sezione VI; decisione 21 ottobre 1985, n. 520; Pres. Quartulli, Est. Luce; Prefetto di Roma, Min.trasporti e altri (Avv. dello Stato Sernicola) c. Franchi e altri. Annulla T.A.R. Lazio, sez. III, 14giugno 1982, n. 621Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 12 (DICEMBRE 1985), pp. 465/466-469/470Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180607 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
posto un termine, ma è la situazione di emergenza che oggetti
vamente deve poter essere fronteggiata con un provvedimento la
cui esecuzione non duri più di un breve lasso di tempo (ciò,
nella specie, si sarebbe verificato nel caso che per le tre famiglie, nel provvedimento fosse stata presa in considerazione una solu
zione abitativa concreta e reale da realizzarsi entro breve tempo).
In altre parole, non può utilizzarsi il potere di ordinanza per
risolvere problemi di fondo del nostro ordinamento o per colmare
deficienze strutturali della nostra società, perché ciò è in contra
sto con i presupposti per l'esercizio di tale potere, i quali ne
caratterizzano la stessa natura.
Il provvedimento del sindaco di Ercolano va quindi annullato
per difetto del presupposto della contingibilità, sulla base di una
censura proposta dalla appellata in primo grado con il secondo
motivo di ricorso ed epressamente riproposta in grado di appello. La sentenza di primo grado va quindi confermata nel dispositi
vo, ma la sua motivazione va sostituita dalle considerazioni che
precedono, restando assorbita ogni altra censura al provvedimento
impugnato. (Omissis)
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 21 ottobre 1985,
n. 520; Pres. Quartulli, Est. Luce; Prefetto di Roma, Min.
trasporti e altri (Avv. dello Stato Sernicola) c. Franchi e altri.
Annulla T.A.R. Lazio, sez. Ili, 14 giugno 1982, n. 621.
Sciopero, serrata e boicottaggio — Controllori di volo — Precet
tazione prefettizia — Ricorso — Giurisdizione amministrativa
(Cost., art. 40; r.d. 18 giugno 1931 n. 773, t.u. delle leggi di
pubblica sicurezza, art. 2).
Appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso
che i controllori di volo in sciopero hanno presentato contro il
provvedimento, a carattere specifico e provvisorio, col quale il
prefetto li aveva precettati per motivi di iicurezza e di ordine
pubblico. (1)
(1) La giurisprudenza dei tribunali amministrativi regionali concer
nente la questione di giurisdizione in ordine ai provvedimenti di
precettazione di scioperanti, tanto quella che l'ha affrontata esplicita
mente, come quella che l'ha puramente e semplicemente superata entrando senz'altro nel sindacato sulla loro legittimità è nettamente
orientata nel senso del giudice amministrativo: T.A.R. Lombardia, sez.
I, 1° dicembre 1984, n. 1187, in questo fascicolo, III, 482, con nota di
richiami. E la questione di giurisdizione viene risolta in questo senso sulla
base di una precisa ricostruzione dell'assetto giuridico del rapporto tra
potere dell'amministrazione e diritto degli scioperanti: questo, pur in
difetto della emanazione della legge che regoli alla luce dell'art. 40 Cost, e del consolidato orientamento della Corte costituzionale, non è illimitato: trova limiti coessenziali in altri diritti e va
lori costituzionalmente garantiti, a cominciare dalle esigenze di
sicurezza e di ordine pubblico. Correlativamente, gli atti che
l'amministrazione emani a tutela di tali diritti e di tali valori, e, più
specificamente, le ordinanze che il prefetto adotti, appunto a tutela di
sicurezza e di ordine pubblico, in forza dell'art. 2 r.d. n. 773/31, pur
dopo il suo ridimensionamento ad opera delle sentenze della Corte
costituzionale nn. 8/56 e 26/61 (richiamate nella motivazione della
decisione ora riportata), non possono dirsi emessi in carenza di potere: per questo percorso argomentativo, la citata sentenza del T.A.R. Lom
bardia appare esemplare. In questo panorama giurisprudenziale, faceva spicco l'appellata senten
za del T.A.R. Lazio, sez. Ili, 14 giugno 1982, n. 621, Foro it., 1983, III,
111, con nota di richiami, che viceversa aveva negato la giurisdizione del
giudice amministrativo; e l'aveva negata sulla base di un percorso argo mentativo analogo, ma di segno opposto: la mancanza della legge previ sta dall'art. 40 Cost, comporterebbe che il diritto di sciopero potrebbe essere esercitato liberamente, anche se «... l'affermazione di un simile
principio...» potrebbe «... portare a gravi inconvenienti nell'ambito
della collettività che, talvolta, può essere cosi privata di servizi
essenziali »; ma la riserva di legge per la disciplina dell'esercizio del
diritto di sciopero che pone l'art. 40 dovrebbe essere considerata
assoluta, con la conseguenza che mai l'autorità amministrativa potrebbe
supplire all'inerzia del legislatore «... neppure sotto il profilo dell'ur
genza e della pubblica necessità». Di qui, l'affermazione che i
provvedimenti prefettizi di precettazione di scioperanti, anche se basati
sull'art. 2 r.d. n. 773/31, e sui motivi di sicurezza e di ordine
pubblico da questa norma considerati, sarebbero in realtà emessi in
carenza di potere. La decisione che si riporta, annullando questa sentenza del T.A.R.
Lazio, e confermando l'orientamento che era già prevalso nella giuri
sprudenza dei tribunali amministrativi regionali, ricompone in modo
più unitario il quadro giurisprudenziale. La motivazione di nuovo
prende le mosse dalle sentenze con le quali la Corte costituzionale
Fatto. — Con provvedimenti del 15 febbraio 1981, il prefetto di Roma « precettava » alcuni controllori ed assistenti al traffico
aereo, in occasione dello sciopero indetto per il 17 febbraio 1981.
Gli atti del prefetto, adottati con i poteri di cui all'art. 2 t.u. n.
773 del 1931, venivano impugnati da alcuni interessati alla
precettazione e dalla relativa associazione di categoria, che ne
denunziavano diversi profili di illegittimità. Il T.A.R. Lazio, adito con i proposti ricorsi, con decisione n.
621/82 del 26 ottobre 1981 -14 giugno 1982 (Foro it., 1983, III,
111), dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, compensando tra le parti le spese processuali. (Omissis)
Diritto. — Il T.A.R. Lazio ha dichiarato il difetto di giurisdi zione del giudice amministrativo ritenendo che, in mancanza di
leggi che lo disciplinino, il diritto soggettivo di sciopero, costitu
zionalmente garantito, possa esercitarsi liberamente e senza alcuna
limitazione.
La riserva di legge per esso prevista avrebbe lasciato al
legislatore ordinario la più ampia discrezionalità nel procedere alla sua concreta conformazione; ed il non uso del potere anzidetto starebbe a significare che, al momento, sussiste una
precisa volontà di lasciare senza limiti l'esercizio del diritto, quali che siano le conseguenze che ne possano derivare.
Né, secondo il T.A.R., sarebbe consentito al giudice sostituirsi
al legislatore, al fine di eliminare o attenuare le conseguenze
negative dell'esercizio indiscriminato del diritto di sciopero, esco
gitando soluzioni limitatrici che non possono trovare il loro
supporto in precise disposizioni normative.
Men che mai, poi, un potere sostitutivo dell'intervento legislati vo potrebbe riconoscersi all'amministrazione, nemmeno in relazio
ne alle esigenze di pubblica necessità, dovendosi, tra l'altro, escludere che le ordinanze di cui all'art. 2 t.u. n. 773 del 1931
possano limitare l'esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione.
La ritenuta carenza di potere del prefetto, quindi, a disciplina re la materia implicherebbe che l'ordine di precettazione impu
gnato debba considerarsi inidoneo a provocare l'effetto di degra dazione delle originali posizioni giuridiche soggettive, con la
ulteriore implicazione che le posizioni fatte valere dagli iniziali
ricorrenti identificano diritti soggettivi lesi, la cui tutela compete alla giurisdizione del giudice ordinario.
Né tale conclusione, secondo il T.A.R., può essere confutata
con richiamo della 1. 23 maggio 1980 n. 242 che all'art. 4 fissa
alcuni principi relativi all'esercizio del diritto di sciopero da parte del personale addetto al servizio di assistenza al volo.
Tale legge, infatti, è di mera delega al governo ed avrebbe
perso vigore per il mancato esercizio della delega stessa nel
periodo previsto. D'altra parte, poi, anche ad ammetterne una immediata e
perdurante vigenza, quanto ai principi generali in essa contenuti,
ugualmente dovrebbe escludersi ogni possibilità di intervento del
prefetto, attesa la previsione dell'intervento limitativo del solo
ministro dei trasporti. In ogni caso, sempre secondo il T.A.R., l'intervento dei prefetti
a norma dell'art. 2 t.u. 18 giugno 1931 n. 773 potrebbe ri
tenersi giustificato soltanto nel caso in cui lo sciopero venga
indetto, contrariamente al caso considerato, con violazione della
procedura prevista dall'art. 4 della legge stessa.
Il T.A.R., infine, ha escluso che la questione possa comunque farsi rientrare nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego.
delinea i limiti che devono considerarsi coessenziali al diritto di
sciopero costituzionalmente garantito, pur in difetto della legge costitu zionalmente prevista, che ne regoli l'esercizio. Ma alla precedente giurisprudenza amministrativa pare apportare un notevole contributo:
una più articolata precisazione della linea di riparto tra giurisdizione del giudice ordinario e giurisdizione del giudice amministrativo, me
diante una rigorosa utilizzazione della distinzione tra limiti di esistenza
del potere e limiti di legittimità del suo esercizio. Sarebbero i primi
ad essere superati, se l'atto dell'amministrazione, invece di adottare la
puntuale misura contingibile di limitazione dell'esercizio del diritto di
sciopero che fosse richiesta dalle preminenti esigenze della collettività
nel caso concreto, pretendesse di dettarne una disciplina astratta e non
circoscritta nel tempo: le corrispondenti censure, in quanto profilanti
aspetti di carenza di potere, non potrebbero non essere riservate alla
giurisdizione del giudice ordinario. Ogni altra censura dovrebbe inten
dersi riferita alla legittimità del solo esercizio del potere; come tale, non c'è ragione che sfugga alla giurisdizione del giudice amministrati
vo. E poiché, nel caso, il provvedimento di ricettazione era stato
impugnato per motivi del genere, la decisione, annullata la de
clinatoria di giurisdizione del tribunale amministrativo regionale, ha
rinviato a questo la controversia per un esame nel merito in primo
grado.
Il Foro Italiano — 1985.
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PARTE TERZA
Con il proposto appello l'amministrazione ricorrente contesta
l'asserita, attuale, mancanza di limiti al diritto di sciopero; sottolineando che la mancata regolamentazione legislativa implica, invece, che i limiti, coessenziali al diritto stesso, vanno, frattanto, desunti dalla complessiva legislazione vigente.
Limiti, peraltro, la cui individuazione in sede di interpretazio ne, non implica sostituzione al legislatore, dal momento che la libertà di quest'ultimo non può esercirtarsi in maniera da riuscire lesiva ad altri principi costituzionali indirizzati alla tutela di beni pari ordinati rispetto a quelli affidati all'autotutela di
categoria. Limiti che si ricollegano, comunque, all'esigenza di assicurare
la vita stessa dello Stato e che ben possono scaturire da provve dimenti di precettazione emessi ai sensi dell'art. 2 r.d. 18 giugno 1931 n. 773 che, peraltro, non innovano al diritto oggettivo, bensì
dispongono in relazione a determinate e concrete situazioni di fatto.
L'amministrazione appellante sottolinea, inoltre, la contradditto
rietà dei riferimenti alla previsione di cui all'art. 4 1. 23 maggio 1980 n. 242 e deduce, altresì, l'inammissibilità e l'infondatezza nel
merito degli originari ricorsi.
L'appello è fondato e va, pertanto, accolto, in relazione alle
censure concernenti la questione di giurisdizione, che hanno
carattere preliminare ed assorbente, essendo l'impugnata sentenza
basata su di un presupposto erroneo, che ne ha condizionato
tutto lo svolgimento argomentativo. Contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., la mancanza di
leggi ordinarie che disciplinino il diritto di sciopero, di cui all'art. 40 Cost., non implica la conseguenza che lo stesso possa, attual
mente, esercitarsi illimitatamente e senza alcun condizionamento. La giurisprudenza costante della Corte costituzionale, a partire
dalla sentenza n. 123 del 1962 (id., 1963, I, 5), è nel senso che, non avendo il legislatore ordinario provveduto ad emanare le leg gi regolatrici previste dalla norma costituzionale, i limiti « coes senziali » al diritto di sciopero vanno, frattanto, desunti sulla base della legislazione vigente.
Lo sciopero, in quanto diritto soggettivo, non è, cioè, ontologi camente, illimitato, atteso che il suo esercizio, tra l'altro, non può svolgersi nel contrasto con altri diritti, altrettanto assistiti da
garanzia costituzionale, ed in ogni caso contro interessi (quale ad
esempio la sicurezza collettiva) che devono considerarsi assoluta mente preminenti, anche rispetto all'autotutela degli interessi di
categoria (Corte cost. n. 123 del 1962). Non può concepirsi, infatti, un ordinamento il quale si basi su
di un unico, assoluto, valore, ed anteponga la sua sicurezza e, al limite, la sua stessa esistenza alla tutela di un diritto che, per
quanto rilevante, deve comunque esercitarsi in maniera da con
sentire il mantenimento, almeno, dei presupposti indispensabili al
suo riconoscimento.
La mancanza di leggi ordinarie regolatrici, quindi, non implica che il diritto di sciopero possa esercitarsi incondizionatamente, bensì piuttosto che non possano, frattanto, frapporsi al suo
esercizio limiti ulteriori rispetto a quelli ad esso coessenziali, non
meno che ad ogni altro diritto soggettivo, anche se costituzional mente garantito.
Né vale il rilievo del T.A.R. secondo cui l'individuazione dei
limiti anzidetti comporterebbe un'interferenza rispetto alla disci
plina riservata dalla Costituzione al legislatore ordinario, dal
momento che « la libertà del legislatore (medesimo) in materia non
può esercitarsi in misura tale da riuscire lesiva di altri principi
costituzionali, indirizzati alla tutela di beni singoli pari ordinati
rispetto a quelli affidati all'autotutela di categoria, oppure alle
esigenze necessarie ad assicurare la vita stessa della comunità e
dello Stato » (Corte cost. 17 marzo 1969, n. 31, id., 1969, I, 735). In definitiva, quindi, lungi dall'implicare una illegittima con
formazione del diritto di sciopero, come erroneamente ritenuto
dal T.A.R., la ricerca, e l'individuazione dei limiti « coessenziali »
al diritto stesso, serve, più semplicemente, a delimitare la catego ria quale è assunta e garantita nel contesto costituzionale.
In questo quadro, ad es., in numerose occasioni, la Corte
costituzionale ha affermato, che la tutela (della salute e) dell'inco
lumità delle persone non può non limitare il concreto esercizio
del diritto di sciopero, cosi come avviene per altri interessi che
trovano, del pari, riconoscimento nel testo costituzionale e la cui
salvaguardia, insieme a quella della sicurezza verso l'esterno, costituisce la prima ed essenziale ragione dell'essere dello Stato »
(Corte cost. n. 31 del 1969). La stessa corte, pur nell'ammettere che l'esercizio del diritto di
sciopero è garantito anche se implichi l'interruzione di servizi
pubblici, ha, tuttavia, precisato che deve, però, trattarsi di servizi
il cui funzionamento non sia da considerare essenziale e cioè
indispensabile alla collettività, aggiungendo, altresì, che l'indivi duazione di tali ultimi servizi viene rimessa alla concreta deter minazione del giudice competente (Corte cost. n. 222 del 1976, id.,
1976, I, 2297).
Consegue da quanto precede che, pur nella perdurante assenza di apposita specifica normativa, limiti all'esercizio del diritto di
sciopero possano derivare, attualmente, da esigenze correlate alla sicurezza ed all'ordine pubblico; e che, quindi, la previsione di cui all'art. 40 Cost, non costituisce ostacolo all'emanazione delle ordinanze prefettizie di necessità ed urgenza in relazione al
disposto di cui all'art. 2 r.d. n. 773 del 1931, che l'ordine e la sicurezza pubblica tendono a preservare.
Quanto precede non è sufficiente, però, a far ritenere risolto il
problema della giurisdizione, dal momento che occorre, al riguar do, verificare se la ordinanza impugnata sia stata emanata nel l'ambito dei limiti posti dall'ordinamento all'esercizio dell'anzidet to potere del prefetto di cui all'art. 2 t.u. n. 773 del 1931.
Limiti tra i quali, per quanto rilevato in precedenza, non può farsi rentrare l'asserita intangibilità del diritto di sciopero, atteso
che, come riscontrato, tale diritto presenta, anche esso, limiti coessenziali in relazione ai quali è consentito l'intervento com
pressivo dell'autorità amministrativa.
L'indagine, peraltro, relativa alla individuazione dei limiti del
potere di ordinanza del prefetto va svolta confrontando in astratto la situazione enunciata dalle parti e la previsione legisla tiva quale risulta, particolarmente, dalla interpretazione che ne ha dato la Corte costituzionale.
E solo qualora dovesse ritenersi, in esito al confronto anzidetto, che siano stati violati i limiti posti dall'ordinamento all'attribu
zione del potere in esame, potrebbe conseguire la conferma della
declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario atteso che, in
tale ipotesi, l'atto emanato, in quanto adottato nell'assoluta caren
za di potere amministrativo, dovrebbe considerarsi non idoneo a
produrre l'effetto di affievolimento dell'originaria posizione di
diritto soggettivo. Qualora, viceversa, si dovesse concludere che l'autorità ammi
nistrativa ha operato nell'ambito del potere ad essa attribuito
dall'ordinamento e nei limiti stabiliti per l'esistenza del potere stesso, allora la competenza apparterrebbe al giudice amministra
tivo, al quale spetterebbe la successiva, ulteriore, verifica circa la
modalità dell'esercizio in concreto del potere stesso in relazione
alla regolamentazione legislativa che lo concerne.
Si impone, pertanto, di delimitare l'esatta portata della previ sione legislativa di cui all'art. 2 t.u. n. 773/31 menzionato, quale risulta a seguito della interpretazione che ne ha dato la Corte
costituzionale. Il problema non è nuovo.
Ricorda, in proposito, la sezione che, con una prima sentenza
del 2 luglio 1956, n. 8 (id., 1956, I, 1051) la corte anzidetta aveva ad affermare che i provvedimenti in questione hanno il carattere
di atti amministrativi, adottati dal prefetto nell'esercizio dei
compiti del suo ufficio, strettamente limitati nel tempo e nell'am
bito territoriale dell'ufficio stesso e vincolati ai presupposti del
l'ordinamento.
Tali provvedimenti, inoltre, possono toccare tutti i campi nei
quali si esercitano i diritti dei cittadini, anche se garantiti dalla
Costituzione; ed il giudicare se l'ordinanza prefettizia leda tali
diritti è indagine di volta in volta da farsi dal giudice ordinario o
amministrativo che sia eventualmente competente. La corte, infine, auspicava che, nell'opera di revisione in corso
presso gli organi legislativi, il testo dell'art. 2 anzidetto trovasse una formulazione che lo ponesse, nella misura massima possibile, al riparo da ogni interpretazione contraria allo spirito della
Costituzione.
Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza del 27
maggio 1961, n. 26 (id., 1961, I, 888), ritornando sull'argomento, chiariva ed ulteriormente precisava che le ordinanze del prefetto non possono violare i principi dell'ordinamento ed escludeva, rettificando la precedente affermazione, che le medesime potessero menomare l'esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione.
Secondo la corte, ancora, l'art. 2 t.u. n. 773/31 conferisce al
prefetto poteri che non possono in nessun modo considerarsi di
carattere legislativo, quanto alla loro forma e quanto ai loro effetti.
Quanto al loro contenuto, i relativi provvedimenti, finché si
mantengono nei limiti posti dall'ordinamento, non possono mai essere tali da invadere il campo riservato all'attività degli organi legislativi, né a quella di altri organi costituzionali dello Stato.
Secondo la corte, poi, i provvedimenti in questione non posso no mai contrastare con principi fondamentali dell'ordinamento,
dovunque tali principi siano espressi e comunque essi risultino; e
precisamente non possano essere in contrasto con quei precetti
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
della Costituzione che, rappresentando gli elementi cardine del
l'ordinamento, non consentono alcuna possibilità di deroga nem
meno ad opera della legge ordinaria.
La corte precisava, infine, che nei casi in cui la Costituzione
stabilisce che la legge provveda direttamente a disciplinare una
determinata materia, non può concepirsi che nella materia stessa
l'art. 2 permetta la emanazione di atti che dispongano in diffor
mità della legge prevista dalla Costituzione.
Laddove, invece, la riserva di legge sia relativa nulla vieta che, nella materia, una disposizione di legge ordinaria conferisca al
prefetto il potere di emettere ordinanze di necessità ed urgenza, ma occorre che le stesse risultino adeguate ai limiti posti all'eser
cizio del potere conferito.
Delimitato in questi sensi — da cui il collegio non ha motivo
di discostarsi — il potere di intervento del prefetto, di cui all'art. 2
t.u. n. 773 del 1931, il collegio ritiene che non vi è stata, nel
caso di specie, alcuna esorbitanza dai limiti medesimi, per cui è
da escludere che possa ipotizzarsi la dedotta assoluta carenza del
potere amministrativo. In primo luogo, va sottolineato che non è stata adottata alcuna
disciplina astratta del diritto di sciopero, e non vi è stata, quindi, alcuna interferenza nel potere legislativo dal momento che ci si è
limitati in concreto ad ordinare ad alcuni dipendenti di assicura
re la prosecuzione del servizio, la cui perdurante interruzione
implicava gravi ripercussioni per l'ordine e la sicurezza pubblica.
Circostanza, quest'ultima, la quale implicava, altresì, che l'in
tervento doveva ritenersi consentito (anche tenuto conto che si
interferiva con il diritto di sciopero) in quanto la limitazione non
incideva sul contenuto del diritto stesso quale tutelato dalla
Costituzione, bensì riguardava profili afferenti la identificazione
del diritto, in relazione ai suoi limiti « coessenziali », e con
riferimento ad un interesse (sicurezza ed ordine pubblico) rispetto al quale l'interesse all'autodisciplina di categoria doveva conside
rarsi cedevole.
La precettuazione, infine, aveva il carattere della provvisorietà, essendo strettamente correlata alla situazione di emergenza che
l'aveva provocata; ed il provvedimento adottato osservava i limiti
spaziali di operatività correlati all'autorità che l'avevano emanato.
Nessun particolare principio dell'ordinamento è stato violato;
ché, anzi, la misura straordinaria veniva adottata, sia pure sa
crificando il diritto di sciopero per alcuni dipendenti, proprio allo
scopo di assicurare la salvaguardia dei valori fondamentali (ordi ne e sicurezza generale ed individuale) dell'ordinamento medesi
mo.
Per quanto qui rileva, pertanto, si deve ritenere che il provve dimento del prefetto, adottato a norma dell'art. 2 t.u. n. 773 del
1931, era adeguato alla situazione eccezionale che si intendeva
fronteggiare e rispetto ad esso non era configurabile alcuna
mancanza di presupposti che potessero implicare assoluta carenza
di potere amministrativo.
Sussiste, quindi, la giurisdizione del giudice amministrativo e
gli atti vanno rimessi al T.A.R., cui competerà verificare se il
potere stesso è stato, in concreto, esercitato legittimamente, in
relazione alle censure svolte dalle parti, ed anche alla asserita
incompetenza (relativa) del prefetto. (Omissis)
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; sezione II; ordinanza 24 settembre 1985, n. 670; Pres.
Chieppa, Rei. Zeviani Pallotta; Senia (Avv. Speranza) c.
Min. finanze.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; sezione II; ordinanza 24 settembre 1985, n. 670; Pres.
Giustizia amministrativa — Impiegato pubblico — Pretese patrimo niali — Ordinanza d'urgenza — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 700; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali
amministrativi regionali, art. 21).
Il giudice amministrativo, adito in sede di giurisdizione esclusiva
con ricorso del pubblico dipendente inteso ad ottenere il
pagamento di somme per arretrati di stipendio, indennità di
buonuscita e ratei di pensione, può ordinare in via d'urgenza
all'amministrazione, che non ha contestato con specifiche argo mentazioni l'esistenza di tali crediti, il pagamento di una parte di quelle somme, destinate al sostentamento del ricorrente e
della sua famiglia. (1)
(1) Una delle prime (se non la prima in assoluto) ordinanze cautelari che il giudice amministrativo abbia emesso in giudizi concer nenti pretese patrimoniali del pubblico dipendente, in diretta e esplici ta applicazione di Corte cost. 28 giugno 1985, n. 190, Foro it., 1985,
Fatto e diritto. — Il ricorso, benché formalmente diretto
all'annullamento del silenzio-rifiuto, formatosi sulla domanda inte
sa ad ottenere il pagamento di lire 40.000.000 complessive per arretrati di stipendio, indennità di buonuscita e ratei di pensione,
riguarda in realtà l'accertamento dei diritti soggettivi del ricorren
te, aventi ad oggetto tali crediti.
Ciò posto, va rilevato che, con decisione n. 190 del 25-28
giugno 1985 (Foro it., 1985, I, 1881) la Corte costituzionale ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 21, ult. comma, 1. 6
dicembre 1971 n. 1034, nella parte in cui, limitando l'intervento di urgenza del giudice amministrativo alla sospensione dell'esecu
zione dell'atto impugnato, non consente al giudice stesso di
adottare, nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico
impiego, sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva, i provvedi menti di urgenza che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare gli effetti della futura decisione sul merito.
Conformemente all'insegnamento della corte, è da ritenere che il potere-dovere del giudice di emanare siffatti provvedimenti cautelari « innominati » derivi da un principio generale dell'intero
ordinamento processuale avente valore costituzionale (art. 8, 24 e
113 Cost.) e del quale è espressione l'art. 700 c.p.c., secondo cui
ciascuno ha diritto ad una effettiva tutela giurisdizionale delle
situazioni soggettive azionate, il che necessariamente presuppone che debba essere assicurata anche nel corso del giudizio, con
mezzi idonei, la concreta piena operatività della decisione sul
merito. t-ii
Nella specie, pertanto, avendo la decisione sul merito ad
oggetto, fra l'altro, l'accertamento dei diritti del ricorrente ad
ottenere il pagamento di arretrati di stipendio e di indennità di
buonuscita e conseguentemente — in ipotesi — la eventuale condanna delle amministrazioni competenti al pagamento delle
relative somme, rientrando per tali aspetti la controversia nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ben può il
collegio ordinare in via di urgenza il pagamento di tali somme o
di parte di esse, ove — beninteso — sussistano gli estremi del
pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti azionati.
Tale pregiudizio sussiste indubbiamente, attesa la natura retri
butiva dei crediti vantati, relativi a somme di denaro destinate al
sostentamento del ricorrente e alla di lui famiglia, tenuto anche
conto del fatto che l'esistenza dei crediti in questione non è stata
contestata con specifiche argomentazioni dalle amministrazioni
resistenti.
Deve pertanto, in accoglimento dell'istanza cautelare, ai sensi
del combinato disposto dell'art. 21 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 e
dell'art. 700 c.p.c., ordinarsi al ministero delle finanze ed al
I, 1881, con nota di A. 'Proto Pisani e 2491, con nota di A. Romano. Sul contenuto, significato e portata di tale sentenza, non resta che
rinviare alle note richiamate. Per quel che riguarda, specificamente, l'ordinanza che ora si riporta, si deve osservare: essa è motivata unicamente in relazione all'art. 700 c.p.c. (oltre che, ben s'intende, all'art. 21 1. n. 1034/71); è scomparso il richiamo all'art. 423, 2°
comma, c.p.c. (nel testo novellato dalla 1. 11 agosto 1973 n. 533), al
quale pure la corte si era riferita, e sia pure mediandolo, per la concreta sua inapplicabilità al contenzioso del pubblico impiego, attra verso l'art. 700, perciò qualificato come norma di chiusura; in tal
modo, l'ordinanza pare orientata anche per quel che riguarda i giudizi aventi per oggetto le pretese patrimoniali del pubblico dipendente, verso una accentuazione della tipicità dei caratteri della tutela cautela re amministrativa; in questo senso, può risultare significativa anche la
quantificazione della provvisionale concessa: operata più su base equita tiva, sembra, che in riferimento ai «... limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova », come recita per il giudice civile del lavoro l'art. 423 suddetto; ancora, l'ordinanza affronta la questione della sussistenza nel caso concreto dei presupposti tipici del provvedi mento cautelare amministrativo: sotto questo profilo, si basa, oltre che su una sommaria delibazione del fumus boni iuris (peraltro riconosciu to sussistente perché l'amministrazione resistente non aveva sviluppato argomentazioni a sostegno delle proprie contestazioni), sull'affermazione dell'esistenza del danno grave e irreparabile che altrimenti il ricorrente avrebbe subito: dedotto puramente e semplicemente dalla destinazione al sostentamento del ricorrente e della sua famiglia delle somme di denaro in discussione (su tutti questi punti v. la richiamata nota di
Romano, spec. § 6); inoltre, l'ordinanza si è pronunciata su un ricorso che riguardava vari crediti, sì tutti del pubblico dipendente, ma che solo alcuni dei quali presentavano natura retributiva (il che colora di una luce particolare l'affermazione della sussistenza nel caso del danno grave e irreparabile); quindi, sembra ricondurre sotto una unitaria tutela cautelare amministrativa dei crediti che per altro verso hanno un differenziato trattamento nel giudizio amministrativo, in
particolare per quel che concerne la loro rivalutabilità automatica in
questa sede (per l'esclusione della rivalutabilità, specificamente, dell'in dennità di buonuscita, ad. plen. 28 gennaio 1985, n. 1, id., 1985, III, 142, con nota di richiami).
Il Foro Italiano — 1985.
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