sezione VI; decisione 20 giugno 1985, n. 320; Pres. Quartulli, Est. Meale; Carlone (Avv.D'Audino) c. Università degli studi di Torino, Min. pubblica istruzione (Avv. dello StatoTallarida). Annulla T.A.R. Piemonte, sez. II, 22 marzo 1984, n. 87Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 2 (FEBBRAIO 1986), pp. 51/52-53/54Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180543 .
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PARTE TERZA
relativo mezzo istruttorio esperibile soltanto con riferimento alle materie in cui il giudice amministrativo ha giurisdizione di
merito, è infondato e va, pertanto, disatteso.
A prescindere dal rilievo — di per sé assorbente — che la
decisione del T.A.R. dell'Umbria non si fonda esclusivamente
sulle risultanze del mezzo istruttorio, ma anche sulla copiosa documentazione fotografica prodotta dal ricorrente in prime cure, che dimostra l'esistenza in punto di fatto del presupposto esclusi
vo su cui sono basati i provvedimenti impugnati, sicché l'eventua le errore sul mezzo istruttorio non appare, in concreto, rilevante, è il caso di notare che il giudice di primo grado con la decisione
interlocutoria n. 324 del 14 novembre 1980 ha disposto non una
perizia, ma una verificazione, e cioè un mezzo istruttorio esperibi le nel giudizio di legittimità ai sensi dell'art. 26 r.d. 17 agosto 1907 n. 642.
A tale esito appare necessario pervenire non solo alla luce
delle espressioni adoperate nella citata decisione interlocutoria
(« il collegio ritiene indispensabile disporre una verificazione per accertare l'effettivo stato dei luoghi... ») e dei riferimenti norma
tivi in essa indicati (nella predetta decisione si fa, infatti, riferimento all'art. 26 del regolamento di procedura), ma soprat tutto in considerazione della oggettiva natura dell'attività disposta. È evidente, infatti, che per stabilire se si sia di fronte ad una
perizia o ad una verificazione, occorre avere riguardo alla attività
istruttoria in concreto disposta dal giudice di primo grado. Tanto premesso, va ricordato che le verificazioni consistono in
meri accertamenti disposti al fine di completare la conoscenza dei
fatti, laddove la consulenza tecnica o, in genere, la « perizia » si sostanzia non tanto in un accertamento, quanto in una valutazio ne tecnica di determinate situazioni, da utilizzare ai fini della decisione della controversia. Le verificazioni tendono, quindi, esclusivamente all'accertamento di un presupposto di fatto — in
genere quello posto dall'amministrazione a fondamento del prov vedimento impugnato —, ed è per tale motivo che risultano
esperibili nel giudizio di legittimità, mirando appunto a consentire
l'esercizio del relativo sindacato sotto il profilo dell'eccesso di
potere per carenza o errore sui presupposti; le consulenze e le
perizie introducono, invece, un apprezzamento tecnico che, in
quanto tale, è anche esercizio di discrezionalità, e sono esperibili solamente nel giudizio di merito proprio perché in esso i poteri del giudice sono estesi anche al sindacato sull'opportunità e sulla
convenienza dell'atto impugnato. Tale essendo la distinzione tra le verificazioni e le perizie,
appare evidente che il T.A.R. dell'Umbria, con la cennata deci
sione istruttoria, è rimasta nell'ambito dei poteri istruttori am
messi nel giudizio di legittimità, avendo disposto un accer
tamento tendente a stabilire se la zona in cui è sito l'im
mobile del Crisopulli « risulti caratterizzata in punto di fatto
da fabbricati con tetti che hanno andamento regolare e che sono
privi di abbaini, come si legge nella delibera della giunta regiona le n. 56 del 14 novembre 1978 ».
Il primo giudice ha, quindi, inteso accertare esclusivamente la sussistenza della situazione di fatto posta dalla regione a fonda
mento dei provvedimenti impugnati, al fine di verificare la
legittimità degli stessi: il che evidenzia la natura di verificazione
del mezzo istruttorio di cui si discute. (Omissis)
CONSIGLIO DI STATO; sezione V; decisione 21 giugno 1985, n. 242; Pres. Salvatore, Est. Bozzi; Callegari (Avv. Drago
gna) c. Comune di Brunico (Avv. Gostner).
Atto amministrativo — Atto collegiale — Computo della maggio ranza — Calcolo degli astenuti.
Ai fini della validità della deliberazione dell'organo collegiale si
deve tener conto dei voti favorevoli della maggioranza assoluta
dei presenti, compresi gli astenuti. (1)
(1) La decisione affronta, sia pur con riferimento ad una fatti
specie particolarissima, il delicato problema della rilevanza degli astenuti per il calcolo del quorum funzionale, assai dibattuto in dottrina e in giurisprudenza. La decisione richiama, a sostegno della tesi sostenuta (computabilità degli astenuti) Cons. Stato, sez. IV, 21 aprile 1965, n. 348, Foro it., 1965, III, 449; T.AR. Puglia 7 dicembre
1977, n. 781, id., Rep. 1978, voce Atto amministrativo, n. 28; ma contra, T.A.R. Veneto 11 ottobre 1977, n. 786, ibid., n. 26; Cons.
Il Foro Italiano — 1986.
Diritto. — Il primo motivo è infondato.
Come questo consiglio ha già in altra occasione affermato, il
principio generale secondo il quale le deliberazioni degli organi
collegiali si intendono approvate a maggioranza assoluta dei
presenti va interpretato nel senso che, ai fini della validità della riunione e delle deliberazioni, i membri astenuti debbono essere
computati per la formazione dell'uno o dell'altro quorum, in
quanto gli astenuti in una votazione debbono considerarsi non
degli indifferenti (i quali, relativamente all'accoglimento di quanto forma oggetto della votazione, si rimetterebbero alla decisione
degli altri senza quindi inserirsi nella procedura), bensì come
membri che, di fronte ad una proposta concreta posta in votazione, non approvano la proposta stessa, in quanto, se l'approvassero, essi darebbero certamente voto positivo (sez. IV 21 aprile 1965, n. 348, Foro it., 1965, III, 449). Il collegio condivide questo
principio e pertanto, facendone applicazione al caso in esame, non può che concludere per la infondatezza della censura (secon do la quale, essendosi, sugli undici membri della commissione, dieci astenuti e uno soltanto espresso a favore, la domanda della
ricorrente avrebbe dovuto intendersi approvata, in relazione alla « maggioranza » del voto espresso, rispetto alla manifestata asten
sione) poiché, in aderenza al principio stesso, è certo che la
maggioranza dei presenti (anche se astenuti) non fu sicuramente
favorevole alla domanda della Callegari. È infondata anche la seconda parte della censura prospettata
nel primo motivo, essendo evidente che, quand'anche risultasse
che il sindaco sia stato fra gli astenuti, non per questo non
avrebbe potuto formare il provvedimento negativo da comunicare
alla interessata, dato che in sede di votazione egli esprimeva la
propria posizione in qualità di membro della commissione per il
commercio, mentre, nel formare e comunicare il provvedimento
negativo, ha agito in qualità di capo dell'amministrazione comu
nale, tenuto per legge a conformare i propri provvedimenti ai
pareri (vincolanti, come nella specie: art. 16 1. prov. di Bolzano, n. 68 del 1978) espressi dagli organi all'uopo previsti. (Omissis)
Stato, sez. VI, 10 maggio 1974, n. 180, id., Rep. 1974, voce cit., n.
35; sez. V 17 dicembre 1955, n. 1467, id., Rep. 1955, voce Provincia, n. 2. In dottrina, nel primo senso sembra Valentini, La collegialità nella teoria dell'organizzazione, Milano, 1966, 294; contra, K3A.
Sandulli, Manuale, Napoli, 1984, 225; Gargiulo, 1 collegi ammi
nistrativi, Napoli, 1962, 231; Galateria, Astensione (dir. cost, e amm.), voce dell'Enciclopedia del diritto, 1958, HI, 942 (le schede bianche, per questi autori, vanno computate). Sulle diverse soluzioni accolte in proposito dal regolamento del senato e dal
regolamento della camera dei deputati, a riprova della mancanza di un
orientamento univoco in materia, Martines, Diritto costituzionale, Milano, 1984, 325 ss.
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 20 giugno 1985, n.
320; Pres. Quartulli, Est. Meale; Carlone (Avv. D'Audino) c. Università degli studi di Torino, Min. pubblica istruzione
(Avv. dello Stato Tallarida). Annulla T.A.R. Piemonte, sez. Il, 22 marzo 1984, n. 87.
Istruzione pubblica — Professore universitario — Opzione per il
regime a tempo pieno — Tempestività — Fattispecie (D.p.r. 11
luglio 1980 n. 382, riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione, nonché sperimentazione organiz zativa e didattica, art. 11, 107).
È tempestiva l'opzione per il regime a tempo pieno, che il
professore universitario abbia dichiarato, revocando la propria precedente scelta per il regime a tempo definito, prima dell'ini zio del penultimo anno accademico nel quale egli possa presta re servizio in ruolo. (1)
(1) La questione trae origine dalla particolare disciplina del periodo finale di servizio dei professori universitari, confermata ora nelle sue linee essenziali dall'art. 19 d.p.r. 11 luglio 1980 n. 582: i professori, al compimento del sessantancinquesimo anno di età non sono collocati direttamente in pensione, ma, per cinque anni, nella peculiare posizio ne di « fuori ruolo » (secondo la normativa previgente, queste età erano, rispettivamente, di settanta e di settantacinque anni; l'art. 110 d.p.r. citato dispone la sua perdurante applicabilità sia ai professori ordinari in servizio all'I 1 marzo 1980, che a quelli nominati poi in ruolo a seguito di concorsi banditi alla stessa data, salvo diversa loro
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Diritto. — L'eccezione di cessazione della materia del contende re deve essere disattesa. La decorrenza del biennio 81/83, non
determina l'esercizio della opzione, essendo il prof. Carlone
collocato fuori ruolo, né il venire meno dell'interesse a far valere
l'illegittimità dell'atto impugnato, con riferimento allo stesso bien
nio, dati i riflessi patrimoniali che possono eventualmente deriva
re dalla relativa declaratoria.
Considera la sezione che è certamente esatto che l'art. 11 d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382 prevede, al 2° comma, che il professore universitario ordinario deve optare tra il regime di tempo pieno ed il regime di tempo definito almeno sei mesi prima dell'inizio
dell'anno accademico al quale l'opzione si riferisce, restando
vincolato alla scelta compiuta per almeno un biennio. Peraltro la
norma, al 3° comma, dispone anche in relazione all'ultimo bien
nio di servizio attivo che l'opzione può essere esercitata sino al
giorno iniziale di detto biennio. Tale infatti è l'interpretazione che deriva dal preciso testuale tenore della disposizione, di cui il
primo precetto sposta il termine generale di esercizio dell'opzione, all'incarico del biennio precedente il collocamento fuori ruolo per i professori prossimi al compimento del 65° anno di età. Ed il
collegio rileva che nessun elemento giustificherebbe un'interpreta zione che attribuisse alla locuzione « inizio dell'anno accade
mico » lo stesso valore temporale della locuzione « sei mesi prima di ogni anno accademico » di cui al comma precedente.
A sua volta il menzionato precetto rimane temporaneamente modificato da una seconda norma, a carattere chiaramente transi
torio che, dispensando il professore dall'osservanza di tale termi
ne nella prima applicazione della nuova normativa (« ... salvo
che in sede di prima applicazione del presente decreto ») non
implica il ripristino del termine generale, ma comporta lo spo
scelta: sulla interpretazione di questa disposizione v. Cons. Stato, sez.
il, 10 febbraio 1982, n. 19/82, Foro it., Rep. 1984, voce Istruzione
pubblica, n. 291). I professori universitari in tale posizione, se hanno
ridotti doveri didattici, possono partecipare alle riunioni degli organi
accademici, e percepiscono un trattamento economico ancora in termini
di stipendio, e non già in termini di pensione. 11 medesimo d.p.r. n. 382/80, con varie sue norme, introduce una
differenziazione sotto diversi aspetti tra due regimi tra i quali i
professori universitari possono optare: il regime a tempo pieno e il
regime a tempo definito; il primo, in particolare, comporta un
trattamento retributivo superiore di almeno il 40 % rispetto al secondo
(su questo profilo, come sugli altri di tale differenziazione, v. le note a
T.A.R. Campania, sez. I, 12 settembre 1985, n. 429, e a T.A.R. Emilia
Romagna 8 giugno 1985, n. 294, in questo fascicolo. III, 63 e 77). E, al
l'art. 11, 2° comma, dispone che i professori universitari debbano operare la relativa opzione ogni anno accademico, con domanda da presentarsi al
rettore almeno sei mesi prima dell'inizio di questo; la scelta è impegnati va per almeno un biennio (Cons. Stato, sez. II, 1° dicembre 1982, n.
796/82, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 294, ha precisato che tale scelta
è impegnativa per tale periodo, anche se nel frattempo il docente si è tra
sferito in una diversa università). Risponde al criterio dell'incentivazione
della scelta per il regime a tempo pieno, l'art. 8, ultimo comma, 1. 17
aprile 1984 n. 79, che ha disposto che il professore a tempo pieno che
preferisca passare al tempo definito, subisca immediatamente la correlati
va decurtazione del proprio trattamento economico, precludendo che que sta possa essere evitata mediante il tradizionale strumento della corre
sponsione di un assegno personale riassorbibile. Il richiamato art. 11 si è posto il problema del raccordo tra
l'opzione tra i due differenti regimi, e la peculiare posizione del « fuori ruolo » (giacché per i professori universitari pensionati la
questione, ovviamente, non si pone). E lo ha risolto, nel 3° comma, anzitutto con una regola generale: « L'opzione può essere esercitata
non oltre l'inizio del biennio precedente al collocamento fuori ruolo ».
Vi è una prima ratio della norma che è evidente: il legislatore ha
voluto evitare che il professore universitario fuori ruolo, per la
peculiarità della sua posizione, venga a trovarsi in un regime diverso
da quello che aveva finché era in ruolo: almeno nell'ultimo biennio.
Ma la decisione ora riportata, annullando l'appellata sentenza del
T.A.R. Piemonte, ha attribuito un ulteriore significato alla formula
legislativa che si è riportata: quello di ritardare all'inizio dell'anno
accademico, da considerarsi come limite ultimo per l'opzione, il termine
che per questa è fissato in linea generale sei mesi prima. Inoltre, il
medesimo 3° comma contiene anche una norma transitoria, ivi colloca
ta forse con cattiva tecnica legislativa, concernente l'applicazione del
termine suddetto, ugualmente rilevante nel caso deciso: il limite del
biennio prima del collocamento fuori ruolo, per l'esercizio definitivo
dell'opzione, non vale in sede di prima applicazione del d.p.r. n.
382/80, entrato in vigore, in base al suo art. 124, il giorno successivo
a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale: tale decreto è
comparso sul supplemento ordinario del 31 luglio 1980, n. 209; però,
secondo l'esplicita previsione dell'art. 107, le norme relative al tempo
pieno dei professori universitari sono diventate operanti solo a partire
dell'anno accademico 1981-82 (Corte conti, sez. contr., 26 febbraio
1981, n. 1180, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 361).
Il Foro Italiano — 1986.
stamento del termine ad un momento successivo: e ciò coerente
mente alla sua funzione di dar regola per i casi nei quali l'osservanza del biennio non si rendeva possibile.
Rispetto ai professori prossimi al collocamento fuori ruolo,
dunque, l'art. 11 d.p.r. 382/80, da un lato, contempla un termine
diverso da quello — che può ritenersi comune — dei sei mesi
precedenti l'inizio dell'anno accademico al quale l'opzione si
riferisce; dall'altro, esclude detti professori dall'osservanza del termine stesso per il biennio accademico 1981/83.
Ciò posto, deve ritenersi che il ricorrente, essendo un professo re ordinario prossimo al collocamento fuori ruolo — disposto in effetti con decorrenza 1" novembre 1982 —, non fosse vincolato all'osservanza del termine stabilito dal 2° comma dell'art. 11
d.p.r. 382/80 e che, d'altra parte, non potendo svolgere un servizio attivo di almeno un biennio accademico a partire dalla
prima applicazione della nuova normativa (anno accademico
1981-82), non fosse vincolato neppure all'osservanza del termine stabilito dal 3° comma — parte prima — del ripetuto art. 11. La condizione del prof. Carlone era da inquadrare, piuttosto, nell'ec cezione prevista da quest'ultima disposizione. Ciò non significa, beninteso, che egli fosse da considerare dispensato dall'osservanza di qualsiasi termine, bensì che il termine applicabile alla sua
opzione non potesse essere che quello logicamente identificabile nel giorno precedente l'inizio del primo anno accademico rispetto al quale l'opzione era destinata ad operare, ossia — giusta l'art. 107 d.p.r. 382/80 — dell'anno accademico 1981-82. Il ricorrente,
dunque — posto che l'anno accademico ai sensi dell'art. 19 t.u. 31 agosto 1933 n. 1592, principia il 1° novembre — era tenuto ad
esercitare l'opzione entro il 31 ottobre 1981.
L'esattezza di siffatto termine trova conforto nell'analogia con
quanto l'art. 6, 2° comma, 1. 30 ottobre 1981 n. 615 dispone a
proposito del termine — indicato, appunto, nel 31 ottobre 1981 — entro il quale esso ha previsto la possibilità di modificare, per l'anno accademico 1981-82, l'opzione tra regime di tempo pieno e
regime di tempo definito da parte dei professori che si trovavano
nelle condizioni di cui all'art. 13 d.p.r. 382/80. Sul fondamento di quanto precede, la dichiarazione del 12
giugno 1981 con la quale l'interessato, modificando altra prece dente dichiarazione, ha espresso la propria definitiva volontà di
optare per il regime di tempo pieno deve ritenersi presentata all'amministrazione universitaria in tempo utile per produrre gli effetti previsti dall'art. 11 d.p.r. 382/80.
La sentenza impugnata va pertanto riformata in accoglimento del motivo principale di ricorso fatto valere sub n. 2) dal prof. Carlone. (Omissis)
CORTE DEI CONTI; CORTE DEI CONTI; sezione II giurisdizionale; decisione 27
maggio 1985, n. 96; Pres. Caruso, Est. Sciarretta, P.M.
Schiavello; Comune di Cerveteri.
Responsabilità contabile e amministrativa — Enti locali —
Giudizi di conto — Responsabilità degli amministratori —
Chiamata in causa da parte del relatore (Cost., art. 103, 128; cod. proc. civ., art. 107; r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, t.u. delle
leggi sull'ordinamento della Corte dei conti, art. 45, 49; r.d. 13
agosto 1933 n. 1038, regolamento per la procedura nei giudizi innanzi alla Corte dei conti, art. 26).
Il magistrato della Corte dei conti al quale, in qualità di relatore, sia stato assegnato con ordinanza del presidente della sezione
giurisdizionale competente, il conto di un ente locale, quando riscontri irregolarità di gestione, anche a prescindere dalle
eventuali iniziative di competenza del procuratore generale, deve estendere il giudizio alle determinazioni dell'amministra
zione, e deve chiamare in causa gli amministratori eventual
mente responsabili. (1)
(1) Decisione di contenuto largamente esplicativo, quasi didattico, che si propone di risolvere talune questioni relative alla definizione dei
poteri del magistrato relatore sul conto giudiziale di un ente locale e alla costituzione del contraddittorio nei confronti degli amministratori: i fitti richiami alla giurisprudenza costituzionale o a quella delle sezioni riunite della Corte dei conti costituiscono un materiale espositi vo forse sovrabbondante o sproporzionato rispetto al decisum: al
magistrato relatore presso la Corte dei conti, quando riscontri irregola rità di gestione nell'esame del conto di un ente locale, spetta il potere
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