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Sezione VI penale; sentenza 25 febbraio 1981; Pres. Marucci, Est. Dattilo, P. M. Simoncelli (concl....

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Sezione VI penale; sentenza 25 febbraio 1981; Pres. Marucci, Est. Dattilo, P. M. Simoncelli (concl. conf.); ric. Verdecchia. Conferma App. Firenze, ord. 12 novembre 1980 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 423/424-425/426 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23173063 . Accessed: 28/06/2014 07:55 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.31 on Sat, 28 Jun 2014 07:55:39 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione VI penale; sentenza 25 febbraio 1981; Pres. Marucci, Est. Dattilo, P. M. Simoncelli (concl. conf.); ric. Verdecchia. Conferma App. Firenze, ord. 12 novembre 1980

Sezione VI penale; sentenza 25 febbraio 1981; Pres. Marucci, Est. Dattilo, P. M. Simoncelli(concl. conf.); ric. Verdecchia. Conferma App. Firenze, ord. 12 novembre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 423/424-425/426Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173063 .

Accessed: 28/06/2014 07:55

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PARTE SECONDA

La Corte, ecc. — Loprete Donato ricorre avverso l'ordinanza

della Corte d'appello di Venezia in data 3 novembre 1980 con la

quale è stata dichiarata inammissibile la dichiarazione di ricusa

zione proposta in data 10 ottobre 1980 nei confronti del dott.

Felice Napolitano, g. i. presso il Tribunale di Treviso.

A sostegno del ricorso deduce: 1) la violazione dell'art. 64, n.

3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 524, nn. 1 e 3, cod. proc.

pen.; 2) l'inosservanza dell'art. 64, n. 2, cod. proc. pen. in

relazione all'art. 524, nn. 1 e 3, cod. proc. penale.

Chiede, pertanto, l'annullamento del provvedimento impugnato. Il ricorso è privo di fondamento.

La costante giurisprudenza di questa Suprema corte ha fissato il

principio per il quale l'inimicizia grave, come motivo di ricusa

zione del giudice, si deve riscontrare nei rapporti personali svoltisi in precedenza e al di fuori del processo, e non anche nel

trattamento eventualmente usato dal giudice nel corso del proce dimento. È ovvio, altresì', che la causa di ricusazione debba

fondarsi su fatti e circostanze obiettivi e non su mere supposizio ni o impressioni del ricusante.

Alla stregua di tali principi la corte di merito ha preso in

esame tutti i fatti denunciati ed indotti a sostegno della ricusazio

ne e, attraverso un'accurata valutazione degli stessi, è pervenuta alla affermazione che nessuna sintomaticità assumono gli atti

compiuti dal giudice istruttore sotto il denunciato profilo. Va condivisa, pertanto, la decisione adottata dalla corte di

merito, non potendosi ravvisare, nella specie, la denunciata inimi

cizia grave che il giudice ricusato avrebbe nutrito nei confronti

del ricorrente.

Ma non ricorre, altresì, neppure l'altra ipotesi di cui all'art. 64,

n. 2, cod. proc. pen. indotta come motivo di ricusazione, poiché la generica affermazione attribuita al predetto giudice in un

precedente provvedimento contro altro imputato, secondo la quale « ai fatti potrebbero non essere estranee persone appartenenti ai

più alti gradi della guardia di finanza o ad altre amministrazioni »

non può avere alcuna rilevanza per la genericità dell'espressione e

per la mancanza di qualsiasi indicazione dalla quale potesse dedursi la identità del ricorrente. Ciò anche per la considerazione

che l'opinione del giudice era estesa anche a persone appartenenti ad altre amministrazioni. Va accolta la richiesta del p. g. e, di

conseguenza il ricorso del Loprete va rigettato. (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

90, con nota di richiami; secondo Cass. 16 dicembre 1979, Borgoglio

(id., 1980, II, 419, con nota di richiami) l'istanza di ricusazione deve

indicare in maniera chiara e determinata i fatti rilevanti per la

confìgurabilità, nei confronti del giudice procedente, di un addebito di

violazione del dovere di riservatezza. Per il carattere eccezionale dell'istituto della ricusazione, per cui esso

non può trovare applicazione oltre i casi tassativamente stabiliti dalla

legge, v. Cass. 25 ottobre 1979, Torlonia, id., 1980, II, 422, con nota

di richiami.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione VI penale; sentenza 25

febbraio 1981; Pres. Marucci, Est. Dattilo, P. M. Simoncelli

(conci, conf.); ric. Verdecchia. Conferma App. Firenze, orci. 12

novembre 1980.

Libertà personale dell'imputato — Custodia preventiva — Ter

mini — Prolungamento per i delitti commessi per finalità di

terrorismo o eversione dell'ordine democratico — Reati com

messi anteriormente all'entrata in vigore del d. 1. n. 625/79 —

Applicabilità (Cod. proc. pen., art. 272; d. 1. 15 dicembre 1979

n. 625, misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico

e della sicurezza pubblica, art. 10, 11; legge 6 febbraio 1980

n. 15, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 15 di

cembre 1979 n. 625, art. unico).

Il prolungamento di un terzo dei termini massimi della custodia

preventiva, introdotto dall'art. 10 d. I. n. 625/1979, convertito, con modificazioni, nella legge n. 15/1980, per i delitti commes

si per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democra

tico (e per altri reati) si applica anche ai procedimenti in corso

per reati commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto legge. (1)

(1) Non constano precedenti editi in termini. Contra, in dottrina, Corso, Nuovi profili della carcerazione preventiva, 1981, 94; contro il prolungamento dei termini si era espresso, nel corso del dibattito svoltosi alla Camera dei deputati sul d. d. 1. di conversione del d. 1. n. 625, l'on. Mellini, il cui intervento è riportato in appendice alla citata opera di Corso, pp. 236-237. In dottrina vedasi, altresì, Marzaduri,

La Corte, ecc. — Ritenuto in fatto e diritto. — La Corte

d'appello di Firenze, sezione istruttoria, con ordinanza del 12

novembre 1980 rigettò l'istanza di scarcerazione per decorrenza

dei termini massimi della custodia preventiva, presentata da

Verdecchia Giampaolo, rinviato a giudizio (ord. g. i. di Firenze

del 26 novembre 1979) per rispondere dei reati di cui agli art.

624 e 625, nn. 2 e 7, e 61, n. 11, cod. pen., 81, capov., 307 cod.

pen., 379 cod. pen., 81, capov., 278 cod. pen. commessi nel

febbraio 1979 ed in epoca precedente. La sezione istruttoria rilevò che i reati di favoreggiamento

personale, di favoreggiamento reale e di assistenza ai partecipi di banda armata dovevano ritenersi commessi dal Verdecchia per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, avendo l'imputato aiutato, sia pure indirettamente, ma in modo non meno efficiente e specificamente strumentale, il fenomeno

terroristico, con la conseguenza che i reati indicati rientravano nella nuova disciplina della legge 6 febbraio 1980 n. 15, che

proroga la custodia preventiva. Ne trasse l'ulteriore rilievo che il

termine di custodia preventiva, previsto per il reato più grave (favoreggiamento reale), per il quale l'art. 272 cod. pen. prescrive il mandato di cattura facoltativo, il termine massimo della carce razione preventiva era di un anno e quattro mesi, non ancora decorsi al tempo del provvedimento.

Nel suo ricorso per cassazione il ricorrente denuncia la viola zione del principio della irretroattività della legge penale (art. 2 cod. pen.), deducendo che i reati suddetti non potevano essere considerati aggravati ai sensi dell'art. 1, 1° comma, legge 6 febbraio 1980 n. 15, cioè commessi per finalità di terrorismo, perché verificatisi anteriormente all'entrata in vigore delia legge e

che, conseguentemente non può trovare applicazione il disposto dell'art. 10, che, per i reati commessi per scopo di eversione o di

terrorismo, stabilisce che ia durata massima della custodia preven tiva è prolungata di un terzo e, nel caso in discorso, da un anno ad un anno e quattro mesi.

Osservasi che le doglianze mosse dal ricorrente contro l'ordi nanza della sezione istruttoria non hanno fondamento.

Invero il testo dell'art. 10 della legge sulla tutela dell'ordine

democratico, modificando le disposizioni dell'art. 272 cod. proc. pen. sulla durata massima della custodia preventiva, introduce il

prolungamento fino ad un terzo di tale durata, in considerazione delle esigenze di tutela della incolumità delle persone, di fronte a manifestazioni oitremodo pericolose di criminalità individuale ed

associata, ad evitare che per la pesantezza e complessità dei

procedimenti penali, riacquistino, nel frattempo, la libertà indivi dui di spiccata pericolosità sociale. E, sotto tale evidente aspetto di politica criminale, che sta alla base delia norma in esame, la

quale ha natura tuttavia esclusivamente processuale, devesi ritene re che l'aumento della durata massima di carcerazione preventiva ili cui al citato art. 10 prescinde completamente dalla contestabili tà dell'aggravante prevista dall'art. 1 della legge in esame e dalla

possibilità che la pena da infliggersi per il reato venga aumentata, in concreto, per effetto dell'applicazione della suddetta aggravante. Solo con riferimento a tale ultimo precetto di legge (art. 1), che ha introdotto nell'ordinamento penale sostanziale una nuova cir costanza aggravante, applicabile a tutti i reati commessi per « finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico » è da riconoscersi pienamente giustificata la non applicabilità del l'aumento di pena, conseguente a tale aggravante, per i reati commessi anteriormente all'entrata in vigore del d. 1. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980 n. 15.

È chiaro che per il rispetto al principio fondamentale delia irretroattività della legge penale (art. 2 cod. pen.) operativo in tema di successione delle leggi penali, l'aggravante, di cui al menzionato art. 1 della legge per la tutela dell'ordine democratico, non può trovare applicazione per i reati commessi anteriormente ali entrata in vigore del menzionato decreto legge.

Viceversa la norma processuale sul prolungamento della durata

La legislazione penale, 1980; Vigna, La finalità di terrorismo ed eversione, 1981; Albanello, Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica, in Giur. merito, 1981, 276.

Nel senso che non sono manifestamente infondate le questioni di costituzionalità degli art. 10 e 11 d. 1. n. 625/1979, convertito, con modificazioni, in legge n. 15/1980, in riferimento agli art. 3, 13, 25 e 27 Cost., v. Assise Torino 17 novembre 1980, in questo fascicolo, II, 435, con nota di richiami.

Sull'art. 10 del ricordato decreto legge v., da ultimo, Cass. 30 giugno 1981, Rogai, in questo fascicolo, II, 421, con nota di richiami

Può ritenersi ormai pacifico in giurisprudenza che le disposizioni che prolungano i termini massimi della custodia preventiva hanno natura processuale: cfr. Cass. 19 marzo 1980, Musone, id., 1980, II, 217, con nota di richiami, citata nella motivazione della sentenza che si riporta; sul punto v., recentemente, in dottrina, Corso, op. cit., 95 s.

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GIURISPRUDENZA PENALE

della custodia preventiva (art. 10), che non fa alcun riferimento alla suddetta circostanza aggravante, è immediatamente applicabi le, come enuncia il successivo art. 11, anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge e, quindi, anche alle detenzioni, purché legittimamente in atto, per reati commessi anteriormente a tale data (Cass., Sez. I, 19 marzo 1980, Musone, Foro it., 1980, II, 217).

Nulla rileva che il legislatore abbia usato, nella dizione dell'art.

10, la stessa espressione contenuta nell'art. 1, relativamente ai delitti finalizzati, direttamente o indirettamente, ad eliminare o realizzare il fenomeno terroristico od eversivo poiché il contenuto e la portata della norma dell'art. 1, che ha natura sostanziale, sono completamente diversi dai contenuti dell'art. 10, che ha

natura essenzialmente processuale, e che per questo ne prevede l'immediata applicabilità, ai sensi del successivo art. 11, che lascia

impregiudicata la possibilità che le condotte criminose, finalizzate

alla realizzazione del terrorismo, vengano aggravate o meno con

la contestazione della circostanza contenuta nell'art. 1 legge 15/80. Sul fondamento delle su svolte considerazioni devesi riconosce

re la legittimità della impugnata ordinanza.

La irrilevanza della questione di legittimità costituzionale op

posta dal ricorrente è evidente poiché mancano le condizioni

essenziali per la proponibilità della relativa eccezione, sotto il

profilo della difformità della norma su esaminata rispetto all'art.

25 Cost. Difatti nel caso del Verdecchia non si pone affatto un

problema di responsabilità penale dell'imputato per un fatto non

previsto come reato al tempo della sua commissione. E neppure si

delinea una questione di applicabilità di disposizioni di diritto

sostanziale vigenti meno favorevoli al reo rispetto a quelle ope ranti al tempo del commesso reato.

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II penale; ordinanza 14

gennaio 1981; Pres. ed est. Napoletano, P. M. (conci, parz.

diff.); ric. Pasini e altri.

Valore aggiunto (imposta sul) — Falsa fatturazione e annotazio

ne sui registri i.v.a. — Pregiudizialità dell'accertamento defi

nitivo dell'imposta all'azione penale — Questione non mani

festamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 112; d. pres. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disciplina del

l'imposta sul valore aggiunto, art. 50, 58).

Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame

alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità dell'art.

58, ult. comma, d. pres. 26 ottobre 1972 n. 633, in relazione

all'art. 50, 4" comma, stesso d. pres., nella parte in cui, con

riguardo al reato di falsa fatturazione e annotazione sul registro

degli acquisti i.v.a., stabilisce che l'azione penale ha corso

soltanto dopo che l'accertamento dell'imposta sia divenuto

definitivo, in riferimento agli art. 3 e 112 Cost. (])

(1) La Corte costituzionale si è già occupata in altre occasioni dell'istituto della pregiudizialità tributaria al giudizio penale, dichiaran do infondate le questioni di costituzionalità dell'art. 252 d. pres. 29 gennaio 1958 n. 645, in riferimento all'art. 76 Cost. (sent. 9 aprile 1968, n. 32, Foro it., 1968, I, 1103, con nota di richiami, citata in

motivazione) e dell'art. 21, 4° comma, legge 7 gennaio 1929 n. 4, secondo cui l'azione penale per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti ha corso dopo che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovraimposta è divenuto definitivo, in riferimento all'art. 3 Cost. (sent. 20 febbraio 1973, n. 8, id., 1973, I, 982, con nota di richiami).

La questione di costituzionalità dell'art. 21, 4° comma, legge n. 4/1929, ritenuta manifestamente infondata da Cass. 8 ottobre 1973, Semilia (id., 1974, II, 228, con nota di richiami), è stata di recente riproposta all'esame della Corte costituzionale da Trib. Genova, ord. 10 marzo 1980, Giur. costit., 1980, II, 1602. Per altra questione di costituzionalità in materia di pregiudizialità tributaria cfr. Giud. istr. Trib. Frosinone, ord. 14 dicembre 1979, Foro it., Rep. 1980, voce Tributi in genere, n. 1236 e Giud. istr. trib. Napoli, ord. 15 luglio 1978, id., 1979, II, 171, con nota di richiami, aventi ad oggetto l'art.

1

56, ultimo comma, d. pres. 29 settembre 1973 n. 600, nella parte in cui sancisce che l'azione penale per i reati di cui ai comma precedenti della stessa disposizione non può essere iniziata o proseguita prima che l'accertamento dell'imposta sia divenuto definitivo, in riferimento agli art. 3, 13 e 112 Cost.

Nel senso che la disposizione dell'art. 21, 4° comma, legge 4/1929 non ha istituito una semplice condizione sospensiva dell'azione penale, avente un mero valore processuale, ma ha stabilito una vera e propria pregiudiziale obbligatoria ed ha spostato il decorso del tempo di

prescrizione del reato al momento in cui viene rimosso l'ostacolo all'esercizio della pretesa punitiva, cfr. Cass. 29 settembre 1978, Sebastiani e 26 aprile 1978, Ceci, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 844,

La Corte, ecc. — Osserva in fatto e diritto. — Con atti in data 8 marzo 1980 il giudice istruttore presso il Tribunale di Pesaro

spiccava contro Pasini Alessio, Busseni Leonardo e Placucci Tullio mandati di cattura per falsa fatturazione e annotazione sul

registro degli acquisti i.v.a. (art. 110, 61, n. 2, cod. pen., 50, 4°

comma, d. pres. 26 ottobre 1972 n. 633), falso ideologico in atto

pubblico (art. 61, n. 2, 81, 110, 479 cod. pen.), falso ideologico mediante inganno e truffa aggravata (art. 640, 1° capov., n. 1, 61, n. 7, cod. penale).

Ricorrevano gli imputati (peraltro ora in libertà provvisoria), deducendo la nullità dei mandati, per il reato tributario per difetto della condizione di procedibilità di cui all'art. 58, ult.

comma, d. pres. 633/1972, e per gli altri reati per difformità tra

fattispecie concreta e astratta. La procura generale presso questa Suprema corte riteneva che i

ricorsi andassero accolti per quanto attiene ai reati comuni di

falso e di truffa, in quanto i fatti di falsa annotazione di fatture

relative ad operazioni inesistenti, si da indurre gli uffici i.v.a. e gli uffici distrettuali delle imposte dirette a compiere atti falsi e a

confermare dichiarazioni non veritiere ai fini della determinazione del tributo diretto e indiretto, e quindi a omettere di riscuotere le

imposte stesse per notevoli importi, se costituiscono prima facie reati di falso e di truffa, coincidono peraltro con gli elementi

della prima imputazione di cui al citato art. 50, 4° comma, legge del 1972, onde in base al principio di specialità vengono a cadere le imputazioni dei reati comuni generali.

Questa corte ritiene di aderire a tale parere della procura

generale, riconoscendo quindi la sopravvivenza del solo reato di

cui all'art. 50, punito con la reclusione fino a tre anni e con la

multa da lire centomila a un milione, onde per tale profilo i

mandati di cattura andrebbero annullati perché il giudice di

merito possa riesaminare la emettibilità di misure restrittive della

libertà personale, in seguito alla non addebitabilità dei reati

notevolmente più gravi di falso aggravato e di truffa aggravata.

Vi è invece parere contrario della procura generale all'annulla

mento dei mandati per quanto attiene al reato tributario, per non

ricorrenza, per l'ipotesi addebitata, della condizione di procedibili tà o pregiudiziale tributaria prevista dall'art. 58, ult. comma, d.

pres. del 1972, in quanto, per l'inquadramento sistematico della

norma, il generico riferimento all'art. 50 dovrebbe essere limitato

ai soli casi di evento di danno (evasione fiscale) collegato al falso

o insufficiente accertamento tributario, e cioè alle ipotesi di cui ai

primi tre comma dell'art. 50 stesso.

Per l'ipotesi invece di cui al quarto comma, non sarebbe

necessario un previo accertamento tributario, prevedendo la nor

ma la falsa fatturazione o registrazione per operazioni inesistenti

o per importo superiore al reale, donde la esistenza di un reato

solo formale e di pericolo, indipendente da un fatto concreto di

evasione e punibile di per sé a titolo di dolo generico. L'evasione

in concreto darebbe luogo a un concorso formale con i reati di

cui ai primi comma.

Ritiene questa corte di non poter seguire tale interpretazione

restrittiva, in quanto, pur tenendo presente l'evoluzione legislativa

845; 18 giugno 1976, Enriquez, 9 giugno 1975, Pisu e 7 settembre

1974, Schirra, id., Rep. 1977, voce cit., nn. 1102, 1105, 1103; 14

gennaio 1974, Scanu, id., Rep. 1975, voce cit., n. 732; 28 dicembre

1973, Dall'Argine, id., 1974, II, 362, con nota di richiami.

Per l'affermazione secondo cui la pregiudizialità tributaria non è

applicabile a quei reati che vengono in essere in epoca successiva

all'accertamento dell'imposta per i quali, diversamente opinando, si

giungerebbe all'assurdo di considerare prescritto, o in via di prescrizio

ne, un reato prima ancora della sua consumazione, cfr. Cass. 12

dicembre 1975, Porto, id., Rep. 1977, voce cit., n. 1104; 3 novembre

1973, Tedesco, id., Rep. 1974, voce cit., n. 737. Secondo Cass. 28

dicembre 1973, Medde, Schirra e Fatta (id., Rep. 1975, voce cit., nn.

734, 739, 746), per il reato di omessa dichiarazione dei redditi, l'accertamento definitivo dell'imposta costituisce una questione pregiudi ziale assolutamente devolutiva, analoga alle questioni di stato, per le

quali tuttavia essa costituisce un ostacolo all'esercizio dell'azione penale e non al suo inizio, che è libero e doveroso, mentre la questione dell'accertamento definitivo dell'imposta impedisce l'inizio dell'azione

penale. In dottrina, da ultimo, v. Caraccioli, Condizioni di procedibilità e

condizione di punibilità nei reati concernenti la dichiarazione dei

redditi, in Tommaso Natale, 1977, fase. I, 87; Lo Giudice, La

pregiudizialità dell'accertamento tributario rispetto al giudizio penale per i reati previsti in materia di i.v.a. e di imposte sui redditi, in Bollettino trib., 1979, 107; Nuvolone, La pregiudizialità tributaria nel

processo penale, in Rass. imp. dir., 1979, 337; Pandolfelli, Questioni tributarie pregiudiziali ad un processo penale: illegittimità costituzionale della normativa vigente, in Legislazione e giur. trib., 1979, 1630; Id., Incostituzionalità della normativa vigente in tema di pregiudiziale tributaria: necessità di un tempestivo intervento del legislatore, ibid., 1776.

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