sezione VI; decisione 17 febbraio 1996, n. 225; Pres. Imperatrice, Est. Lipari; Pres. cons.ministri ed altri (Avv. dello Stato Clemente) c. Serrao (Avv. Correale). Annulla Tar Lazio, sez. I,25 novembre 1992, n. 1492Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 5 (MAGGIO 1997), pp. 279/280-283/284Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191259 .
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PARTE TERZA
l'elargizione di cui si tratta si rivelerebbe senza titolo o, meglio, a puro titolo di beneficenza.
La censura esaminata dev'essere, pertanto, respinta.
Occorre, allora, risolvere la questione se, nel caso di specie, l'interessato fosse o potesse essere considerato in servizio, op
pure no, all'atto della tentata rapina nella quale è rimasto
coinvolto.
Al riguardo è sufficiente a giustificare la soluzione negativa constatare come risulti in atti che l'ufficio postale, in cui il fat
to criminoso è accaduto, era l'ufficio di titolarità del ricorrente
che ne era il direttore e che il giorno 5 gennaio del 1979, data
in cui il fatto si è verificato, a quell'ufficio era preposto come
reggente tale Riccio Pietro, in sostituzione temporanea di altra
reggente, alla quale la gestione dell'ufficio era stata affidata, a norma dell'art. 26 1. 11 febbraio 1970 n. 29, proprio in luogo dello Iannotti, assente dal servizio da oltre trenta giorni conti
nuativi.
Questi, pertanto, non aveva titolo ad essere in servizio, né
risulta altrimenti provato che si fosse recato in ufficio per svol
gervi le proprie mansioni e che sia, invece, non esatto quanto, su sua dichiarazione, è riferito nella relazione ispettiva concer
nente i fatti del 5 gennaio 1979 e, cioè, che la sua presenza era dovuta all'intenzione di riscuotere competenze accessorie spet
tantigli. Alla stregua delle considerazioni che precedono, l'appello de
v'essere, in conclusione, respinto.
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 17 febbraio 1996, n. 225; Pres. Imperatrice, Est. Lipari; Pres. cons, ministri
ed altri (Avv. dello Stato Clemente) c. Serrao (Avv. Cor
reale). Annulla Tar Lazio, sez. I, 25 novembre 1992, n. 1492.
Ordinamento giudiziario — Magistrati ed equiparati — Ade
guamenti periodici triennali — Pensionabilità — Domanda — Giurisdizione amministrativa (L. 19 febbraio 1981 n. 27,
provvidenze per il personale di magistratura, art. 2). Ordinamento giudiziario — Magistrati ed equiparati — Ade
guamenti periodici triennali — Pensionabilità — Limiti (L. 19 febbraio 1981 n. 27, art. 2; 1. 8 agosto 1991 n. 265, dispo sizioni in materia di trattamento economico e di quiescenza del personale di magistratura ed equiparato, art. 2).
Spetta al giudice amministrativo conoscere della controversia avente ad oggetto la pensionabilità degli adeguamenti perio dici triennali riconosciuti ai magistrati ed equiparati dall'art. 2 l. 19 febbraio 1981 n. 27. (1)
Gli aumenti a titolo di «conguaglio» degli adeguamenti econo
mici triennali corrisposti ai magistrati ed equiparati ai sensi
dell'art. 2 I. 19 febbraio 1981 n. 27 non possono avere riflessi ai fini della liquidazione della pensione del personale colloca to a riposo prima della data di attribuzione. (2)
(1) Giurisprudenza costante sulla suddivisione dell'ambito di compe tenza fra giurisdizione amministrativa e contabile sulle questioni ineren ti il trattamento pensionistico dei pubblici impiegati: per ogni riferi mento v. Cons. Stato, ad. plen., 1° diembre 1995, n. 32 (in controver sia avente ad oggetto la pensionabilità delle quote di competenze professionali percepite dagli avvocati dell'ufficio legale interno di ente locale), Foro it., 1996, III, 602, con nota di richiami.
(2) Secondo Tar Lazio, sez. I, 25 novembre 1992, n. 1492, Foro it., Rep. 1993, voce Ordinamento giudiziario, n. 126, ora parzialmente an nullata, la base pensionabile «deve comprendere gli adeguamenti matu rati . . . ancorché materialmente non erogati» alla data di collocamento a riposo, atteso che la spettanza — e, quindi, la computabilità — degli adeguamenti periodici previsti dall'art. 2 1. 27/81 «non può essere intac
II Foro Italiano — 1997.
Fatto. — Feliciano Serrao, consigliere della Corte dei conti, collocato a riposo con decorrenza del 5 luglio 1990, con istanza
del 18 luglio 1990 chiedeva al segretario generale della Corte
dei conti la rideterminazione della base pensionabile e della ba
se di calcolo dell'indennità di buonuscita, in applicazione del
d.p.c.m. 29 marzo 1991.
Con nota n. 12291/219 del 4 settembre 1991, il segretario
generale respingeva la richiesta, affermando che la 1. 8 agosto 1991 n. 265 «ha espressamente escluso la possibilità di compu tare tali incrementi sui trattamenti pensionistici in godimento».
Il Serrao impugnava tale atto, dinanzi al Tar del Lazio, chie
dendo l'accertamento del proprio diritto alla rideterminazione
della base pensionabile e della base di calcolo dell'indennità di
buonuscita e la conseguente condanna dell'amministrazione al
pagamento di quanto dovutogli. A sostegno della domanda il ricorrente deduceva che la 1.
265/91, non assumendo portata retroattiva, non può essere ap
plicata ai soggetti cessati dal servizio anteriormente alla sua en
trata in vigore e non incide, comunque, sulla operatività del
l'aumento periodico relativo al triennio 88/90, già maturato in
attività di servizio.
Con la sentenza impugnata il tribunale accoglieva parzialmente il ricorso, affermando che la base pensionabile e la base di cal
colo dell'indennità di buonuscita «dovranno essere aumentate
dell'importo spettante a conguaglio, a partire dal 1° gennaio 1991, in misura percentuale corrispondente al periodo di effetti
vo servizio prestato dal ricorrente nel triennio 1988/90».
Contro tale pronuncia hanno proposto appello le amministra
zioni soccombenti in primo grado, deducendo, in linea prelimi nare, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in
relazione alla domanda tesa ad ottenere un incremento della
base pensionabile. Nel merito le parti appellanti censurano la sentenza per aver
considerato rilevante ai fini della individuazione della base pen
cata dalle modalità della relativa liquidazione, mediante acconti da con
guagliare alla fine di ogni triennio»; anche Tar Calabria 1° giugno 1992, n. 276, id., Rep. 1992, voce cit., n. 103, aveva considerato unitariamen te il meccanismo di adeguamento periodico, nella prospettiva di una determinazione triennale degli stipendi dei magistrati costituita da una fase di acconto ed una finale di saldo, con «stipendio finale che ha effetto dal 1 ° gennaio successivo al triennio di riferimento» e «costitui sce quello iniziale del triennio successivo ... sul quale si calcolano gli acconti». Il d.p.c.m. previsto dall'art. 2 1. 27/81 per l'adeguamento del trattamento retributivo ha natura di atto autoritativo e non pariteti co (con funzione adempitivo-ricognitiva), con la conseguente necessità della sua impugnazione nel caso di proposizione di domanda giudiziale per la declaratoria del diritto alla percezione delle retribuzioni maggio ritarie: Tar Lazio, sez. I, 4 aprile 1987, n. 731, id., Rep. 1987, voce
Consiglio di Stato, n. 3, e 18 aprile 1984, n. 393, id., Rep. 1984, voce Ordinamento giudiziario, n. 61.
Prima dell'intervento normativo di cui all'art. 2, 2° comma, 1. 27/91 (secondo il quale gli adeguamenti periodici per il personale in servizio non possono costituire presupposto legittimante la riliquidazione dei trat tamenti pensionistici in godimento), riconosciuto legittimo da Corte cost. 27 luglio 1995, n. 409, id., Rep. 1995, voce cit., n. 106, ed interpretato da Cons. Stato 225/96 e da Tar Lazio 1492/92 nel senso che la esclusio ne opera solo nei confronti degli adeguamenti triennali cronologicamente posteriori alla data di cessazione dal servizio, la giurisprudenza contabi le era pressoché unanime nel considerare il trattamento pensionistico a regime dei magistrati ed equiparati soggetto alla perequazione auto matica con le variazioni delle retribuzioni del personale di pari qualifica in attività di servizio, secondo il meccanismo previsto dall'art. 2 1. 27/81: Corte conti, sez. Ill pens, civ., 29 luglio 1992, n. 66075, id., Rep. 1993, voce Pensione, n. 346 e 5 giugno 1992, n. 66330 (che, peraltro, motiva sulla perdurante vigenza della 1. 425/84), id., Rep. 1992, voce cit., n. 530; 15 maggio 1991, n. 66446, ibid., n. 528; 15 giugno 1990, n. 64087, id., Rep. 1991, voce cit., n. 127; contra, nel senso che l'adeguamento triennale può essere applicato solo per determinare l'ammontare pen sionistico liquidabile alla data del 1° gennaio 1988 (secondo Corte cost. 5 maggio 1988, n. 501, id., 1989, I, 639, e 16 febbraio 1991, n. 95, id., 1991, I, 2601) ma «senza proiezione nel futuro»; per riferimenti in materia v. nota di richiami a Corte cost. 95/91, cit., che ha dichiara to manifestamente inammissibile la questione di legittimità dell'art. 2 1. 27/81 nella parte in cui non prevedeva anche per le pensioni la rili quidazione automatica sulla base del trattamento dei magistrati in ser vizio. Per ulteriori riferimenti di carattere generale sul sistema retributi vo dei magistrati ed equiparati, Corte conti, sez. contr., 19 novembre 1992, n. 67, id., 1993, III, 410, con nota di richiami; sulla nozione di retribuzione contributiva utile ai fini previdenziali, Cons. Stato, ad. plen., 1° dicembre 1995, n. 32, id., 1996, III, 602, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
sionabile e del trattamento di buonuscita, lo stipendio «virtua
le», anziché quello effettivamente percepito. (Omissis) Diritto. — (Omissis). Nel merito, l'appello è fondato in rela
zione ad entrambi i profili in cui esso si articola.
È evidente, in primo luogo, il difetto di giurisdizione del giu dice amministrativo in ordine al capo della domanda proposta in primo grado, tesa ad ottenere non solo la mera ridetermina
zione della retribuzione ai fini del calcolo della base pensionabi
le, ma anche la condanna dell'amministrazione al pagamento di quanto dovuto, con rivalutazione ed interessi.
Occorre sottolineare, a tale proposito, che secondo un co
stante orientamento interpretativo, la giurisdizione della Corte
dei conti in materia di pensioni è limitata a quanto concerne
con immediatezza, anche nella misura, il sorgere, il modificarsi
e l'estinguersi totale o parziale del diritto a pensione in senso
stretto, restando esclusa da tale competenza ogni questione con
nessa col rapporto di pubblico impiego, come la determinazione
della base pensionabile e dei relativi contributi da versare, sulle
quali la giurisdizione è, invece, del giudice amministrativo (Cons.
Stato, sez. VI, 8 ottobre 1992, n. 716, Foro it., Rep. 1992, voce Impiegato dello Stato, nn. 1382, 1385, 1420; 6 febbraio
1991, n. 68, id., Rep. 1991, voce cit., nn. 1211, 1222; 5 novem
bre 1990, n. 946, ibid., voce Ordinamento giudiziario, n. 117; 15 ottobre 1990, n. 908, id., Rep. 1990, voce Impiegato dello
Stato, n. 1494). Non vi è dubbio, peraltro, che la giurisdizione del giudice
amministrativo è circoscritta alla parte della domanda relativa
della determinazione della base pensionabile, direttamente cor
relata al calcolo della retribuzione spettante al pubblico dipen
dente, ma non può estendersi alle pretese dirette ad ottenere
la condanna dell'amministrazione al pagamento delle differenze
relative al maggiore trattamento pensionistico vantato dal ri
corrente.
Entro questi limiti, dunque, deve essere accolta l'eccezione
di difetto di giurisdizione sollevata dall'avvocatura erariale, con
il conseguente parziale annullamento senza rinvio della pronun cia impugnata, secondo quanto stabilito dall'art. 33 1. 1034/71.
Passando all'esame delle altre censure proposte dalle ammini
strazioni appellanti, è necessario individuare con chiarezza il te
ma decisorio, alla luce della prospettazione impostata dal ricor
rente in primo grado e parzialmente condivisa dalla sentenza
impugnata. Il Serrao ha posto a base delle proprie pretese una particolare
lettura interpretativa del meccanismo di adeguamento periodico delle retribuzioni spettanti al personale di magistratura, previ sto dagli art. 2 e 3 1, 19 febbraio 1981 n. 27, con specifico riferimento alle vicende applicative riguardanti il triennio 1988/90.
In tale prospettiva, si sottolinea che lo stipendio in godimen to all'inizio del triennio (1° gennaio 1988), determinato per ef
fetto del d.p.c.m. 1° dicembre 1988, è stato incrementato, all'i
nizio tanto del secondo quanto del terzo anno successivo a tale
data, dalla percentuale del 6,102%, a titolo di acconti sull'ade
guamento triennale. Ne è conseguito, quindi, un incremento to
tale pari al 12,204 dello stipendio iniziale. La retribuzione, così
determinata, è stata posta a base del calcolo della pensione e
del trattamento di fine rapporto. Con d.p.c.m. del 29 marzo 1991, è stato accertato, tuttavia,
che l'incremento da applicare per il triennio 1988/90 è pari al
42,62% dello stipendio in godimento al 1° gennaio 1988. L'au
mento maturato nel corso di tale periodo, quindi, risulta note
volmente superiore rispetto a quello concretamente attribuito
al Serrao, per effetto dei due precedenti acconti.
Il ricorrente in primo grado, collocato a riposo a far data
dal 5 luglio 1990, sostiene che detto incremento, riguardando, sia pure con effetti posticipati, il triennio in cui egli era ancora
in servizio, deve essere computato quale elemento necessrio del
la base pensionabile e dell'indennità di buonuscita, in misura
integrale o, quanto meno, con riferimento alla misura percen tuale corrispondente al periodo di effettivo servizio prestato nel
triennio 1988/90, secondo quanto poi ritenuto dal tribunale, in
accoglimento della domanda subordinata.
Dette conclusioni non possono essere condivise.
Deve ritenersi che, contrariamente a quanto ritenuto dal se
gretariato generale della Corte dei conti, non costituisce ostaco
lo alla pretesa del Serrao la disposizione contenuta nell'art. 4, 2° comma, 1. 8 agosto 1991 n. 265, secondo cui, «in ogni caso,
gli adeguamenti periodici previsti dall'art. 2 1. 19 febbraio 1981
n. 27, per il personale in servizio non sono computati ai fini
delle riliquidazioni di trattamenti pensionistici in godimento».
Il Foro Italiano — 1997 — Parte 7/7-10.
Detta norma, infatti, intende soltanto precisare, con una pre visione di chiaro tenore interpretativo, che il particolare mecca
nismo di adeguamento economico triennale ha ambito applica tivo limitato al trattamento retributivo del personale in servizio
e che sarebbe stato in servizio nel periodo di tempo considerato
ai fini dell'adeguamento senza poterlo estendere al trattamento
di pensione collocato a riposo anteriormente a tale contesto tem
porale, che si dovesse riliquidare per qualsiasi causa.
La pretesa formulata dal ricorrente in primo grado è invece
infondata perché muove da una inesatta lettura ermeneutica del
sistema dell'adeguamento periodico degli stipendi del personale di magistratura. In sostanza, secondo la tesi del Serrao, fatta
propria dal tribunale, il meccanismo previsto dal legislatore in
trodurrebbe una modalità di adeguamento automatico e ten
denzialmente costante della retribuzione dei magistrati. Ciò si
gnificherebbe che il trattamento stipendiale aumenta, senza ap
prezzabili soluzioni di continuità, contestualmente agli incrementi
economici conseguiti dai pubblici dipendenti. Si tratta, peraltro di una ricostruzione che urta apertamente
contro lo stesso concetto di periodicità dell'adeguamento, che
si realizza non già in modo «continuo», maturando giorno per
giorno, ma opera solo in determinati momenti, fatti coincidere
con il 1° gennaio di ogni anno. Sotto questo profilo, dunque, il sistema dell'adeguamento retributivo dei magistrati presenta
spiccate analogie con il meccanismo della «scala mobile», carat
terizzato, appunto, dalla presenza di veri e propri «gradini»,
più o meno alti, da una posizione retributiva a quella immedia
tamente successiva. In questo senso, quindi, la progressione del
trattamento economico spettante ai magistrati, pur aggancian dosi stabilmente alla corrispondente dinamica retributiva di par ticolari categorie di pubblici dipendenti, si attua mediante «sal
ti», compiuti con cadenza annuale.
In secondo luogo, poi, la costruzione prospettata dal Serrao
è frutto della mancata percezione del concreto modo di operare del meccanismo di adeguamento, che presuppone una netta di
stinzione tra il periodo triennale considerato ai fini della deter
minazione dell'incremento stipendiale e l'epoca (immediatamente
successiva) in cui l'aumento così calcolato entra a far parte del
le voci retributive spettanti al magistrato. La materia è analiticamente disciplinata dall'art. 11 1. 2 apri
le 1979 n. 97, nel testo introdotto dall'art. 2 1. 19 febbraio 1981
n. 27. Il 1° comma della disposizione afferma il principio in
forza del quale «gli stipendi del personale di cui alla presente
legge sono adeguati di diritto, ogni triennio, nella misura per centuale pari alla media degli incrementi realizzati nel triennio
precedente dalle altre categorie dei pubblici dipendenti per le
voci retributive calcolate dall'Istituto centrale di statistica ai fini
della elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali, con
esclusione della indennità integrativa speciale». La disposizione afferma in modo assolutamente inequivoco, quindi, che l'ade
guamento è operato, senza alcun effetto retroattivo, assumendo
come base di riferimento, gli incrementi retributivi avvenuti nel
triennio precedente. Il 3° comma della disposizione precisa ulteriormente l'ambito
temporale che deve essere preso in considerazione ai fini della
determinazione dell'aumento e il momento in cui l'adeguamen to triennale esplica i suoi effetti: «la variazione percentuale è
calcolata rapportando il complesso del trattamento economico
medio per unità corrisposto nell'ultimo anno del triennio di ri
ferimento a quello dell'ultimo anno del triennio precedente ed
ha effetto dal 1° gennaio successivo a quello di riferimento».
La formula della norma non lascia dubbi di sorta in ordine
al rilievo cronologico degli aumenti maturati nel triennio «di
riferimento» ed alla individuazione del momento in cui essi spie
gano concreti effetti sulla determinazione dell'incremento sti
pendiale spettante al personale di magistratura. Invero, le varia
zioni prese in considerazione sono senz'altro quelle del periodo triennale che costituisce il necessario punto di riferimento tem
porale del meccanismo di adeguamento, ma la data in cui dette
variazioni entrano a far parte delle voci stipendiali del persona le di magistratura è chiaramente posteriore, presupponendo pro
prio la conclusione del triennio oggetto di valutazione.
Non può alterare questa conclusione la previsione contenuta
nel 5° comma, in forza della quale, all'inizio del secondo e del
terzo anno di ciascun periodo, deve essere applicato un aumen
to, a titolo di «acconto».
In forza di tale previsione «gli stipendi al 1° gennaio del se
condo e del terzo anno di ogni triennio sono aumentati a titolo
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PARTE TERZA
di acconto sull'adeguamento triennale, per ciascun anno e con
riferimento sempre allo stipendio in vigore al 1° gennaio del
primo anno, per una percentuale pari al trenta per cento della
variazione percentuale verificatasi fra le retribuzioni dei dipen denti pubblici nel triennio precedente, salvo conguaglio a deco
rere dal 1° gennaio del triennio successivo».
Nel contesto della norma, infatti, gli «acconti» annuali, non
hanno alcun carattere provvisorio o temporaneo, non rappre sentano il mero pagamento parziale di quanto verrà liquidato solo in seguito, ma costituiscono la misura definitiva e puntuale dell'aumento retributivo spettante al personale di magistratura con effetto dal 1° gennaio del secondo e del terzo anno del
periodo di riferimento.
In questo senso, anche il «conguaglio» determinato alla fine
del triennio non incide in alcun modo sulla misura degli aumen
ti periodici determinati negli anni precedenti, ma produce effet
to solo in relazione al calcolo dell'incremento retributivo spet tante a far data dall'inizio del nuovo periodo triennale.
In altri termini, il sistema degli «acconti» e del successivo
«conguaglio» non costituisce una mera rateizzazione, intesa co
me modalità di esecuzione di un'unica obbligazione precedente mente sorta, con la conseguente acquisizione del diritto al patri monio del dipendente sin dalla data di inizio del triennio di
riferimento, in quanto nel disporre l'attribuzione dell'incremen
to a titolo di «conguaglio», a partire da determinate decorren
ze, la norma ha inteso inequivocabilmente riferirsi alla costitu
zione del diritto agli aumenti, come momento genetico del dirit
to, alle date in essa indicate, senza che i successivi aumenti a
titolo di «conguaglio» possano avere riflessi ai fini della liqui dazione della pensione del personale collocato a riposo prima di tale data.
Così ricostruita la disciplina vigente, resta privo di fonda
mento il richiamo, compiuto dalla parte appellata, alla rilevan
za dello stipendio «virtuale», ai fini della determinazione della
base pensionabile e dell'indennità di buonuscita.
Invero, se con tale espressione si intende affermare che il cal
colo va operato tenendo conto di tutti i crediti retributivi del
dipendente, maturati in costanza di rapporto, ancorché mate
rialmente non percepiti, si deve sottolineare che l'attore in pri mo grado non può vantare alcuna pretesa alla corresponsione
degli aumenti aventi efficacia solo a partire dal 1° gennaio 1991, essendo stato collocato a riposo in epoca anteriore (5 luglio 1990).
Né potrebbe giovare al cons. Serrao il richiamo a quelle pro nunce che hanno considerato computabili nella base retributiva
pensionabile gli incrementi stipendiali determinati da norme o
da provvedimenti intervenuti in epoca posteriore alla cessazione
di servizio del dipendente. Si tratta, invero, di ipotesi nelle quali l'effetto dell'aumento
retributivo è espressamente riportato ad epoca, anteriore a quella di formazione del titolo che ne costituisce la fonte, in cui il
dipendente era ancora in servizio.
In tale ambito si colloca, fra l'altro la fattispecie, esaminata da Tar Lazio, sez. I, n. 1054 del 12 luglio 1988 (id., Rep. 1989, voce Ordinamento giudiziario, n. 103), del magistrato collocato a riposo dopo il 1 ° gennaio dell'anno di inizio del periodo trien
nale, ma anteriormente all'adozione del d.p.c.m. di adeguamento. In simili eventualità, ben diverse da quella oggetto del pre
sente giudizio, è evidente che l'effetto dell'aumento triennale, tassativamente riportato al 1° gennaio, deve estendersi anche al personale cessato dal servizio in epoca successiva a tale data.
Diversamente, gli stessi incrementi stipendiali non potrebbero in alcun modo essere estesi al personale che, come il cons. Ser
rao, è stato collocato a riposo in un tempo anteriore al 1° gen naio del nuovo triennio di riferimento per gli adeguamenti pe riodici.
Conclusivamente, quindi, l'appello deve essere accolto con la conseguente riforma della sentenza impugnata.
Il Foro Italiano — 1997.
CONSIGLIO DI STATO; sezione III; parere 23 gennaio 1996, n. 1535/95; Min. finanze.
Redditi (imposte sui) — Disposizioni comuni — Scissioni —
Norma antielusiva — Abrogazione (D.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, approvazione del testo unico delle imposte sui redditi, art. 123 bis; 1. 23 dicembre 1994 n. 724, misure di razionaliz
zazione della finanza pubblica, art. 27, 28).
L'art. 123 bis, 16° comma, d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, che prevede il disconoscimento dei vantaggi tributari derivan ti dalle operazioni di scissione considerate elusive, è stato im
plicitamente abrogato per effetto degli art. 27 e 28 l. 23 di
cembre 1994 n. 724, che hanno introdotto la neutralità fiscale di dette operazioni e riformulato le ipotesi di fattispecie elusi
ve, rendendo di fatto impossibile configurare la indebita frui zione di vantaggi fiscali. (1)
(1) Con questo parere, richiesto dal ministero delle finanze per una
operazione concernente la scissione della Sogei con la costituzione di due nuove società e con attribuzione non proporzionale delle rispettive azioni agli azionisti Iri e Finsiel, il Consiglio di Stato ritiene che l'intro duzione nell'ordinamento della neutralità fiscale di tali operazioni ren da non più applicabile la normativa antielusiva di cui all'art. 123 bis, 16° comma, d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917. Ciò nonostante il collegio affronta ugualmente gli altri quesiti posti dal ministero delle finanze in punto di interpretazione di questa disposizione. In particolare, con riferimento alla espressione «in ogni caso» contenuta in tale norma, per il disconoscimento di scissioni non aventi ad oggetto aziende o com plessi aziendali anche sotto forma di partecipazioni e quelle cosiddette «non proporzionali», il parere ritiene che ad essa vada attribuito il si
gnificato di «sempre», con il conseguente disconoscimento sistematico dei vantaggi tributari eventualmente conseguenti a tali operazioni.
In dottrina, ritengono che l'art. 123 bis, 16° comma, cit., non si applichi più alle operazioni di scissione: M. Leo, F. Monacchi, M. Schiavo, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 1996, 1990, dove si legge che non è un ostacolo a tale soluzione la mancata abroga zione esplicita del 16° comma dell'art. 123 bis, perché, «essendo l'ope razione di scissione contemplata dalla nuova norma antielusiva di cui all'art. 27 1. n. 724 del 1994, il comma stesso deve ritenersi implicita mente soppresso per incompatibilità con la nuova disciplina»; A. Mon ti, La normativa antielusiva prima e dopo la manovra finanziaria per il 1995, in Rass. trib., 1995, 422 ss., spec. 425; ritengono fiscalmente del tutto «neutrali» le operazioni di scissione (e fusione), S. Desideri, La valutazione di partecipazioni può essere elusiva, in Corriere trib., 1996, 2701; E. Pistone, Finanziaria '95: fusioni, scissioni e norme an tielusive, id., 1995, 310.
Contra tale interpretazione, R. Lupi, Scissioni societarie e Consiglio di Stato: non si elude di solo disavanzo (nota a Cons. Stato 23 gennaio 1996, n. 1535), id., 1996, 3305, per il quale, anche dopo l'introduzione della norma che stabilisce la presunta neutralità delle scissioni, i benefi ci fiscali ottenibili con tali operazioni «ci sono, sono macroscopici e sono del tutto autonomi rispetto alle rivalutazioni a fronte del disavan zo» (per esempio la scissione consente di trasferire aziende produttrici di reddito in società beneficiarie con forti perdite pregresse da riportare a nuovo); pertanto, l'interpretazione data dal collegio è «pericolosissi ma» per i contribuenti perché, caduta la premessa che non sarebbero più ottenibili vantaggi fiscali con le operazioni di scissione «neutrali», il parere non tutelerebbe in caso di contenzioso se non per la non appli cazione delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza della nor ma; A. Contrino, Sull'inapplicabilità dell'art. 10 l. n. 408 del 1990 (così come modificato dall'art. 28 della l. n. 724 del 1994) alle fusioni di carattere elusivo (nota a Comm. trib. I grado Milano 4 maggio 1996), in Dir. e pratica trib., 1996, II, 917 ss., spec. 930, il quale sostiene che è indubbio che il legislatore, apportando le modifiche di cui all'art. 27 1. 724/94, «avesse intenzione di stralciare dall'ambito operativo della norma anche l'operazione di scissione: tuttavia, il 16° comma dell'art. 123 bis non è stato interessato da alcun intervento «espresso» e, anche se ciò sembra imputabile ad una semplice dimenticanza, si ritiene che le scissioni continuino ad essere sottoposte al sindacato della disposizio ne antielusiva in esame»; I. Passeri, Dubbi sistematici sulle nuove nor me antielusive relative alle operazioni di fusione e di scissione, in Rass. trib., 1995, 429, per la quale «la norma di cui al 16° comma dell'art. 123 bis del testo unico delle imposte sui redditi è perfettamente autono ma e distinta dalla "clausola antielusiva generale" e, quindi, ancora in vigore nella sua interezza»; D. Stevanato, Normativa antielusione: le novità della finanziaria 1995, ibid., 434.
Si segnala che l'art. 3, comma 161, lett. g), 1. 23 dicembre 1996 n. 662 (misure di razionalizzazione della finanza pubblica), prevede, fra i principi ed i criteri direttivi della delega al governo avente ad og getto la modifica organica e sistematica delle disposizioni delle imposte sui redditi applicabili ai processi di riorganizzazione delle attività pro duttive, la revisione dei criteri di individuazione delle operazioni di na tura elusiva indicate nell'art. 10 1. 408/90 (fra le quali verranno reinse rite le operazioni di scissione).
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