditrici, valutandoli comparativamente col primo. (3)

al ricorso contro il provvedimento di cancellazione di una società finanziaria dall'albo previsto dagli art. 154 e 155 d.p.r. n. 645/58; sez. VI 21 ottobre 1980, n. 875, id., Rep. 1981, voce cit., n. 136, nonché 26 marzo 1976, n. 157, id., Rep. 1976, voce cit., n. 147, e sez. XV 30 marzo 1976, n. 235, ibid., n. 148; 26 settembre 1975, n. 838, id., 1976, III, 138, con nota di richiami, tutte relative al ricorso contro il provvedimento di revoca dell'autorizzazione all'esercizio del credito da parte di impresa bancaria. Peraltro, anche nel caso di ricorso contro il provvedimento di scioglimento degli organi ordinari di una azienda di credito la giurisprudenza anteriore alla decisione della sez. IV n. 408/86 pare contraddire la soluzione della competenza del tribunale amministrativo regionale periferico da questa affermata, per preferire la soluzione della competenza del T.A.R. per il Lazio: sez. VI 7 aprile 1978, n. 471, id., Rep. 1978, voce cit., n. 148, la

quale, però, ha comunque affermato la competenza del T.A.R. nella cui circoscrizione aveva sede l'azienda interessata, giac ché questa era una cassa rurale e artigiana, la quale, come tale,

può esercitare la sua attività solo nel comune nei quale ha la sua sede (meno significative nel senso della competenza del T.A.R. per il

Lazio, sempre in relazione alle casse rurali e artigiane, la decisione della sez. VI 10 ottobre 1983, n. 739, id., Rep. 1983, voce cit., n. 117, perché concernente il ricorso contro il diverso provvedimento di

diniego di autorizzazione all'apertura di sportelli bancari; e quella ugualmente della sez. VI 24 ottobre 1980, n. 1039, id., Rep. 1981, voce cit., n. 137, annotata da De Vecchis, in Banca, borsa, ecc., 1981, II, 117, perché parimenti concernente il ricorso contro un diverso provve dimento quale il rifiuto dell'autorizzazione alla costituzione di una cassa del genere, ricorso che, per di più, investiva anche un atto sicuramente di efficacia ultra-regionale, come le direttive generali del comitato inter ministeriale per il credito da tale rifiuto applicate).

Sull'autorizzazione richiesta dall'art. 2, 3° comma, d.l. n. 26/79, nel testo risultante delle modifiche apportatevi dalla legge di conversione n. 95/79, Bianchi, in Giur. comm., 1985, II, 271, in nota a Trib. Roma 7 luglio 1983, Foro it., Rep. 1984, voce Liquidazione coatta

amministrativa, nn. 88, 105.

1(2) Non risultano precedenti.

(3) Anche il giudice amministrativo, quindi, nella prospettiva del sindacato sul buon uso da parte del ministro dell'industria del potere discrezionale di autorizzare la continuazione dell'amministrazione straordinaria di una grande impresa in crisi, ha dovuto affrontare il

problema del contrasto di tale continuazione con gli opposti interessi dei creditori, già considerato dal punto di vista del diritto commercia le: v., in particolare, Aimi, Problemi di costituzionalità delia legge Prodi, in Riv. dir. civ., 1985, II, 480 (sugli effetti della continuazione

suddetta, Quatraro, L'amministrazione straordinaria delle grandi im

prese in crisi, Milano, 1985, I, 65; e, per un inquadramento pubblicistico della intera materia, Longobardi, Crisi dell'impresa e interventi pubblici, in Dir. e società, 1983, 655).

La questione di costituzionalità della 1. n. 95/79 nel suo complesso, in quanto lesiva dei diritti dei creditori dell'impresa, è stata dichiarata manifestamente infondata da Trib. Roma 3 novembre 1983, Foro it., 1984, I, 1701, con nota di richiami, in una delle tante controversie che, come la sentenza ora riportata, sono state originate dal « caso »

Genghini, che ha anche dato occasione a buona parte degli scritti dedicati alla c.d. legge Prodi, nonché ai numerosi interventi che il legislatore ha poi operato in materia, nella prospettiva di una accen

II Foro Italiano — 1986.

I

Diritto. — Il ricorso per regolamento di competenza è infonda

to.

L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi,

regolata dal d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, convertito con modifica

zioni nella 1. 3 aprile 1979 n. 95, costituisce una forma speciale di amministrazione controllata, subordinata all'accertamento dello

stato d'insolvenza, spettante, secondo i principi generali del r.d.

16 marzo 1942 n. 267, al tribunale (civile) del luogo dove

l'impresa ha la sede principale (art. 1, 2° comma, d.l. n. 26 del

1979, che rinvia all'art. 195 1. fall.). Gli atti amministrativi nell'ambito del procedimento di ammi

nistrazione straordinaria (come le autorizzazioni alla vendita di

aziende da parte del commissario, impugnate nel caso in esame)

spiegano la loro efficacia diretta nel luogo predetto, onde va

ritenuta la competenza del T.A.R. nella cui circoscrizione tale

sede si trova, ai sensi dell'art. 3 1. 6 dicembre 1971 n. 1034.

Né può invocarsi il principio di localizzazione dell'efficacia

dell'atto presso il bene oggetto di poteri ed obblighi costituiti

dall'atto amministrativo, talvolta affermato in giurisprudenza con

riferimento a provvedimenti espropriativi (Cons. Stato, sez. VI, 2

dicembre 1975, n. 657, Foro it., Rep. 1975, voce Giustizia ammi

nistrativa, n. 325) o relativi a cose d'interesse storico o artistico

(Cons. Stato, sez. VI, 11 marzo 1980, n. 301 e 15 febbraio 1980, n.

203, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 126, 127). In queste ultime fattispecie, infatti, l'interesse pubblico curato

dall'amministrazione è direttamente connesso con il bene, mentre

i complessi aziendali appartenenti ad una grande impresa sono

presi in considerazione nei provvedimenti di autorizzazione alla

vendita soltanto come strumenti di realizzazione di un program ma unitario (la cui esecuzione deve essere autorizzata dall'autori

tà di vigilanza su conforme parere del C.i.p.i. ai sensi dell'art. 2

d.l. n. 26 del 1979) inteso al risanamento dell'impresa. L'interesse pubblico perseguito attiene, quindi, all'impresa nel

suo complesso, mentre risulta indifferente il luogo in cui i singoli beni, ad essa appartenenti, si trovino. Soltanto di riflesso, pertan to, l'efficacia delle autorizzazioni e della relativa delibera del

C.i.p.i. si produce fuori della circoscrizione territoriale in cui

l'impresa ha la sua sede principale. Il ricorso per regolamento di competenza va, dunque, respinto.

(Omissis)

II

Diritto. — 1. - La s.r.l. Coembit, nella sua asserita — e non contestata — veste di creditrice non soddisfatta della s.p.a. Genghini, ha impugnato il d.m. 19 settembre 1980, di sottoposi zione della società debitrice alla procedura di amministrazione straordinaria ex d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, convertito in 1. 3

aprile 1979 n. 95, per il profilo in cui autorizza per due anni la continuazione dell'impresa predetta ai sensi dell'art. 2, 1° comma, d.l. cit.

2. - L'eccezione di difetto di interesse all'impugnazione, sollevata dalla controinteressata s.p.a. Genghini, nella persona del commis sario designato all'amministrazione straordinaria, è destituita di

fondamento.

Va puntualizzato, preliminarmente, che la ricorrente, come da essa stessa specificamente precisato nel ricorso, si duole del solo

profilo del decreto impugnato che si riferisce alla disposta con tinuazione dell'esercizio dell'impresa.

Di conseguenza, del tutto inconferenti si rivelano le argomenta zioni della controinteressata dirette a dimostrare la maggiore convenienza dell'istituto dell'amministrazione straordinaria rispetto a quello del fallimento, per le maggiori garanzie derivanti dai

controlli pubblici e privati posti a presidio del primo. Anche a voler dare per ammessa una tale conclusione, resta

insuperabile la considerazione che, nella specie, non è in questio ne l'istituto della amministrazione straordinaria come procedura di liquidazione dei beni del debitore, alternativa al fallimento, da

svolgersi sotto la vigilanza dell'amministrazione con i poteri

tuata « amministrazione » mediante legislazione delle vicende che da tale legge hanno preso origine (v., da ultimo, d.l. 27 settembre 1S86 n. 593, norme per le imprese in crisi sottoposte ad amministrazione straordinaria, ecc., Le leggi, 1986, 2154): in particolare, sempre in relazione al caso Genghini, alla 1. 13 agosto 1980 n. 445, interpreta zione autentica del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26 sulla quale v. i rilievi, generalmente assai critici, di Ferri, in Riv. dir. comm., 1980, II, 393; Tarzia, in Fallimento, 1981, 199; Picardi, id., 1982, 1391; A. Lener, in Foro it., 1981, I, 3002.

This content downloaded from 193.105.245.44 on Sat, 28 Jun 2014 18:27:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sezione VI; decisione 17 febbraio 1986, n. 131; Pres. Buscema, Est. Vacirca; Commissario straordinario per il « Gruppo Maraldi » (Avv. Bonsignori, Crialese, A. e M. Nigro) c. Soc.

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

spettanti al giudice delegato, per impulso del commissario liquida tore anziché del curatore e sotto il controllo del comitato di

sorveglianza in luogo di quello dei creditori, bensì il differimento

della soddisfazione delle ragioni dei creditori, che sarebbe stata

perseguibile attraverso la liquidazione del patrimonio del debitore,

per effetto della autoritativa continuazione dell'esercizio dell'im

presa. Ciò posto, è sufficiente osservare che, a radicare l'interesse

all'impugnazione del provvedimento ministeriale, per il profilo de

quo, sta la circostanza che la ricorrente si era fatta promotrice della istanza di fallimento della s.p.a. Genghini, proprio allo

scopo di poter ottenere, per quanto possibile, il ristoro immediato

del proprio credito e che tale intento è stato frustrato dal decreto

di continuazione dell'impresa.

Né, alla valutazione di un siffatto interesse patrimoniale, può sostituirsi, agli effetti processuali, voluti dalla controinteressata, il

diverso apprezzamento di differenti (oltre che eventuali) vantaggi che deriverebbero alla ricorrente dal risanamento dell'impresa,

vantaggi che, quand'anche effettivamente ipotizzabili, nel caso di

specie, non potrebbero, comunque, sovrapporsi, per cancellarne la

rilevanza agli effetti del gravame, alla esigenza di cui la Coembit

è portatrice, di una liquidazione attuale dei beni della debitrice.

Da ciò anche la inconsistenza del rilievo circa la mancata

dimostrazione di una lesione attuale e concreta all'interesse della

ricorrente, derivando, con tutta evidenza, sia l'attualità sia la

concretezza di tale lesione dalla intervenuta impossibilità di

conseguire un intento patrimoniale giuridicamente rilevante e

radicato nel diritto soggettivo di credito, del tutto irrilevanti

(oltre che non autonomamente impugnabili) dovendosi considera

re, a tali fini, i futuri atti di gestione della continuazione

dell'impresa.

3. - Nel merito, fondato ed assorbente si rivela il profilo del

primo motivo di ricorso con il quale si censura il decreto

ministeriale per difetto di motivazione.

Va premesso, per un migliore inquadramento delle considera

zioni che saranno più oltre svolte, che il d.l. 30 gennaio 1979 n.

26, convertito in legge con modificazioni dalla 1. 3 aprile 1979 n.

95, ha disposto, nei confronti delle società commerciali in stato di

insolvenza a causa di esposizioni debitorie per titoli specificamen te individuati, l'assegnazione a procedere di amministrazione

straordinaria (equiparata a tutti gli effetti alla liquidazione coatta

aministrativa), con esclusione del fallimento.

Ha previsto, altresì, la possibilità che, nei confronti delle

imprese in questione, sia disposta la continuazione dell'esercizio

per un periodo predeterminato prorogabile, su conforme parere del C.i.p.i., per ulteriori periodi, applicati da successivi provvedi menti di legge modificativi, ferma restando la possibilità di

revocare tale autorizzazione a seguito di richiesta del comitato di

sorveglianza e su conforme parere del C.i.p.i. Dal contesto della normativa di cui trattasi si evince che,

mentre l'assoggettamento alla procedura di amministrazione

straordinaria è atto vincolato per l'autorità amministrativa, una

volta che siano stati giuridicamente riscontrati sussistenti i pre

supposti voluti dalla legge, l'autorizzazione alla continuazione

dell'esercizio dell'impresa è atto soltanto eventuale (« può essere

disposta » ai sensi dell'art. 2 d.l. n. 26 del 1979), la cui adozione

è subordinata anche alla valutazione dell'interesse dei creditori.

E dunque, se l'apprezzamento degli interessi pubblici da perse

guire è effettuato una volta per tutte dal legislatore, per quel che

attiene alla sostituzione del fallimento con la procedura di

amministrazione straordinaria, la elusione della pretesa dei credi

tori ad una liquidazione immediata del patrimonio della società

debitrice (perseguibile anche attraverso l'amministrazione straor

dinaria) è subordinata ad una valutazione da compiersi di volta

in volta dall'autorità amministrativa, valutazione che va condotta,

in tale sede, « tenendo anche conto degli interessi dei creditori ».

Il che vuol dire, ove all'espressione legislativa debba essere

attribuito il significato fatto palese dal senso proprio delle parole

e dalla loro connessione, oltre che dal rapporto fra le varie

proposizioni normative concatenate, che l'interesse pubblico, an

corché rilevantissimo, a recuperare le parti risanabili dell'impresa — che è alla base della particolare procedura di continuazione

(cfr. anche la relazione al disegno di legge in Atti camera VII

legisl. n. 2708) — deve, comunque, confrontarsi con l'interesse

privato dei creditori sullo specifico terreno della situazione con

creta dei rapporti giuridici facenti capo a ciascuna impresa

insolvente, allo scopo di verificare se, con riguardo alle possibilità

di risanamento medesimo e alla entità delle posizioni creditizie

sacrificate, sussistano i presupposti per l'adozione di un provve

dimento siffatto.

Il Foro Italiano — 1986 — Parte III- 30.

Diversamente argomentando, ove dovesse ritenersi, come so

stengono le controparti intimate, che la continuazione dell'eserci

zio dell'impresa è sempre preordinato anche a tutelare l'interesse

dei creditori (essendo connaturale tale tutela al complesso delle

fasi in cui si articola l'istituto de quo, onde tale continuazione, in

definitiva, si atteggerebbe come momento normale della procedura di amministrazione straordinaria), non si comprenderebbe la ratio

dell'avere affidato tale valutazione alla discrezionalità dell'autorità

amministrativa, anziché configurarla come effetto naturale dei

presupposti che danno luogo all'amministrazione straordinaria

medesima alla stregua di quanto previsto dall'art. 1 d.l. n. 26/79.

D'altra parte, è anche fin troppo evidente che la determinazio

ne positiva di far luogo alla continuazione non può sorreggersi, in

via principale, sulla rilevata esistenza di aspetti dell'impresa suscettibili di risanamento, essendo l'individuazione di tali aspetti affidata al programma commissariale, che costituisce un momento

logico e temporale posteriore all'autorizzazione alla continuazione

dell'impresa. E dunque, se l'apprezzamento cui è chiamato il ministro non

può sostenersi sulla sicurezza delle prospettive di un buon esito

dell'operazione di recupero (onde il perseguimento dell'interesse

pubblico, per tale profilo, si atteggia soltanto come tentativo

affidato ad un giudizio sommario di probabile convenienza), lo

stesso (e questo è il significato sostanziale che assume l'inciso « tenendo conto degli interessi dei creditori ») non può trascurare

di esaminare almeno l'unico elemento certo che si offra alla

valutazione in tale fase prodromica e cioè la posizione dei

creditori, cosi' da instaurare un giudizio comparato di valore tra

l'interesse ad esperire il tentativo di salvataggio e l'entità delle

attese patrimoniali sicuramente sacrificate.

Un tale giudizio di valore può senz'altro far propendere per la

continuazione dell'attività, ben essendo possibile che dal raffronto

emerga che l'obiettivo del recupero, per gli interessi che sarebbe

possibile salvaguardare in caso di esito favorevole, appaia più meritevole il perseguimento, anche in sede di valutazione somma

ria, rispetto alla posizione dei creditori. Come pure può viceversa

concludersi per la non convenienza del tentativo, ove lo stesso, a

fronte di un esito incerto, arrechi pregiudizi patrimoniali ai

creditori, che, considerata la posizione di questi ultimi e la tutela

che ad essi accorda l'ordinamento giuridico (soprattutto se essi

pure rivestono la natura di imprese e siano negativamente coin

volte nell'insolvenza della società debitrice), faccia reputare inop

portuno incorrere nell'alea della continuazione.

Nell'uno come nell'altro caso, tuttavia, è evidente come l'autori

tà amministrativa non possa sottrarsi al dovere che su di esse

incombe di giustificare una scelta cosi densa di conseguenze per tutte le parti coinvolte; giustificazione che, seppure inevitabilmente

sommaria, per tutte le ragioni già esposte, non può eludere quei termini di riferimento minimi, costituiti dalla entità della situa

zione debitoria e dalla natura dei soggetti creditori, in relazione

al complesso patrimoniale della società, la cui rappresentazione,

quanto meno a livello conoscitivo, è l'esigenza minima che va

soddisfatta nell'assunzione della determinazione de qua.

Nulla di tutto ciò nel caso di specie in cui il decreto

ministeriale nell'autorizzare la continuazione, per due anni, della s.p.a. Genghini ha fatto il riferimento solito alla sussistenza

dei requisiti e alla ricorrenza di motivi di pubblico interesse, non

meglio specificati. Ora, se la sussistenza dei requisiti è presupposto necessario e

sufficiente perché sia disposta l'amministrazione straordinaria, non

lo è, certamente, altrettanto, per la continuazione dell'impresa,

per la quale, come si è visto, occorrono, in base all'art. 2 d.l. n.

26 del 1979, ulteriori valutazioni.

Quanto al riferimento generico ai motivi di pubblico interesse, lo stesso si rivela assolutamente insufficiente ai fini voluti dalla

norma, giacché, mentre non chiarisce neppure quali siano, nella

specie, gli aspetti di pubblico interesse da tutelare (fra i tanti che

possono inerire alla decisione di non porre in liquidazione una

impresa insolvente), non si dà carico neppure di dimostrare che

una considerazione dell'interesse privato sia stata tenuta presente nella formazione della volontà.

Ora, anche a voler condividere l'affermazione dell'avvocatura

dello Stato, che individua nel potere del quale si discute una

sfera di ampia discrezionalità, quest'ultima non solo non esclude, ma anzi impone la maggiore chiarezza del processo volitivo.

A tal fine, l'affermata apodittica esigenza dell'interesse pubblico alla continuazione avrebbe dovuto, quanto meno, lasciar trasparire

che, nell'assunzione della conforme determinazione, l'autorità am

ministrativa aveva, a tutto voler concedere, ben precisi il numero, la qualità e l'entità dei crediti vantati dai privati nonché la

This content downloaded from 193.105.245.44 on Sat, 28 Jun 2014 18:27:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: sezione VI; decisione 17 febbraio 1986, n. 131; Pres. Buscema, Est. Vacirca; Commissario straordinario per il « Gruppo Maraldi » (Avv. Bonsignori, Crialese, A. e M. Nigro) c. Soc.

PARTE TERZA

situazione di questi ultimi, posto che nessun giudizio comparativo di valori, per quanto preponderante possa essere uno dei termini dello stesso, può essere assunto senza la compiuta rappresentazio ne dell'altro.

Di tale rappresentazione (che è attività diversa da quella della

esposizione dei dati imprenditoriali, ritenuti dall'avvocatura dello Stato non divulgabili) non v'è traccia nell'impugnato provvedi mento, né la stessa avvocatura è stata in grado di fornire elementi idonei a desumere l'esistenza del procedimento decisio nale. Il che, del resto, trova indiretta conferma nella estrema brevità del periodo intercorso tra la data di dichiarazione da

parte del Tribunale di Roma, dell'assoggettato della s.p.a. Gen

ghini alla procedura di amministrazione straordinaria (17 settem bre 1980) e la data di adozione del decreto di continuazione (19 settembre 1980), brevità che mal si concilia con la estrema

complessità della situazione debitoria dell'impresa, confermata dai laboriosi adempimenti nei quali è stato lungamente impegnato il commissario liquidatore.

Il denunciato difetto di motivazione deve, dunque, ritenersi effettivamente sussistente, onde il ricorso va accolto, con assorbi mento degli ulteriori motivi, ed il decreto ministeriale del 19 settembre 1980 va annullato per il profilo impugnato in cui

dispone la continuazione dell'esercizio della s.p.a. Genghini. (O missis)

CONSIGLIO DI STATO; sezione I; parere 15 aprile 1983, n.

105/83; Pres. Anelli; Min. interno.

Cittadinanza — Figlio di madre cittadina — Sentenza della Corte

costituzionale n. 30/83 — Acquisto della cittadinanza — Limiti

(Cost., art. 136; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzio

ne e sul funzionamento della Corte costituzionale, art. 30; 1. 21

aprile 1983 n. 123, disposizioni in materia di cittadinanza,

art. 5). Cittadinanza — Figlio di madre cittadina — Effetti della sentenza

della Corte costituzionale n. 30/83 — Doppia cittadinanza —

Opzione — Limiti temporali (L. 21 aprile 1983 n. 123, art. 5).

Sono cittadini italiani per effetto della sentenza della Corte

costituzionale 9 febbraio 1983, n. 30 coloro che, nati da madre

cittadina e da padre straniero dopo il 1° gennaio 1948, abbiano

già raggiunto la maggiore età alla data di entrata in vigore della l. 21 aprile 1983 n. 123 {27 aprile 1983) la quale ha

attribuito la cittadinanza ai figli minorenni che si trovino nella

stessa situazione. (1) Coloro che per effetto della sentenza della Corte costituzionale 9

febbraio 1983, n. 30 abbiano acquisito una doppia cittadinan

za, possono optare per una sola entro un anno dall'entrata in

vigore della l. 21 aprile 1983 n. 123 (27 aprile 1983). (2)

(1-2) Sull'efficacia della dichiarazione di incostituzionalità, nel senso che trattandosi di annullamento e non di abrogazione della norma

illegittima essa ha effetto retroattivo con la salvezza dei rapporti esauriti in forza di giudicato, di atti amministrativi o di atti negoziali, v. Cass. 21 febbraio 1985, n. 1568, Foro it., Rep. 1985, voce Corte

costituzionale, n. 58; 16 marzo 1984, n. 1807, id., 1984, I, 942, con nota di G. Pezzano.

* * *

Acquisto e perdita della cittadinanza italiana a seguito di

opzione: recenti problemi interpretativi.

1. - L'opzione a favore di una sola cittadinanza da parte del figlio minorenne di padre o madre cittadina, bipolide (o pluripolide), ha suscitato non pochi problemi interpretativi a seguito della 1. 21 aprile 1983 n. 123 (« disposizioni in materia di cittadinanza ») e del parere del Consiglio di Stato, sez. I, 15 aprile 1983, n. 105 qui riportato, che ha esteso tale opzione ai maggiorenni: la 1. 15 maggio 1986 n. 180 (Le leggi, 1986, 1324), nel modificare le precedenti disposizioni, è destinata a suscitare nuovi problemi, alla luce sia del parere sopra riprodotto sia del le circolari emanate in argomento dal ministero dell'interno.

La 1. n. 180 modifica, precisamente, la norma (art. 5) che consente al figlio minorenne, anche adottivo, di padre cittadino o di madre cittadina, nel caso di doppia cittadinanza, di « optare per una sola cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età»: in virtù della 1. n. 180 il minore potrà optare « fino alla data di entrata in vigore della nuova legge organica sulla cittadinanza » e, qualora non abbia reso l'opzione ex art. 5 1. n. 123, può riacquistarla rendendo « apposita dichiarazione » all'autorità prevista dall'art. 3

Il Foro Italiano — 1986.

Vista la relazione n. K. 31/10 del 10 marzo 1981 con cui il ministero dell'interno — direzione generale per l'amministrazione

generale e per gli affari del personale - divisione cittadinanza e

riconoscimento persone giuridiche — chiede il parere sull'affare

in oggetto; Esaminati gli atti ed udito il relatore; Premesso: la riferente amministrazione espone che con sentenza

n. 30 del 9 febbraio 1983 (Foro it., 1983, I, 265) la Corte costituzio

stessa legge, cioè al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare (1).

Le nuove norme, nel testo del disegno di legge presentato al senato, contenevano invero un'altra modifica, tesa a prorogare per altri tre anni il termine di due anni '(uno, però, nel regime normale che ha avuto inizio tre anni dopo l'entrata in vigore della legge n. 123) entro cui era riconosciuto al ministero dell'interno il potere di rigettare, con decreto motivato, l'istanza per l'acquisto della cittadinanza. La ratio di

quest'ultima modifica era dettata dalla preoccupazione dell'amministra zione dell'interno di non poter svolgere « in tempo utile i prescritti complessi e laboriosi adempimenti istruttori », tenuto anche conto dell'aumento in termini numerici delle istanze: emerse non poche perplessità in sede di discussione al senato, la norma veniva soppressa, e la camera approvava senza riserve tale orientamento censurando

l'atteggiamento « maliziosamente passivo » dell'amministrazione nel

compiere l'attività istruttoria e le « resistenze burocratiche » accresciute dal sospetto che circonda lo straniero — specie in relazione al diffondersi del fenomeno del terrorismo — pur non dipendendo più il riconoscimento dello status civitatis da un atto di concessione eminen temente politico, in quanto « diritto fondamentale » o « diritto allo status di cittadino » (2).

2. - L'accoglimento della prima e il respingimento della seconda

modifica meritano alcuni rilievi. In primo luogo non si può non criticare il modo di procedere, e

quindi di legiferare, in una materia che da decenni attende di essere

organicamente riformata: l'intervento occasionale del legislatore e il

riferimento esplicito, neUa 1. n. 180, alla nuova legge organica, tale da

far apparire transitorio il regime da essa previsto, rappresentano elementi indicativi di un'azione politica che non sembra trovare la

volontà, più che il consenso, per un intervento decisivo e definitivo.

(1) Sull'art. 5 legge n. 123 cfr. B. Barel, Commento, in Nuove leggi civ., 1984, 996 ss., e i rilievi di S. Bariatti, Droit de la nationality

(Italie), in lurisclasseur de droit international, Paris, 1983, 10, 14, 22; G. Battaglimi, Diritto internazionale privato e cittadinanza italiana tra giudizio della corte e legge di riforma, in Nuove leggi civ., 1983, 826

s.; iM. S. Fortunato, F. Giardina, Le nuove disposizioni in materia di cittadinanza, in Giur. it., 1983, IV, 333 ss.; S. Arena, La cittadinanza italiana, Minerbio, 1984, 22 ss.; S. Mustilli, Legge 123, bilancio di un anno, in I servizi demografici, 1984, 1482 ss.; L. Panetta, Commento alla nuova legge sulla cittadinanza, Rimini, 1984, 65 ss.; E. Pagano, Commento alla l. 21 aprile 1983 n. 123, in La legislazione civile annotata con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P. Pert.ingieri, 2, Napoli, 1985, 705; E. Sacchettini La cittadinanza, Milano, 1985, 95 ss. Per una critica alla norma e sull'imprecisione del termine « opzione » (che richiama, propriamente, le conseguenze di fenomeni quali i trasferimenti territoriali o la formazione di nuovi Stati, aventi la loro sede nel diritto internazionale pubblico) T. Ballarino, in Nuove leggi civ., 1984, 972 s.; sul regime delle opzioni nel nostro ordinamento, a seguito dei trattati stipulati successivamente alla prima e seconda guerra mondiale, disciplinanti lo status civitatis per i soggetti appartenenti ai territori annessi o ceduti, cfr. fra gli altri il trattato di pace di San Germano fra Italia e Austria, del 10 settembre 1919 (1. 26 settembre 1920 n. 322), art. 72 ss. (e r.d. 30 dicembre 1920 n. 1890, art. 4 ss.); il trattato di pace di Parigi fra le potenze alleate ed associate e l'Italia del 10 febbraio 1947 (d.l.c.p.s. 28 novembre 1947 n. 1430) art. 19 ss.; le varie disposizioni concernenti le opzioni degli alto-atesini (principalmente il d.l. 2 febbraio 1948 n. 23, la I. 16 novembre 1950 n. 927, in relazione all'accordo di Parigi fra Italia e Austria del 5 settembre 1946, riprodotto pei come allegato IV al trattato di pace di Parigi).

Sembra opportuno ricordare che le dichiarazioni di riacquisto, come dispone la circolare del ministero dell'interno n. K. 31.9 del 26 maggio 1986, vanno rese secondo le modalità di cui agli art. 41 e 45 r.d. 9 luglio 1939 n. 1238 sull'ordinamento dello stato civile.

(2) Sulle ragioni della modifica cfr. l'intervento del sottosegretario di Stato per l'interno on. Costa alla commissione affari costituzionali (1") del senato, il 21 novembre 1985, in Senato della repubblica, bollettino delle giunte e delle commissioni parlamentari, 436, 5; a favore si era pronunciato anche il sen. Garibaldi, p. 4, che tuttavia nella seduta del 23 gennaio 1986 — ivi 467, p. 3 — manifestava alcune perplessità, a seguito delle quali il sottosegretario di Stato alla presidenza del consiglio on. Amato si dichiarava disponibile a sopprimere la disposi zione ove le perplessità fossero state condivise dalla commissione (il disegno di legge, n. 1510 senato, approvato in sede deliberante dalla commissione il 6 marzo 1986). Cfr. pure gli Appunti del ministero dell'interno, ufficio centrale per gli affari legislativi e le relazioni internazionali, per il sottosegretario on. Costa, del 20 novembre 1985 e 3 marzo 1986. Quanto agli orientamenti espressi alla camera si vedano i rilievi del presidente della commissione affari costituzionali on. Labriola e dell'on. Tassi, in Camera dei deputati, bollettino, cit., seduta del 30 aprile 1986 (il disegno di legge veniva approvato in sede legislativa il 30 aprile 1986); sulle esigenze di procedere ad una riforma organica della legge sulla cittadinanza cfr. anche l'intervento dell'on. Gualandi.

This content downloaded from 193.105.245.44 on Sat, 28 Jun 2014 18:27:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended