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sezione VI; decisione 30 ottobre 1985, n. 558; Pres. Gessa, Est. Pauciullo; Scuola media statale «...

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sezione VI; decisione 30 ottobre 1985, n. 558; Pres. Gessa, Est. Pauciullo; Scuola media statale «V. Pellis »di Fiumicello e altri (Avv. dello Stato Imponente) c. Dean, Pattarin. Annulla T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 21 ottobre 1982, n. 227 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 217/218-223/224 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187311 . Accessed: 25/06/2014 07:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 07:51:46 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione VI; decisione 30 ottobre 1985, n. 558; Pres. Gessa, Est. Pauciullo; Scuola media statale«V. Pellis »di Fiumicello e altri (Avv. dello Stato Imponente) c. Dean, Pattarin. Annulla T.A.R.Friuli-Venezia Giulia 21 ottobre 1982, n. 227Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 217/218-223/224Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187311 .

Accessed: 25/06/2014 07:51

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

V

Diritto. — (Omissis). Sono invece fondate le specifiche censure dedotte avverso il decreto in data 23 marzo 1984, con cui il provve ditore alle opere pubbliche ha approvato i progetti esecutivi genera le e il primo stralcio relativi ai lavori di costruzione del carcere, non ché il piano particellare di occupazione d'urgenza dei terreni, fissan do nel contempo i termini ex art. 13 1. n. 2359 del 1865.

Anche se — contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti

avverso la delibera consiliare n. 143/81 — la procedura in

questione è da ritenersi disciplinata dalla legge n. 1 del 1978, sia

per la natura dell'opera, sia perché detta legge è espressamente richiamata tanto dalla citata delibera quanto dal decreto in esame, deve essere condivisa la tesi contenuta in ricorso, secondo cui la dichiarazione di pubblica utilità (che ha avuto luogo ex art. 1 1. n. I del 1978 e 4 1. n. 404 del 1977) avrebbe dovuto essere preceduta dagli adempimenti di cui agli art. 10 e 11 1. n. 865 del 1971, cioè dalla pubblicazione del progetto e dall'avviso agli espropriandi

Ciò in quanto le suddette prescrizioni, poste dalla 1. n. 865, non sono affatto state implicitamente abrogate dalla 1. n. 1 del

1978, trattandosi di adempimenti che costituiscono un'applicazio ne concreta della garanzia stabilita dall'art. 42 Cost., in base al

quale il sacrificio della proprietà privata deve essere contenuto nei limiti strettamente necessari a soddisfare l'interesse pubblico.

Invero, lo snellimento delle procedure concernenti la realizza

zione di opere pubbliche non può, senza travalicare i suddetti

limiti di ordine costituzionale, essere spinto sino al punto di non

consentire ai privati (ed a maggior ragione allorché, come nel caso di specie, la procedura adottata comporti variante allo

strumento urbanistico) la facoltà di presentare le proprie osserva

zioni a tutela del diritto di proprietà, e ciò nello stesso interesse

pubblico, dovendo l'amministrazione essere in grado di determi

narsi dopo aver adeguatamente valutato le ragioni prospettate dai

privati medesimi.

Va ancora precisato che non appare convincente la tesi dell'av

vocatura erariale e del consorzio controinteressato secondo cui, trattandosi di opere di competenza statale, la procedura in

questione troverebbe la propria disciplina unicamente nella 1. n.

2359 del 1865, mentre la 1. n. 865 del 1971 sarebbe richiamata

esclusivamente in funzione della determinazione dell'indennità di

esproprio. Pare infatti al collegio che per quanto riguarda l'edili

zia carceraria tale orientamento incontri un insuperabile ostacolo

nel rilievo che la disposizione (art. 6, 1° comma, 1. n. 1133 del

1971) secondo cui «per l'acquisizione degli immobili necessari

alla realizzazione degli interventi previsti dalla presente legge, si

applicano le norme previste dalla 1. 30 ottobre 1971 n. 865 », sia

necessariamente da intendere, stante l'ampiezza dell'espressione usata, con riferimento all'intero procedimento ablatorio.

La questione tuttavia si presenta di scarsa rilevanza agli effetti

invocati dalle parti resistenti, poiché l'applicabilità della procedu ra delle norme della 1. n. 2359 del 1865 anziché della 1. n. 865

del 1971 non varrebbe ad escludere l'esistenza del vizio in esame, dovendosi considerare che la legge n. 865 non ha fatto che ribadire sostanzialmente il medesimo principio fondamentale po sto dagli art. 3, 4 e 5 1. n. 2359 del 1865, volto a consentire

quella partecipazione degli interessati al procedimento, al fine di

contemperare l'interesse privato e quello pubblico, che invece è

completamente mancata nel caso di specie. È fondata anche la censura secondo la quale i termini per

l'inizio ed il compiménto di lavori e delle espropriazioni sono

stati fissati illegittimamente in quanto sono stati fatti decorrere da

un evento incerto tanto nel quando quanto nell'ara, quale la

registrazione del decreto di approvazione del progetto alla Corte

dei conti. Ritiene, al riguardo il collegio di non doversi discostare

dal principio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 117/77, Foro it., Rep.

1977, voce Espropriazione per p.i., n. 59), che, se anche la fissazio

ne dei termini può venire disposta non solo a mezzo di datazione

specifica ma anche con riferimento al verificarsi di dati eventi, è

tuttavia necessario che in tal caso risultino certi a priori i

suddetti limiti di tempo. Tale esigenza non è stata soddisfatta nel

decreto in esame, che ha stabilito che le espropriazioni degli immobili dovranno iniziarsi entro quarantacinque giorni dalla

data di registrazione alla Corte dei conti del decreto stesso e

compiersi entro cinque anni dalla data di inizio^ mentre i lavori

dovranno iniziarsi entro sessanta giorni dalla predetta registrazio ne e compiersi entro cinquecentoquaranta giorni dal loro inizio.

Come già precisato, in presenza di analoga fattispecie, dal

Consiglio di Stato, sez. IV, con la citata decisione, un evento

quale la registrazione del decreto alla Corte dei conti è insuscet

tibile per sua natura di venire in essere in un momento a priori esattamente determinabile.

II Foro Italiano — 1986.

Stante l'essenzialità dell'indicazione dei termini in questione, mediante datazione specifica od ancoraggio ad un evento sin

dall'inizio obiettivamente certo nell'ora e nel quando, ai fini della

legittimità della dichiarazione di pubblica utilità o dell'atto ad

essa equivalente, appare inconferente la circostanza che la regi strazione da parte della Corte dei conti sia successivamente

intervenuta entro un breve lasso di tempo, dovendo la legittimità o meno, sotto il suddetto profilo, della dichiarazione di pubblica utilità essere riferita al momento della stessa, in funzione —

come è stato ancora affermato dal Cons, di Stato, sez. IV

(decisione n. 69/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 78) — della

necessità inderogabile e costituzionalmente rilevante di porre un

limite preciso al potere espropriativo affinché i beni espropriabili non siano assoggettati all'eventualità di essere mantenuti ad

arbitrio dell'amministrazione, per un periodo non esattamente

precisabile a priori, in uno stato di incertezza.

I ricorrenti censurano anche il secondo atto aggiuntivo, conte

nuto nel decreto 23 marzo 1984, deducendo unicamente un

motivo di invalidità derivata dalla scelta del contraente. In

conseguenza dell'infondatezza, come in precedenza è stato dimo

strato, delle doglianze proposte avverso tale scelta, avvenuta con

il decreto del provveditore 4 gennaio 1984 approvativo della

convenzione, anche tale motivo di invalidità derivata viene natu

ralmente a perdere ogni consistenza.

È stato impugnato per ultimo il provvedimento in data 8

maggio 1984 con cui il prefetto di Cuneo ha decretato l'occupa zione d'urgenza dei terreni in questione, necessari per la costru

zione dello stabilimento carcerario. Come osservato dai ricorrenti, detto provvedimento viene travolto in via riflessa, essendo venuto

a cadere il suo presupposto, costituito dalla dichiarazione di

indifferibile urgenza, che è da ritenersi illegittima, mentre possono essere assorbiti gli altri profili di censura avverso di esso dedotti.

In considerazione di quanto precede, il ricorso deve essere

accolto limitatamente all'impugnazione del decreto del provvedito re 23 marzo 1984 e del decreto prefettizio 8 maggio 1984 di

occupazione d'urgenza. (Omissis)

I

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 30 ottobre 1985, n. 558; Pres. Gessa, Est. Pauciullo; Scuola media statale « V. Pellis » di Fiumicello e altri (Avv. dello Stato Imponente) c.

Dean, Pattarin. Annulla T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 21 otto bre 1982, n. 227.

Giustizia amministrativa — Ricorso — Difetto sopravvenuto di interesse — Esclusione — Fattispecie.

Istruzione pubblica — Scuola media — Alunno — Non ammissio ne alla classe successiva — Ricorso — Inammissibilità per difetto di notifica — Esclusione — Fattispecie (D.p.r. 31

maggio 1974 n. 416, istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna, elementare, secondaria e artisti

ca, art. 4; d.p.r. 31 maggio 1974 n. 417, norme sullo stato

giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato, art. 3).

Istruzione pubblica — Scuola media — Didattica di integrazione e sostegno — Predisposizione — Genitori di alunno imprepa rato — Interesse di mero fatto.

Istruzione pubblica — Scuola media — Alunno — Non ammis

sione alla classe successiva — Sufficienza della motivazione —

Fattispecie (L. 4 agosto 1977 n. 517, norme sulla valutazione

degli alunni e sull'abolizione degli esami di riparazione nonché

altre norme di modifica dell'ordinamento scolastico, art. 9).

Il ricorso contro la deliberazione con la quale il consiglio di

classe di scuola media non ammette l'alunno alla classe

successiva, non diventa improcedibile per difetto soprav venuto di interesse a causa della successiva frequenza a

questa ultima, dopo la ripetizione della precedente. (1)

(1) La decisione è espressione del principio generale, sul quale esiste, ormai, una giurisprudenza abbastanza consolidata, secondo cui è sufficiente un mero interesse strumentale — e, persino, morale — alla decisione per impedire l'improcedibilità del ricorso giurisdizionale per sopravvenuta carenza di interesse.

In questo quadro, le pronunce sono molteplici, e si riferiscono, ovviamente, a fattispecie abbastanza differenziate, pur essendo comuni

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PARTE TERZA

Il ricorso contro la deliberazione con la quale il consiglio di

classe di scuola media non ammette l'alunno alla classe

successiva, basato sulla illegittimità della mancata predisposi zione di attività didattiche di integrazione e di sostegno, e

notificato al consiglio di classe stesso, e alla scuola in persona del suo preside, non è inammissibile perché non notificato an

che al collegio dei docenti, al quale sarebbe spettato di attuare

quelle attività. (2) E di mero fatto l'interesse dei genitori dell'alunno di scuola

media impreparato a che il consiglio di classe predisponga un

programma di iniziative didattiche di integrazione e di soste

gno. (3) È legittima la deliberazione con la quale il consiglio di

classe di scuola media non ammette l'alunno alla classe

successiva, a causa della incertezza e della insufficienza della sua preparazione, e sulla scarsità del suo impegno, anche in

difetto di motivazione, sulla mancata predisposizione di iniziative didattiche di integrazione e di sostegno. (4)

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; sezione IiII; ordinanza 25 giugno 1985, n. 933; Pres.

Felici, Rei. Ciminelli; Salvi (Avv. Rubini) c. Min. pubblica istruzione (Avv. dello Stato Linguiti).

Istruzione pubblica — Scuola media di secondo grado — Minora

ti mentali — Iniziative didattiche di integrazione e di sostegno — Mancata previsione — Questione non manifestamente infon data di costituzionalità (Cost., art. 3, 30, 31, 34; 1. 30 marzo 1971 n. 118, conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971 n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili, art. 28; 1. 4 agosto 1977 n. 517, art. 2, 7; 1. 20 maggio 1982 n. 270, revisione della disciplina del reclutamento del perso nale docente della scuola materna, elementare secondaria e

artistica, ristrutturazione degli organici, adozione di misure ido

i principi teorici su cui appaiono fondate; cfr., orientativamente: T.A.R. Lazio, sez. III, 31 dicembre 1984, n. 1139, Foro it., 1985, III, 436, con nota di richiami (la fattispecie è, per l'appunto, in materia scolastica, in quanto si nega l'inammissibilità, per difetto di interesse, del ricorso proposto da un insegnante di scuola media avverso la deliberazione del collegio dei docenti che aveva respinto la sua proposta di adozione di un libro di testo, anche se in riferimento ad un anno scolastico ormai da tempo trascorso), e T.A.R. Lazio, sez. III, 29 luglio 1981, n. 797, id., Rep. 1982, voce Istruzione pubblica, n. 523 (anche tale fattispecie è in materia scolastica, ritenendosi esclusa la cessazione della materia del contendere, e l'improcedibilità per soprav venuta carenza di interesse, del ricorso proposto contro l'esito negativo dell'esame di maturità, allorché la commissione abbia provveduto a riformulare il giudizio, pur confermandone il contenuto negativo).

(2) Anche per questo profilo di diritto processuale la decisione è espressione del principio generale per cui la vocatio in ius, nell'ambito del processo amministrativo, si dirige nei confronti della autorità che ha emanato il provvedimento impugnato (e nei riguardi degli eventuali controinteressati individuabili prima facie sulla base del provvedimento stesso). In questo senso, v., indicativamente: T.A.R. Campania, sez. I, 22 agosto 1985, n. 395, Foro it., 1986, III, 72, con nota di richiami (la fattispecie è in materia di consulenti del lavoro) e T.A.R. Lombardia, sez. III, 5 luglio 1984, n. 209, id., 1985, III, 69, con nota di R. Ferrara (la sentenza pronuncia in materia scolastica, ritenendo ammissibile il ricorso di alcuni insegnanti dissenzienti di scuola elementare proposto contro una deliberazione di un circolo didattico non notificato agli altri insegnanti e ai genitori consenzienti).

(3-4) Il precedente più immediatamente rilevante è rappresentato da T.A.R. Lombardia, sez. III, 1° marzo 1985, n. 62, Foro it., 1986, III, 142, con nota di richiami, anche in riferimento alle specifiche, e

diversificate, discipline normative relative, da un lato, agli studenti

handicappati, e, d'altro lato, a quegli alunni semplicemente bisognosi di iniziative didattiche di sostegno e di integrazione.

Non si ha, tuttavia, in nessuna delle decisioni che si occupano di tali tematiche, una cosi netta affermazione circa la natura di mero interesse di fatto dell'interesse dei genitori a che il consiglio di classe

predisponga un programma di iniziative didattiche di integrazione e di

sostegno. È abbastanza consolidato, almeno in giurisprudenza, il

principio per cui il c.d. diritto allo studio non ha la consistenza del diritto soggettivo, bensì del mero interesse legittimo, ma non è assolutamente chiaro, nel caso di specie, se vi sia un obbligo —

correlato ad una posizione di vantaggio tutelata in capo agli interessati — a promuovere le suddette misure di sostegno, oppure no (cfr. la nota di richiami alla cit. sentenza del T.A.R. Lombardia n. 62/85, ove si esamina l'indirizzo non univoco della giurisprudenza su questo terreno, anche al confronto delle iniziative di sostegno — queste si

obbligatorie — che debbono essere disposte in favore degli alunni

handicappati, in relazione alla fascia della scuola dell'obbligo).

Il Foro Italiano — 1986.

nee ad evitare la formazione di precariato e sistemazione del

personale precario esistente, art. 12).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi

tuzionale dell'art. 28 l. 30 marzo 1971 n. 118, degli art. 2 e 7 l.

4 agosto 1977 n. 517 e dell'art. 12 l. 20 maggio 1982 n. 270, in

quanto non assicurano ai minorati mentali, a differenza dei

mutilati e invalidi civili, la frequenza alla scuola media anche

di secondo grado, apprestando le necessarie iniziative didattiche

di integrazione e di sostegno, in riferimento agli art. 3, 30, 31 e

34 Cost. (5)

I

Diritto. — Con ricorso di primo grado, i sigg. Dean Mario e

Pettarin Germana impugnavano, nell'interesse del figlio minore

Alessandro Maria Dean, il provvedimento — di cui chiedeva

l'annullamento — del consiglio di classe, per l'a.s. 1980-81 della

II B della scuola media statale « V. Pellis » di Fiumicello (UD), con il quale l'alunno suddetto era stato dichiarato non ammesso

a frequentare la III classe.

Con sentenza del T.A.R. Friuli-Venezia Giulia n. 227/82, in

data 4 giugno 1982 / 21 ottobre 1982, il ricorso veniva accolto, ritenendosi che l'omissione dell'attivazione delle iniziative di so

stegno — non motivata da un'infruttuosità del loro esperimento, ma correlata a carenze organizzative, addebitabili solo alla p.a. —

realizza, in particolare, il dedotto eccesso di potere, per inosser

vanza di norme vincolanti interne (la circolare n. 178 del 31

luglio 1978), che consente l'annullamento dell'atto impugnato. L'amministrazione appellante, in questa sede, ha chiesto: 1)

che, in primo luogo, il ricorso di primo grado venga dichiarato

improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse in relazione alla intervenuta ammissione dell'alunno Dean Alessandro Maria

alla classe III media, al termine dell'a.s. 1981/82; 2) che, in

subordine, il ricorso dei sigg. Dean e Pettarin venga respinto, in

considerazione della inammissibilità delle doglianze sollevate o,

quanto meno, della loro infondatezza, non essendo l'omessa

programmazione di attività di sostegno, di certo, idonea a rendere

illegittima la bocciatura di un alunno, e tanto meno potendo

comportare automaticamente la sua promozione, quando l'alunno

stesso, alla fine dell'anno scolastico, non abbia acquisito un

minimo di preparazione e dimostrato un livello sufficiente di

maturazione.

Anzitutto, va respinta, perché infondata, la richiesta di dichia

rare improcedibile il ricorso di primo grado, per sopravvenuta carenza di interesse. Pur non sussistendo, nel caso de quo, in

relazione all'avvenuta ammissione del giovane Dean Alessandro

Maria alla classe III media, al termine dell'a.s. 1981-82, una

situazione di vantaggio da tutelare, intesa nel senso dell'ammissi

bilità, per effetto della decisione giurisdizionale, a detta III classe, non può, peraltro, dubitarsi che sussiste, nella specie, l'interesse

morale a ricorrere contro il giudizio di non idoneità espresso

prima della ammissione alla classe successiva dall'anzidetto con

siglio di classe. Ciò posto, non comporta sopravvenuto difetto di

interesse l'impossibilità, per il ricorrente, di poter trarre utilità

materiale in caso di accoglimento del ricorso, perché anche il

solo interesse morale è idoneo a legittimare la tutela giurisdizio nale nei confronti di atti, che si ritengono illegittimi (v. Cons.

Stato, sez. IV, 119 del 15 marzo 1983, Foro it., Rep. 1983, voce Giu

stizia amministrativa, n. 421, e sez. VI 365 del 14 luglio 1982, id.,

Rep. 1982, voce cit, n. 494, in fattispecie relative, rispettivamente, a scrutinio per la promozione e ad esame di abilitazione alla libera

docenza).

Neppur sussiste l'inammissibilità del ricorso di primo grado,

per omessa notifica di esso al collegio dei docenti, perché il

ricorso risulta notificato al consiglio di classe, cioè all'organo che

ha emesso l'atto impugnato e cui competeva — ove lo avessero ritenuto opportuno — fare al collegio dei docenti la proposta delle iniziative di recupero, ai sensi dell'art. 4, lett. 1), d.p.r. 416/74, nonché alla scuola media statale «V. Pellis» di Fiumicel

lo, in persona del preside, che, ai sensi dell'art. 3 d.p.r. 31

maggio 1974 n. 417, ha la rappresentanza dell'istituto e presiede tutti gli organi collegiali della scuola, ad eccezione del consiglio

(5) Questione nuova, a quanto risulta, con cui si solleva il problema se il c.d. diritto allo studio si estenda, per gli alunni handicappati, anche alla scuola secondaria di secondo grado, e cioè oltre il ciclo della scuola dell'obbligo.

Per quest'ultima è pacifico che vi è una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo a poter fruire delle istituzioni scolasti che: cfr., in termini molto netti, T.A.R. Piemonte 5 giugno 1979, n. 287, Foro it., 1981, III, 110, con nota di richiami.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

d'istituto. Atteso ciò e considerato, altresì', che la competenza del

collegio dei docenti ricorre solo dopo l'inoltro della proposta da

parte del consiglio di classe in ordine alla anzidetta iniziativa, il

ricorso di primo grado deve ritenersi ritualmente notificato. Nel merito, l'appello è fondato. Invero, ha fondamento l'assun

to dell'amministrazione appellante: a) circa la natura di interesse di mero fatto dei ricorrenti in primo grado all'effettuazione delle

iniziative di integrazione o di sostegno in questione, trattandosi, in effetti, di un interesse, che, pur essendo riferibile all'esercizio di un servizio pubblico, si dimostrava proprio non di soggetti caratterizzati da una posizione particolare, ma di tutti indistinta mente e globalmente i destinatari del servizio; b) circa l'insussi stenza dell'obbligo — posta tale natura dell'interesse de quo —

da parte del consiglio di classe, di evidenziare nell'impugnato provvedimento i motivi della mancata adozione degli interventi in

argomento e circa, altresì', l'impossibilità che la circolare ministe riale n. 178/78 — stante la sua stessa natura — immuti alcunché in relazione alla facoltatività delle attività integrative o di sostegno, avendo la circolare stessa il solo scopo di disciplina re, per fini interni dell'amministrazione, l'attività educativa della

scuola, sul presupposto dell'intervenuta, insindacabile determina zione da parte degli organi scolastici competenti circa l'opportuni tà di programmare interventi di integrazione e di sostegno della

preparazione degli alunni.

Al riguardo, va osservato che, per quel che riguarda le attività

scolastiche di integrazione e le iniziative di sostegno, per alunni

non portatori di handicaps, l'art. 7, 1° comma, 1. 4 agosto 1977 n.

517 stabilisce che, al fine di agevolare l'attuazione del diritto allo

studio e la piena formazione della personalità degli alunni di

scuola media non portatori di handicaps, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche di integrazione anche a carattere interdisciplinare, organizzate per gruppi di

alunni della stessa classe o di classi diverse, ed iniziative di

sostegno, anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati

in relazione alle esigenze dei singoli alunni. Trattasi, in concreto, di attività — di cui non è, dunque, prevista l'obbligatorietà e su

cui nessuna innovazione importa o può importare, per la sua

natura, la c.m. n. 178 del 31 luglio 1978 — attuate dai docenti

della classe nell'ambito dell'orario complessivo settimanale degli

insegnamenti stabiliti per ciascuna classe ed il cui programma è

elaborato dal collegio dei docenti, sulla base di criteri generali indicati dal consiglio di istituto e delle proposte dei consigli di classe.

Non sussistendo l'obbligatorietà di tali iniziative di sostegno e

spettando la valutazione dell'opportunità o meno di esse esclusi

vamente agli organi competenti per legge, questi non sono tenuti

a giustificarne l'omessa istituzione (che, in mancanza di delibera

della loro programmazione, non può essere pretesa dai genitori

degli alunni). Un siffatto obbligo di motivazione — in sede di giudizio finale

— non è, peraltro, desumibile dall'art. 9 1. 517/77, che fa

riferimento alle iniziative programmate in favore degli alunni solo

come un possibile (eventuale) oggetto del colloquio degli inse

gnanti con i genitori degli alunni, a seguito dell'attribuzione dei

giudizi analitici e che, per la formulazione del giudizio finale, non dispone che si debba far cenno della eventuale necessità di

iniziative di sostegno, richiedendo, invece, che si debba tener

conto dei giudizi analitici per disciplina e delle valutazioni

espresse nel corso dell'anno sul livello globale di maturazione

raggiunto dall'alunno, con riguardo anche alle capacità ed alle

attitudini dimostrate. In base a tale norma, pertanto, l'omessa programmazione, nel

caso de quo, delle attività integrative e di sostegno non avrebbe

potuto in alcun modo imporre ai docenti, difettando i requisiti necessari per la promozione, la pronuncia di un giudizio positivo (Cons. Stato, sez. VI, n. 912 del 22 dicembre 1983, id., Rep.

1984, voce Istruzione pubblica, n. 390), mentre, ai sensi

del cit. art. 7, sono discrezionali il potere di proposta del

consiglio di classe ed il potere di deliberazione del collegio dei

docenti.

Il ricorso in appello, quindi, risulta fondato e, pertanto, va

accolto, con il conseguente annullamento dell'impugnata sentenza.

(Omissis)

II

Diritto. — La vicenda pone in evidenza una carenza legislativa nei confronti dei portatori di handicaps, che a giudizio del

collegio non sembra giustificata rispetto alle norme costituzionali

che di seguito saranno richiamate; e la prova è data dal

disorientamento che ha mostrato la p.a. nel caso di specie, come

può desumersi dagli atti di causa e come ammesso esplicitamente dalla stessa amministrazione (v. in particolare nota del provvedi tore agli studi di Roma n. 8522 del 17 ottobre 1983).

Il Foro Italiano — 1986 — Parte III- 16.

La Salvi — giovane diciottenne portatrice di handicap — dopo

aver frequentato senza alcun profitto il primo anno di scuola

professionale presso l'istituto « Garrone » di Roma, non è stata

più ammessa a ripetere la stessa classe, malgrado una prima iscrizione con riserva, di fatto revocata, impedendole successiva

mente di partecipare alle lezioni.

Assorbente è la questione d'illegittimità costituzionale dedotta

nel primo motivo del ricorso.

Si denuncia in tale motivo l'illegittimità dell'art. 28 1. 30 marzo

1971 n. 118 di conversione del d.l. 30 gennaio 1971 n. 5,

concernente norme a favore dei mutilati ed invalidi civili — in

relazione agli art. 3, 30, 31 e 34 Cost.

La questione ha una portata più ampia rispetto alla norma su

cui è dedotta.

Il 2° e 3° comma dell'art. 28, di cui in particolare si denuncia

l'illegittimità, dispongono testualmente: « L'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali

della scuola pubblica, salvo i casi in cui i soggetti siano affetti da

gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale

gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento nelle predette classi normali ». « Sarà facilitata,

inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole

medie superiori ed universitarie ».

La questione dell'illegittimità costituzionale va però oltre le due

disposizioni della 1. n. 118 del 1971, da cui si lamenta l'esclusione

degli handicappati. In realtà, le due norme nulla prevedono in favore espressamen

te di questi ultimi, a differenza degli altri soggetti — invalidi e

mutilati civili — ivi contemplati; ai quali si assicura la frequenza scolastica anche se afflitti da menomazioni fisiche o psichiche pari a quelle degli handicappati. Ma la questione investe più diretta

mente la 1. 4 agosto 1977 n. 517 e la I. 20 maggio 1983 n. 270,

ove, pur assicurandosi una tale frequenza agli handicappati, non

si riconosce il diritto al di là della scuola dell'obbligo. Invero fino agli anni sessanta l'ordinamento scolastico, salvo i

ciechi e i sordomuti, la cui istruzione obbligatoria — prevista dall'art. 175 r.d. 5 febbraio 1928 n. 577 — era assolta da appositi istituti o scuole speciali, si è disinteressato della scolarità dei

minorati mentali. L'assistenza al riguardo era affidata ai comuni

essenzialmente, quando non svolta da associazioni private o

istituzioni religiose. Le poche scuole speciali per i minorati fisici e psichici, gestite

dallo Stato, erano quelle istituite a suo tempo dai comuni e dalle

province con la legge Casati e successivamente passate allo Stato

per effetto del t.u. 14 settembre 1931 n. 1175.

L'unico riferimento legislativo alla scolarizzazione degli handi

cappati, anteriore agli anni sessanta, si trova nell'art. 230 r.d. n.

577 del 1928 ove si stabilisce un particolare onere finanziario a

carico dei comuni che prestassero assistenza scolastica ai ragazzi

subnormali.

È solo con le circolari 9 luglio 1962 n. 4525 e 2 febbraio 1963

n. 93 che il ministero della pubblica istruzione dettò le prime

disposizioni a proposito delle classi speciali e differenziali in

favore di fanciulli handicappati in età dell'obbligo scolastico.

Ad esse, dopo un periodo di particolare sensibilizzazione socia

le, coincidente con gli anni della contestazione giovanile

1968-1969, segui la circolare ministeriale 8 agosto 1975 n. 227,

recante interventi a favore degli alunni handicappati per l'anno

scolastico 1976-1977, che intese valorizzare le prime esperienze scolastiche registratesi con l'entrata in vigore della citata legge n.

118 per i mutilati ed invalidi civili. Ed è da allora che cominciò

a farsi strada il principio dell'inserimento del bambino handicap

pato nelle classi normali.

Segui ancora la circolare 29 settembre 1976 n. 228 per l'anno

scolastico 1976-1977. Con essa si stabiliva di proseguire le inizia

tive concernenti l'insegnamento nelle classi normali, precisandosi che le classi ove s'inserivano'gli handicappati (non più di due

per classe) non dovessero superare le venti unità.

Nell'agosto del 1977 venne esaminata la circolare ministeriale n.

216, la quale ha previsto l'iscrizione degli handicappati nelle

scuole di quartiere e l'attribuzione ai consigli di circolo e ai

collegi dei docenti il compito di programmare appositi piani

d'inserimento. Disposizione di grande rilievo, della stessa circola

re, fu poi quella di prevedere la possibilità di utilizzare nella

scuola elementare un insegnante di sostegno per ogni sei alunni

handicappati inseriti nelle classi normali, con la riduzione di tale

numero a quattro nei casi più gravi. Si arriva cosi alla 1. n. 517 del 1977. Questa in particolare,

negli art. 2 e 7, entrambi al 2° comma, prevede, rispettivamente

per la scuola elementare e la scuola media, forme di integrazione e di sostegno; nella scuola elementare con l'impiego di insegnanti

specializzati, coadiuvati da specialisti del settore, onde apprestare

ogni forma di sostegno agli alunni handicappati consentito sia

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Page 5: sezione VI; decisione 30 ottobre 1985, n. 558; Pres. Gessa, Est. Pauciullo; Scuola media statale « V. Pellis » di Fiumicello e altri (Avv. dello Stato Imponente) c. Dean, Pattarin.

PARTE TERZA

dall'ordinamento statale che dagli ordinamenti locali. E ciò se condo programmi predisposti dal consiglio scolastico distrettuale; nella scuola media stabilendo sei ore di sostegno settimanali da

assegnare a docenti di ruolo o incaricati dotati di particolari titoli di specializzazione, per lo svolgimento di programmi elaborati dal

collegio dei docenti in base a criteri generali fissati dal consiglio d'istituto ed utilizzando eventuali proposte dei consigli di classe.

Il problema della scolarità degli handicappati, così affrontato

per la prima volta oganicamente a livello legislativo, restava in

tal modo limitato alla scuola dell'obbligo, con esclusione della

scuola materna. Sopperiva al riguardo la 1. n. 270 del 1982 sul

precariato. La quale, nel fissare le dotazioni organiche, tiene conto nell'art. 12 della frequenza scolastica dei bambini ed alunni

portatori di handicaps. Allo stato, dunque, salvi generici riferimenti desumibili dall'art.

28 1. n. 118 del 1971, il quale — è bene ricordare — si rivolge direttamente ai mutilati ed invalidi civili, nessuna forma di legge assicura la frequenza degli handicappati nella scuola media di secondo grado, apprestando peraltro tutti i mezzi e le disposizioni necessarie per farvi fronte.

E tale carenza legislativa non può non presentarsi di dubbia

legittimità rispetto ai suindicati articoli della Costituzione: in

particolare rispetto all'art. 3 che, dopo affermato il principio di

uguaglianza, affida all'ordinamento il compito di rimuovere gli ostacoli impedenti il pieno sviluppo della persona umana; rispetto all'art. 30 che consacra il diritto all'istruzione di ogni cittadino;

all'art. 31 che affida alla Repubblica il compito di proteggere la

gioventù, favorendo gli istituti necessari allo scopo; come anche

all'art. 34 ove si afferma che la Repubblica rende effettivo il

diritto di tutti a frenquentare la scuola.

E i danni di tale carenza sono presenti nel caso di specie.

CONSIGLIO DI STATO; sezione III; parere 6 novembre 1984,

n. 1315.

Ordinamento penitenziario — Detenuti lavoratori — Mercede e

remunerazione — Ritenuta di una quota anche nei confronti

dei semiliberi — Ammissibilità (L. 26 luglio 1975 n. 354,

norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle

misure privative della libertà, art. 23).

La ritenuta dei tre decimi della mercede deve essere operata non

soltanto nei confronti dei detenuti che eseguono prestazioni lavorative all'interno degli stabilimenti carcerari ma anche nei

confronti di coloro che, usufruendo del regime di semilibertà,

eseguono prestazioni lavorative all'esterno di tali stabilimen

ti. (1)

Si premette: Riferisce l'amministrazione che, ai sensi dell'art.

23 1. 26 luglio 1975 n. 354, sull'ordinamento penitenziario, ai

detenuti lavorativi vanno corrisposti, a titolo di remunerazione

per l'attività lavorativa svolta, soltanto i 7/10 della mercede. Ed infatti, la differenza del 3/10 tra mercede e remunerazione,

mentre viene accantonata ai sensi dello stesso art. 23 ove trattasi

di detenuti imputati, viene, invece, per quanto concerne i con

dannati, in applicazione del d.p.r. 9 marzo 1979, versata al

ministero del tesoro — ufficio stralcio — in conseguenza della

soppressione della cassa per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto, disposta con la 1. 21 ottobre 1978 n. 641.

Nell'applicazione letterale della suindicata normativa, l'ammi nistrazione opera la trattenuta dei 3/10 anche nei confronti dei detenuti che lavorano in regime di semilibertà e degli ammessi al lavoro all'esterno, atteso che tali categorie, pur titolari del parti colare benefìcio di cui sopra, non perdono, né lo potrebbero, il loro status di detenuti.

Senonché, aggiunge l'amministrazione, alcuni magistrati di sor

veglianza, in accoglimento di reclami proposti da detenuti lavo

ranti in semilibertà, hanno disposto con ordine di servizio (vedi l'art. 69 1. n. 354/75) che la trattenuta dei 3/10 non possa e non

debba essere operata sui redditi da lavoro del semilibero, argo mentando che il lavoro svolto fuori dall'istituto costituisce ipotesi di attività lavorativa vera e propria, in nulla differenziabile da

quella svolta da un cittadino libero, e fuoriesce, quindi, dagli schemi del lavoro penitenziario; la retribuzione, pertanto, non

può in alcun modo assumere natura di « mercede », e non

possono conseguentemente essere applicate su di essa le trattenute

previste dalla legge.

(1) In argomento cfr. Trib. Roma, giud. di sorveglianza ordine di servizio 20 maggio 1985, in questo fascicolo, III, 238, con nota di Borsini.

Il Foro Italiano — 1986.

A tali ordini di servizio l'amministrazione afferma di aver dato e di continuare a dare esecuzione: si è così determinata una situazione di disparità di trattamento tra detenuti appartenenti alla medesima categoria di lavoratori in semilibertà, atteso che, in

esecuzione di quei provvedimenti, alcuni percepiscono l'intera

retribuzione, mentre gli altri continuano ad essere sottoposti al

prelievo dei 3/10. Senza voler dire, poi, della possibile disparità di trattamento sia con i detenuti lavoranti intramuralmente, sia con quelli ammessi al lavoro all'esterno, per i quali viene ancora effettuata la trattenuta.

Attesa la delicatezza del problema, l'amministrazione ha chiesto di conoscere sull'argomento il parere del Consiglio di Stato.

Si considera: Ritiene la sezione che la trattenuta dei 3/10 debba essere operata non solo nei confronti dei detenuti che

eseguono prestazioni lavorative all'interno, degli stabilimenti car

cerari, ma anche nei confronti di coloro che, usufruendo del

regime di semilibertà, eseguono prestazioni lavorative all'esterno

degli stabilimenti penitenziari.

Invero, dispone l'art. 23 1. 26 luglio 1975 n. 354 che la remunerazione corrisposta per il lavoro è determinata nella misu ra dell'intera mercede per gli internati, e di sette decimi della mercede per gli imputati ed i condannati. Aggiunge il 2° comma che la differenza tra mercede e remunerazione corrisposta ai condannati è versata alla cassa per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto. Il 3° comma, infine, chiarisce che la differenza tra mercede e remunerazione corripsosta agli imputati è accanto nata ed è versata all'avente diritto in caso di proscioglimento o di assoluzione, oppure alla cassa di cui al precedente comma in caso di condanna.

Orbene, osserva la sezione, in primo luogo, che alcuna repres sione del progetto normativo autorizza ad operare una distinzione tra il lavoro prestato all'interno dello stabilimento penale e

quello prestato all'esterno; anzi, l'ampiezza della espressione usata « remunerazione corrisposta per il lavoro » è tale da ricomprende re qualunque forma di prestazione lavorativa, quale che sia il

rapporto giuridico sottostante. In senso contrario va osservato che una diversità di trattamen

to, ove non fosse sorretta da adeguate giustificazioni fondate su concrete ed oggettive circostanze di fatto, si tradurrebbe in una inammissibile disparità che darebbe luogo alla violazione del

precetto costituzionale di eguaglianza. A tal fine soccorre la finalità della norma, chiaramente desumi

bile dalla destinazione dei proventi delle trattenute alla cassa per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto, contenuta nel 2° comma del citato art. 23. È evidente, infatti, che con l'istituzione di tale fondo il legislatore ha voluto dare alle vittime del delitto un segno tangibile di solidarietà sociale che, se non comporta un

integrale ristoro del danno subito, quanto meno attesta la parte cipazione concreta della collettività nei confronti di chi ha subito un torto.

In tale contesto, la partecipazione dei detenuti con una quota dei proventi del proprio lavoro ad alimentare le entrate del

fondo, ancorché in maniera del tutto simbolica, attesa la esiguità dei proventi, ha una funzione altamente morale e rieducativa, in

quanto indica la partecipazione di coloro che il danno hanno

prodotto all'opera di solidarità della collettività nei confronti di coloro che il torto hanno subito. Ciò spiega i motivi per cui le trattenute operate nei confronti degli imputati vengono da pri ma accantonate, e, quindi, conferite al fondo nel solo caso di successiva condanna, altrimenti vengono restituite all'imputato prosciolto.

Se tale è la finalità della norma — e sembra difficilmente contestabile — non si vede per quale ragione, ed in base a quali argomenti, da questa partecipazione ad un atto di solidarietà nei confronti delle vittime dell'illecito dovrebbero essere esentati quei detenuti che sono ammessi a lavorare all'esterno degli stabilimenti

penitenziari e che, per essere stati anch'essi condannati, ovvero in

previsione di una futura condanna, hanno al pari degli altri

procurato il danno cui la collettività intenda soccorrere. Né può affermarsi che la finalità della norma sia venuta meno

con la soppressione della cassa di soccorso e assistenza alle vittime del delitto, in quanto la formale soppressione dell'ente

preposto a tale opera non ha fatto venire meno l'intervento della società nei confronti delle vittime, né la destinazione dei proventi a tal fine.

Infatti, come chiaramente ha evidenziato il ministero del tesoro nella sua nota del 7 settembre 1984, le funzioni amministrative concernenti l'assistenza economica in favore delle famiglie biso

gnose dei detenuti e delle vittime del delitto sono state attribuite ai comuni, ai sensi dell'art. 25 d.p.r 24 luglio 1977 n. 616. La cassa per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto è stata

soppressa con l'art. 1 bis 1. 21 ottobre 1978 n. 641, che ha convertito in legge il d.l. 18 agosto 1978 n. 481, e la continuità

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