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sezione VI penale; sentenza 1° ottobre 1986; Pres. Dattilo, Est. Moro, P.M. Ciampani (concl....

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sezione VI penale; sentenza 1° ottobre 1986; Pres. Dattilo, Est. Moro, P.M. Ciampani (concl. conf.); ric. Speziale. Conferma Pret. Torino 30 aprile 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 9 (SETTEMBRE 1987), pp. 513/514-523/524 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179042 . Accessed: 25/06/2014 03:12 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.40 on Wed, 25 Jun 2014 03:12:58 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione VI penale; sentenza 1° ottobre 1986; Pres. Dattilo, Est. Moro, P.M. Ciampani (concl.conf.); ric. Speziale. Conferma Pret. Torino 30 aprile 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 9 (SETTEMBRE 1987), pp. 513/514-523/524Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179042 .

Accessed: 25/06/2014 03:12

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GIURISPRUDENZA PENALE

di rinvio verificare se la situazione di fatto consenta di addivenire

alla conclusione sulla esistenza della volontà intenzionale della

direzione univoca degli atti idonei riesaminando, nel caso affer

mativo, anche il tema della desistenza proposto in via subordina

ta dal ricorrente. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 1° otto

bre 1986; Pres. Dattilo, Est. Moro, P.M. Ciampani (conci,

conf.); ric. Speziale. Conferma Pret. Torino 30 aprile 1985.

Pena — Sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato anteriore

alle formalità di apertura del dibattimento — Obbligo di im

mediata pronuncia — Insussistenza (L. 24 novembre 1981 n.

689, modifiche al sistema penale, art. 77, 79). Pena — Sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato — Riserva

di riesame — Atto formale di rigetto — Necessità — Esclusio

ne (L. 24 novembre 1981 n. 689, art. 77, 79). Pena — Sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato — Appli

cazione — Appello — Esclusione — Questione manifestamente

infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; 1. 24 novembre

1981 n. 689, art. 77, 79).

L'imputato che abbia fatto richiesta di applicazione di una san

zione sostitutiva prima delle formalità di apertura del dibatti

mento, non ha diritto ad ottenere in via immediata la relativa

pronuncia, avendo invece il giudice l'obbligo frectius, il potere

discrezionale), ove allo stato manchi un accertamento dei pre

supposti su cui si deve ancorare il provvedimento, di procedere nel dibattimento stesso al fine di accertare la sussistenza di tali

presupposti (nella specie, la corte ha chiarito che l'esercizio di

tale potere discrezionale da parte del giudice non è sindacabile

in sede di legittimità, ove invece è possibile sindacare solo se

è giustificata la reiezione o l'accoglimento dell'istanza con la

sentenza). (1) Qualora il giudice, di fronte ad una tempestiva richiesta di appli

cazione di sanzione sostitutiva da parte dell'imputato, si sia

riservato di provvedere, non è necessario sul punto un formale

provvedimento di rigetto. (2) È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost.,

la questione di legittimità costituzionale degli art. 77 e 79 I.

24 novembre 1981 n. 689, nella parte in cui non consentono

di proporre appello contro la sentenza che ha applicato, dopo la chiusura del dibattimento, la sanzione sostitutiva a richiesta

dell'imputato. (3)

(1-3) La sentenza presenta interesse perché, nell'affrontare questioni sostanzialmente nuove quanto meno a livello giurisprudenziale, ne trae 10 spunto per una ricostruzione teorica della ratio dell'istituto del «pat

teggiamento» e della natura della sentenza che, accogliendo la richiesta

dell'imputato, conclude il procedimento (art. 77 1. 24 novembre 1981 n.

689). Quanto alle prime due questioni espressamente affrontate, la Cassazio

ne le ha risolte rimeditando i rapporti tra l'istanza dell'imputato di appli cazione della sanzione sostitutiva e la correlativa decisione del giudice alla luce delle finalità dell'istituto in parola: la ratio che sottende il c.d.

«patteggiamento», quella di ottenere una deprocessualizzazione ed uno

sveltimento del processo penale attraverso l'offerta di una formula termi

nativa di estinzione del reato in cambio di una rinuncia dell'imputato a parte di quegli strumenti che (pur di garanzia) finiscono con il rendere

lento e defatigante il processo, presuppone una istanza dell'imputato for

mulata entro termini perentori ma non deve essere necessariamente ed

automaticamente accolta dal giudice, nonostante il parere favorevole del

pubblico ministero. Il giudice infatti non ha una mera funzione di «omo

logazione» della istanza dell'imputato, essendo dotato di un ampio pote re discrezionale finalizzato ad accertare sia se all'autore del reato debba

essere in concreto applicabile una pena non superiore a tre mesi di reclu

sione o di arresto, sia se, valutata la gravità del reato e la personalità

dell'imputato, risulti opportuna la sostituzione e, in caso positivo, quale delle due sanzioni sostitutive appaia la più idonea al reinserimento sociale

dell'imputato. A questa conclusione conduce del resto lo stesso disposto dell'art. 77

1. 689: la formula «in seguito all'esame degli atti e agli accertamenti even

tualmente disposti» indica come la richiesta dell'imputato non privi il

giudice dei suoi poteri istruttori ed anzi lo facultizzi a compiere le (even

tuali) indagini necessarie per procedere all'accertamento della sussistenza

11 Foro Italiano — 1987 — Parte II-36.

Fatto. — Speziale Loredana veniva rinviata a giudizio avanti

al Pretore di Torino per rispondere del reato di cui all'art. 81,

cpv., e 328 c.p. per avere, nella sua qualità di ufficiale giudizia

rio, omesso di procedere alla citazione di alcuni testi di cui era

stato indicato il domicilio presso l'albergo Ginevra di via Lagran

ge — facilmente individuabile — anche se non risultava nel de

creto di citazione l'indicazione del numero civico.

dei presupposti e delle condizioni per provvedere sulla richiesta (sul pun to, in dottrina, v. Amato, Natura, contenuti ed effetti della sentenza nel procedimento di «patteggiamento», in Cass, pen., 1986, 913 ss., dove si sostiene come la stessa formula non possa, peraltro, essere utilizzata

per farne discendere l'obbligo di un previo accertamento della penale re

sponsabilità dell'imputato, quale presupposto per l'applicazione della ri chiesta sanzione sostitutiva).

In una tale ottica ricostruttiva, secondo il ragionamento della Suprema corte, mentre è prevista espressamente una preclusione temporale alla ri chiesta dell'imputato (l'istanza può essere presentata «nel corso dell'istru zione e fino a quando non sono compiute per la prima volta le formalità di apertura del dibattimento», arg. ex art. 77, 1° comma, e 79 1. 689), non è al contrario posto né un obbligo per il giudice di emettere un for male provvedimento reiettivo dell'istanza né un limite temporale entro cui lo stesso deve decidere sulla stessa: l'art. 79 1. 689 anzi consente al

giudice, di fronte ad una tempestiva istanza dell'imputato, di applicare la sanzione sostitutiva dichiarando estinto il reato «in ogni stato e grado del procedimento».

In conclusione per la Suprema corte la richiesta dell'imputato costitui sce il presupposto necessario per la conclusione del processo con la for mula terminativa della estinzione del reato altrimenti non adottabile ma non fa scattare alcun diritto per l'imputato di ottenere una risposta del

giudice — negativa o positiva — in via immediata, nella stessa fase in cui essa è stata formulata: derivandone, per la corte, la inesistenza sia della necessità di alcun formale provvedimento di rigetto, ove il giudice intenda procedere al dibattimento, sia della possibilità per l'imputato di

impugnare un provvedimento di reiezione — allo stato degli atti — for malmente neppure previsto. La eventuale impugnativa dell'imputato po trà riguardare la sentenza con cui, non accogliendosi l'istanza, si sia condannato l'imputato ovvero (ma solo con ricorso per cassazione) la sentenza con cui, accogliendo l'istanza, si sia applicata la sanzione sosti tutiva e dichiarato estinto il reato.

In senso difforme sul punto dell'accoglimento immediato della richie sta dell'imputato pare essere Cass. 27 settembre 1984, Roffi, Foro it.,

Rep. 1985, voce Pena, n. 110, per la quale pur avendo la richiesta di

applicazione della sanzione sostitutiva fatta dall'imputato prima delle for malità di apertura del dibattimento finalità che richiedono un'applicazio ne immediata della sanzione stessa (ricorrendone i presupposti), l'integrale svolgimento del dibattimento culminato nell'applicazione della sanzione sostitutiva richiesta costituisce (solo) una mera irritualità che non inficia né invalida il provvedimento finale che infligge la sanzione sostitutiva.

Sulla necessità di un provvedimento interlocutorio di non accoglimento della richiesta, v. Cass. 23 gennaio 1985, Salzano, ibid., n. Ili, per la

quale ove il giudice non intenda accogliere la richiesta dell'imputato deve emettere un provvedimento interlocutorio in proposito proseguendo nel

giudizio con il rito ordinario dibattimentale; Cass. 14 febbraio 1985, Del

fino, ibid., n. 112 e in Cass. pen., 1985, 1621, con osservazioni critiche di Giambruno, per la quale se la normativa di cui all'art. 77 1. 689 con sente al giudice di riservarsi sulla — tempestiva — richiesta dell'imputato procedendo nel dibattimento ed applicando — all'esito dello stesso —

la richiesta sanzione sostitutiva, non esonera lo stesso giudice dall'obbli

go del rigoroso rispetto delle altre norme che regolano il processo penale e, in particolare, la fase del giudizio di merito (nella specie, la corte ha

cassato la sentenza con cui il pretore, riservandosi di provvedere sulla

richiesta, aveva proceduto al dibattimento pronunciando in tale sede la

sentenza con la quale applicava la sanzione sostitutiva omettendo però di consentire al pubblico ministero ed al difensore dell'imputato di con

cludere nel merito). In dottrina, ritengono necessario un atto formale di rigetto: Trapani, Le sanzioni penali sostitutive, Padova, 1985, 354

ss. (per il quale la necessità di un atto formale di rigetto si ricava dalla circostanza che la richiesta dell'imputato ha pur sempre originato un pro cedimento incidentale con instaurazione del contraddittorio tra le parti, nonché da una corretta interpretazione delle regole generali vigenti in ma

teria di istanze delle parti private); Pignatelli, in Modifiche al sistema

penale, l. 24 novembre 1981 n. 689, III, Sanzioni sostitutive, a cura di

Bertoni, Lattanzi, Lupo, Violante, Milano, 1982, 95 (il quale ritiene

che ragioni di garanzia dell'imputato facciano propendere per la necessità

di un atto esplicito di rigetto che dovrà assumere la forma dell'ordinanza, come prevede il nuovo art. 162 bis c.p. in materia di oblazione speciale, e ciò anche se a favore della reiezione implicita — contenuta nel primo atto istruttorio o dibattimentale che manifesti la volontà del giudice di

procedere contro l'imputato — gioca la circostanza che la richiesta disat

tesa una prima volta può essere rinnovata in ogni stato e grado del proce dimento ex art. 79 senza che sia necessario impugnare l'atto con il quale la reiezione è stata disposta, come dimostra il riferimento non solo al

grado ma anche allo stato del procedimento); Morello, Le sanzioni so

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PARTE SECONDA

Prima dell'apertura del dibattimento l'imputato avanzava ri

chiesta di applicazione della sanzione sostitutiva ai sensi dell'art.

77 1. 689/81. Il p.m. esprimeva parere favorevole ma il pretore

decideva di esaminare l'istanza all'esito del dibattimento. Il giu

dizio si concludeva con l'applicazione della pena pecuniaria di

lire 375.000, in sostituzione della reclusione pari a giorni quindi

ci, e la conseguente dichiarazione di non doversi procedere per

essere il reato estinto a seguito di applicazione della sanzione so

stitutiva richiesta dall'imputata.

stitutive di pene detentive brevi, in Giust. pen., 1982, III, 446 (il quale

ritiene che, pur non essendo «specificamente» prevista, una pronuncia di rigetto si imponga, salva sempre la possibilità in ogni stato e grado

di accogliere, anche in caso di formale pronuncia di rigetto, l'istanza

regolarmente presentata nei termini); Cordero, Procedura penale, Mila

no, 1983, 508 (secondo cui, poiché la domanda di applicazione di una

sanzione sostitutiva inscena un'incidente, accolta o no non basta il silen

zio: occorre una decisione inoppugnabile e senza effetti preclusivi). Sui limiti temporali della richiesta dell'imputato di applicazione della

sanzione sostitutiva, v. da ultimo Cass. 19 marzo 1984, Dicandia, Foro

it., Rep. 1985, voce cit., n. 104, secondo cui la richiesta deve essere effet

tuata prima delle formalità di apertura del dibattimento di primo grado,

non potendo, in mancanza, applicarsi il beneficio nell'ulteriore corso del

procedimento; e, per la giurisprudenza di merito, Trib. Savona 25 feb

braio 1985, ibid., n. 118, per il quale, in caso di tempestiva richiesta

da parte dell'imputato, la sanzione sostitutiva può essere applicata dal

tribunale in grado di appello ancorché la relativa richiesta non sia stata

riprodotta nei motivi di appello. Sostanzialmente nello stesso senso, Cass. 17 febbraio 1984, Porpora,

ibid., n. 87, che ha ritenuto inammissibile la richiesta formulata per la

prima volta in Cassazione, e Cass. 21 giugno 1984, Lavaselli, ibid., n.

91, per la quale la richiesta della sanzione sostitutiva dedotta solo nei

motivi di ricorso costituisce la domanda di una diversa qualità di pena

e pertanto una eventuale decisione su di essa esula dal compito istituzio

nale della corte di legittimità. In dottrina, sulla perentorietà del termine per la presentazione della

richiesta da parte dell'imputato, v. Trapani, op. cit., 328 ss.; Giarda,

in Dolcini, Giarda, Mucciarelli, Paliero, Riva, Grugnola, Commen

tario delle «modifiche al sistema penale», Milano, 1982, 365 s.; Febbra

ro - Demarco, Sanzioni sostitutive e «patteggiamento», Napoli, 1982,

92 ss.; Pignatelli, op. cit., 94.

Quanto alla questione della non appellabilità della sentenza di «patteg

giamento», la corte ha sostenuto che la eccezione alle ordinarie regole relative al regime delle impugnazioni trovi la sua giustificazione nella li

bera scelta dell'imputato che si induce a preferire un rito abbreviato,

meno garantito ma che gli consente di ottenere un risultato per lui positi vo — la estinzione del reato — altrimenti non conseguibile.

Secondo il ragionamento della Cassazione, se si rendesse praticabile la strada della impugnativa di merito, non solo non si realizzerebbe la

evidenziata finalità di deprocessualizzazione e di sveltimento del processo

penale che sta alla base del «patteggiamento», ma sussisterebbe la lamen

tata disparità di trattamento in danno però di coloro che non hanno pro ceduto alla richiesta di applicazione delle sanzioni sostitutive, preferendo

percorrere la strada del procedimento ordinario: gli imputati che hanno

proposto istanza ex art. 77 godrebbero infatti, in tale caso, sia di un

processo garantito al massimo attraverso il doppio grado di giurisdizione nel merito sia, comunque, di una causa di estinzione del reato preclusa

agli altri. Sulla non appellabilità della sentenza con cui, su richiesta dell'imputa

to, viene applicata la sanzione sostitutiva dichiarando estinto il reato, v. da ultimo Cass. 9 dicembre 1985, Belluno, Riv. pen., 1986, 1081, se

condo cui esula dalla struttura e dalle finalità dell'istituto la possibilità di un esame nel merito in appello della penale responsabilità dell'imputa

to, si che è possibile solo il mero controllo di legittimità della dichiarazio

ne di estinzione del reato, senza che l'imputato possa con ricorso per cassazione censurare la sentenza con cui su sua richiesta il reato è stato

dichiarato estinto, per non avere il giudice pronunciato invece la sua as

soluzione nel merito. In senso conforme, per la giurisprudenza di merito, Trib. Voghera 21

ottobre 1983, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 230, che ha ritenuto inam

missibile anche l'appello proposto dal pubblico ministero.

Cass. 10 febbraio 1983, Giaimis, ibid., n. 210, ha sul punto precisato che la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 77, secondo cui contro

le sentenze che applicano la disciplina del «patteggiamento» è ammesso

soltanto ricorso per cassazione, non può intendersi riferita alle sentenze

con cui, negata, invece, l'applicazione della disciplina dell'art. 77, sia

stata emessa pronuncia di condanna. Tale sentenza infatti anche a garanzia dei diritti dell'imputato è sogget

ta alla normale disciplina delle impugnazioni (salva la possibilità prevista dall'art. 79 di applicare in ogni stato e grado del procedimento la sanzio

ne sostitutiva precedentemente negata, sempre che la relativa «richiesta»

sia stata tempestivamente e ritualmente formulata). La eccezione alle ordinarie regole processuali non vale invece con ri

guardo alle sanzioni sostitutive applicate a conclusione del giudizio di

primo grado non in base agli art. 77 ss. ma, ex officio, in base agli

Il Foro Italiano — 1987.

Ricorre avverso tale sentenza l'imputata articolando il suo ri

corso su vari motivi.

I motivo — Si solleva la questione di costituzionalità degli art.

77 e 79 1. 24 novembre 1981 n. 689 nella parte in cui non consen

tono di proporre appello contro la sentenza che ha applicato,

dopo la chiusura del dibattimento, la sanzione sostitutiva a ri

chiesta dell'imputato per contrasto con gli art. 3 e 24 Cost.

II motivo — Nullità della sentenza per violazione di legge per

essere la stessa basata su di una erronea applicazione della legge

penale (art. 524, n. 1, c.p.p. con riferimento ad erronea applica

zione e art. 328 c.p.) e per essere comunque carente di motivazio

ne in punto di realizzazione del fatto omissivo.

Ili motivo — Nullità della sentenza per violazione di legge,

per erronea applicazione delle norme penali che regolano l'ele

mento oggettivo del reato (art. 524, n. 1, c.p.p. con riferimento

agli art. 43, 1° comma, e 47 c.p.), e per essere comunque del

tutto carente di motivazione circa la sussistenza del dolo ed essere

stati i fatti, in punto di dolo, gravemente travisati.

IV motivo — Nullità della sentenza per violazione di legge,

per mancanza di motivazione in punto determinazione della pena

in concreto (art. 524, nn. 1 e 3, c.p.p. in riferimento art. 385

c.p.p.), per contraddizione con la specifica motivazione posta a

base della concessione delle attenuanti generiche nonché per illo

gicità del ragionamento che ha condotto alla soluzione adottata.

V motivo — Nullità della sentenza per violazione della legge

processuale penale, per essersi il giudice riservato di riesaminare

l'istanza dell'imputato diretta ad ottenere prima del dibattimento

l'applicazione della sanzione sostitutiva e dichiarazione di estin

art. 53 ss.: tale sentenza, infatti, è soggetta ad appello e non (solamente)

a ricorso per cassazione (sul punto, v. Cass. 19 ottobre 1983, Francese,

id., Rep. 1985, voce cit., n. 86). Sia pure a livello di mero obiter dictum la sentenza in epigrafe ha preso

posizione sulla natura giuridica della sentenza di «patteggiamento», rite

nendola sentenza di proscioglimento e non di condanna.

Attribuiscono alla sentenza ex art. 77 natura di proscioglimento, giac

ché conclude il procedimento con una dichiarazione di estinzione del rea

to: Cass. 21 dicembre 1983, Rivolta, ibid., n. 105, e voce Spese giudiziali

penali, n. 1; 17 novembre 1982, Spadoni, id., 1983, II, 221; 17 novembre

1982, Treccagnoli, ibid.; 17 novembre 1982, Gottardi, id., Rep. 1984,

voce Sospensione condizionale delta pena, n. 47; Pret. Pizzo Calabro 29

marzo 1983, id., Rep. 1983, voce Spese giudiziali penati, n. 2; Pret. Mor

begno 2 dicembre 1982, id., 1983, II, 223; Pret. Ferrara 27 ottobre 1982,

id., Rep. 1983, voce Pena, n. 74; Pret. Adria 19 ottobre 1982, ibid.,

voce Sospensione condizionale della pena, n. 48; Pret. Salerno 6 ottobre

1982, ibid., n. 49; Pret. Milano 14 maggio 1982, id., 1982, II, 539; Amo

dio, // processo penale nella parabola dell'emergenza, in Cass. pen., 1983,

2129; Coppetta, In tema di «sospendibilità» delle pene sostitutive, in

Giusi, pen., 1982, II, 369; Ghiara, Applicazione delle sanzioni sostituti

ve su richiesta dell'imputato: condizioni, caratteri, effetti, ibid., Ill, 591.

Ritengono invece che la sentenza ex art. 77 1. 689/81 sia una sentenza

di condanna: Cass. 29 aprile 1985, Lattanzio, Cass. pen., 1986, 74; 9

luglio 1984, D'Uno, Riv. pen., 1985, 1032; 15 dicembre 1983, Moscarito

lo, Foro it., Rep. 1984, voce Pena, n. 215; 11 luglio 1983, Meotto, ibid.,

n. 213; 25 marzo 1983, Sotgiu, ibid., n. 212; Pret. Terni 4 ottobre 1985,

id., 1986, II, 642; Napoleoni, Patteggiamento e reati puniti con pena

pecuniaria, ovvero «absurda sunt vitanda», in Cass. pen., 1983, 2005;

Id., Su due questioni in tema di patteggiamento, ibid., 1347; Id., Le

mirabolanti teorie sulla natura delle sanzioni sostitutive inflitte a richiesta

dell'imputato, id., 1984, 1205; Giuri, Rilievi sul c.d. patteggiamento, in

Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, 794; Bertoni, Appunti in tema di sanzio

ni sostitutive, in Cass. pen., 1982, 660; Bellavista - Tranchina, Lezioni

di diritto processuale penale, 1982, 422.

Nel senso che la sentenza di «patteggiamento» sia, invece, un provvedi mento del tutto peculiare: di condanna e di applicazione della sanzione

sostitutiva, da un lato, di estinzione del reato, dall'altro, v. Amato, op.

cit., 912 ss.; Morello, op. loc. cit.

Sulla ratio dell'istituto di cui agli art. 77 ss. 1. 689/81, che la sentenza

in esame individua nelle esigenze di «deprocessualizzazione» e di «svelti

mento del processo penale» relativamente ad illeciti penali di modesta

entità, v., sostanzialmente nello stesso senso, Amato, op. cit., 914; Id.,

Ancora sull'applicabilità de! patteggiamento ai reati puniti con pena pe

cuniaria, in Cass. pen., 1986, 10, dove si sostiene che, con l'introduzione

dell'istituto, il legislatore ha inteso non tanto (rectius non solo) appresta re strumenti alternativi alle sanzioni detentive brevi, per pervenire ad uno

sfoltimento delle carceri ed evitare gli effetti criminogeni dell'ambiente

penitenziario, giacché questa finalità è stata perseguita con l'istituto di

cui agli art. 53 ss. 1. 689/81, quanto piuttosto evitare la congestione degli uffici giudiziari con giudizi relativi a reati bagattella», che si sarebbero

probabilmente conclusi comunque con l'applicazione di una sanzione so

stitutiva ex officio; Lozzi, Patteggiamento, in Dizionario di diritto e pro cedura penale, a cura di Vassalli, Milano, 1986, 748 s. [G. Amato]

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GIURISPRUDENZA PENALE

zione del reato senza assumere un atto motivato formale di riget to e senza distinguere tra la fase incidentale aperta con l'istanza

dell'imputato e la reiezione della stessa e la susseguente fase di

battimentale, nonché per mancanza di motivazione della decisio

ne di non applicare la sanzione sostitutiva prima del dibattimento.

Motivi della decisione. — Per risolvere le questioni mosse con

il ricorso è necessario premettere alcune considerazioni generali sulle finalità, le caratteristiche, gli effetti del particolare procedi mento disciplinato dagli art. 77 e 79 1. 24 novembre 1981 n. 689.

Le complesse vicende attraverso cui si è giunti all'approvazione della legge in questione e le modifiche apportate a questo nuovo

istituto dai due rami del parlamento, non sempre in perfetta sin

cronia nell'identificare la filosofia di fondo che doveva impron tare l'istituto; la conseguente imperfetta formulazione delle norme

disciplinanti la nuova procedura, che hanno fatto dire alla Corte

costituzionale che l'art. 77 risentiva «di una frettolosa formula

zione definitiva, carica di interne contraddizioni» (sent. Corte cost,

n. 350 del 17 dicembre 1985, Foro it., 1986, I, 3); le oscillazioni

della giurisprudenza e le divaricazioni della dottrina nella inter

pretazione della norma in questione; le molte aporie in cui ha

finito con il trovarsi coinvolto il processo ermeneutico di queste norme perché si è cercato di «leggere» una realtà processuale nuova

con ottiche fortemente condizionate da categorie dommatiche tra

dizionali; tutto ciò ha reso non sempre limpide e convincenti le

soluzioni ai molti problemi che ha comportato l'introduzione nel

nostro ordinamento di questo nuovo istituto.

Alcune «idee-forza» su cui si radica tutto il procedimento di

applicazione di sanzioni sostitutive a richiesta dell'imputato van

no perciò identificate e chiarite. È innanzitutto da riconoscere

che obiettivo fondamentale delle nuove discipline previste dagli art. 77 e 79 della legge di modifica del sistema penale è non solo

o non tanto quello di realizzare un affievolimento della reazione

sanzionatoria rispetto ad un illecito commesso quanto quello di

ottenere una deprocessualizzazione attraverso uno sveltimento del

processo penale ed una rapida fuoriuscita dal sistema penale di

chi ha commesso illeciti di modesta entità. Attraverso la offerta

di una formula terminativa di estinzione del reato, in cambio di

una rinuncia da parte dell'imputato a tutte quelle garanzie pro cessuali che rendono lento il processo e intasano le aule di giusti

zia, il legislatore ha tentato, sia pur con troppa timidezza, di sveltire

il processo penale attraverso la eliminazione sempre della fase

di un secondo giudizio di merito e talvolta della stessa fase dibat

timentale di primo grado. Se infatti l'obiettivo fosse stato quello di ottenere solo una di

minuzione della risposta carceraria, ritenuta non sempre risocia

lizzante specie per chi ha commesso reati di scarsa entità ed è

quindi soggetto a pene detentive brevi, non vi sarebbe stato biso

gno di ricorrere alla particolare procedura e alla nuova previsione di un'ulteriore causa di estinzione di reato, potendosi tale obietti

vo raggiungere con la previsione dell'applicazione delle sanzioni

sostitutive nell'ambito di quel procedimento che, attraverso il mec

canismo di cui all'art. 53 della predetta legge, consente l'irroga zione di sanzioni penali diverse dalla carcerazione. In realtà —

come unanimemente ha riconosciuto la dottrina — il legislatore ha voluto tradurre nell'ordinamento giuridico italiano l'istituto

del diritto americano del plea bargaining, tendente proprio ad

una riduzione dei processi. Certo il nuovo istituto non è del tutto

mutuato dall'istituto statunitense; basti pensare che per il nostro

ordinamento non si tratta di un accordo transativo tra accusa

e difesa passivamente recepito dal giudice perché si riconosce a

questi un ampio potere discrezionale pur se l'ordinamento attri

buisce all'imputato la possibilità di influire sull'epilogo del pro cesso fornendo con il suo atto di volontà un'ipotesi decisoria che

altrimenti sarebbe preclusa al giudice. Ma il fatto che sia del tut

to improprio il termine di «patteggiamento» comunemente usato,

non significa che l'obiettivo essenziale del nuovo istituto non sia

proprio quello dell'anagolo istituto statunitense di deprocessua

lizzazione attraverso una depenalizzazione. Se queste sono le finalità perseguite dal legislatore, le caratteri

stiche del nuovo procedimento e della nuova formula terminativa

di esso sono sostanzialmente le seguenti:

a) Il procedimento speciale previsto dagli art. 77-79 si può por

re in essere solo se l'imputato sceglie e sollecita nella sua insinda

cabile libertà un simile rito. La richiesta dell'imputato — meglio

forse sarebbe stato dire l'istanza — formulata entro i termini pe

rentori è condizione indispensabile, anzi presupposto necessario,

perché possa essere adottato il nuovo rito e si possa pervenire

Il Foro Italiano — 1987.

alla declaratoria di estinzione del reato con applicazione delle san

zioni sostitutive. È lasciata cioè alla libera determinazione del

l'imputato la scelta tra un rito processuale assai più garantista, con pienezza del dispiegamento del diritto di difesa, con più am

pie possibilità di controllo attraverso le varie fasi processuali, con

una maggiore e più incisiva indagine in ordine alla sussistenza

di tutti gli elementi costitutiva dell'ipotesi criminosa addebitata

o la scelta di un rito abbreviato — e quindi meno garantistista e oggettivamente più sommario — che però consente, al contra

rio del rito ordinario, un esito assai favorevole per l'imputato, attraverso la declaratoria di estinzione del reato, anche se accom

pagnata da sanzioni sostitutive che non incidono però mai in mi

sura pesante sulla libertà personale (non è senza significato che

non sia applicabile la sanzione sostitutiva, prevista dall'art. 53

della semilibertà).

b) La istanza, ovvero la richiesta secondo la formula legislati

va, non deve essere automaticamente accolta dal giudice ove vi

sia il parere favorevole del pubblico ministero; come già accenna

to il giudice non è chiamato ad una sorta di omologazione di

una sanzione sostitutiva che l'imputato, nell'accordo con la pub blica accusa, si è sostanzialmente autoapplicata. Il potere discre

zionale del giudice è invece assai ampio dovendo non solo accertare

innanzitutto se all'autore del reato dovrebbe essere in concreto

applicabile una pena non superiore a tre mesi di reclusione o di

arresto ma anche, anzi principalmente, se sia opportuna la sosti

tuzione (valutando quindi la gravità del reato e la personalità

dell'imputato) nonché quale delle due misure (la sanzione pecu niaria o la sanzione della libertà controllata), sia la più idonea

al reinserimento sociale del soggetto.

c) Una simile valutazione — che presuppone un accertamento

sulle caratteristiche del reato nonché sulla personalità dell'impu tato anche se finalizzato non ad un'affermazione di responsabili tà ma solo alla applicabilità della sanzione sostitutiva richiesta — esige una attività del giudice tendente ad acquisire tutti gli elementi indispensabili a questo giudizio. Per questo la nuova

normativa pone una preclusione temporale alla richiesta dell'im

putato ma non indica alcun obbligo del giudice di decidere imme

diatamente dopo la formulazione dell'istanza. L'art. 77 non solo

non prevede l'obbligo di emettere un provvedimento reiettivo della

istanza ma non prevede in alcun modo un termine entro cui il

giudice deve decidere, limitandosi ad indicare in quale fase del

procedimento il giudice può disporre l'accoglimento della istanza

purché vi sia stata una tempestiva formulazione della stessa. E

ciò proprio per consentire al giudice — in piena libertà — di

acclarare, nei modi e nei tempi che ritiene più opportuni, se sus

sistono quei presupposti e quelle ragioni di opportunità che sole

consentono di pervenire alla declaratoria di estinzione del reato

con applicazione di sanzioni sostitutive. Dalla chiarissima formu

lazione degli articoli in questione emerge perciò che il limite del

l'istruttoria, come quello dell'apertura del dibattimento, è termine

previsto solo per la formulazione della richiesta da parte dell'im

putato non per la relativa pronuncia che può essere effettuata

«in ogni stato e grado del procedimento». La richiesta perciò ha la funzione di influire sull'epilogo del processo consentendo

l'applicazione di una formula terminativa altrimenti non adotta

bile; non fa scattare invece un diritto ad ottenere nella stessa fase

in cui la richiesta è formulata una risposta del giudice sia essa

positiva che negativa. Non per nulla non solo non si prevede un

provvedimento di rigetto a cui consegue altro provvedimento con

cui si dichiari di iniziare un procedimento con rito ordinario ma

è espressamente ammessa una impugnativa solo nei confronti della

sentenza e non nei confronti di un provvedimento formale di reie

zione neppure previsto. Laddove invece — se sussistesse un dirit

to dell'imputato ad ottenere immediatamente una risposta onde

evitare la fase dibattimentale — si sarebbe dovuto prevedere sia

l'obbligo di pronuncia del provvedimento reiettivo sia la possibi lità della impugnazione in via diretta dello stesso, onde verificar

ne l'opportunità o meno del passaggio dal rito speciale al rito

ordinario.

d) In realtà non vi è un rito speciale che si chiude sempre con

l'esaurimento della fase istruttoria o degli atti preliminari al di

battimento e un rito ordinario che si apre quando la causa estin

tiva non sia stata pronunciata in queste fasi e si sia provveduto

a procedere al dibattimento. Il rito rimane unico, e speciale, sia

nell'ipotesi contemplata dall'art. 77 che in quella contemplata dal

l'art. 79.

È in proposito da notare: non può essere senza significato che

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PARTE SECONDA

l'art. 79 usa la formula «il giudice può procedere ai sensi dell'art.

77 in ogni stato e grado del procedimento» quando vi sia stata

la richiesta tempestiva. Né si tratta di una formulazione estempo ranea e non meditata da parte del legislatore se è vero — com'è

vero — che il testo dell'art. 79 era originariamente alle camere

(allora art. 52 ter) «l'applicazione della misura di cui all'articolo

precedente può essere disposta dal giudice in ogni stato e grado del procedimento» quando vi sia stata la richiesta nel termine

e che tale formula venne sostituita, per l'emendamento proposto

dagli on. Sabbatini, Ricci, Violante, Casini e Rizzo ed approvato con la formula «il giudice può procedere ai sensi dell'art. 52 bis

in ogni stato e grado del procedimento». Appare evidente che

non si voleva la applicazione, in un procedimento divenuto ordi

nario, della stessa formula terminativa prevista nel procedimento

speciale, ma di una prosecuzione dell'unico procedimento specia le quando la richiesta formulata dall'imputato non abbia ancora

potuto avere accoglimento per il mancato accertamento della sus

sistenza dei suoi presupposti; la prosecuzione, senza soluzione di

continuità, del procedimento speciale dalla fase istruttoria a quel la dibattimentale — è ancora di più dalla fase degli atti prelimi nari a quella del dibattimento — implica non una reiezione

dell'istanza ma solo la esigenza del giudice di appurare in modo

adeguato e sulla base di precisi elementi probatori la sussistenza

di tutti quei presupposti che solo legittimano l'accoglimento delle

richieste. Non è senza significato che nel caso di proseguimento della procedura nella fase dibattimentale non si esige da parte

dell'imputato una reiterazione dell'originale richiesta che non vie

ne «consumata» proprio perché non vi è neppure una implicita reiezione. Ed è anzi da ritenere, come ha sottolineato la dottrina,

che neppure in caso di esplicita reiezione dell'istanza è consentito

all'imputato di proporre una nuova richiesta proprio perché la

richiesta originaria rimane valida e perché non è possibile che

si giunga alla ipotesi di una estinzione del reato se la richiesta

sia stata proposta oltre i termini previsti dall'art. 77.

Quanto sopra detto vale ancora di più nel caso di richiesta

avanzata solo prima del compimento delle formalità di apertura del dibattimento: in tali casi il dibattimento è assolutamente indi

spensabile proprio per accertare quegli elementi che soli rendono

possibile l'applicazione della causa estintiva, applicazione che im

pone una attenta valutazione del fatto e della personalità dell'im

putato. In proposito autorevole dottrina, e con argomenti validi, ha affermato che non essendo consentite nella fase predibatti mentale indagini di merito non è applicabile in questa fase la

sanzione sostitutiva dato che «la declaratoria della estinzione in

esame postula accertamenti tanto impegnativi e particolari, e cosi

delicati giudizi sulla sanzione sostitutiva e sostituita, da escludere

senz'altro che ad essi sia possibile far fronte in una fase per sua

natura limitata alle pronunce fondate sul solo presupposto ipote tico della situazione descritta nella imputazione». L'apertura del

dibattimento, quando l'istanza sia stata avanzata negli atti preli

minari, non implica perciò affatto una neppure implicita reiezio

ne dell'istanza ma solo il doveroso accertamento, che non può essere fatto che nel dibattimento, sulla possibilità di accoglimen to della istanza. In realtà la reiezione della richiesta dell'imputato si ha solo con la condanna. Ed e questa che pone termine al

rito speciale previsto dagli art. 77-79 e fa rientrare il procedimen to nel suo alveo ordinario consentendo anche il giudizio di secon

do grado (la Cassazione ha in proposito riconosciuto che «la

disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 77 1. 24 novembre

1981 sulle modifiche al sistema penale, secondo cui contro le sen

tenze che applicano la disciplina del patteggiamento è ammesso

soltanto ricorso per cassazione, non può intendersi riferita alle

sentenze con cui, negata invece l'applicazione della disciplina del

l'art. 77, sia stata emessa pronuncia di condanna. Tale sentenza, anche a garanzia dei diritti dell'imputato, è soggetta alla normale

disciplina delle impugnazioni, salva la possibilità prevista dall'art.

79 di applicare, in ogni stato e grado del procedimento, la previ sione dell'art. 79 precedentemente negate» (vedi sent. 10 febbraio

1983, Giaimis id., Rep. 1984, voce Pena, n. 210). Non ignora questo collegio che la Corte costituzionale ha, sia

pure solo in motivazione, affermato che l'art. 79 ridà spazio al

l'art. 77 «ma soltanto per gli aspetti chiaramente richiamati dallo

stesso art. 79 e comunque non suscettibili di trovare soluzione

nella prescrizione del diritto comune»: e che «la formula il giudi ce può procedere ai sensi dell'art. 77 in ogni stato e grado del

procedimento non implica necessariamente un concomitante ri

chiamo ali 'iter procedimentale antecedente l'adozione del provve

II Foro Italiano — 1987.

dimento». Sembrerebbe che l'autorevole consesso — sia pure so

lo al fine di consentire l'applicazione in dibattimento della san

zione sostitutiva pur in presenza di un parere negativo del pubblico ministero — distingua nettamente l'ipotesi di applicazione della

sanzione in istruttoria o negli atti preliminari del dibattimento

da quella di applicazione all'esito del dibattimento, ritenendo che

il rito speciale valga nel primo caso ma non valga nel se

condo.

Non sembra che si possa condividere l'autorevole affermazione — che, è bene ribadirlo, non vincola l'interprete perché sostenuta

solo in motivazione e non nel dispositivo che potrebbe radicarsi

anche su altra motivazione — sia per tutto quanto sin'ora è stato

affermato sia perché tale affermazione si basa su un solo argo

mento peraltro assai fragile. Si sostiene infatti nella sentenza 30

aprile 1984, n. 120 (id., 1984, I, 1172) che l'art. 79 non implica

necessariamente un richiamo all' iter procedimentale antecedente

in quanto «se il 'può procedere ai sensi dell'art. 77' fosse com

prensivo di tutti gli aspetti disciplinati da quest'ultimo, inclusi

quelli di natura procedimentale, correrebbe il rischio di apparire

superflua l'espressa prescrizione che esista una richiesta formula

ta dall'imputato entro il termine stabilito dall'art. 77». In realtà

la clausola finale dell'art. 79 — anziché specificare un mutamen

to di rito, e svuotare cosi sostanzialmente di contenuto la formu

la «procedere ai sensi dell'art. 77» che come abbiamo visto fu

voluta espressamente dal legislatore — sta solo a ribadire che

il termine entro cui deve essere avanzata la richiesta è termine

perentorio che comporta la decadenza della possibilità di far va

lere l'istanza.

e) Deve essere anche esaminata la questione — rilevante ai

fini della individuazione dei poteri di controllo della Cassazione

in sede di ricorso contro la sentenza applicativa della causa

di estinzione — se il provvedimento di cui all'art. 77 abbia

natura di sentenza di condanna o non. Sul punto non solo

la dottrina, ma anche la giurisprudenza di questa corte, ha dato

soluzioni profondamente contrastanti. Ritiene il collegio che la

sentenza de qua deve ritenersi sentenza di proscioglimento per

applicazione di una causa estintiva del reato e non di condanna.

E questo per una pluralità di motivi: sul piano della interpreta zione letterale della norma non può essere tolto ogni valore

all'uso di una formula terminativa del giudizio che è chiaramen

te ed inequivocabilmente una formula di proscioglimento (estin zione del reato) e che perciò è in netta antitesi con una sentenza

di condanna; non è senza significato e valore il fatto che nella

sezione seconda della legge non viene mai usata dal legislatore la formula sentenza di condanna (vedi art. 80, 83, 84) mentre

nella sezione prima viene spesso usata la locuzione «pena» (art.

54, 57, 58, 59, 60, 61, 63, 69, 71) nonché quella di «sentenza

di condanna» (v. art. 53, 61, 62, 65, 70, 73) e quella di «con

dannato» per la persona a cui siano state applicate le sanzioni

sostitutive di cui agli art. 53-76 (vedi art. 55, 56, 59, 69, 75). La diversità lessicale — cosi massicciamente presente nel testo

legislativo — non può essere casuale e sottolinea la profonda diversità che vi è tra il provvedimento che conclude il procedi mento ordinario, applicando le sanzioni sostitutive, ed il provve dimento che, concludendo il procedimento speciale, dichiara

estinto il reato anche se contestualmente si applicano sanzioni

sostitutive; non sono solo gli elementi letterali, pur significativi, a indurre alla conclusione che la sentenza de qua non può rite

nersi di condanna; non può innanzitutto non rilevarsi come del

tutto fuori del sistema appaia una sentenza di condanna applica ta nella fase istruttoria e sulla base di accertamenti sommari

sulla responsabilità (dottrina e giurisprudenza riconoscono che

alla istanza dell'imputato non può riconoscersi natura di confes

sione); nessuno degli effetti tipici di una sentenza di condanna

è previsto per il provvedimento di cui agli art. 77-79: l'art.

77 prescrive che la sentenza (e sintomaticamente non è aggiunto «di condanna») produce solo gli effetti espressamente previsti dalla II sezione per cui l'iscrizione nel casellario ha solo l'effetto

di concludere un nuovo provvedimento di estinzione del reato

ex art. 77 per chi se ne sia altre volte giovato. Resta cosi escluso

che il provvedimento possa essere preso in considerazione per la eventuale dichiarazione di recidiva, di abitualità, di professio nalità nel reato né per la concedibilità successiva di pene sostituti

ve irrogate d'ufficio: non osta alla concessione del perdono

giudiziale o alla concessione della sospensione condizionale della pe

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GIURISPRUDENZA PENALE

na. Né è possibile con il provvedimento previsto ordinare la pub blicazione della sentenza o applicare misure di sicurezza: ed è

significativo che è possibile solo applicare la misura della confi

sca, ai sensi del 2° comma e non del 1° comma dell'art. 240

che presuppone una sentenza di condanna.

Se si trattasse di una sentenza di condanna ad una pena sosti

tutiva sarebbe logico che, nel caso di non ottemperanza all'obbli

go, si fosse adottato il sistema di conversione previsto dall'art.

66: invece il legislatore ha dovuto ricorrere alla previsione di una

autonoma ipotesi di reato proprio perché non poteva superare un giudicato dichiarativo di estinzione dell'originario illecito.

Questo coacervo di elementi, univocamente orientati a qualifi care come sentenza di proscioglimento e non di condanna quella di cui agli art. 77 e 79, dà, a parere del collegio, la certezza che

il provvedimento in questione non può qualificarsi come sentenza

di condanna. Né gli argomenti che da una parte della giurispru denza di questa corte sono stati portati per qualificare il predetto

provvedimento come sentenza di condanna scalfiscono gli elementi

assai corposi a favore della tesi contraria sopra riportati: non

quello secondo cui «stante la indiscutibile natura di pena delle

sanzioni non definitive sostitutive ... è da ritenersi che la norma

di cui all'art. 77 abbia solo disciplinato un procedimento penale abbreviato . . . che si conclude con una sentenza di condanna pe nale» (cfr. sent. 25 marzo 1983, Sotgiu, id., Rep. 1984, voce cit., n. 212) perché si parte da un presupposto che si assume indiscuti

bile (che le sanzioni sostitutive abbiano natura di pena), ma che

in realtà è tutt'altro che pacifico ed è anzi decisamente contrasta

to da vari elementi sopra indicati; perché la identica «etichetta»

usata nel caso previsto dall'art. 53 ed in quello di cui all'art.

77 non può e non deve trarre in inganno ove si consideri che

mentre nella prima ipotesi il termine «sanzione sostitutiva» è rite

nuto dal legislatore espressamente equivalente al termine «pena sostitutiva» o «pena» tout court (si vedano gli art, 54, 57, 58,

59, 2° comma, lett. b, 60 e via di seguito) nella seconda ipotesi è sicuramente evitata ogni identificazione ed equiparazione tra

il termine «sanzione sostitutiva» e il termine «pena sostitutiva»

(vedi art. 77 e 82); perché non si comprenderebbe ove tanto le

sanzioni di cui all'art. 53 e quelle di cui all'art. 77 avessero iden

tica natura e la diversità tra i due istituti fosse attinente soltanto

al rito processuale, il motivo per cui la inottemperanza alla san

zione non abbia lo stesso effetto di convertire la «pena» sostituti

va in quella sostituita: la impossibilità della conversione nel secondo

caso non può che essere posta in relazione alla natura non di

pena ma di sanzione amministrativa della misura adottata a se

guito di richiesta dell'imputato; non quello secondo cui l'esisten

za della prescrizione di determinare la pena in concreto e di

effettuare il ragguaglio con quella sostitutiva «sta a dimostrare

che le pronunce in questione devono essere assimilate, quanto

alla loro natura giuridica, a sentenze di condanna presupponendo

esse l'accertamento della responsabilità dell'imputato ... e la mi

sura nonché la qualità della pena» (cfr. sent. 21 giugno 1985,

Mura): deve al riguardo osservarsi che il rinvio operato dall'art.

77 alla disciplina delle sanzioni sostitutive applicate d'ufficio è

limitato alla determinazione, applicazione ed esecuzione delle san

zioni sostitutive previste dall'art. 77 mentre nel resto la disciplina è assai diversa; che se tanto alle une quanto alle altre si fosse

voluto attribuire una identica natura penalistica e costituissero

pertanto in entrambi i casi una sentenza di condanna non si com

prenderebbe perché esse siano distintamente previste, diversamente

disciplinate nei presupposti, diversamente disciplinate negli effet

ti; che il ragguaglio con la pena detentiva che si dovrebbe appli

care ha finalità profondamente e sostanzialmente diverse nei due

casi avendo nell'ipotesi di cui all'art. 53 il compito di determina

re la pena da scontare ove il «condannato» non ottemperi alle

prescrizioni ed avendo invece, nell'ipotesi di cui all'art. 77, il li

mitatissimo scopo di consentire il controllo della correttezza del

provvedimento del giudice dati i limiti entro cui questi può acco

gliere la richiesta dell'imputato. In realtà il richiamo alle disposi

zioni della I sezione non può che essere inteso — sulla base di

un principio ermeneutico di generale applicazione — nel senso

che le disposizioni richiamate si osservano se e in quanto applica

bili per cui non può desumersi la natura della sentenza ex art.

77 dalla disciplina prevista dagli art. 53 e seguenti ma è necessa

rio prima analizzare autonomamente le disposizioni di cui alla

sezione II e poi esaminare se ed in che limiti siano ad essa appli

cabili le disposizioni di cui alla I sezione. Oltre tutto per indivi

duare l'essenza di un istituto sono determinanti la disciplina che

Il Foro Italiano — 1987.

esso riceve nel suo complesso e gli effetti cui esso, secondo que

sta disciplina, dà luogo; non quello secondo cui «tale natura di

sentenza di condanna non è in contrasto con la declaratoria di

estinzione del reato imposta dalla norma, trattandosi di una cau

sa estintiva sui generis prevista non in via generale e quindi da

non ricollegarsi quanto agli effetti allo schema processuale ordi

nario» (cfr. sent, del 21 giugno 1985, cit.): anche il perdono giu

diziale non è previsto in via generale eppure, come ha riconosciuto

ripetutamente questa corte, «la sentenza che applica il perdono

giudiziale è a tutti gli effetti penali una sentenza di prosciogli mento» (sez. Ili 3 maggio 1985, Vitali, id., Rep. 1959, voce Ese

cuzione in materia penale, n. 4) e «il perdono giudiziale si risolve

in un irrevocabile proscioglimento, pronunciato in luogo della con

danna, che consegue alla affermazione della colpevolezza, e cioè

in una pronuncia di carattere pienamente e definitivamente libe

ratorio. Il perdono giudiziale pertanto ha una efficacia estintiva

totale del reato al pari delle altre cause estintive diverse dalla

sospensione condizionale della pena» (sez. II 19 maggio 1977, mass. 135938). Si tratta, come precisa esattamente questa stessa

sentenza, di una rinuncia da parte dello Stato non già alla esecu

zione della pena inflitta ma alla condanna che l'imputato avrebbe

meritato per aver commesso il reato.

Anche per il nuovo istituto vi è una rinuncia dello Stato a con

dannare attraverso l'applicazione della causa estintiva ed alla de

claratoria di non procedibilità: ma se ciò è vero — come non

par dubbio che sia vero — non può ritenersi che il provvedimen to ex art. 77 o 79 possa ricondursi nello schema tipico della sen

tenza di condanna.

Alla luce dei principi sopra chiariti appare agevole risolvere

le diverse questioni che sono state proposte con il ricorso.

a) Deve essere esaminata inanzi tutto la questione proposta con

il quinto motivo di ricorso perché, se fondata, comporterebbe

più che una mera nullità della sentenza una nullità dell'intero

giudizio dibattimentale.

La questione non è fondata. A parte il dubbio sulla sussistenza

di un interesse dell'imputato ad impugnare sul punto una senten

za che ha riconosciuto fondata la richiesta di declaratoria di estin

zione del reato, e l'ha accolta, al solo fine di vedersi applicare la stessa formula terminativa negli atti preliminari al dibattimen

to anziché all'esito del dibattimento stesso, vi è da rilevare che — come sopra si è detto — l'imputato non ha un diritto ad otte

nere negli atti preliminari la pronuncia, avendo il giudice l'obbli

go, ove allo stato manchi un accertamento dei presupposti su

cui si deve ancorare il provvedimento, di procedere nel dibatti

mento stesso al fine di acclarare la effettiva sussistenza di tali

presupposti. È questo un potere discrezionale del giudice — per ché attiene ad esigenze di istruttoria della richiesta — non sinda

cabile in questa sede ove è possibile sindacare solo se è giustificata la reiezione o l'accoglimento della istanza con la sentenza. Non

si può pertanto neppure condividere la tesi sostenuta in altro pro

cedimento da questa corte — che comunque ugualmente rende

rebbe infondato il motivo di ricorso — secondo cui «pur avendo

la richiesta di sanzione sostitutiva fatta dall'imputato prima delle

formalità di apertura del dibattimento finalità che richiedono una

applicazione immediata della sanzione stessa (ricorrendone i pre

supposti) l'integrale svolgimento del dibattimento culminante nel

l'applicazione della sanzione sostitutiva richiesta costituisce una

mera irritualità che non inficia né invalida il provvedimento fina

le che infligge la sanzione sostitutiva» (27 settembre 1984, Roffi,

id., Rep. 1985, voce Pena, n. 110). In realtà non costituisce irri

tualità lo svolgimento del dibattimento tendente ad accertare la

sussistenza dei presupposti per l'accoglimento dell'istanza.

b) Manifestamente infondata è la questione di costituzionalità

sollevata, perché la previsione della sola possibilità di ricorrere

in Cassazione contro la sentenza applicativa della causa estintiva

non viola né il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.,

né il principio della possibilità di difesa di cui all'art. 24 Cost.

Si sostiene nel ricorso che mentre appare giustificata la manca

ta previsione di una impugnazione in appello nel caso di sentenza

istruttoria o predibattimentale, ciò non è giustificato nel caso in

cui si sia proceduto al dibattimento; che sussisterebbe una ingiu

stificata disparità di trattamento tra la sentenza de qua e le altre

sentenze dibattimentali applicative di cause estintive. Deve però

osservarsi, sulla base di quanto precedentemente detto, che la sen

tenza dibattimentale che accolga la richiesta della causa estintiva

non si differenzia in alcun modo dalla sentenza emessa nella fase

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PARTE SECONDA

istruttoria e — quando possibile — nella fase predibattimentale, essendo unico il procedimento speciale ed essendosi dovuto ricor

rere alla fase dibattimentale solo per accertare compiutamente la

sussistenza di tutti i presupposti indispensabili all'accoglimento della richiesta.

Né vi è una disparità di trattamento ingiustificata tra questo caso di applicazione della particolare causa estintiva del reato e

gli altri casi per cui si è riconosciuto, anche da parte della Corte

costituzionale, la possibilità dell'appello. In tutti questi ultimi ca

si la causa estintiva viene ritenuta d'ufficio dal giudice, ci sia

stata o non una sollecitazione in tal senso ed anche quando vi

sia una opposizione dell'imputato che ha chiesto espressamente e solo il proscioglimento in merito; nel caso di cui all'art. 79

la formula di proscioglimento deriva esclusivamente dalla richie

sta dell'imputato che liberamente sceglie di preferire, e quindi di mettere in moto, un rito abbreviato che gli consente di ottene

re un risultato per lui positivo (eliminazione di una condanna) altrimenti non conseguibile, piuttosto che un rito ordinario in

cui è certamente più ampiamente assicurato il suo diritto di dife

sa ma che può anche terminare con una affermazione esplicita di responsabilità e la irrogazione di una sanzione penale. L'ordi

namento lascia all'imputato ampia discrezionalità nella scelta; ma

quando essa sia stata fatta non può consentire che l'imputato

possa vedere accolta la sua istanza di declaratoria di estinzione

del reato ma senza dare più la contropartita di consentire una

rapida definizione del procedimento e cioè l'obiettivo che il legis latore perseguiva con l'introduzione dell'istituto di cui agli art.

77 e 79. Sussisterebbe in realtà una disparità di trattamento con

chi ha preferito il rito ordinario, proprio per tentare la strada

di un proscioglimento nel merito a seguito di un approfondito accertamento della sua eventuale responsabilità, se colui che ha

proposto istanza ex art. 77 potesse godere sia di un processo ga rantito al massimo attraverso anche il doppio grado di giurisdi zione nel merito sia comunque di una formula di estinzione del

reato preclusa all'altro.

La questione pertanto deve ritenersi manifestamente infonda

ta. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 14 mag

gio 1986; Pres. Martuscelli, Est. Siena, P.M. Carlucci (conci,

diff.); ric. Torriani. Annulla Trib. Milano 11 febbraio 1985.

Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Discarica — Definizione (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attuazione delle direttive CEE n.

74/442, relativa ai rifiuti, n. 76/403, relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319, relativa

ai rifiuti tossici e nocivi, art. 9, 10, 25).

A norma degli art. 10 e 25 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915 per discarica deve intendersi il luogo dove stabilmente e permanen temente si svolge il processo di smaltimento dei rifiuti, mentre

i termini «abbandono, scarico e deposito», usati dal legislatore nel precedente art. 9, indicano un qualsiasi atto occasionale

o discontinuo di smaltimento dei rifiuti solidi. (1)

(1) Nella sentenza riportata la Cassazione fornisce una definizione del concetto di discarica secondo quanto è dato desumere dall'art. 10 d.p.r. n. 915/82 ponendo una chiara differenza tra questa nozione e quella di

«abbandono, scarico e deposito» che compare nell'art. 9 dello stesso de creto. L'opinione rievoca quanto già era emerso nelle prime sentenze di

merito; in proposito, si veda Pret. Menaggio 29 giugno 1983, Foro it., 1985, II, 36, con nota di richiami (cui si rinvia per le citazioni dottrinarie sul tema specifico; in particolare si richiama l'opera di carattere tecnico di Di Froio, Disciplina dei rifiuti, Milano, 1984, 50).

Da ultimo, sulla problematica delle discariche comunali, v. Pret. Asti 6 giugno 1986 e altre quattro (.Foro it., 1986, II, 681 con nota di richia

mi) fra cui Pret. Roma 12 febbraio 1986, riportata anche in Giur. merito, 1987, 117 con nota di Benini.

Per la questione relativa alla nozione di rifiuto (solo accennata nella sentenza che si riporta) v. Pret. Asti 10 gennaio 1986, Foro it., 1986, II, 443.

Da segnalare il passo della sentenza in cui si puntualizza che «il legisla tore abbia voluto distinguere la discarica dallo smaltimento generico dei rifiuti stante la diversa sanzione prevista per la fattispecie disciplinata

Il Foro Italiano — 1987.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 19 no

vembre 1985; Pres. Martuscelli, Est. Cavallari, P.M. Pa

gliarulo (conci, conf.); ric. Spinelli. Conferma Trib. Chieti

3 dicembre 1984.

Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Centro di raccolta dei veicoli

a motore fuori uso — Obbligo di autorizzazione regionale —

Sussistenza (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, art. 6, 15, 25). Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Centro di raccolta dei veicoli

a motore fuori uso — Attività di smaltimento dei rifiuti pro dotti da terzi (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, art. 6, 10, 15, 25).

I centri di raccolta o rottamazione di autoveicoli fuori uso non

possono essere realizzati o gestiti senza la prescritta autorizza

zione regionale. (2) I centri di raccolta dei veicoli fuori uso non possono considerarsi

discariche dato che, a differenza delle discariche, che sono luo

ghi di raccolta di rifiuti privi ormai di qualsiasi valore econo

mico, gli stessi centri raccolgono, invece, beni suscettibili di

successive operazioni tecnologiche tendenti a recuperare un va

lore economico. (3)

III

PRETURA DI FORLÌ; sentenza 1° ottobre 1986; Giud. Verar

di; imp. Ravaioli.

Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Centro di raccolta dei veicoli

a motore fuori uso — Discarica (D.p.r. 10 settembre 1982 n.

915, art. 10, 15). Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Centri di raccolta dei veicoli

a motore fuori uso — Licenza comunale e/o autorizzazione

regionale — Mancanza — Reati configurabili (D.p.r. 10 set

tembre 1982 n. 915, art. 10, 15, 25). Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Attività di smaltimento dei

rifiuti preesistente al 16 dicembre 1982 — Omessa presentazio ne della domanda di autorizzazione entro il termine del 16 marzo

1983 — Prosecuzione dell'attività in assenza della prescritta au

torizzazione — Reati configurabili (D.p.r. 10 settembre 1982

n. 915, art. 6, 10, 15, 25, 31).

Allorquando un'attività di ammasso di carcasse di veicoli fuori uso si sviluppa in maniera incontrollata (ovvero senza alcuna

al 1° comma rispetto a quella del 2° comma dell'art. 25»: per vero, la corte non esaurisce la problematica, ma l'affermazione pare rivestire un certo interesse in rapporto alla dibattuta questione inerente l'obbligo di richiedere l'autorizzazione regionale anche per la gestione delle discariche comunali. A questo riguardo, si segnala che la Corte d'appello di Torino con sentenza 10 aprile 1987 (inedita), riformando integralmente Pret. Asti 6 giugno 1986, cit., ha argomentato tra l'altro che la specifica fase della discarica rientra nell'attività di smaltimento dei rifiuti con la conseguenza che per la gestione della stessa non è necessario il rilascio della autorizza zione regionale trattandosi di attività esercitata obbligatoriamente dal l'ente locale.

In materia da ultimo Corte cost., ord. 15 dicembre 1986, n. 261 id., 1987, I, 997, ha dichiarato manifestamente inammissibile una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto il reato di cui all'art. 25.

(2-3) La Cassazione ha affrontato, a quanto risulta per la prima volta, la fattispecie prevista dall'art. 15 d.p.r. n. 915/82, cioè il centro di rac colta delle carcasse di autoveicoli. La decisione, anche se non particolar mente approfondita, è di notevole portata perché afferma a chiare lettere il principio secondo il quale i centri di raccolta di veicoli usati devono essere provvisti, oltre che della licenza comunale di cui all'art. 15, anche dell'autorizzazione di cui all'art. 6, lett. d), del decreto. La giurispruden za di merito e la dottrina sul punto sono divise: in senso analogo Pret. Asti 22 marzo 1985, Foro it., 1985, II, 341; in senso parzialmente diffor me Pret. Firenze 23 ottobre 1985, id., 1986, II, 109, secondo la quale l'autorizzazione è necessaria solo quando si effettui attività consistente nel recupero dei pezzi, nella rottamazione e nella demolizione delle car casse, e Pret. Forlì riportata sub III. Per i riferimenti dottrinari si rinvia alle note di richiami alle sentenze su citate.

Di rilevante interesse è l'affermazione della corte circa la non ricondu cibilità dei centri di raccolta carcasse nella categoria delle discariche: in senso contrario, oltre a Pret. Forlì di cui oltre, Pret. Menaggio 29 giugno 1983, id., 1985, II, 36. Anche su tale problematica si rinvia alle note di richiami suindicate per il panorama delle posizioni dottrinarie in argo mento: va comunque ricordato riassuntivamente che la tesi sostenuta dal la Corte di cassazione è condivisa dalla gran parte della dottrina.

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