sezione VI penale; sentenza 1° febbraio 1994; Pres. Di Gennaro, Est. Trojano, P.M. (concl. conf.);Cuozzo. Conferma Trib. Napoli, ord. 22 luglio 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 5 (MAGGIO 1995), pp. 303/304-305/306Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190026 .
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PARTE SECONDA
ginali cosi' da non inficiare la credibilità complessiva della chia
mata di correo.
L'ufficio ricorrente rimprovera inoltre al tribunale l'omesso
esame dei profili relativi all'attendibilità estrinseca delle accuse
del Binasco. Si lamenta in particolare che il giudice a quo ha
illogicamente svalutato sia le dichiarazioni del Gavio, il quale avrebbe fornito un dato di riscontro allo specifico episodio rife
rito dal chiamante, sia quelle rese da altri soggetti, imprenditori o politici circa l'adesione del Pds al sistema delle tangenti, in
terpretandone, peraltro, erroneamente l'effettivo contenuto, e,
inoltre, non ha considerato che l'intervento dello Stefanini nelle
trattative concernenti la risoluzione del contratto preliminare di
compravendita aveva trovato conferma nelle ammissioni com
piute dallo stesso Stefanini e dal Fredda.
Anche tali censure sono fondate. Deve, innanzi tutto, pre mettersi che, come risulta dall'ordinanza impugnata, le accuse
del Binasco hanno trovato nelle dichiarazioni rese dal Fredda
un principio di riscontro obiettivo in ordine alla rinunzia, da
parte del chiamante, agli interessi legali maturati sulla somma
versata a titolo di acconto. Va, inoltre, rilevato che il tribunale
ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni compiute dal Binasco
e da altri soggetti circa la partecipazione del suddetto partito al sistema delle tangenti (con particolare riguardo alla riunione
promossa nel 1989 dal sen. Libertini), sotto il duplice profilo che tali dichiarazioni sarebbero state rese, peraltro tardivamen
te, al fine di compiacere l'accusa e che non sarebbe credibile
l'affermazione dello stesso Binasco, secondo cui gli imprendito ri avrebbero considerato con compiacimento la prospettiva di
dover finanziare anche il Pds.
Sennonché neanche tali argomenti rispettano i canoni di una
logica motivazione. Invero, quanto al primo di essi, è sufficien
te richiamare le considerazioni in precedenza esposte. Quanto al secondo il tribunale non ha considerato l'eventualità che la
modifica dell'orientamento del partito in ordine alla gestione
degli appalti, poteva, se vero, rispondere in astratto anche ad
un vantaggio degli imprenditori, interessati innanzi tutto ad un
trattamento di favore nell'assegnazione delle commesse. Anche
il coinvolgimento dell'on. Stefanini, riferito dal Binasco per aver
lo appreso dall'indagato, imponeva una motivazione più pun
tuale, incentrata su di un'accurata disamina delle dichiarazioni
rese dal Fredda e dallo stesso Stefanini — cosi come richiamate
nell'ordinanza impositiva della misura e nel ricorso — al fine di verificare la sussistenza di eventuali riscontri. Ed a tal riguar do giova rilevare come non appaiono di per sé decisivi al fine
di escludere l'attendibilità del coinvolgimento dello Stefanini né — per i motivi già esposti — la tardività delle affermazioni fatte sul punto dal chiamante, né — in quanto generico — il
riferimento contenuto nell'impugnata ordinanza al comporta mento di solito cauto e riservato dell'indagato.
Deve, quindi, concludersi che si impone un'indagine più ap
profondita sulle accuse mosse dal Binasco all'indagato. Per quanto attiene alla qualificazione giuridica dei fatti con
testati al Greganti si osserva che, come già rilevato, ad avviso
del tribunale, i benefici economici assicurati al Pds contestual mente alla rinunzia al contratto definito di compravendita, non
integravano sotto il profilo dell'elemento soggettivo, il delitto
punito dalla 1. 2 maggio 1974 n. 195. Si assume, infatti, che
tali vantaggi, costituendo clausole di un regolamento transatti
vo diretto ad evitare un giudizio civile dall'esito incerto, non
trovavano la loro diretta ragion d'essere nel fine di finanziare il suddetto partito. A sua volta il ricorrente contesta che fosse
stata posta in essere una transazione in quanto il Binasco, che
nulla aveva ricevuto quale corrispettivo di tale rinunzia, avreb
be potuto ottenere agevolmente l'esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, assicurandosi la proprietà dell'immo
bile a condizioni estremamente vantaggiose, e comunque prova re, tramite la testimonianza dell'avv. Fiore, l'esatta misura del
l'acconto versato.
Questa censura è fondata. Giova premettere che secondo le
dichiarazioni del Binasco — cosi come riportate nell'ordinanza
impugnata e nel provvedimento impositivo della misura caute
lare — costui avrebbe acconsentito alla transazione non già per chiudere, con il minor danno possibile, una controversia civile, ma allo scopo di ingraziarsi il Pds, in vista di un appoggio nel l'assegnazione di future commesse, assicurandogli il vantaggio di incamerare, quale «congrua contribuzione alle (sue) casse», la somma di circa lire 400 milioni che la società promittente,
li Foro Italiano — 1995.
restia a cedere l'immobile, avrebbe dovuto invece versare allo
stipulante a titolo di capitale e di interessi. Ha, inoltre, aggiun to che l'esigenza di intrattenere buoni rapporti con il partito derivava dal fatto che il suo gruppo imprenditoriale già era en
trato in relazioni di affari con imprese legate al Pds e che il
Greganti ed il Pollino gli avevano fatto promesse in tal senso.
Tanto precisato, si osserva che se le dichiarazioni del Binasco
dovessero risultare attendibili sotto il duplice profilo intrinseco
ed estrinseco e se, in particolare, le circostanze evidenziate dal
ricorrente dovessero trovare riscontro negli atti, tali dichiara
zioni potrebbero integrare un grave inizio di responsabilità del
l'incolpato in ordine al reato ascrittogli. L'art. 7 1. 2 maggio 1974 n. 195, invero, incrimina, in presen
za di determinati presupposti, il finanziamento ed i contributi
a partiti «in qualsiasi forma diretta o indiretta». Tenuto conto
sia dell'ampiezza di siffatta clausola generale sia della ratio le
gis, deve ritenersi che nella previsione della norma rientrano, oltre alle dirette erogazioni di denaro, anche le rinunzie e gli atti di remissione di debito. Infatti, come rilevato da un'autore
vole dottrina, il patrimonio di un partito può essere arricchito, in egual misura e con l'identico risultato economico, sia dall'af
flusso di nuovo denaro, che da atti abdicativi a diritti di credi to, in quanto tali atti rendono disponibili per altri impieghi pro
prio quelle risorse che altrimenti avrebbero dovuto essere assor
bite dall'adempimento dei debiti assunti. Ne risulta, quindi, che, se attraverso il meccanismo della transazione le parti abbiano
inteso, soltanto od anche in parte, accrescere le disponibilità economiche del suindicato partito, sussisterebbero tutti gli ele
menti oggettivi e soggettivi del reato punito dalla citata legge.
L'impugnata ordinanza deve essere quindi annullata, con rin
vio per nuovo esame.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 1° feb
braio 1994; Pres. Di Gennaro, Est. Troiano, P.M. (conci,
conf.); Cuozzo. Conferma Trib. Napoli, ord. 22 luglio 1993.
Misure cautelari personali — Gravi indizi di colpevolezza —
Intercettazione di conversazioni o comunicazioni — Omessa
allegazione agli atti dei decreti autorizzativi — Irrilevanza (Cod.
proc. pen., art. 267, 268, 271, 273). Intercettazione di conversazioni o comunicazioni — Norme ap
plicabili — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 62, 63, 271).
Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni sono utiliz
zabili nella fase delle indagini preliminari, ai fini dell'accerta mento dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l'applica zione delle misure cautelari personali, purché siano state au
torizzate e non siano state disposte al di fuori dei casi previsti dall'art. 266 c.p.p.; l'inosservanza degli altri precetti posti dagli art. 267 e 268, 1° e 3° comma, c.p.p. impedisce soltanto che
le stesse intercettazioni assumano efficacia di prova nel giudi zio, ma non rileva ai fini dell'adozione delle misure cau
telari. (1)
(1) Giurisprudenza costante: cfr., in termini analoghi, oltre ai prece denti citati in motivazione, altresì Cass. 10 maggio 1993, Bellini, Foro it., Rep. 1993, voce Misure cautelari personali, n. 124; 9 novembre
1992, Perre, ibid., voce Intercettazione di conversazioni o comunicazio ni, n. 27; 22 settembre 1992, Delle Femmine, ibid., voce Misure caute lari personali, n. 126; 21 novembre 1991, Li Pera, id., Rep. 1992, voce Intercettazione di conversazioni o comunicazioni, n. 24; 13 maggio 1991, Trovato, ibid., n. 26. Si sono, in proposito, distinte le violazioni delle
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GIURISPRUDENZA PENALE
In materia di intercettazione telefonica non trovano applicazio ne gli art. 62 e 63 c.p.p., in quanto le ammissioni di circo
stanze indiziami, fatte spontaneamente dall'indagato nel cor
so di una conversazione telefonica la cui intercettazione sia
stata ritualmente autorizzata, non sono assimilabili alle di
chiarazioni da lui rese nel corso dell'interrogatorio dinanzi all'autorità giudiziaria o a quella di polizia giudiziaria, né le
registrazioni dei verbali delle conversazioni telefoniche sono
riconducibili alle testimonianze de relato sulle dichiarazioni
dell'indagato, in quanto integrano la riproduzione fonica o
scritta delle dichiarazioni stesse di cui rendono in modo im
mediato e senza fraintendimenti il contenuto. (2)
Con ordinanza in data 1° luglio 1993 il g.i.p. del Tribunale
di Napoli dispose la misura coercitiva della custodia cautelare
in carcere nei confronti di Pecorella Antonio e di Cuozzo Gae
tano, indagati: A) per il delitto punito dall'art. 74 d.p.r. n.
309 del 1990, essendosi associati fra loro e con altri al fine di
commettere più reati relativi al traffico di droga: B) per il delit
to di cui all'art. 73 del citato decreto, essendo concorsi anche
con terzi nell'importazione di gr. 1001,5 di cocaina.
Questo provvedimento venne confermato in sede di riesame
dal tribunale con ordinanza 23 luglio 1993.
Il tribunale osservò che non sussistevano dubbi sulla destina
zione al Pecorella di un pacco di cocaina, presumibilmente pro veniente dalla Columbia, sequestrato presso una filale della soc.
D.H.L. International. Affermò, inoltre, che gravi indizi circa l'in
serimento dei due indagati in una stabile organizzazione crimi
nosa derivavano dalle conversazioni telefoniche intercettate, in
tercorse fra gli stessi, dalle quali si desumeva, malgrado le espres sioni non esplicite impiegate, uno stabile rapporto fra i due re
norme che rendono le intercettazioni di per se stesse illegittime come mezzo d'indagine, dalle violazioni delle altre disposizioni di cui agli art. 267 e 268 c.p.p., per la cui inosservanza l'art. 271 prevede la san zione dell'inutilizzabilità: le violazioni del primo tipo — si è chiarito — possono essere rilevate anche nell'ambito della verifica della sussi stenza dei gravi indizi di colpevolezza ai fini dell'adozione delle misure cautelari personali, mentre quelle del secondo tipo, avendo la legge previsto la sanzione dell'inutilizzabilità, rileverebbero solo in tema di
prova ai fini del giudizio, ben potendo, dunque, utilizzarsi, ai fini del l'emissione di un titolo cautelare personale, un'intercettazione lecita ma difforme dalle regole procedimentali fissate dagli art. 267 e 268
(cosi Cass. 10 novembre 1992, Lattanzio, id., Rep. 1993, voce cit., n. 31; 5 ottobre 1992, Di Corato, ibid., n. 32). Sul tema, cfr., in
dottrina, Diddi, Regime ed utilizzabilità delle intercettazioni telefoni che ed ordinanza dì custodia cautelare nelle indagini preliminari, in
Giust. pen., 1992, III, 49; Gatto, Limiti all'utilizzabilità delle intercet tazioni telefoniche nelle decisioni sulla libertà personale, in Giur. it., 1992, II, 513; Lopez, Intercettazioni telefoniche, custodia cautelare e
parità delle armi, ibid., 309; Seghetti, Sui limiti di utilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche per l'adozione di provvedimenti coercitivi, ibid., 430.
(2) Non constano precedenti editi in termini. La tesi — respinta dalla corte — dell'applicabilità degli art. 62 e 63 c.p.p. in materia di intercet tazione di conversazioni o comuncazioni non risulta, invero, mai avan zata in dottrina o in giurisprudenza. Forzata appare, in primo luogo, l'equiparabilità (prospettata dal ricorrente) della documentazione con tenente le risultanze dell'intercettazione rispetto alla testimonianza de
auditu, oggetto del divieto di cui all'art. 62 c.p.p.; incoferente si appa lesa, altresì', il richiamo, in subiecta materia, all'art. 63 c.p.p. in tema di tutela anticipata del diritto al silenzio e alla difesa (cfr., sul punto, in generale, Dominion!, in Commentario del nuovo codice di procedura penale a cura di Amodio e Dominioni, Milano, 1989, I, sub art. 63, 398 ss.), atteso che la stessa littera legis (ove ci si riferisce alle dichiara zioni rese «davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria») esclude che la norma possa applicarsi alle risultanze dell'attività inter
cettativa. Può, anzi, radicalmente affermarsi che gli artificiosi richiami
alle garanzie dettate dagli art. 62 e 63 c.p.p. provano, in tal caso, davvero troppo, in quanto, se fossero corretti, condurrebbero ad una
istituzionale inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni (o, almeno, all'inutilizzabilità contra se delle affermazioni di ciascun interlocutore)
e, dunque, ad una sorta di strutturale inutilità di tale mezzo di ricerca
della prova: soluzione, questa, indubbiamente paradossale. Sulla portata (e sui limiti) dell'art. 62 c.p.p., cfr. Corte cost. 13
maggio 1993 n. 237, Foro it., 1993, I, 3198, con nota di richiami; Cass. 10 maggio 1991, Zumpano, id., Rep. 1992, voce Imputato, n.
8; Trib. Milano 8 ottobre 1991, id., Rep. 1993, voce Prova penale in genere, n. 60.
Il Foro Italiano — 1995.
lativo a relazioni di affari e non soltanto ad amicizia. In parti colare, nel periodo in cui il suindicato pacco doveva arrivare, i due indagati avevano fatto riferimento, nel corso di una tele
fonata, all'attesa di «qualcosa». Un ulteriore indizio relativo
agli stretti rapporti intercorrenti fra Pecorella ed il Cuozzo era stato desunto dalla duplice circostanza che le bollette telefoni che del primo venivano inviate alla casella postale intestata al
convivente della sorella del secondo, la quale, altresì', utilizzava il telefono cellulare intestato al medesimo Pecorella. Per quanto
concerneva, in particolare, la posizione del Cuozzo ulteriori in
dizi scaturivano da alcune telefonate dello stesso dirette in Co
lumbia, luogo di probabile provenienza del pacco di cocaina e da altre telefonate da cui si arguiva la sussistenza di stabili
contatti dell'indiziato con personaggi coinvolti nel traffico di
droga. Contro questa ordinanza il Cuozzo ha proposto ricorso.
Esaminando le censure nell'ordine logico, si osserva che si
deduce innanzi tutto l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefo
niche, giacché i decreti autorizzatori non erano stati tutti alliga ti agli atti e comunque non erano motivati, spettando al g.i.p. e non al p.m. redigere la motivazione.
Questa doglianza è infondata. Invero, secondo la costante giu
risprudenza di questa corte, le intercettazioni telefoniche sono
utilizzabili nella fase delle indagini preliminari ai fini dell'accer tamento dei gravi indizi di responsabilità, richiesti per l'applica zione delle misure cautelari, siano state autorizzare e non siano
state disposte al di fuori dei casi previsti dall'art. 266 c.p.p. Si è, infatti, ritenuto che l'inosservanza degli altri precetti posti dall'art. 267 e dall'art. 268, 1° e 3° comma, impedisce soltanto
che le stesse intercettazioni assumano efficacia probatoria nel
giudizio, ma non rilevano ai fini dell'adozione delle suddette
misure (Cass., sez. VI, 8 ottobre 1992 Meletti, Foro it., Rep.
1993, voce Misure cautelari personali, n. 125; 18 agosto 1992
Paparo, id., Rep. 1993, voce Intercettazione di conversazioni o comunicazioni, n. 26; sez. I 6 dicembre 1991, Loreto, id.,
Rep. 1992, voce cit., n. 25). Poiché le intercettazioni telefoniche erano state autorizzate,
le stesse sono state legittimamente utilizzate ai fini dell'adozio
ne della misura cautelare.
L'inutilizzabilità delle intercettazioni è, inoltre, dedotta sotto
l'ulteriore profilo che tale mezzo di prova era stato disposto in contrasto con gli art. 62, che vieta la prova testimoniale sulle
dichiarazioni dell'indagato, 63, che dichiara inutilizzabili le stesse dichiarazioni rese dallo stesso prima della nomina del difensore, 350/7 c.p.p. che prevede, per il dibattimento, il solo utilizzo
ai fini delle contestazioni di quanto spontaneamente riferito dal
l'indagato alla polizia giudiziaria. Anche tale censura deve essere disattesa, poiché nessuna delle
norme invocate si applica alle intercettazioni telefoniche.
Invero l'art. 63 c.p.p. regola le dichiarazioni rese nel corso
dell'interrogatorio da parte della autorità giudiziaria o della po lizia giudiziaria, alle quali non sono certo assimilabili le ammis sioni di fatti indiziati fatte spontaneamente dall'indagato nel
corso di una conversazione telefonica debitamente autorizzata, in ordine alle quali la presenza del difensore non è neanche
ipotizzabile. Del pari inapplicabile è l'art. 62 stesso codice, ghiac ché le registrazioni ed i verbali delle conversazioni telefoniche
non sono testimonianze de relato sulle dichiarazioni dell'inda
gato, in quanto, a tacer d'altro, integrano la riproduzione foni
ca o scritta delle dichiarazioni rese dall'indagato di cui rendono
in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto. Da
ultimo l'invocato art. 350 c.p.p. riguarda soltanto l'utilizzazio
ne in dibattimento, delle dichiarazioni spontanee rese alla poli zia giudiziaria. (Omissis)
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