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sezione VI penale; sentenza 12 giugno 2001; Pres. Romano, Est. De Roberto, P.M. Frasso (concl....

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sezione VI penale; sentenza 12 giugno 2001; Pres. Romano, Est. De Roberto, P.M. Frasso (concl. conf.); ric. Mare. Conferma Trib. Palermo, ord. 11 dicembre 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2002), pp. 445/446-447/448 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196574 . Accessed: 28/06/2014 12:48 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.155 on Sat, 28 Jun 2014 12:48:23 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione VI penale; sentenza 12 giugno 2001; Pres. Romano, Est. De Roberto, P.M. Frasso (concl. conf.); ric. Mare. Conferma Trib. Palermo, ord. 11 dicembre 2000

sezione VI penale; sentenza 12 giugno 2001; Pres. Romano, Est. De Roberto, P.M. Frasso (concl.conf.); ric. Mare. Conferma Trib. Palermo, ord. 11 dicembre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2002), pp. 445/446-447/448Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196574 .

Accessed: 28/06/2014 12:48

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GIURISPRUDENZA PENALE

conversione conseguente all'inosservanza delle prescrizioni ine

renti alla (semidetenzione o alla) libertà controllata ai sensi de

gli art. 66 e 67 1. 689/81 — tranne che per i minori di età (Corte cost. 109/97) per preservarli dal carcere se non come extrema

ratio — costituisce la conferma dell'affinità tra le diverse misu

re di cui trattasi. La presunzione assoluta (nei termini precisati)

d'inadeguatezza della misura alternativa, quando quella sostitu

tiva sia fallita rivelandosi inidonea alla rieducazione del sog

getto, insensibile alle opportunità di recupero, sta a dimostrare

l'inutilità di un ulteriore tentativo di risocializzazione attraverso

un percorso analogo a quello rivelatosi privo di positivi risultati.

4. - Un'ulteriore serie di considerazioni induce a ritenere pri va di ragionevolezza l'applicazione dell'affidamento in prova alla libertà controllata. Anzitutto, il 1° comma dell'art. 47 ord.

penit. a chiare lettere prevede l'applicazione della misura alla

«pena detentiva». Inoltre, il confronto fra il 5°, 6° e 7° comma

della norma citata e il 1° comma dell'art. 56 1. 689/81 induce a

ritenere sostanzialmente meno afflittive le prescrizioni imposte al libero controllo rispetto all'affidato in prova al servizio so

ciale. Anche perché alla sanzione sostitutiva è applicabile la so

spensione condizionale prevista dall'art. 163 c.p. (tra le altre,

Cass., sez. VI, 18 dicembre 1998, Linosa, id., Rep. 1999, voce

Sospensione condizionale della pena, n. 5), sicché non è di poco conto assicurarsi la possibilità che il reato si estingua (art. 167

c.p.), per cui cessa il pericolo anche dell'esecuzione della pena in regime sostitutivo, ove tale evento si verifichi.

Non sono poi affatto di secondario rilievo le implicazioni, an

che costituzionali (per l'eventuale contrasto con i principi di

uguaglianza e lato sensu di stretta legalità), che deriverebbero

dall'applicazione dell'affidamento in prova alla libertà control

lata, poiché ciò comporterebbe la violazione del ragguaglio pre visto dal 1° comma dell'art. 47 1. 354/75 nei confronti del con

dannato, cui è stata applicata la sanzione sostitutiva, che sarebbe

affidato in prova per un periodo doppio rispetto al condannato

«ordinario» cui fosse applicata la stessa misura alternativa «per un periodo uguale a quello della pena da scontare» (1° comma

dell'art. 47 cit.). Quanto all'istituto della revoca, previsto per entrambe le mi

sure in questione, mentre quella della libertà controllata com

porterebbe l'espiazione della sola pena residua (art. 72, 1°

comma, 1. 689/81), la revoca dell'affidamento in prova, pur nel

rispetto della decisione della Corte costituzionale adottata con

sentenza 343/87 (id., 1989,1, 587), teoricamente potrebbe avere

effetto ex tunc o comunque inglobare almeno un segmento di

pena già eseguita in regime alternativo, così prolungando il

tempo di espiazione. Ed è notevole la diversità di regola in tema di sospensione

delle due misure: la libertà controllata riprende a decorrere dopo la cessazione dello stato di detenzione intervenuto per altra cau

sa nel corso di esecuzione della sanzione sostitutiva (art. 68 1.

689/81); la sospensione dell'affidamento in prova è, invece,

propedeutica alla revoca se il comportamento che ne è stato

causa è rivelatore dell'inidoneità della misura alternativa ai fini

della risocializzazione dell'affidato (art. 47, 11° comma, e 51

ter 1. 354/75 e successive modificazioni). 5. - Conclusivamente, alla luce delle argomentazioni esposte,

l'applicabilità dell'affidamento in prova al servizio sociale solo

alla pena detentiva, l'inutilità dell'applicazione della misura al

ternativa a quella sostitutiva, della quale sostanzialmente costi

tuirebbe un duplicato, e l'irragionevolezza di tale «surrogazio ne», derivandone nel complesso una situazione più sfavorevole

per il condannato che si trovi in regime di libertà controllata, costituiscono i cardini per risolvere la questione rimessa a que ste sezioni unite, che ritengono non applicabile l'affidamento in

prova al servizio sociale alla libertà controllata.

Pertanto, va rigettato il ricorso.

Il Foro Italiano — 2002.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 12

giugno 2001; Pres. Romano, Est. De Roberto, P.M. Frasso

(conci, conf.); ric. Mare. Conferma Trìb. Palermo, ord. 11 di

cembre 2000.

Peculato, concussione, malversazione, percezione indebita di

erogazioni pubbliche — Concussione — Truffa aggravata

— Differenze (Cod. pen., art. 61, 317, 640).

Ricorre il delitto dì concussione ogniqualvolta il pubblico uffi ciale o l'incaricato di pubblico servizio, abusando della pro

pria qualità o dei propri poteri, induca il soggetto passivo ad

un 'ingiusta prestazione che quest 'ultimo sa non dovuta; mentre è configurabile la truffa aggravata dall'abuso dei

poteri o dalia violazione dei doveri inerenti ad una pubblica

funzione o ad un pubblico servizio quando solo in via acces

soria l'abuso della qualità o della funzione concorra alla

determinazione della volontà del soggetto passivo, che viene

convinto da raggiri o artifici ad eseguire una prestazione che

egli crede dovuta. ( 1 )

(1) I. - La sentenza in epigrafe affronta il tormentato tema dei rap porti fra concussione per induzione e truffa aggravata ex art. 61, n. 9,

c.p. — in ordine al quale, più criteri distintivi sono stati elaborati dalla

prassi giurisprudenziale — segnalandosi per il fatto di coniugarne in sieme almeno un paio.

Ed invero, con l'affermare che «nella concussione il privato mantie ne la consapevolezza di dare o promettere qualcosa di non dovuto, mentre nella truffa la vittima viene indotta in errore dal soggetto quali ficato circa la doverosità oggettiva delle somme o delle utilità date o

promesse», la pronuncia sembra richiamare quel consolidato orienta mento le cui cadenze argomentative possono così sintetizzarsi:

1 ) «nella truffa il timore del danno è determinato dall'errore, che non incide sulla volontà ma vizia soltanto il consenso del soggetto passivo, in modo che questi dà 'volendo' dare; nella concussione invece, il ti

more è determinato dalla minaccia posta in essere dal pubblico ufficia

le, e la consegna della cosa avviene invito domino poiché il soggetto passivo dà "non volendo' dare» (Cass. 25 maggio 1968, Rossin, Foro

it., Rep. 1969, voce Concussione, n. 19, e Giust. pen., 1969, II, 423: nella fattispecie è stata ritenuta la sussistenza del reato di concussione in considerazione del fatto che gli imputati (appartenenti alla guardia di

finanza), facendosi consegnare una somma di denaro in cambio

dell'«aggiustamento» di un accertamento tributario, avevano coartato la

volontà della vittima prospettandole la possibilità di «sistemare la fac cenda» se avesse accondisceso al pagamento della «tangente». In senso

conforme, anche se più succintamente motivate, v. Cass. 20 gennaio 1978, Bova, Foro it., Rep. 1978, voce cit., n. 2, e Giust. pen., 1978, II, 550; 26 marzo 1991, Guglielmetti, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 13; 26 gennaio 1996, Iafisco, id., 1997, II, 178);

2) «nella concussione (la condotta criminosa) si sostanzia nella co

strizione a fare o promettere un aliquid, attuata mediante violenza mo

rale; nella truffa si concreta invece in un'attività fraudolenta, tale da

determinare uno stato di errore o di inganno produttivo del danno pa trimoniale» (Cass. 25 maggio 1968, cit.).

In forza di tale orientamento la linea di demarcazione fra i due reati verrebbe quindi ad essere individuata in base all'atteggiamento psico logico della vittima, con conseguente esclusione della configurabilità del delitto di concussione laddove la stessa, tratta in inganno dal pub blico ufficiale circa la doverosità della prestazione, si fosse determinata a pagare l'indebito.

Senonché, col ritenere che nel delitto di concussione, attraverso

l'espressione «induce» il legislatore avrebbe descritto «non soltanto il

comportamento del soggetto attivo del reato, ma anche il suo effetto, cioè l'atteggiamento psicologico in cui viene a trovarsi la vittima la cui

volontà viene ad essere viziata, senza che necessariamente tale vizio

coincida con l'inganno del concussore», la Cassazione finisce in fondo

col riecheggiare quel filone giurisprudenziale (altrettanto diffuso) se

condo cui «deve ritenersi che nel concetto di induzione rientri sia l'at

tività di persuasione del soggetto passivo, sia quella che comporti un

inganno del soggetto medesimo, sempre che l'induzione si sia essen

zialmente svolta attraverso l'abuso della qualità del pubblico ufficiale o

della pubblica funzione. L'inganno, pur non essendo necessario, non è,

però, contrastante con la natura o la struttura della concussione, la

quale si distingue dalla truffa aggravata, perché in essa l'abuso della

predetta qualità o della pubblica funzione ha efficacia determinante

nella produzione dell'evento» (cfr. Cass. 29 novembre 1965, Ruggiero, Foro it., Rep. 1967, voce cit., n. 11, e Rìv. it. dir. e proc. pen., 1967,

294, con nota critica di Marini. In senso conforme, v. altresì Cass. 8

novembre 1984, Anceschi, Foro it., Rep. 1986, voce cit., nn. 4, 8; 26

aprile 1989, Leonardi, id., Rep. 1990, voce cit., n. 7; 24 novembre

1993, De Carolis, id., Rep. 1994, voce cit., n. 28; nonché 30 gennaio

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PARTE SECONDA

Fatto e diritto. — 1. - Mare Salvatore è indagato di tre fatti di

concussione commessi nella sua qualità di primario del reparto di otorinolaringoiatria dell'ospedale civile S. Cimino. Più in

particolare, abusando dei doveri connessi a tale qualità, col pro

spettare la necessità del relativo intervento e con l'affermare

che una simile operazione non poteva essere effettuata presso la

struttura pubblica perché non addebitabile ai costi gestiti dal

servizio sanitario nazionale, costringeva o comunque induceva

vari pazienti a consegnargli prima dell'operazione chirurgica, come corrispettivo comunque non dovuto —

per non essere

abilitato presso l'ospedale —

per l'esecuzione di interventi di

rinosettoplastica, somme di denaro. Più precisamente, da Russo

Rosa lire 800.000, da Pinto Gianluca lire 850.000 e da Tuso

Roberto lire 1.000.000.

È altresì indagato di abuso di ufficio per avere utilizzato, per

eseguire i detti interventi, le attrezzature dell'ospedale, nonché

di truffa continuata ed aggravata per avere, omettendo di comu

nicare alla dirigenza sanitaria di avere effettuato gli interventi

operatori sopra indicati senza corrispondere gli importi dovuti, indotto in errore la direzione stessa.

Per tali reati il Tribunale di Termini Imerese ha spedito ordi

nanza di custodia cautelare in carcere.

Adito in sede di riesame dal Mare, il Tribunale di Palermo, con ordinanza dell'11 dicembre 2000, ha sostituito la detta mi

sura con gli arresti domiciliari.

2. - Ha proposto ricorso per cassazione il Mare denunciando

violazione dell'art. 274 c.p.p. e vizio di motivazione per non

avere il giudice a quo esaminato le censure del ricorrente in

punto di esigenze cautelari sia probatoria sia di reiterazione, se

gnalando l'ormai suo avvenuto collocamento in pensione.

Deduce, ancora, violazione della legge penale perché, facen

do difetto nei soggetti passivi la conoscenza della illiceità della

richiesta, sarebbe stato, al più, ipotizzabile il delitto di truffa

aggravata. In prossimità dell'odierna udienza in camera di consiglio il

Mare ha presentato motivi nuovi a sostegno del ricorso, conte

stando altresì la sua qualità di pubblico ufficiale o di incaricato

di pubblico servizio per avere agito solo utilizzando come me

dico privato le strutture ospedaliere. 3. - Il primo motivo di ricorso si profila ai limiti dell'inam

missibilità, attesa l'ampia motivazione sul pericolo di recidiva, correttamente desunta dalla tipologia comportamentale, pure a

prescindere dall'allegata cessazione dallo specifico servizio.

4. - Passando ad esaminare il secondo motivo di ricorso, va

ricordato che la distinzione tra concussione e truffa, che stando

alla pressoché costante giurisprudenza di questa corte — si pone solamente con riferimento alla concussione per induzione — va

individuata nel fatto che nella concussione il privato mantiene la

consapevolezza di dare o promettere qualcosa di non dovuto, mentre nella truffa la vittima viene indotta in errore dal soggetto

qualificato circa la doverosità oggettiva delle somme o delle

utilità date o promesse (sez. VI 5 ottobre 1998, Sacco, Foro it

1995, Nicotera, id., Rep. 1996, voce cit., n. 6, e Giust. pen., 1996, II,

72). E in base ad argomentazioni come queste che la giurisprudenza rie

sce a far rientrare nel concetto di induzione (di cui all'art. 317 c.p.) comportamenti sia prevaricatori che ingannevoli, con la conseguenza che il reato di concussione ricorrerebbe anche laddove la vittima difetti della consapevolezza del sopruso subito e sia convinta, di contro, di ef fettuare una prestazione dovuta. Secondo questa impostazione — ma

più in generale secondo tutti coloro che ritengono ammissibile la confi

gurabilità della concussione mediante frode — il discrimine fra i due reati andrebbe individuato non tanto nella diversità dell'atteggiamento psicologico del soggetto passivo (consapevolezza o meno del carattere indebito della prestazione), quanto piuttosto nell'incidenza determi nante (nella concussione) o soltanto accessoria (nella truffa aggravata ex art. 61, n. 9, c.p.) dell'abuso funzionale posto in essere dal pubblico ufficiale nell'ambito della vicenda criminosa (per quel che concerne i criteri distintivi fra i due reati nell'ambito delle sentenze che ammetto no la concussione fraudolenta, cfr. le decisioni riportate supra, nonché Cass. 11 novembre 1950, Cicaulo, Foro it., Rep. 1950, voce cit., n. 10).

In argomento, cfr., di recente, AA.VV., Codice penale. Rassegna di

giurisprudenza e dottrina a cura di Lattanzi e Lupo, Milano, 2000, VI, 99, e letteratura ivi citata; Benussi, I delitti dei pubblici ufficiali, in Trattato di diritto penale diretto da Marinucci e Dolcini, parte spe ciale, Padova, 2001, I, 1, 392. [A. Canepa]

Il Foro Italiano — 2002.

Rep. 2000, voce Peculato, n. 26). Il delitto di concussione si di

stingue, dunque, da quello di truffa aggravata dall'abuso dei

poteri o dalla violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione in quanto nel primo reato l'abuso si atteggia, con ri

guardo alla determinazione della volontà del soggetto passivo, come causa esclusiva di essa, mentre nel secondo caso ha valore

accessorio o di mera occasione; inoltre nella truffa il timore del

danno è provocato dall'induzione in errore del soggetto passivo; nella concussione, invece, detto timore è causato dalle minacce

del pubblico ufficiale (sez. VI 8 marzo 1996, Ferrara, id., Rep.

1996, voce Concussione, n. 20). Questa corte ha, però, ancora,

puntualizzato che la distinzione tra il reato di concussione per induzione e reato di truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale sta nelle modalità dell'azione attuata da quest'ultimo. Pertanto deve ravvisarsi concussione tutte le volte che l'abuso

della qualità o della funzione assume preminente importanza

prevaricatrice che induce il soggetto passivo all'ingiusta dazio

ne, che egli sa non dovuta; deve, invece, ravvisarsi truffa aggra vata quando le qualità o la funzione del pubblico ufficiale con

corrono in via accessoria alla determinazione della volontà del

soggetto passivo, che viene convinto con artifici o raggiri ad

una prestazione che gli crede dovuta (sez. VI 26 gennaio 1996,

Iafisco, id., 1997, II, 178). Del resto, ai fini dell'individuazione della condotta di concussione per «induzione», con l'espressio ne «induce», viene descritto non soltanto il comportamento del

soggetto attivo del reato, ma anche il suo effetto, cioè l'atteg

giamento psicologico in cui viene a trovarsi la vittima la cui

volontà viene ad essere viziata, senza che necessariamente tale

vizio coincida con l'inganno del concussore. E ciò perché, se è

pur vero che anche l'inganno è persuasione, non si richiede che

la condotta di induzione debba provocare (come, invece, avvie

ne relativamente alla truffa) l'errore nel soggetto passivo (sez. VI 22 ottobre 1993, Catapano, id., Rep. 1995, voce cit., n. 8).

Ne deriva che, almeno allo stato, la fattispecie interlocuto

riamente addebitata al Mare risulta assolutamente corretta. Il

giudice a quo ha, infatti, osservato, con giudizio di fatto incen

surabile in questa sede, che i soggetti passivi erano a conoscen

za della natura illecita delle richieste di denaro avanzate dall'in

dagato. 5. - Del tutto priva di fondamento è, infine, la censura con

cernente la qualità soggettiva del ricorrente. Non può, infatti,

nel caso di specie richiamarsi quella linea interpretativa in base

alla quale il primario ospedaliero, nello svolgere nell'ambito

della struttura ospedaliera attività libero professionale (così detta intra moenia) consentitagli dal d.p.r. 20 maggio 1987 n.

270, non riveste né la qualità di pubblico ufficiale né di incari cato di pubblico servizio. E ciò perché il ricorrente risulta aver

agito come primario ospedaliero non autorizzato agli interventi

chirurgici intra moenia.

6. - Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.

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