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sezione VI; decisione 21 ottobre 1985, n. 520; Pres. Quartulli, Est. Luce; Prefetto di Roma, Min....

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sezione VI; decisione 21 ottobre 1985, n. 520; Pres. Quartulli, Est. Luce; Prefetto di Roma, Min. trasporti e altri (Avv. dello Stato Sernicola) c. Franchi e altri. Annulla T.A.R. Lazio, sez. III, 14 giugno 1982, n. 621 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 12 (DICEMBRE 1985), pp. 465/466-469/470 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180607 . Accessed: 25/06/2014 10:04 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.162 on Wed, 25 Jun 2014 10:04:42 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione VI; decisione 21 ottobre 1985, n. 520; Pres. Quartulli, Est. Luce; Prefetto di Roma, Min.trasporti e altri (Avv. dello Stato Sernicola) c. Franchi e altri. Annulla T.A.R. Lazio, sez. III, 14giugno 1982, n. 621Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 12 (DICEMBRE 1985), pp. 465/466-469/470Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180607 .

Accessed: 25/06/2014 10:04

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

posto un termine, ma è la situazione di emergenza che oggetti

vamente deve poter essere fronteggiata con un provvedimento la

cui esecuzione non duri più di un breve lasso di tempo (ciò,

nella specie, si sarebbe verificato nel caso che per le tre famiglie, nel provvedimento fosse stata presa in considerazione una solu

zione abitativa concreta e reale da realizzarsi entro breve tempo).

In altre parole, non può utilizzarsi il potere di ordinanza per

risolvere problemi di fondo del nostro ordinamento o per colmare

deficienze strutturali della nostra società, perché ciò è in contra

sto con i presupposti per l'esercizio di tale potere, i quali ne

caratterizzano la stessa natura.

Il provvedimento del sindaco di Ercolano va quindi annullato

per difetto del presupposto della contingibilità, sulla base di una

censura proposta dalla appellata in primo grado con il secondo

motivo di ricorso ed epressamente riproposta in grado di appello. La sentenza di primo grado va quindi confermata nel dispositi

vo, ma la sua motivazione va sostituita dalle considerazioni che

precedono, restando assorbita ogni altra censura al provvedimento

impugnato. (Omissis)

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 21 ottobre 1985,

n. 520; Pres. Quartulli, Est. Luce; Prefetto di Roma, Min.

trasporti e altri (Avv. dello Stato Sernicola) c. Franchi e altri.

Annulla T.A.R. Lazio, sez. Ili, 14 giugno 1982, n. 621.

Sciopero, serrata e boicottaggio — Controllori di volo — Precet

tazione prefettizia — Ricorso — Giurisdizione amministrativa

(Cost., art. 40; r.d. 18 giugno 1931 n. 773, t.u. delle leggi di

pubblica sicurezza, art. 2).

Appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso

che i controllori di volo in sciopero hanno presentato contro il

provvedimento, a carattere specifico e provvisorio, col quale il

prefetto li aveva precettati per motivi di iicurezza e di ordine

pubblico. (1)

(1) La giurisprudenza dei tribunali amministrativi regionali concer

nente la questione di giurisdizione in ordine ai provvedimenti di

precettazione di scioperanti, tanto quella che l'ha affrontata esplicita

mente, come quella che l'ha puramente e semplicemente superata entrando senz'altro nel sindacato sulla loro legittimità è nettamente

orientata nel senso del giudice amministrativo: T.A.R. Lombardia, sez.

I, 1° dicembre 1984, n. 1187, in questo fascicolo, III, 482, con nota di

richiami. E la questione di giurisdizione viene risolta in questo senso sulla

base di una precisa ricostruzione dell'assetto giuridico del rapporto tra

potere dell'amministrazione e diritto degli scioperanti: questo, pur in

difetto della emanazione della legge che regoli alla luce dell'art. 40 Cost, e del consolidato orientamento della Corte costituzionale, non è illimitato: trova limiti coessenziali in altri diritti e va

lori costituzionalmente garantiti, a cominciare dalle esigenze di

sicurezza e di ordine pubblico. Correlativamente, gli atti che

l'amministrazione emani a tutela di tali diritti e di tali valori, e, più

specificamente, le ordinanze che il prefetto adotti, appunto a tutela di

sicurezza e di ordine pubblico, in forza dell'art. 2 r.d. n. 773/31, pur

dopo il suo ridimensionamento ad opera delle sentenze della Corte

costituzionale nn. 8/56 e 26/61 (richiamate nella motivazione della

decisione ora riportata), non possono dirsi emessi in carenza di potere: per questo percorso argomentativo, la citata sentenza del T.A.R. Lom

bardia appare esemplare. In questo panorama giurisprudenziale, faceva spicco l'appellata senten

za del T.A.R. Lazio, sez. Ili, 14 giugno 1982, n. 621, Foro it., 1983, III,

111, con nota di richiami, che viceversa aveva negato la giurisdizione del

giudice amministrativo; e l'aveva negata sulla base di un percorso argo mentativo analogo, ma di segno opposto: la mancanza della legge previ sta dall'art. 40 Cost, comporterebbe che il diritto di sciopero potrebbe essere esercitato liberamente, anche se «... l'affermazione di un simile

principio...» potrebbe «... portare a gravi inconvenienti nell'ambito

della collettività che, talvolta, può essere cosi privata di servizi

essenziali »; ma la riserva di legge per la disciplina dell'esercizio del

diritto di sciopero che pone l'art. 40 dovrebbe essere considerata

assoluta, con la conseguenza che mai l'autorità amministrativa potrebbe

supplire all'inerzia del legislatore «... neppure sotto il profilo dell'ur

genza e della pubblica necessità». Di qui, l'affermazione che i

provvedimenti prefettizi di precettazione di scioperanti, anche se basati

sull'art. 2 r.d. n. 773/31, e sui motivi di sicurezza e di ordine

pubblico da questa norma considerati, sarebbero in realtà emessi in

carenza di potere. La decisione che si riporta, annullando questa sentenza del T.A.R.

Lazio, e confermando l'orientamento che era già prevalso nella giuri

sprudenza dei tribunali amministrativi regionali, ricompone in modo

più unitario il quadro giurisprudenziale. La motivazione di nuovo

prende le mosse dalle sentenze con le quali la Corte costituzionale

Fatto. — Con provvedimenti del 15 febbraio 1981, il prefetto di Roma « precettava » alcuni controllori ed assistenti al traffico

aereo, in occasione dello sciopero indetto per il 17 febbraio 1981.

Gli atti del prefetto, adottati con i poteri di cui all'art. 2 t.u. n.

773 del 1931, venivano impugnati da alcuni interessati alla

precettazione e dalla relativa associazione di categoria, che ne

denunziavano diversi profili di illegittimità. Il T.A.R. Lazio, adito con i proposti ricorsi, con decisione n.

621/82 del 26 ottobre 1981 -14 giugno 1982 (Foro it., 1983, III,

111), dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, compensando tra le parti le spese processuali. (Omissis)

Diritto. — Il T.A.R. Lazio ha dichiarato il difetto di giurisdi zione del giudice amministrativo ritenendo che, in mancanza di

leggi che lo disciplinino, il diritto soggettivo di sciopero, costitu

zionalmente garantito, possa esercitarsi liberamente e senza alcuna

limitazione.

La riserva di legge per esso prevista avrebbe lasciato al

legislatore ordinario la più ampia discrezionalità nel procedere alla sua concreta conformazione; ed il non uso del potere anzidetto starebbe a significare che, al momento, sussiste una

precisa volontà di lasciare senza limiti l'esercizio del diritto, quali che siano le conseguenze che ne possano derivare.

Né, secondo il T.A.R., sarebbe consentito al giudice sostituirsi

al legislatore, al fine di eliminare o attenuare le conseguenze

negative dell'esercizio indiscriminato del diritto di sciopero, esco

gitando soluzioni limitatrici che non possono trovare il loro

supporto in precise disposizioni normative.

Men che mai, poi, un potere sostitutivo dell'intervento legislati vo potrebbe riconoscersi all'amministrazione, nemmeno in relazio

ne alle esigenze di pubblica necessità, dovendosi, tra l'altro, escludere che le ordinanze di cui all'art. 2 t.u. n. 773 del 1931

possano limitare l'esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione.

La ritenuta carenza di potere del prefetto, quindi, a disciplina re la materia implicherebbe che l'ordine di precettazione impu

gnato debba considerarsi inidoneo a provocare l'effetto di degra dazione delle originali posizioni giuridiche soggettive, con la

ulteriore implicazione che le posizioni fatte valere dagli iniziali

ricorrenti identificano diritti soggettivi lesi, la cui tutela compete alla giurisdizione del giudice ordinario.

Né tale conclusione, secondo il T.A.R., può essere confutata

con richiamo della 1. 23 maggio 1980 n. 242 che all'art. 4 fissa

alcuni principi relativi all'esercizio del diritto di sciopero da parte del personale addetto al servizio di assistenza al volo.

Tale legge, infatti, è di mera delega al governo ed avrebbe

perso vigore per il mancato esercizio della delega stessa nel

periodo previsto. D'altra parte, poi, anche ad ammetterne una immediata e

perdurante vigenza, quanto ai principi generali in essa contenuti,

ugualmente dovrebbe escludersi ogni possibilità di intervento del

prefetto, attesa la previsione dell'intervento limitativo del solo

ministro dei trasporti. In ogni caso, sempre secondo il T.A.R., l'intervento dei prefetti

a norma dell'art. 2 t.u. 18 giugno 1931 n. 773 potrebbe ri

tenersi giustificato soltanto nel caso in cui lo sciopero venga

indetto, contrariamente al caso considerato, con violazione della

procedura prevista dall'art. 4 della legge stessa.

Il T.A.R., infine, ha escluso che la questione possa comunque farsi rientrare nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego.

delinea i limiti che devono considerarsi coessenziali al diritto di

sciopero costituzionalmente garantito, pur in difetto della legge costitu zionalmente prevista, che ne regoli l'esercizio. Ma alla precedente giurisprudenza amministrativa pare apportare un notevole contributo:

una più articolata precisazione della linea di riparto tra giurisdizione del giudice ordinario e giurisdizione del giudice amministrativo, me

diante una rigorosa utilizzazione della distinzione tra limiti di esistenza

del potere e limiti di legittimità del suo esercizio. Sarebbero i primi

ad essere superati, se l'atto dell'amministrazione, invece di adottare la

puntuale misura contingibile di limitazione dell'esercizio del diritto di

sciopero che fosse richiesta dalle preminenti esigenze della collettività

nel caso concreto, pretendesse di dettarne una disciplina astratta e non

circoscritta nel tempo: le corrispondenti censure, in quanto profilanti

aspetti di carenza di potere, non potrebbero non essere riservate alla

giurisdizione del giudice ordinario. Ogni altra censura dovrebbe inten

dersi riferita alla legittimità del solo esercizio del potere; come tale, non c'è ragione che sfugga alla giurisdizione del giudice amministrati

vo. E poiché, nel caso, il provvedimento di ricettazione era stato

impugnato per motivi del genere, la decisione, annullata la de

clinatoria di giurisdizione del tribunale amministrativo regionale, ha

rinviato a questo la controversia per un esame nel merito in primo

grado.

Il Foro Italiano — 1985.

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PARTE TERZA

Con il proposto appello l'amministrazione ricorrente contesta

l'asserita, attuale, mancanza di limiti al diritto di sciopero; sottolineando che la mancata regolamentazione legislativa implica, invece, che i limiti, coessenziali al diritto stesso, vanno, frattanto, desunti dalla complessiva legislazione vigente.

Limiti, peraltro, la cui individuazione in sede di interpretazio ne, non implica sostituzione al legislatore, dal momento che la libertà di quest'ultimo non può esercirtarsi in maniera da riuscire lesiva ad altri principi costituzionali indirizzati alla tutela di beni pari ordinati rispetto a quelli affidati all'autotutela di

categoria. Limiti che si ricollegano, comunque, all'esigenza di assicurare

la vita stessa dello Stato e che ben possono scaturire da provve dimenti di precettazione emessi ai sensi dell'art. 2 r.d. 18 giugno 1931 n. 773 che, peraltro, non innovano al diritto oggettivo, bensì

dispongono in relazione a determinate e concrete situazioni di fatto.

L'amministrazione appellante sottolinea, inoltre, la contradditto

rietà dei riferimenti alla previsione di cui all'art. 4 1. 23 maggio 1980 n. 242 e deduce, altresì, l'inammissibilità e l'infondatezza nel

merito degli originari ricorsi.

L'appello è fondato e va, pertanto, accolto, in relazione alle

censure concernenti la questione di giurisdizione, che hanno

carattere preliminare ed assorbente, essendo l'impugnata sentenza

basata su di un presupposto erroneo, che ne ha condizionato

tutto lo svolgimento argomentativo. Contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., la mancanza di

leggi ordinarie che disciplinino il diritto di sciopero, di cui all'art. 40 Cost., non implica la conseguenza che lo stesso possa, attual

mente, esercitarsi illimitatamente e senza alcun condizionamento. La giurisprudenza costante della Corte costituzionale, a partire

dalla sentenza n. 123 del 1962 (id., 1963, I, 5), è nel senso che, non avendo il legislatore ordinario provveduto ad emanare le leg gi regolatrici previste dalla norma costituzionale, i limiti « coes senziali » al diritto di sciopero vanno, frattanto, desunti sulla base della legislazione vigente.

Lo sciopero, in quanto diritto soggettivo, non è, cioè, ontologi camente, illimitato, atteso che il suo esercizio, tra l'altro, non può svolgersi nel contrasto con altri diritti, altrettanto assistiti da

garanzia costituzionale, ed in ogni caso contro interessi (quale ad

esempio la sicurezza collettiva) che devono considerarsi assoluta mente preminenti, anche rispetto all'autotutela degli interessi di

categoria (Corte cost. n. 123 del 1962). Non può concepirsi, infatti, un ordinamento il quale si basi su

di un unico, assoluto, valore, ed anteponga la sua sicurezza e, al limite, la sua stessa esistenza alla tutela di un diritto che, per

quanto rilevante, deve comunque esercitarsi in maniera da con

sentire il mantenimento, almeno, dei presupposti indispensabili al

suo riconoscimento.

La mancanza di leggi ordinarie regolatrici, quindi, non implica che il diritto di sciopero possa esercitarsi incondizionatamente, bensì piuttosto che non possano, frattanto, frapporsi al suo

esercizio limiti ulteriori rispetto a quelli ad esso coessenziali, non

meno che ad ogni altro diritto soggettivo, anche se costituzional mente garantito.

Né vale il rilievo del T.A.R. secondo cui l'individuazione dei

limiti anzidetti comporterebbe un'interferenza rispetto alla disci

plina riservata dalla Costituzione al legislatore ordinario, dal

momento che « la libertà del legislatore (medesimo) in materia non

può esercitarsi in misura tale da riuscire lesiva di altri principi

costituzionali, indirizzati alla tutela di beni singoli pari ordinati

rispetto a quelli affidati all'autotutela di categoria, oppure alle

esigenze necessarie ad assicurare la vita stessa della comunità e

dello Stato » (Corte cost. 17 marzo 1969, n. 31, id., 1969, I, 735). In definitiva, quindi, lungi dall'implicare una illegittima con

formazione del diritto di sciopero, come erroneamente ritenuto

dal T.A.R., la ricerca, e l'individuazione dei limiti « coessenziali »

al diritto stesso, serve, più semplicemente, a delimitare la catego ria quale è assunta e garantita nel contesto costituzionale.

In questo quadro, ad es., in numerose occasioni, la Corte

costituzionale ha affermato, che la tutela (della salute e) dell'inco

lumità delle persone non può non limitare il concreto esercizio

del diritto di sciopero, cosi come avviene per altri interessi che

trovano, del pari, riconoscimento nel testo costituzionale e la cui

salvaguardia, insieme a quella della sicurezza verso l'esterno, costituisce la prima ed essenziale ragione dell'essere dello Stato »

(Corte cost. n. 31 del 1969). La stessa corte, pur nell'ammettere che l'esercizio del diritto di

sciopero è garantito anche se implichi l'interruzione di servizi

pubblici, ha, tuttavia, precisato che deve, però, trattarsi di servizi

il cui funzionamento non sia da considerare essenziale e cioè

indispensabile alla collettività, aggiungendo, altresì, che l'indivi duazione di tali ultimi servizi viene rimessa alla concreta deter minazione del giudice competente (Corte cost. n. 222 del 1976, id.,

1976, I, 2297).

Consegue da quanto precede che, pur nella perdurante assenza di apposita specifica normativa, limiti all'esercizio del diritto di

sciopero possano derivare, attualmente, da esigenze correlate alla sicurezza ed all'ordine pubblico; e che, quindi, la previsione di cui all'art. 40 Cost, non costituisce ostacolo all'emanazione delle ordinanze prefettizie di necessità ed urgenza in relazione al

disposto di cui all'art. 2 r.d. n. 773 del 1931, che l'ordine e la sicurezza pubblica tendono a preservare.

Quanto precede non è sufficiente, però, a far ritenere risolto il

problema della giurisdizione, dal momento che occorre, al riguar do, verificare se la ordinanza impugnata sia stata emanata nel l'ambito dei limiti posti dall'ordinamento all'esercizio dell'anzidet to potere del prefetto di cui all'art. 2 t.u. n. 773 del 1931.

Limiti tra i quali, per quanto rilevato in precedenza, non può farsi rentrare l'asserita intangibilità del diritto di sciopero, atteso

che, come riscontrato, tale diritto presenta, anche esso, limiti coessenziali in relazione ai quali è consentito l'intervento com

pressivo dell'autorità amministrativa.

L'indagine, peraltro, relativa alla individuazione dei limiti del

potere di ordinanza del prefetto va svolta confrontando in astratto la situazione enunciata dalle parti e la previsione legisla tiva quale risulta, particolarmente, dalla interpretazione che ne ha dato la Corte costituzionale.

E solo qualora dovesse ritenersi, in esito al confronto anzidetto, che siano stati violati i limiti posti dall'ordinamento all'attribu

zione del potere in esame, potrebbe conseguire la conferma della

declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario atteso che, in

tale ipotesi, l'atto emanato, in quanto adottato nell'assoluta caren

za di potere amministrativo, dovrebbe considerarsi non idoneo a

produrre l'effetto di affievolimento dell'originaria posizione di

diritto soggettivo. Qualora, viceversa, si dovesse concludere che l'autorità ammi

nistrativa ha operato nell'ambito del potere ad essa attribuito

dall'ordinamento e nei limiti stabiliti per l'esistenza del potere stesso, allora la competenza apparterrebbe al giudice amministra

tivo, al quale spetterebbe la successiva, ulteriore, verifica circa la

modalità dell'esercizio in concreto del potere stesso in relazione

alla regolamentazione legislativa che lo concerne.

Si impone, pertanto, di delimitare l'esatta portata della previ sione legislativa di cui all'art. 2 t.u. n. 773/31 menzionato, quale risulta a seguito della interpretazione che ne ha dato la Corte

costituzionale. Il problema non è nuovo.

Ricorda, in proposito, la sezione che, con una prima sentenza

del 2 luglio 1956, n. 8 (id., 1956, I, 1051) la corte anzidetta aveva ad affermare che i provvedimenti in questione hanno il carattere

di atti amministrativi, adottati dal prefetto nell'esercizio dei

compiti del suo ufficio, strettamente limitati nel tempo e nell'am

bito territoriale dell'ufficio stesso e vincolati ai presupposti del

l'ordinamento.

Tali provvedimenti, inoltre, possono toccare tutti i campi nei

quali si esercitano i diritti dei cittadini, anche se garantiti dalla

Costituzione; ed il giudicare se l'ordinanza prefettizia leda tali

diritti è indagine di volta in volta da farsi dal giudice ordinario o

amministrativo che sia eventualmente competente. La corte, infine, auspicava che, nell'opera di revisione in corso

presso gli organi legislativi, il testo dell'art. 2 anzidetto trovasse una formulazione che lo ponesse, nella misura massima possibile, al riparo da ogni interpretazione contraria allo spirito della

Costituzione.

Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza del 27

maggio 1961, n. 26 (id., 1961, I, 888), ritornando sull'argomento, chiariva ed ulteriormente precisava che le ordinanze del prefetto non possono violare i principi dell'ordinamento ed escludeva, rettificando la precedente affermazione, che le medesime potessero menomare l'esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione.

Secondo la corte, ancora, l'art. 2 t.u. n. 773/31 conferisce al

prefetto poteri che non possono in nessun modo considerarsi di

carattere legislativo, quanto alla loro forma e quanto ai loro effetti.

Quanto al loro contenuto, i relativi provvedimenti, finché si

mantengono nei limiti posti dall'ordinamento, non possono mai essere tali da invadere il campo riservato all'attività degli organi legislativi, né a quella di altri organi costituzionali dello Stato.

Secondo la corte, poi, i provvedimenti in questione non posso no mai contrastare con principi fondamentali dell'ordinamento,

dovunque tali principi siano espressi e comunque essi risultino; e

precisamente non possano essere in contrasto con quei precetti

Il Foro Italiano — 1985.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

della Costituzione che, rappresentando gli elementi cardine del

l'ordinamento, non consentono alcuna possibilità di deroga nem

meno ad opera della legge ordinaria.

La corte precisava, infine, che nei casi in cui la Costituzione

stabilisce che la legge provveda direttamente a disciplinare una

determinata materia, non può concepirsi che nella materia stessa

l'art. 2 permetta la emanazione di atti che dispongano in diffor

mità della legge prevista dalla Costituzione.

Laddove, invece, la riserva di legge sia relativa nulla vieta che, nella materia, una disposizione di legge ordinaria conferisca al

prefetto il potere di emettere ordinanze di necessità ed urgenza, ma occorre che le stesse risultino adeguate ai limiti posti all'eser

cizio del potere conferito.

Delimitato in questi sensi — da cui il collegio non ha motivo

di discostarsi — il potere di intervento del prefetto, di cui all'art. 2

t.u. n. 773 del 1931, il collegio ritiene che non vi è stata, nel

caso di specie, alcuna esorbitanza dai limiti medesimi, per cui è

da escludere che possa ipotizzarsi la dedotta assoluta carenza del

potere amministrativo. In primo luogo, va sottolineato che non è stata adottata alcuna

disciplina astratta del diritto di sciopero, e non vi è stata, quindi, alcuna interferenza nel potere legislativo dal momento che ci si è

limitati in concreto ad ordinare ad alcuni dipendenti di assicura

re la prosecuzione del servizio, la cui perdurante interruzione

implicava gravi ripercussioni per l'ordine e la sicurezza pubblica.

Circostanza, quest'ultima, la quale implicava, altresì, che l'in

tervento doveva ritenersi consentito (anche tenuto conto che si

interferiva con il diritto di sciopero) in quanto la limitazione non

incideva sul contenuto del diritto stesso quale tutelato dalla

Costituzione, bensì riguardava profili afferenti la identificazione

del diritto, in relazione ai suoi limiti « coessenziali », e con

riferimento ad un interesse (sicurezza ed ordine pubblico) rispetto al quale l'interesse all'autodisciplina di categoria doveva conside

rarsi cedevole.

La precettuazione, infine, aveva il carattere della provvisorietà, essendo strettamente correlata alla situazione di emergenza che

l'aveva provocata; ed il provvedimento adottato osservava i limiti

spaziali di operatività correlati all'autorità che l'avevano emanato.

Nessun particolare principio dell'ordinamento è stato violato;

ché, anzi, la misura straordinaria veniva adottata, sia pure sa

crificando il diritto di sciopero per alcuni dipendenti, proprio allo

scopo di assicurare la salvaguardia dei valori fondamentali (ordi ne e sicurezza generale ed individuale) dell'ordinamento medesi

mo.

Per quanto qui rileva, pertanto, si deve ritenere che il provve dimento del prefetto, adottato a norma dell'art. 2 t.u. n. 773 del

1931, era adeguato alla situazione eccezionale che si intendeva

fronteggiare e rispetto ad esso non era configurabile alcuna

mancanza di presupposti che potessero implicare assoluta carenza

di potere amministrativo.

Sussiste, quindi, la giurisdizione del giudice amministrativo e

gli atti vanno rimessi al T.A.R., cui competerà verificare se il

potere stesso è stato, in concreto, esercitato legittimamente, in

relazione alle censure svolte dalle parti, ed anche alla asserita

incompetenza (relativa) del prefetto. (Omissis)

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; sezione II; ordinanza 24 settembre 1985, n. 670; Pres.

Chieppa, Rei. Zeviani Pallotta; Senia (Avv. Speranza) c.

Min. finanze.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; sezione II; ordinanza 24 settembre 1985, n. 670; Pres.

Giustizia amministrativa — Impiegato pubblico — Pretese patrimo niali — Ordinanza d'urgenza — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 700; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali

amministrativi regionali, art. 21).

Il giudice amministrativo, adito in sede di giurisdizione esclusiva

con ricorso del pubblico dipendente inteso ad ottenere il

pagamento di somme per arretrati di stipendio, indennità di

buonuscita e ratei di pensione, può ordinare in via d'urgenza

all'amministrazione, che non ha contestato con specifiche argo mentazioni l'esistenza di tali crediti, il pagamento di una parte di quelle somme, destinate al sostentamento del ricorrente e

della sua famiglia. (1)

(1) Una delle prime (se non la prima in assoluto) ordinanze cautelari che il giudice amministrativo abbia emesso in giudizi concer nenti pretese patrimoniali del pubblico dipendente, in diretta e esplici ta applicazione di Corte cost. 28 giugno 1985, n. 190, Foro it., 1985,

Fatto e diritto. — Il ricorso, benché formalmente diretto

all'annullamento del silenzio-rifiuto, formatosi sulla domanda inte

sa ad ottenere il pagamento di lire 40.000.000 complessive per arretrati di stipendio, indennità di buonuscita e ratei di pensione,

riguarda in realtà l'accertamento dei diritti soggettivi del ricorren

te, aventi ad oggetto tali crediti.

Ciò posto, va rilevato che, con decisione n. 190 del 25-28

giugno 1985 (Foro it., 1985, I, 1881) la Corte costituzionale ha

dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 21, ult. comma, 1. 6

dicembre 1971 n. 1034, nella parte in cui, limitando l'intervento di urgenza del giudice amministrativo alla sospensione dell'esecu

zione dell'atto impugnato, non consente al giudice stesso di

adottare, nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico

impiego, sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva, i provvedi menti di urgenza che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare gli effetti della futura decisione sul merito.

Conformemente all'insegnamento della corte, è da ritenere che il potere-dovere del giudice di emanare siffatti provvedimenti cautelari « innominati » derivi da un principio generale dell'intero

ordinamento processuale avente valore costituzionale (art. 8, 24 e

113 Cost.) e del quale è espressione l'art. 700 c.p.c., secondo cui

ciascuno ha diritto ad una effettiva tutela giurisdizionale delle

situazioni soggettive azionate, il che necessariamente presuppone che debba essere assicurata anche nel corso del giudizio, con

mezzi idonei, la concreta piena operatività della decisione sul

merito. t-ii

Nella specie, pertanto, avendo la decisione sul merito ad

oggetto, fra l'altro, l'accertamento dei diritti del ricorrente ad

ottenere il pagamento di arretrati di stipendio e di indennità di

buonuscita e conseguentemente — in ipotesi — la eventuale condanna delle amministrazioni competenti al pagamento delle

relative somme, rientrando per tali aspetti la controversia nella

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ben può il

collegio ordinare in via di urgenza il pagamento di tali somme o

di parte di esse, ove — beninteso — sussistano gli estremi del

pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti azionati.

Tale pregiudizio sussiste indubbiamente, attesa la natura retri

butiva dei crediti vantati, relativi a somme di denaro destinate al

sostentamento del ricorrente e alla di lui famiglia, tenuto anche

conto del fatto che l'esistenza dei crediti in questione non è stata

contestata con specifiche argomentazioni dalle amministrazioni

resistenti.

Deve pertanto, in accoglimento dell'istanza cautelare, ai sensi

del combinato disposto dell'art. 21 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 e

dell'art. 700 c.p.c., ordinarsi al ministero delle finanze ed al

I, 1881, con nota di A. 'Proto Pisani e 2491, con nota di A. Romano. Sul contenuto, significato e portata di tale sentenza, non resta che

rinviare alle note richiamate. Per quel che riguarda, specificamente, l'ordinanza che ora si riporta, si deve osservare: essa è motivata unicamente in relazione all'art. 700 c.p.c. (oltre che, ben s'intende, all'art. 21 1. n. 1034/71); è scomparso il richiamo all'art. 423, 2°

comma, c.p.c. (nel testo novellato dalla 1. 11 agosto 1973 n. 533), al

quale pure la corte si era riferita, e sia pure mediandolo, per la concreta sua inapplicabilità al contenzioso del pubblico impiego, attra verso l'art. 700, perciò qualificato come norma di chiusura; in tal

modo, l'ordinanza pare orientata anche per quel che riguarda i giudizi aventi per oggetto le pretese patrimoniali del pubblico dipendente, verso una accentuazione della tipicità dei caratteri della tutela cautela re amministrativa; in questo senso, può risultare significativa anche la

quantificazione della provvisionale concessa: operata più su base equita tiva, sembra, che in riferimento ai «... limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova », come recita per il giudice civile del lavoro l'art. 423 suddetto; ancora, l'ordinanza affronta la questione della sussistenza nel caso concreto dei presupposti tipici del provvedi mento cautelare amministrativo: sotto questo profilo, si basa, oltre che su una sommaria delibazione del fumus boni iuris (peraltro riconosciu to sussistente perché l'amministrazione resistente non aveva sviluppato argomentazioni a sostegno delle proprie contestazioni), sull'affermazione dell'esistenza del danno grave e irreparabile che altrimenti il ricorrente avrebbe subito: dedotto puramente e semplicemente dalla destinazione al sostentamento del ricorrente e della sua famiglia delle somme di denaro in discussione (su tutti questi punti v. la richiamata nota di

Romano, spec. § 6); inoltre, l'ordinanza si è pronunciata su un ricorso che riguardava vari crediti, sì tutti del pubblico dipendente, ma che solo alcuni dei quali presentavano natura retributiva (il che colora di una luce particolare l'affermazione della sussistenza nel caso del danno grave e irreparabile); quindi, sembra ricondurre sotto una unitaria tutela cautelare amministrativa dei crediti che per altro verso hanno un differenziato trattamento nel giudizio amministrativo, in

particolare per quel che concerne la loro rivalutabilità automatica in

questa sede (per l'esclusione della rivalutabilità, specificamente, dell'in dennità di buonuscita, ad. plen. 28 gennaio 1985, n. 1, id., 1985, III, 142, con nota di richiami).

Il Foro Italiano — 1985.

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