Sezione VI; decisione 27 gennaio 1983, n. 52; Pres. Daniele, Est. Adobbati; Min. poste etelecomunicazioni e altro (Avv. dello Stato Stipo) c. Alfieri (Avv. Gonnelli). Annulla T.A.R.Lazio, sez. III, 19 ottobre 1981, n. 1130Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1983), pp. 253/254-255/256Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175385 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
per quel che riguarda [attuale controversia — con quanto af fermato nella statuizione del T.A.R. in proposito, che appaiono c ioè evidenti « da un lato l'insufficienza e l'inadeguatezza di un
sistema, quale quello previsto dal d.p.r. n. 191/79, che fonda la distinzione tra i livelli sulla base del diverso grado di responsa bilità delle posizioni burocratico-funzionali e affida il passaggio da un livello all'altro al rigido meccanismo del concorso pubbli co (sia pur con riserva di posti agli interni), e dall'altro, per contro, la necessità di un regime differenziato — rispetto al nor male sistema di progressione in carriera previsto per i normali im
piegati — che, tenuto conto del più volte sottolineato particolare status degli interessati, contempli, quanto meno in via tendenzia
le, una corrispondenza tra qualifiche professionali e posizioni bu
rocratiche, e cioè riconosca la sostanziale differenza che inter corre tra gli uffici legali con i connotati che sono loro propri in forza delle disposizioni contenute nel r.d.l. n. 1578/33, certamen te non derogabili, e le altre unità operative in cui si articola
l'apparato burocratico degli enti ».
Tutto ciò premesso devesi, pertanto, respingere perché infon
dato il primo mezzo di censura proposto nei confronti dell'impu gnata sentenza.
II) Del pari infondate risultano poi le altre censure prospet tate col secondo motivo di appello (concernenti il capo della sen
tenza con il quale si è rilevata l'illegittimità degli atti impugnati per l'omissione in essi contenuta del riconoscimento in favore
dei dipendenti-professionisti legali dei compensi di natura pro fessionale derivanti dall'esito favorevole delle liti: art. 19, 5° com
ma, d.p.r. n. 191/79: onnicomprensività del trattamento econo
mico previsto). Ed invero l'osservazione dell'avvocatura erariale secondo la
quale la posizione del personale medico (al quale — in base al
d.p.r. 191 — è stata attribuita in via provvisoria una particolare indennità di lire 65.000 mensili a compenso del divieto dell'atti
vità libero professionale che risulta invece inibita ai dipendenti
professionisti addetti all'ufficio legale già con il sopracitato r.d.l.
del 1933) risulta oggettivamente diversa da quella degli attuali
avvocati e procuratori, onde non potrebbe desumersene alcun uti
le confronto al fine di valutare la legittimità degli atti impugnati in primo grado, trova puntuale riscontro nella decisione di primo
grado la quale, proprio partendo dalla constatazione della diffe
renza fra le due fattispecie e dandosi carico di esaminare l'origi ne e le conseguenze ha tuttavia ritenuto — in base ad argomen tazioni di principio fondate sull'applicazione di criteri di ugua glianza a parità di situazioni sostanziali che il collegio ritiene, a sua volta, di poter condividere — il buon diritto dei ricorrenti a
conseguire recta via i compensi delle prestazioni professionali —
titolo di integrazione della normale retribuzione — in concreto rese al servizio dell'ente di appartenenza.
Né possono in proposito trarsi argomenti contrari a tale ultima
conclusione dal carattere di provvisorietà attribuito all'assegno di
spettanza del personale medico: è evidente, infatti, che tale ca
rattere (connesso alla dichiarata situazione di attesa dell'applica zione della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale: art.
25 d.p.r. n. 191, 1° comma) non incide sul principio che giustifi ca l'attribuzione dell'assegno medesimo, e cioè il sottinteso ri
conoscimento, anche sul piano economico, del particolare status
di soggetti che, in quanto iscritti in appositi albi, sono abilitati
all'esercizio di professioni liberali (principio che non può non es sere riconosciuto valido anche per i dipendenti-professionisti le
gali in presenza di una specifica disciplina quale quella del men
zionato art. 3 r.d.l. 1578/33). Ed è proprio alla stregua di un
siffatto principio che non possono venir condivise le ulteriori ar
gomentazioni contenute nel motivo di appello in esame (la pre tesa irrilevanza, cioè, ai fini della percezione di particolari com
pensi, della responsabilità degli interessati, oltreché nei confronti
dell'amministrazione come ogni altro dipendente, anche nei con
fronti dell'ordine professionale di appartenenza, nonché la pretesa discrezionalità nella valutazione fra le opposte esigenze di pere
quazione di tutto il personale svolgente attività professionale e
di incoraggiamento del maggiore impegno professionale per il per sonale svolgente attività forense), dovendosi — al contrario —
riconoscere in proposito la validità anche delle ulteriori motiva
zioni fornite sul punto dalla sentenza di primo grado (del resto
non espressamente criticate in sede di appello), secondo le quali i compensi professionali da attribuire al personale svolgente at
tività forense, in quanto corrispettivo tra l'altro di prestazioni eventualmente effettuate oltre il normale orario di servizio per far fronte alla necessità di approntare le difese nel rispetto dei
termini processuali, assorbono ogni ulteriore pretesa attinente al
regime previsto per i compensi di lavoro straordinario.
Ili) Occorre, infine, precisare le ragioni per le quali — come
già fatto presente in via preliminare — non possono venir con
divise le conclusioni concernenti la pretesa inammissibilità del ri
II Foro Italiano — 19S5 — Parte 111-19.
corso di primo grado nei confronti del d.p.r. n. 191, riproposte in questa sede dall'appellante avvocatura mediante il terzo motivo di gravame.
Infatti nella corrispondente memoria di primo grado si era dedotta — da parte delle resistenti amministrazioni — la inam missibilità del ricorso, tra l'altro, in quanto proposto contro un atto (il d.p.r. n. 191) che sostanzialmente aveva natura più con trattuale che regolamentare, dal momento che esso rispecchiava un accordo intervenuto tra quei soggetti che, in base alla indi cazione data dal legislatore con la 1. 27 febbraio 1978 n. 43, dovevano considerarsi abilitati a rappresentare la volontà di tutte le parti interessate.
In questa sede viene quindi criticata la decisione del tribunale amministrativo in quanto — in relazione a quanto precede — si assume che « nessun labile accenno risulta in sentenza sul fatto, di estrema rilevanza, che il d.p.r. n. 191 ha regolamentato la ma teria in questione esattamente rispecchiando quell'accordo che le
parti, validamente rappresentate, avevano raggiunto ed espresso nei modi previsti dal legislatore».
Tale argomentazione non è però idonea, ad avviso del colle
gio, ad inficiare la validità delle conclusioni cui è pervenuto al riguardo — sia pure in modo sintetico — il giudice di prime cure.
Ed invero agli accordi nazionali in questione non può in alcun
caso attribuirsi forza di legge, né è lecito ipotizzare che una
presunta validità erga omnes del contenuto dei medesimi possa farsi risalire ai decreti presidenziali di approvazione di essi (per la definizione della natura degli atti nonnativi non legislativi di
tal genere cfr., ad esempio, Corte cost. n. 100 del 25 giugno 1980, id., 1980, I, 2383, nonché la giurisprudenza di questo con
siglio in proposito: sez. IV n. 700 del 24 giugno 1980, id., Rep.
1980, voce cit., n. 29; n. 866 del 26 agosto 1980, ibid., voce Giu
stizia amministrativa, n. 173, e successive decisioni). Tantomeno può ritenersi che gii accordi nazionali de quibus
siano vincolanti per tutti gli interessati per essere gli stessi ap
provati in base ad accordi con le organizzazioni sindacali mag
giormente rappresentative, giacché — com'è noto — tale possi bilità è prevista, in base all'ult. comma dell'art. 39 Cost., esclu
sivamente per i contratti collettivi stipulati dai sindacati « regi strati » secondo un regime legislativo che non è stato ancora
introdotto nel vigente ordinamento.
Non può allora diversamente concludersi se non nel senso —
esattamente enunciato nella sentenza di primo grado — della
piena impugnabilità ex art. 113 Cost, di tali atti amministrativi
(secondo il regime proprio degli atti regolamentari come ritenuto
dal T.A.R., e — comunque — degli atti amministrativi generali, abbiano o non abbiano questi carattere normativo) da parte dei
soggetti che se ne ritengano eventualmente lesi nei loro personali
interessi, senza — ovviamente — che assuma alcun rilievo in
contrario il fatto che al contenuto sostanziale della nuova disci
plina abbiano dato luogo i rappresentanti delle parti interessate,
e quindi anche — in ipotesi — degli attuali ricorrenti.
Diversamente opinando, infatti, si dovrebbe postulare un'esten
sione dell'istituto della « rappresentanza di interessi con efletti
obbligatori nei confronti di tutti gli appartenenti alle categorie interessate » che non trova alcun obiettivo riscontro nel sistema
introdotto dal legislatore con il d.l. 29 dicembre 1977 n. 246 (co si come convertito in 1. 27 febbraio 1978 n. 43) in base al quale è stato emanato l'impugnato d.p.r. n. 191, giacché l'effetto vinco lante di tale « rappresentanza d'interessi » può solamente deriva
re, come è noto, o dalla espressa volontà del legislatore primario
(e comunque non esclusivamente e direttamente da un atto di
normazione secondaria quale il d.p.r. in esame) o dalla attuazio
ne — non ancora verificatasi nel nostro ordinamento — del par ticolare regime di cui all'art. 39, Cost.
Da tutto quanto precede consegue, pertanto, la reiezione del
l'appello e la piena conferma della sentenza del giudice di prime cure. (Omissis)
CONSIGLIO DI STATO; Sezione VI; decisione 27 gennaio
1983, n. 52; Pres. Daniele, Est. Adobbati; Min. poste e teleco
municazioni e altro (Avv. dello Stato Stipo) c. Alfieri (Avv.
Gonnelli). Annulla T.A.R. Lazio, sez. Ili, 19 ottobre 1981,
n. 1130.
impiegato acuu oiaiu e puuuuwu — juspwusiuub wauiwiaiw —
Difetto di motivazione — Irrilevanza — Fattispecie (D.p.r. 10
gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato,
art. 91).
Non è illegittima per carenza di motivazione la sospensione cau
telare del pubblico dipendente sottoposto a procedimento pe
nale per delitti contro la fede pubblica, che venga disposta
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PARTE TERZA
solo dopo la condanna in primo grado e la sua conferma in
appello, ma con riduzione della pena, senza l'indicazione delle
ragioni per le quali in quel momento sarebbe sopravvenuta la
esigenza di allontanare dal servizio il dipendente stesso. (1)
Diritto. — Il T.A.R., condividendo le censure di violazione
dell'art. 91 t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 e di eccesso di potere per
sviamento, contraddittorietà di comportamento e difetto di mo
tivazione, dirette contro il provvedimento del ministero per le
poste e le telecomunicazioni di sospensione cautelare dal servizio
dell'operatrice U.L.A. Vittoria Alfieri — emesso 1*8 aprile 1980,
dopo che la Corte d'appello di Roma aveva con ordinanza 5
gennaio 1980 dichiarato non esecutiva, per nullità della notifi
cazione, la propria sentenza 21 febbraio 1979 (di conferma della
condanna della predetta impiegata per i reati di falsità di cui
agli art. 476 e 480 c.p., con riduzione della pena), e coevemente
alla conseguente revoca della disposta destituzione di diritto
della stessa —, ha osservato: « dalle modalità di svolgimento dell'intera vicenda, può ricavarsi un indizio certo della esistenza
della volontà dell'amministrazione di adottare, nei confronti della
ricorrente, un atteggiamento di durezza, quasi a voler recuperare l'inerzia precedentemente tenuta», come confermerebbe la «to
tale mancanza di motivazione sulle ragioni che hanno indotto
l'amministrazione ad adottare un improvviso mutamento di at
teggiamento, rispetto a quello precedentemente tenuto»; ed ha
concluso: « poiché nella specie manca una congrua motivazione
delle ragioni che hanno indotto l'amministrazione ad adottare
dei provvedimenti che, se avrebbero potuto essere opportuni al
momento in cui i fatti addebitati alla ricorrente vennero alla
luce, non sembrano più tali a distanza di 13 anni da quel mo
mento, in presenza di un comportamento medio tempore irre
prensibile della ricorrente, e con la possibilità di un allontana
mento definitivo della stessa a breve scadenza, il provvedimento
impugnato deve ritenersi illegittimo». L'amministrazione appellante ha dedotto che proprio per evi
tare un atteggiamento di durezza aveva ritenuto prudente — pri ma di adottare un provvedimento cosi' grave, come la sospen sione dal servizio — attendere che sui fatti attribuiti all'Alfieri
decidesse il giudice penale e che, dopo l'appello proposto avver so la sentenza di condanna del Tribunale di Roma, si pronun ciasse sugli stessi anche la corte d'appello; che, non potendosi ancora far luogo alla destituzione per la pendenza del ricorso in
Cassazione, una volta accertata la colpevolezza della prevenuta da parte dei giudici del merito, aveva ritenuto di disporre la so
spensione della stessa dal servizio; che la sospensione cautelare in pendenza di procedimento penale sarebbe legittima anche, ed a maggior ragione, se adottata con il conforto delle decisioni dei
giudici di merito; che, comunque, se il provvedimento di sospen sione cautelare è rimesso ad un apprezzamento discrezionale del
(1) Per la ricca casistica giurisprudenziale sulla esigenza di esau riente motivazione della sospensione cautelare del pubblico dipendente rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione, v. i precedenti richia mati in nota a T.A.R. Lazio, sez. I, 13 dicembre 1978, n. 1055, Foro it., 1979, III, 104, in relazione ad un caso di arresto in udienza per reato di falsa testimonianza commesso in dibattimento, e a T.A.R. Lombardia 18 novembre 1981, n. 1387, id., 1982, IdiI, 426, che raf forza l'orientamento della giurisprudenza secondo il quale è discrezio nale, e deve perciò essere motivato il diniego di revoca della sospen sione cautelare del pubblico dipendente in ordine al quale sia stato emesso mandato di cattura, ma che poi abbia beneficiato della con cessione della libertà provvisoria.
La decisione che si riporta ha affrontato il problema della legitti mità di un provvedimento di sospensione cautelare che sopravvenga a distanza di tempo dall'inizio del procedimento penale, e anzi dopo l'emissione della sentenza di appello. Specificamente in relazione al profilo cronologico, ma in ordine ad una sospensione cautelare con nessa con un procedimento disciplinare, Cons. Stato, sez. V, 28 marzo 1969, n. 242, id. Rep. 1969, voce Impiegato dello Stato, n. 598, ha ammesso che la sospensione cautelare stessa non sia necessariamente immediata, perché l'esigenza che la impone può emergere nel corso di tale procedimento (per un identico orientamento, v. anche, nella motivazione, sez. V 16 febbraio 1971, n. 83, id., 1971, III, 263).
Però Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 1980, n. 878, id., Rep. 1981, voce cit-, n. 967, ha annullato per difetto di motivazione la delibera zione di sospensione cautelare dal servizio di un sanitario ospedaliero, motivata con riferimento ad eventi che abbiano dato luogo per il
passato ad addebiti disciplinari o a denunce penali. E sez. V 8 luglio 1977, n. 768, id., Rep. 1977, voce cit., n. 1262, ha ugualmente dichia rato illegittima la sospensione cautelare disposta in relazione a situa zioni note e tollerate da tempo, ove non siano sopravvenuti fatti nuovi, o non sia sopravvenuta la conoscenza di fatti prima ignorati.
Per altri riferimenti, cfr. sez. IV 26 settembre 1975, n. 777, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1145, che accenna alla rapidità con la quale la so
spensione cautelare deve essere disposta e attuata, e alla insindacabilità in sede di legittimità delle valutazioni di merito che hanno indotto l'amministrazione ad adottarla, per questa ragione, e per le particolari finalità che deve perseguire.
la p.a., non dovrebbero trovare ingresso, in sede di giurisdizione
di legittimità, censure in ordine al momento in cui la p.a. stessa
ritenga di doverlo adottare.
L'appellata ha obiettato che le esigenze che giustificano la so
spensione facoltativa di cui all'art. 91 t.u. n. 3/57 sarebbero cer
tamente più sentite ed imperiose nella immediatezza dei fatti con
testati, in quanto il decorso del tempo farebbe dimenticare sia ai
colleghi del dipendente incriminato sia ai cittadini la sussistenza
dell'imputazione e, d'altra parte, l'espletamento del servizio da
parte del dipendente con buon rendimento porterebbe ad esclu
dere sempre più il pericolo di pregiudizio per il ripetersi della
cattiva condotta; e, inoltre, che il provvedimento cautelare, an
corché discrezionale nel merito, dovrebbe comunque essere mo
tivato con argomentazioni logiche e convincenti, che manchereb
bero totalmente in quello impugnato. Tali essendo i termini della questione, il collegio ritiene che
l'appello è fondato.
Il carattere dell'immediatezza non è insito nella sospensione
cautelare facoltativa, la cui opportunità può anche emergere nel
corso del procedimento penale (o disciplinare). Ciò risulta dalla
lettera dell'art. 91 t.u. n. 3/57, il quale dispone che con decreto
del ministro può essere sospeso dal servizio l'impiegato « sotto
posto a procedimento penale », quando la natura del reato sia
particolarmente grave (e, nell'ipotesi parallela di procedimento
disciplinare, dalla lettera dell'art. 92, il quale la consente anche
«prima che sia esaurito» tale procedimento); nonché dalla con
siderazione che non è solo al fine di evitare che vadano smarrite
le tracce delle mancanze che si sospende dal servizio, ma anche
per evitare cause di turbamento che possono venire in conside
razione dopo l'inizio del procedimento e sulle quali — come que
sto consiglio ha osservato in altra decisione, relativa ad analoga
fattispecie (sez. V 28 marzo 1969, n. 242, Foro it., Rep. 1969,
voce Impiegato dello Stato, n. 598) — nessuna norma o principio
impone all'amministrazione di dare giustificazione.
In ogni caso, è evidentemente inesatto che il trattenere in ser
vizio un impiegato, condannato in primo ed in secondo grado per
fatti qualificati come reati, che comportino la destituzione di di
ritto, turbi meno gli altri dipendenti o i cittadini della mancata
sospensione di esso in base ad un semplice addebito, che il giu
dice penale non abbia ancora accertato sotto il profilo fenome
nico, né qualificato sotto quello giuridico. D'altra parte, l'impugnato provvedimento di sospensione — che
non richiede, in quanto fondato su una sommaria cognitio, una
specifica e diffusa motivazione (sez. V 9 febbraio 1971, n. 88, id.,
Rep. 1971, voce cit., n. 816) — appare congruamente giustificato.
In esso, infatti, si richiamano le sentenze di condanna, per
falso materiale in atto pubblico e soppressione di atto pubblico,
e l'ordinanza della I sezione penale della corte d'appello che,
con la dichiarazione di nullità della notificazione della propria
sentenza, ne differiva il passaggio in giudicato sino all'esito del
giudizio per cassazione (e di quello eventuale di rinvio), cosi'
protraendo, per un periodo di durata non prevedibile, ogni deter
minazione in ordine alla irrogazione della sanzione disciplinare;
e — in considerazione dell'andamento del procedimento penale, delle negative risultanze acquisite con la sentenza di appello e
della gravità penale dei fatti ascritti all'imputata — si afferma
l'opportunità della sospensione cautelare.
Sembra al collegio che da tali considerazioni — ed in partico
lare da quelle relative all'andamento del procedimento penale
(sfavorevole alla dipendente e tuttavia non prossimo ad esaurirsi)
ed alle risultanze della sentenza di appello (con la quale si chia
rivano la natura degli atti manipolati e l'irrilevanza del mancato
uso di essi, ai fini della sussistenza dei reati suddetti) — si de
sume anche il perché l'amministrazione abbia ritenuto di adot
tare in quel momento la misura cautelare.
Pertanto, l'appello va accolto, con le conseguenti statuizioni.
(Omissis)
CONSIGLIO DI STATO; Sezione VI; decisione 26 ottobre 1982,
n. 519; Pres. Benvenuto, Est. Rosini; Baldi (Avv. Fumarola,
Bussi) c. I.n.p.s. (Avv. Chiabrera, Sacerdoti). Annulla T.A.R.
Lombardia 7 novembre 1979, n. 941.
Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendente dell'Ln.p.s. —
Indennità di anzianità — Trattenuta in seguito a condanna
della Corte dei conti — Legittimità (L. 8 giugno 1966 n. 424,
abrogazione di norme che prevedono la perdita, la riduzione
o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro
ente pubblico, art. 4).
Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendente dell'I.n.p.s. —
Indennità di anzianità e ratei di pensione — Sequestro conser
vativo nel giudizio di responsabilità davanti la Corte dei conti — Convalida parziale con la decisione di condanna — Spet
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