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Sezione VI; ordinanza 13 giugno 1980, n. 688; Pres. Laschena, Rel. Rosini; C.o.n.i. (Avv....

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Sezione VI; ordinanza 13 giugno 1980, n. 688; Pres. Laschena, Rel. Rosini; C.o.n.i. (Avv. Prosperetti) c. Ragni (Avv. Minieri) Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 1 (GENNAIO 1981), pp. 3/4-7/8 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171305 . Accessed: 28/06/2014 09:35 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.33 on Sat, 28 Jun 2014 09:35:36 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione VI; ordinanza 13 giugno 1980, n. 688; Pres. Laschena, Rel. Rosini; C.o.n.i. (Avv. Prosperetti) c. Ragni (Avv. Minieri)

Sezione VI; ordinanza 13 giugno 1980, n. 688; Pres. Laschena, Rel. Rosini; C.o.n.i. (Avv.Prosperetti) c. Ragni (Avv. Minieri)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 1 (GENNAIO 1981), pp. 3/4-7/8Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171305 .

Accessed: 28/06/2014 09:35

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PARTE TERZA

Quanto invece al prof. Muscolino Carmelo, altro ricorrente in

primo grado, doveva effettuarsi la notifica quale parte necessaria nel giudizio di primo grado (Sez. VI 292/1980). In difetto di

specifica disciplina circa il luogo di notificazione contenuta o ri

cavabile dal d. 1. 6 maggio 1948 n. 654 o dalla norme ivi richia

mate, in quanto trattasi di fase di impugnazione, occorre appli care i principi dettati in materia dal codice di rito, e cioè l'art.

330 cod. proc. civile. Nella specie, che riguarda un gravame av

verso decisione non notificata, la notifica dell'appello andava ef

fettuata presso il procuratore costituito alternativamente nella re

sidenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio.

Nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado ambedue

questi luoghi erano stati indicati. II secondo in Palermo presso il dott. Giuseppe Cogliandro, via Malaspina n. 30 e la prima in

Messina, via Lenzi n. 4 giusta il timbro dell'avv. Merlo esposto sul frontespizio del ricorso.

Legittimamente pertanto, risultava sloggiata la persona presso cui era stato eletto domicilio, la notifica è stata reiterata nella

residenza del procuratore ed effettuata, a mani proprie del sud

detto, dall'ufficiale giudiziario addetto all'ufficio unico notifiche

presso la corte d'appello sedente nella stessa città.

Tale modalità di notifica, peraltro, sarebbe comunque suffi

ciente, anche indipendentemente dalla dichiarazione di residenza

per concludere che l'atto ha raggiunto il suo scopo (v. Cass. 14

maggio 1977, n. 1054, Foro it., Rep. 1977, voce Impugnazioni ci

vili, n. 80). (Omissis) L'appello conseguentemente deve essere accolto annullandosi

senza rinvio la decisione impugnata. Per questi motivi, ecc.

III, 610, con nota di richiami. Nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 1980, n. 457, Cons. Stato, 1980, I, 705, che ha esaminato una fattispecie particolare, nonché Sez. V 22 aprile 1977, n. 369, cit., e 11 marzo 1977, n. 184, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 786.

Nessuna di tali decisioni, però, motiva il proprio orientamento alla

luce del disposto dell'art. 28 legge istitutiva dei T.A.R., che afferma

applicabile l'art. 330 cod. proc. civ.: il richiamo, contenuto in nu

merose decisioni, a Cons. Stato, Sez. V, 27 settembre 1967, n. 1081,

id., Rep. 1967, voce cit., n. 337, fa presumere che la giurisprudenza applichi l'orientamento consolidatosi in tema di appello avverso le

decisioni delle G.P.A. (illustrato da A. M. Sandulli, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato, 1963, 430, nota 1), temperandolo in

relazione alla nuova disposizione normativa.

C. E. Gallo

CONSIGLIO DI STATO; Sezione VI; ordinanza 13 giugno 1980, n. 688; Pres. Laschena, Rei. Rosini; C.o.n.i. (Avv. Prospe

retti) c. Ragni (Avv. Minieri).

Impiegato delio Stato e pubblico — Rapporto a tempo determi

nato — Pluralità di rinnovi — Difetto di tempestiva impugna zione dell'apposizione del termine — Trasformazione in rap

porto a tempo indeterminato — Rimessione della questione all'adunanza plenaria (Legge 18 aprile 1962 n. 230, disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, art. 1, 2).

È opportuno deferire all'adunanza plenaria la questione se un

rapporto di impiego pubblico a tempo determinato più volte

prorogato (nella specie, senza soluzione di continuità, e per una attività connessa con i fini istituzionali dell'ente pubblico,

quale quella di allenatore federale della Federazione italiana

atletica leggera, affiliata al Comitato olimpico nazionale ita

liano) possa o meno considerarsi trasformato in rapporto di

impiego pubblico a tempo indeterminato, anche in difetto di tempestive impugnazioni dell'apposizione del termine a vari

atti di rinnovo della nomina. (1)

(1) La questione è stata rimessa all'adunanza plenaria dalla stessa Sez. VI del Consiglio di Stato, anche con l'ordinanza 8 luglio 1980, n. 703, Cons. Stato, 1980, I, 1049.

Su tale questione, la Sez. V 11 gennaio 1980, n. 6, in questo fa

scicolo, IIiI, 16, con nota di richiami, si è mostrata più possibilista ammettendo il ricorso oltre il termine decorrente dalla comunicazione all'interessato del provvedimento di assunzione al quale era stata ap posta la clausola di durata, ma, sembra, soprattutto per ragioni atti nenti alla particolarità della fattispecie: tale clausola era stata formu lata non chiaramente, ed era interpretabile anche come riserva al l'amministrazione di disporre il recesso ad nutum dal rapporto.

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A

BRUZZO; Sezione di Pescara; sentenza 27 novembre 1979, n.

142; Pres. Pmoso, Est. Ciminelli; Rossi (Avv. Buracchio) c.

Regione Abruzzo (Avv. dello Stato Bafile).

Impiegato dello Stato e pubblico — Incarico a tempo determi

nato — Trasformazione in rapporto di pubblico impiego a

tempo indeterminato — Esclusione (Legge 18 aprile 1962 n.

230, art. 1, 2).

L'incarico a tempo determinato che l'amministrazione attribuisca

per far fronte a temporanee deficienze degli organici non si tra

sforma in rapporto di pubblico impiego a tempo indetermi

nato neppure nei casi nei quali questa trasformazione conse

guirebbe all'applicazione della normativa prevista in propo sito per il rapporto di lavoro di diritto privato. (2)

I

La Sezione, ecc. — Il punto centrale della controversia è

quello, prospettato nel quarto motivo dell'atto di appello, dei li

miti in cui è applicabile ai rapporti di pubblico impiego la disci

plina della legge 18 aprile 1962 n. 230.

Nel caso, il problema si pone, più che in considerazione della

mancanza di effettive soluzioni di continuità tra i periodi di ser

vizio del ricorrente (art. 2, capov., della legge), nella prospettiva della oggettiva natura delle sue prestazioni (art. 1), che non appa re temporanea bensì strettamente correlata ai fini istituzionali del

C.o.n.i. Il signor Ragni, infatti, ha svolto per diciassette anni le

funzioni di allenatore di atletica leggera della F.i.d.a.l., la quale è

organo del C.o.n.i. ed ha per scopo statutario quello di promuo

vere, diffondere e disciplinare la pratica dell'atletica leggera. Tali funzioni sono state espletate dal signor Ragni, nel lungo

periodo suaccennato, ininterrottamente, ma in base ad incarichi

di durata annuale (a quanto sostiene il C.o.n.i., che asserisce di

averglieli affidati verbalmente) dal 1947 al 1957, di durata trien

nale dal 1958 al 1964. Si tratterebbe dunque, secondo il C.o.n.i.,

di tanti rapporti d'impiego a tempo determinato (se non si tratta

di rapporti di lavoro autonomo, come il C.o.n.i. sostiene in via

principale) anziché di un unico rapporto d'impiego a tempo inde

terminato come ha ritenuto il T.A.R. accogliendo la domanda del

ricorrente.

L'appellante C.o.n.i. sostiene che, avendo qualificato i suoi rap

porti col signor Ragni come rapporti di lavoro autonomo, tale

qualificazione della natura del rapporto, e l'esplicita limitazione

della sua durata temporale, vietano di attribuire ai rapporti stessi

una configurazione diversa, siccome contenuta negli atti (inop

pugnati e inoppugnabili) che li hanno costituiti.

Tale difesa, benché non s'attagli al periodo 1947-1956, per il

quale non esistono atti amministrativi che qualifichino in qualche modo il rapporto fra le parti, pone però, oltre che il problema della natura del rapporto stesso (se di lavoro autonomo o impie

gatizio), quello — subordinato alla soluzione del precedente —

degli effetti degli atti che nel periodo successivo hanno istituito

una soluzione di continuità tra il triennio 1957-1960 e il triennio

1961-1964. Il T.A.R. li ha ritenuti irrilevanti, avendo liquidato a

favore del ricorrente l'indennità di anzianità per 17 anni sulla

base dell'ultima retribuzione; con una decisione, però, che se è

esplicita nel ritenere il rapporto d'impiego è invece soltanto im

plicita sulla alternativa tra rapporto a tempo determinato e rap

porto a tempo indeterminato (se avesse optato per la prima solu

zione avrebbe dovuto liquidare l'indennità di anzianità separata mente per i diversi, benché ininterrottamente successivi, rap

porti a tempo determinato). La soluzione implicitamente accolta dal primo giudice presup

pone altresì che l'applicazione dell'art. 1, 1° comma, legge 18

aprile 1962 n. 230, possa spiegare sui rapporti di pubblico im

(2) La sentenza si conforma all'orientamento dominante in giuris prudenza, che si basa sulla particolare disciplina del rapporto di pub blico impiego: nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. I, 17 marzo 1978, n. 816/77, Cons. Stato, 1980, I, 579; T.A.R. Abruzzo, Sez. L'Aquila, 28 novembre 1979, n. 474, e Sez. Pescara 27 novembre 1979, n. 142, Trib. amm. reg., 1979, I, 320 e 335.

Anche sotto questo profilo, la richiamata Cons. Stato, Sez. V, 11 gennaio 1980, n. 6, appare meno rigida, perché ha fondato la man cata trasformazione del rapporto di impiego a termine in un rapporto di impiego a tempo indeterminato, nella fattispecie, anche sulla va rietà di mansioni per le quali il dipendente era stato volta a volta assunto (nella specie, dipendente assunto reiteratamente da un co mune, per i periodi estivi, per la gestione di uno stabilimento di ba

gni marini, e per i periodi invernali, per il funzionamento di im pianti di riscaldamento).

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

piego i medesimi effetti che produce sul rapporto di lavoro pri vato; ciò che è rifiutato dalla giurisprudenza del Consiglio di

Stato, secondo la quale nei rapporti di pubblico impiego l'even tuale violazione delle disposizioni di legge sulla costituzione di

rapporti a tempo determinato si risolve in un vizio di legittimità dell'atto autoritativo di nomina, che va tempestivamente impu gnato secondo le regole generali (Ad. plen. 21 giugno 1968, n.

15, Foro it., 1969, III, 14); sicché, qualora i provvedimenti di no

mina costitutivi dei rapporti a tempo determinato siano divenuti

inoppugnabili, non è possibile contestarne la legittimità al fine di

far derivare, da una diversa configurazione del rapporto, pretese a diritti o indennità (Sez. VI 30 ottobre 1979, n. 758).

Questa giurisprudenza, presenta, però, di recente, qualche oscil

lazione. Cosi, è stato ritenuto che il soggetto assunto alle dipen denze di una pubblica amministrazione con rapporto d'impiego a tempo determinato non ha interesse attuale ad impugnare il

provvedimento di assunzione — e quelli, eventualmente successi

vi, che periodicamente rinnovano il rapporto — per denunciare

la illegittimità del limite temporale apposto, concretandosi l'inte

resse alla impugnazione, al fine di far valere il diritto alla con

tinuazione del rapporto, solo quando l'amministrazione non rin

nova il rapporto stesso alla scadenza (Sez. V 26 ottobre 1976, n.

1304, id., Rep. 1976, voce Impiegato degli enti locali, n. 34; 31

luglio 1979, n. 543, id., Rep. 1979, voce cit., n. 25; 28 settembre

1979, n. 573, ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 125). Una diversa soluzione potrebbe essere suggerita dalla lettera

della legge n. 230/62, secondo cui il rapporto, nei congrui casi, « si reputa » (art. 1, 1° comma), o « si considera » (art. 2, 2° com

ma) a tempo indeterminato. Tali disposizioni normative, più che

prescrivere regole di condotta, la cui violazione non impedisce che gli atti da essa affetti valgano, finché non siano annullati, a

regolare — anche in difformità della regola stessa — i rapporti da essi istituiti, sembrano incidere direttamente e immediata

mente sugli atti costitutivi dei rapporti disponendo la sostitu

zione ope legis della disciplina legale del rapporto a quella con

essa contrastante.

Una prospettiva, questa, certamente non nuova; ma che può essere riproposta, nel quadro di quel progressivo avvicinamento delle discipline dei rapporti di lavoro pubblico e privato, che ca

ratterizza la più recente legislazione.

Appare, pertanto, opportuno rimettere il ricorso all'adunanza

plenaria a norma dell'art. 45 t. u. 26 giugno 1924 n. 1054, come

modificato con legge 21 dicembre 1950 n. 1018.

Per questi motivi, ecc.

II

Il Tribunale, ecc. — Il collegio ritiene che, in assenza di una

specifica disciplina normativa in tal senso sul personale avventi zio della regione, la legge n. 230 del 1962 non possa applicarsi in

via amministrativa volta a volta che si conferiscano incarichi per far fronte ad eventuali carenze di organici presso gli uffici re

gionali. Ciò in quanto — mentre tale disciplina si ravvisa direttamente

operativa nel campo della contrattazione privata riguardante la

costituzione di rapporti di lavoro — sul piano del diritto pub blico non si appalesa altrettanto automatico l'adattamento del

l'azione amministrativa al medesimo regime. Benvero, perché qui vi possa quest'ultimo operare occorre che la pubblica amministra zione riceva apposita legittimazione da una adeguata fonte nor

mativa, che faccia proprio il principio affermato dalla legge del

1962 contemperandolo con le finalità ed i limiti ad essa incom

benti nell'esercizio della sua potestà organizzatoria. La legge n. 230 del 1962 stabilisce — come è noto — una

presunzione di natura sostanziale, idonea ad influire coattiva mente sull'attività negoziale dei soggetti privati (e pur anche del l'amministrazione qualora agisca in veste privatistica) attraverso la sostituzione legale del rapporto di lavoro ad tempus — posto in essere al di fuori dei casi consentiti — in un nuovo rapporto sine die. Con ciò il legislatore ritiene di assicurare — ed in que sto si rinviene la ratio della norma — la confluenza di benefici

per entrambe le parti del rapporto: quali la stabilità del posto di

lavoro e la conseguente fonte di sostentamento per il prestatore di lavoro, i vantaggi dell'anzianità, ecc.; redditività crescente per la continuità delle prestazioni, utilizzazione da parte del datore

di lavoro dell'addestramento professionale del proprio dipenden

te, ecc. Il legislatore, in altri termini, considera che il contratto a

tempo indeterminato dia alle parti maggiore affidamento nelle pro

spettiva di una continuità nel tempo dello scambio delle prestazio ni. Pertanto, la legge del 1962 — nell'apprezzamento sociale che vi

sottende — non altera affatto la funzione dell'atto negoziale, stan

te la confluenza dei reciproci vantaggi — rectius: interessi di ana

loga natura e pari consistenza giuridica — che essa direttamente

intende assicurare ai contraenti pure nell'evenienza di un suo intervento sostitutorio, sopraccennato, all'autonomia privata. E

quindi, la causa tipica del contratto (art. 2094 cod. civ.) risulta in tal modo confermata integralmente.

Al riguardo si prospetta sostanzialmente diversa la situazione, allorché si versa nell'ambito del pubblico impiego.

È noto, innanzitutto, che non ci si trova di fronte ad una atti vità di natura contrattuale quando venga emanato un provvedi mento di nomina in un pubblico impiego o — come nel caso di specie — sia conferito l'incarico ad espletare un pubblico servi zio presso un organismo amministrativo, stante l'indiscussa natura autoritativa dell'atto che in tali casi la pubblica amministrazione pone in essere. Onde l'inconfigurabilità di una contrapposizione di interessi di identica natura e consistenza giuridica nonché

l'impossibilità di rapportare parimenti questi ultimi alla stessa nor mativa quale appunto quella introdotta dalla legge n. 230 del 1962; che, peraltro, — per la portata essenzialmente civilistica delle dispo sizioni in essa contenute — si presenta del tutto priva di una vera e propria regola di azione direttamente rivolta alla pubblica am ministrazione. Né a fortiori appare concepibile — diversamente da quanto prima osservato in riferimento all'attività privatistica — la conformazione automatica, per via di una cogente sostituzione ex lege, della volontà espressa unilateralmente dall'amministra zione nel proprio provvedimento di nomina alla predetta disci plina sull'indeterminatezza temporale del rapporto di lavoro. E d'altro canto deve escludersi che all'amministrazione medesima sia consentito sic et simpliciter adeguare a tale disciplina — sen za una preventiva legittimazione da parte dell'ordinamento am ministrativo — le proprie determinazioni in materia, implicanti l'esercizio della potestà organizzatoria ad essa istituzionalmente riconosciuta.

Ciò in quanto l'amministrazione incontra una complessa serie di prescrizioni — scaturenti da fonti di produzione normativa di grado diverso — a presidio dell'interesse pubblico, a cui tende l'attività amministrativa posta in essere nella gestione di quel suo potere organizzativo. Prescrizioni consistenti in un fronte di li miti normativi che si oppone all'invocata applicazione immediata, e cioè in via meramente amministrativa, della legge 230/1962.

Giova a tal proposito richiamare le norme costituzionali di cui agli art. 51, 1" comma, e 97, 3° comma, nonché i principi generali desumibili dalla legislazione ordinaria statale sul pubblico im piego ed in particolare alcune leggi più rilevanti che confermano il predetto assunto, quali il d. 1. 4 aprile 1947 n. 207 (secondo cui « sono vietate nuove assunzioni di personale non di ruolo presso amministrazioni dello Stato...»), il d. pres. 19 marzo 1948 n. 246 (dispone limiti e modalità per assunzioni eccezionali fuori ruolo), il d. 1. 5 febbraio 1948 n. 61, il d. pres. 31 marzo 1971 n. 276 (che disciplina le assunzioni temporanee di personale presso le amministrazioni dello Stato), la normativa sul conferimento di incarichi e supplenze presso le scuole statali di istruzione se condaria di cui da ultimo alla legge 9 agosto 1978 n. 463 e alla

legge 27 marzo 1978 n. 43 (che, nel dettare norme concernenti la finanza locale, ha disposto preclusioni ulteriori all'assunzione di

personale, ecc.). Più in particolare dalla normativa regionale sono desumibili

ulteriori considerazioni a conferma di quanto fin qui rilevato. L'art. 55, 2° comma, lett. a), dello statuto regionale e l'art. 3

legge reg. 2 agosto 1973 n. 32 stabiliscono che l'accesso all'orga nizzazione amministrativa regionale debba avvenire tramite con corso. Tale normativa non sembrerebbe prima facie direttamente riferibile alla fattispecie di cui si discute.

E, benvero, trattasi nel primo caso di uno dei principi statu tari predisposti per la disciplina del personale, come tali, diretta mente rivolti al legislatore regionale, competente sulla materia in via esclusiva per la riserva di legge prevista dagli art. 31 e 55 dello stesso statuto. La seconda norma invece riguarda in gene rale gli impiegati destinati ai ruoli organici degli uffici regionali. Tuttavia, il riferimento a tale normativa sulla obbligatorietà del concorso per l'accesso nella pubblica amministrazione si giustifica in quanto trattasi di un principio a cui deve ispirarsi anche l'am ministrazione allorché intenda provvedere in materia e soprat tutto quando — come per l'avventiziato, di cui si discute —

trattasi di un particolare personale sfornito di apposita disciplina legislativa. E ciò sia perché entrambe le norme richiamate hanno una portata generale, sia perché attiene ad un fondamentale prin

cipio di ragionevolezza che la pubblica amministrazione si con

formi nell'esercizio delle sue funzioni — in questo caso della sua

potestà organizzatoria — alla normativa generale preesistente, in mancanza di una specifica disciplina giuridica della materia su

cui essa intenda provvedere. Né potrebbe obiettarsi che il principio dell'obbligatorietà del

concorso vige solo per l'accesso nei ruoli organici dell'ammini

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PARTE TERZA

strazione, mentre con il conferimento di incarichi a tempo inde

terminato tale evento non si verifica. Non può, difatti, discono

scersi che il rapporto di impiego sine die determini comunque una consolidazione del rapporto e quindi una incardinazione

permanente di personale nelle strutture organizzative della pub blica amministrazione disattendendo proprio il fondamentale prin

cipio — vigente in materia — della predeterminatezza dei ruoli

organici del personale amministrativo. In altri termini, il rapporto di servizio a tempo indeterminato, se fosse considerato legittimo in assenza di una apposita normativa, costituirebbe un corpo di

personale stabile extra ordinem in violazione alla regola che im

pone la predeterminazione qualitativa e quantitativa di ruoli

organici nonché della relativa copertura finanziaria ex lege. Come

pure risulterebbe violato quel principio dell'obbligatorietà del

concorso fissato dalle richiamate norme regionali, ma che trova

ancor prima origine nella stessa Costituzione, di cui pure si è

fatto cenno.

Da tutto ciò consegue che nella logica dell'impiego pubblico è vietato all'amministrazione assumere a tempo indeterminato per

sonale oltre i limiti qualitativi e quantitativi prefissati dagli orga

nici a meno che apposite norme di legge non lo prevedano attri

buendo apposita potestà alla medesima.

Né, d'altro canto, può obiettarsi che l'integrità di tali principi

verrebbe tutelata ex post in virtù delle norme sul licenziamento

del personale disposte negli art. 2119 cod. civ. e 3 legge 15 luglio

1966 n. 604 (per giusta causa e giustificato motivo): ciò in quan

to tale normativa non è evidentemente compatibile con la disci

plina giuridica e la natura stessa dell'organizzazione amministra

tiva pubblica, trattandosi di norme delineanti fattispecie che ben

sono individuabili, invece, nell'ambito di organismi a struttura

imprenditoriale e comunque fondati su presupposti privatistici.

Ed infine non vale nemmeno rilevare che nella specie trattasi di

personale che, pur non entrando nel corpo burocratico regolare

dei centri di addestramento professionale in questione, assolve in

pratica alle stesse funzioni del personale di ruolo ivi operante

e che l'assunzione de qua avviene solo per temporaneo difetto

di organico. Benvero, per fronteggiare carenze di organici soccorre appunto

l'avventiziato ad tempus legittimamente assumibile per via am

ministrativa, come finora risulta aver fatto la regione per l'esple

tamento dei corsi professionali passati. Infatti, la finalità di tale

forma di assunzioni sta proprio nell'esigenza di far fronte a tem

poranee e sempre possibili carenze di organici. Sicché ad essa

è senz'altro legittimo per la pubblica amministrazione far ricorso

purché — per quanto finora esposto — le assunzioni avvengano

a tempo determinato e non sine die.

Nello stesso motivo di gravame il ricorrente si duole che la

regione assuma personale a tempo determinato alle proprie di

pendenze mentre finanzia nel contempo l'attività di formazione

professionale gestita da altri enti con insegnanti assunti a tempo

indeterminato in forza di apposito accordo collettivo.

La censura di eccesso di potere per disparità di trattamento ed

illogicità manifesta, in tal modo sollevata, risulta infondata, ol

treché per quanto esposto sopra in ordine all'altro motivo di gra

vame, per non aver il ricorrente prospettato una fattispecie per

fettamente assimilabile alla propria posizione cosi come si ri

chiede per l'evidenziazione di una sufficiente sintomatologia del

vizio lamentato.

In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto solo per la parte del provvedimento del 1° dicembre 1977 n. 8799, concernente

l'attribuzione della qualifica di « istruttore » comportando ciò l'ob

bligo della regione della rivalutazione dello stipendio e della cor

responsione degli arretrati conseguenti alla qualifica di « funzio

nario », in base a quanto previsto nella tabella B) allegata alla

legge 2 agosto 1973 n. 32.

Per quanto riguarda la delibera consiliare del 3 giugno 1976

n. 33/13 il ricorso è infondato e va rigettato. Per questi motivi, ecc.

CONSIGLIO DI STATO; Sezione VI; ordinanza 10 giugno 1980,

n. 660; Pres. Daniele, Rei. Vaiano; I.n.p.s. (Avv. Guarino)

c. Iovine e altri (Avv. Sorrentino).

Impiegato dello Stato e pubblico — Contrattazione collettiva —

Decreto presidenziale di recepimento degli esiti — Interpreta zione — Norme applicabili — Rimessione della questione al

l'adunanza plenaria. Contabilità dello Stato — Crediti verso la pubblica amministra

zione — Interessi corrispettivi — Decorrenza — Mancanza di

certezza — Difetto di impegno di spesa — Rimessione della

questione all'adunanza plenaria.

È opportuno rimettere all'adunanza plenaria la questione se

nell'interpretazione dei decreti presidenziali di ricezione degli

esiti della contrattazione collettiva per la disciplina del pub

blico impiego, debbano applicarsi le norme per l'interpreta

zione della legge oppure quelle per l'interpretazione dei con

tratti, ed in particolare il principio del c. d. affidamento. (1)

È opportuno rimettere all'adunanza plenaria la questione se

gli interessi corrispettivi sui crediti verso la pubblica ammi

nistrazione comincino a decorrere anche se tali crediti non

siano ancora certi, ed anche se non siano stati emessi i relativi

impegni di spesa. (2)

La Sezione, ecc. — La sezione ritiene che debba essere accolta

la richiesta concorde delle parti di rimessione del ricorso al

l'adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali di questo con

siglio. La decisione del ricorso presuppone, infatti, la risoluzione di

questioni comportanti l'affermazione di principi giuridici di parti

colare rilievo teorico e pratico.

La soluzione del problema posto con il primo motivo passa

attraverso l'interpretazione della normativa contenuta nel d. pres.

n. 411 del 1976 che costituisce il primo decreto emanato in at

tuazione della normativa dell'art. 28 legge 20 marzo 1975 n. 10.

La detta procedura prevede che tra le delegazioni degli enti e

delle organizzazioni sindacali sia raggiunta una « ipotesi di ac

cordo », che detta ipotesi sia successivamente approvata dal con

siglio dei ministri e che, poi, su proposta del presidente del con

(1) La questione rimessa all'adunanza plenaria, relativamente ai cri

teri di interpretazione del decreto presidenziale che regola determinati

aspetti della disciplina del rapporto di pubblico impiego, recependo

gli esiti della contrattazione collettiva con i sindacati, si presenta co

me conseguenziale all'accoglimento della tesi, secondo la quale tale

decreto non avrebbe forza di legge (delegata), ma sarebbe un atto am

ministrativo, probabilmente di carattere regolamentare.

Questa tesi era già dominante in giurisprudenza: T.A.R. Umbria 31

marzo 1978, n. 119, Foro it., 1979, III, 562, con nota di richiami;

ed è stata poi confermata da Corte cost. 27 febbraio 1980, n. 21,

id., 1980, I, 898, e 25 giugno 1980, n. 100, id., 1980, I, 2383, con

note di richiami. A tali richiami, adde, sempre nello stesso senso, e per casi di giudi

zio sulla legittimità di tali decreti da parte del giudice amministra

tivo, Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 1980, n. 1003, Cons. Stato,

1980, I, 1308; 22 febbraio, 20 maggio, 24 giugno 1980, n. 215,

585 e 700, ibid., 219, 688 e 908; Sez. VI 8 luglio 1980, n. 706,

ibid., 1056; T.A.R. Lombardia, Sez. Milano, 4 ottobre 1979, n. 737,

Trib. amm. reg., 1979, I, 3785; T.A.R. Valle d'Aosta 14 luglio

1978, n. 43, Foro it., Rep. 1979, voce Impiegato dello Stato, nn.

67, 70. Viceversa, per la tesi secondo la quale tali decreti avrebbero

carattere e forma di legge delegata, v. T.A.R. Lazio, Sez. II, 19

settembre 1979, n. 758, Trib. amm. reg., 1979, I, 3146; T.A.R.

Abruzzo, Sez. Pescara, 21 novembre 1978, n. 209, Foro it., Rep. 1979,

voce clt., n. 66.

In dottrina, da ultimo, A. Romano, Pubblico impiego e contrat

tazione collettiva, in Atti del XXV convegno di studi di scienza del

l'amministrazione, 201. Circa la analoga questione sorta a proposito di contratti collettivi

resi efficaci erga omnes mediante recezione in decreto del presidente

della Repubblica ai sensi della legge n. 741/1959 v., nella motivazione,

Cass. 11 novembre 1976, nn. 4175 e 4176, Foro it., 1977, I, 394 e 403,

con nota di richiami.

(2) La stessa sezione ha già rimesso all'adunanza plenaria la que

stione del momento a partire dal quale i crediti vantati dal dipendente

verso l'amministrazione comincino a produrre interessi, nonché quella

della sussistenza della giurisdizione ordinaria o della giurisdizione am

ministrativa al riguardo e sulla domanda di rivalutazione dei cre

diti stessi: ord. 15 gennaio 1980, n. 10, Foro it., 1980, III, 447, con

nota di richiami, ai quali adde, nel senso che i crediti vantati verso

l'amministrazione cominciano a produrre interessi corrispettivi solo

dopo l'emissione del mandato di pagamento, Cons. Stato, Sez. VI, 22

aprile e 6 maggio 1980, nn. 417 e 523, Cons. Stato, 1980, I, 498 e

653; nel senso che questo principio non si applica ai crediti verso le

aziende municipalizzate, e, in genere, non vale per i crediti di la

voro, Cass. 5 marzo 1980, n. 1489, Foro it., Mass., 290; Cass. 12

marzo 1980, n. 1656, id., 1980, I, 957, con nota di richiami, ha

applicato il principio agli interessi per la mancata corresponsione dell'indennità di anzianità da parte di una azienda municipalizzata; nel senso della giurisdizione del giudice amministrativo sulla doman

da di rivalutazione degli stipendi arretrati, T.A.R. Piemonte 25 set

tembre 1979, n. 423, Trib. amm. reg., 1979, I, 3465.

Nel senso che il suddetto principio rigoroso non si applica agli interessi moratori, con particolare riguardo alle conseguenze del

ritardo del pagamento da parte dell'amministrazione dei canoni per l'affitto di immobili, Cass. 4 giugno 1980, n. 3632, Foro it., Mass.,

725; 29 marzo 1980, n. 2065, ibid., 407; 17 gennaio 1980, n. 384,

id., 1980, I, 958, con nota di richiami. La questione di costituziona

lità di tale principio è stata sollevata da Trib. Torino, ord. 7 giugno

1977, id., 1980, I, 1543, con nota di richiami.

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