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Sezione VI penale; sentenza 29 gennaio 1979; Pres. Fornari, Est. Dattilo, P. M. Macrì (concl....

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Sezione VI penale; sentenza 29 gennaio 1979; Pres. Fornari, Est. Dattilo, P. M. Macrì (concl. conf.); ric. Vitaloni. Annulla senza rinvio Trib. Milano 26 gennaio 1977 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 5 (MAGGIO 1981), pp. 251/252-253/254 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172788 . Accessed: 28/06/2014 08:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 08:34:53 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione VI penale; sentenza 29 gennaio 1979; Pres. Fornari, Est. Dattilo, P. M. Macrì (concl. conf.); ric. Vitaloni. Annulla senza rinvio Trib. Milano 26 gennaio 1977

Sezione VI penale; sentenza 29 gennaio 1979; Pres. Fornari, Est. Dattilo, P. M. Macrì (concl.conf.); ric. Vitaloni. Annulla senza rinvio Trib. Milano 26 gennaio 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 5 (MAGGIO 1981), pp. 251/252-253/254Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172788 .

Accessed: 28/06/2014 08:34

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PARTE SECONDA

Se cosi' fosse, non si potrebbe ascrivere all'autore medesimo, avendo possibilità di offrire la dimostrazione, di essersi voluta mente servito, in danno di terzi, di una spuria fonte. Né, per converso, si potrebbe considerare inidoneo alla prova giudiziale un documento apocrifo ritenuto erroneamente autentico in un libro di storia.

Al limite, non si potrebbe liberamente decidere, rispetto alle conclusioni di un'opera storiografica, neppure sulla responsabili tà dei protagonisti della vicenda in essa narrata (per esempio, sulla responsabilità degli stessi nazisti per i fatti delle Ardeatine).

In realtà, non è interdetto al giudice di esprimersi sull'autore del fatto storico né sull'autore dell'opera che narra il medesimo fatto.

Sotto questo profilo, la differenza fra il giudice ed il filologo è praticamente nulla, perché entrambi cercano, a fini diversi, di stabilire l'autenticità di un documento o di una testimonianza

per l'esatta ricostruzione degli avvenimenti; e spesso i risultati delle indagini, integrandosi reciprocamente, conducono allo stesso risultato e ad un'unica soluzione.

Profonda, invece, è la differenza fra il giudizio del giudice e

quello dello storiografo, si tratti di storia - scienza o di storia

pragmatica. 11 giudizio storiografico, invero, essendo sempre rivedibile, an

che e soprattutto sull'autenticità della fonte, è aperto e libero: la sua verità è la sua libertà.

Il giudizio del giudice, invece, enunciando una realtà norma

tiva, trova nelle preclusioni e nel giudicato — e nell'eventuale re visione di questo, secondo le forme e nei limiti prestabiliti —

un'empirica misura del vero.

Pur entro questi limiti, tuttavia, che sono immanenti al siste

ma, è necessaria, per un'esigenza di civiltà, la tutela dei diritti

garantiti dall'ordinamento.

Spetterà al giudice, come sempre, vagliare il materiale proba torio acquisito e condannare le possibili mistificazioni e comun

que gli abusi e le offese. Perché, come affermava la già menzio nata dottrina classica, avendo i posteri il diritto di vedere « sce verata la verità dalla menzogna » in relazione alla vita privata e pubblica del trapassato, devono essere, a questo scopo, consen tite «le più larghe investigazioni giudiziarie»: ovviamente, non

per contrapporre e sovrapporre una contingente affermazione

processuale al giudizio storico, che rimane sempre aperto, ma

per decidere di quel certo comportamento pratico che, secondo una valutazione culturale dell'opera ed un conseguente apprezza mento normativo della condotta, non è storiografia ma diffa mazione.

Nel caso in esame, non è stato il tribunale ad adottare un me todo storiografico. È stato lo storiografo ad adottare un metodo tribunalizio.

Da ciò la legittimità del processo per stabilirne i limiti di li ceità secondo l'ordinamento vigente.

Da ciò, quindi, l'infondatezza del sillogisma formulato dalla corte d'appello, che, in nome dei diritti della storia, ha ritenuto non censurabile il libro del Katz anche dov'esso non è storia ma azione pratica soggetta a valutazione secondo i parametri normativi della condotta.

Sotto questo profilo, non solo la premessa maggiore dell'argo mentazione della corte d'appello sull'interpretazione degli art. 33 e 21 Cost., ma anche la premessa minore sulla qualificazione cul turale dell'opera del Katz non è, secondo il collegio, fondata, sembrando perpetuarsi nel libro la contrapposizione stereotipa che nelle pagine dell'introduzione l'autore aveva inteso relegare ad una iniziale impressione personale derivata dai primi sommari resoconti della stampa sul dramma di via Rasella e delle Fosse Ardeatine.

Ma, proprio in relazione alla premessa minore, va ancora sotto lineato il particolare aspetto dell'insussistenza, nella fattispecie, del connotato peculiare dell'esposizione di fatti « cronologica mente consolidati », che, secondo la sentenza impugnata, distin

guerebbe la narrazione storica dalla semplice cronaca.

La corte di -Roma, invero, è incorsa in palese contraddizione nel considerare sottratta alla regola dell'art. 21 Cost, la narra zione di quei fatti, a suo avviso « già cronologicamente conside rati » (pag. 14), nel contempo ammettendo, con l'autore del li

bro, che non ne era completa la documentazione, essendo ancora « tutti in attesa di ulteriori elementi di giudizio sulla storia di via Rasella e delle Fosse Ardeatine » (pag. 23 della sentenza e pag. 250 del libro, ed. 1971 e 1973).

Nell'impostazione della stessa sentenza, pertanto, tale contrad dizione finisce col vanificare la distinzione temporale — di per sé empirica — fra storia e cronaca, con essa introdotta; e in

firma, anche sotto questo più circoscritto profilo, la tesi di inap

plicabilità allo scritto dell'imputato dei limiti alla libertà del pen siero di cui all'art. 21 Cost.

Né, ovviamente, hanno rilievo eventuali difficoltà o temporanei divieti frapposti all'autore di attingere ad una determinata fonte di informazione (v. pag. 14 del libro e 23 della sentenza), non

potendo ciò in alcun modo influire sull'incompletezza documen tale e quindi sull'oggettiva indeterminatezza dei fatti narrati.

Sotto ogni aspetto, pertanto, la sentenza impugnata non sfugge alle censure del ricorrente; onde, con riferimento al primo reato di diffamazione aggravata col mezzo della stampa, ascritto al

l'imputato Robert Katz, il ricorso deve essere accolto, con l'an nullamento della decisione della Corte d'appello di Roma ed il rinvio del giudizio ad altra sezione della stessa corte d'appello.

Quanto alla seconda imputazione di concorso nel reato di dif famazione col mezzo della cinematografia ascritto allo stesso Katz, al Ponti e al Cosmatos, e dalla quale gli imputati sono stati as solti per mancanza di dolo, osserva la corte che, non superando il massimo della pena edittale gli anni tre di reclusione (art. 595, 1° capov., prima parte, e 2° capov., 597, ult. parte, 63, 3° capov., cod. pen.) ed essendo irrilevante il potere discrezionale di aumen to della pena previsto dall'art. 63, 3° capov. cod. pen. (potere del quale, comunque, i giudici non si erano avvalsi), deve essere

applicato in mancanza dei presupposti dell'art. 152, capov., cod.

proc. pen., il d. pres. del 4 agosto 1978 n. 413. In relazione a questo capo della sentenza, pertanto, la deci

sione deve essere annullata senza rinvio, essendo il reato estinto

per amnistia, ferme rimanendo le statuizioni civili. Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione VI penale; sentenza 29 gen naio 1979; Pres. Fornari, Est. Dattilo, P. M. Macrì (conci, conf.); ric. Vitaloni. Annulla senza rinvio Trib. Milano 26

gennaio 1977.

Frode in commercio e nelle industrie — Equivoca indicazione del

luogo di fabbricazione — Vendita di prodotti industriali con

segni mendaci — Reato — Sussistenza — Fattispecie (Cod. pen., art. 517).

Integra gli estremi del reato di vendita di prodotti industriali con

segni mendaci, di cui all'art. 517 cod. pen., il fatto dell'im

prenditore, titolare del marchio, che offre in vendita prodotti commissionati ad altri, indicando sulla confezione in modo

equivoco il luogo di materiale fabbricazione. (1)

(1) La Corte ha applicato alla lettera la norma dell'art. 517 cod. pen., che tra gli altri comportamenti sanziona quelli che possono trar re in inganno il consumatore sulla provenienza e sull'origine del pro dotto; in questo senso v. Cass. 9 giugno 1978, Vulvo, Foro it., Rep. 1979, voce Frode in commercio, n. 5; 25 gennaio 1977, Sometti, id., Rep. 1977, voce cit., n. 6; 26 novembre 1976, Benini, ibid., n. 9; 11 dicembre 1969, Entres, id., Rep. 1971, voce cit., n. 23; 21 aprile 1970, Giretto, ibid., n. 24; 9 dicembre 1969, Maspri, id., Rep. 1970, voce cit., n. 22, e per esteso in Riv. giur. idrocarburi, 1971, 419, con nota di Cordero Divonzo; 4 dicembre 1968, Koren, Foro it., 1969, II, 379, con nota di richiami; cui adde Cass. 6 giugno 1958, Piranese id., Rep. 1959, voce cit., n. 46; 20 gennaio 1953, Paglia rini, id., Rep. 1953, voce cit., n. 86; Pret. Firenze 21 marzo 1950, id., Rep. 1950, voce cit., n. 39; Cass. 17 giugno 1949, Aquila, id., Rep. 1949, voce cit., n. 13; Trib. Torino 3 giugno 1936, id., Rep. 1936, voce Marchi, n. 61; App. Perugia 18 maggio 1935, id., Rep. 1935, voce Frode nei commerci, n. 30.

In posizione critica a questo modo di intendere il dettato del co

dice, si pone La Villa (in Riv. dir. ind., 1979, II, 241, Produzione su commissione, tutela penale nel marchio, e véndita di prodotti in dustriali con segni mendaci (art. 517 cod. pen.), in nota alle sentenze di merito rese nel corso della vicenda processuale che si riporta; Pret. Milano 23 giugno 1972, Trib. Milano 18 febbraio 1974 e 26

gennaio 1977, Foro it., Rep. 1979, voce Frode in commercio, nn. 6-8) il quale sostiene che alla luce del r. d. 21 giugno 1942 n. 929 (che regola la materia del marchio) e del regolare contratto esistente tra la ditta S. Carlo e la ditta Dulciora, che impegnava quest'ultima alla fabbricazione di un dato quantitativo di panettoni secondo ricetta con

venuta, legittimamente la S. Carlo poteva marchiare i panettoni in

quanto giuridicamente e tecnicamente questi provenivano dal suo sta

bilimento; in questo senso v. Pret. Milano 7 luglio 1973, id., Rep. 1974, voce cit., n. 15.

Sulla distinzione tra reati che offendono la fede pubblica (art. 473 e 474 cod. pen.) e reati contro l'economia pubblica (art. 517 cod.

pen), da ultimo, v. Cass. 15 giugno 1976, Matarazzo, 1° ottobre 1976, Gaviraghi, id., Rep. 1977, voce Falsità in sigilli, nn. 2-4; 10 novem bre 1976, Soldano, 10 dicembre 1974, Riccio, 18 maggio 1976, Ma

rino, ibid., nn. 6-12; 10 dicembre 1974, Contursi, id., Rep. 1976, voce

cit., n. 16; 3 dicembre 1974, Calvanico, id., Rep. 1975, voce Frode in

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GIURISPRUDENZA PENALE

La Corte, ecc. — Ritenuto in fatto. — Vitaloni Alberto fu

tratto al giudizio del Pretore di Milano, per rispondere del de

litto di cui all'art. 517 cod. pen., per avere quale legale rappre sentante della ditta S. Carlo alimentari di Milano, posto in ven

dita il panettone denominato « Junior S. Carlo » indicando sulla

relativa confezione, contrariamente al vero, che il medesimo era

stato prodotto nello stabilimento di Milano della ditta venditrice

(accertato il 18 dicembre 1971). Con sentenza del 23 giugno 1972 il Pretore di Milano (Foro

it., Rep. 1979, voce Frode in commercio, n. 6) ritenne l'imputato

responsabile del reato ascrittogli e lo condannò alla pena di lire

400.000 di multa nonché al risarcimento dei danni, in favore

della parte civile, liquidati simbolicamente in una lira. Il pretore rilevò che l'indicazione sull'involucro del panettone « Junior S.

Carlo», della sua produzione, in uno stabilimento di Milano

della stessa « S. Carlo», anziché dell'azienda in cui avviene in

effetti la preparazione di tale alimento (Dulciora), integra sicura

mente l'ipotesi del reato contestato all'imputato, con riguardo al

l'induzione in inganno del compratore circa l'origine e la pro venienza del prodotto posto in vendita.

Proposto appello dall'imputato il Tribunale di Milano con sen

tenza del 18 febbraio 1974 (ibid., n. 8) confermò quella del

pretore ribadendo come l'avere apposto nella confezione del pa nettone « Junior S. Carlo » il semplice e quasi invisibile segno stilizzato del fiocchetto (marchio della Dulciora), non significa aver messo in condizione il consumatore di individuare l'effet

tiva provenienza del prodotto, in quanto l'aver più chiaramente

ed ampiamente impresso la dicitura « prodotto nello stabilimento

di Milano-San Carlo Milano», sottolinea per l'appunto che nel

l'acquirente poteva sorgere, come è sorta, la ragionevole con

vinzione che la ditta produttrice dell'alimento fosse non quella reale (Dulciora) ma proprio la S. Carlo.

In seguito all'annullamento, con rinvio, di tale sentenza per accertata nullità del decreto di citazione dell'imputato nel di

battimento di appello (sentenza di questa corte, Sez. VI, in data

2 dicembre 1975), il Tribunale di Milano, quale giudice di rin

vio, iniziò ex novo il giudizio e con sentenza del 26 gennaio 1977 (ibid., n. 7) confermò quella del Pretore di Milano, emessa

il 23 giugno 1972.

Anche, in questa nuova fase del procedimento, il Tribunale

di Milano pose in rilievo che il comportamento illegittimo, in cui

incorse l'imputato, è quello di aver indicato la provenienza del

prodotto in modo ambiguo, dando al consumatore la possibilità di credere che il panettone era stato fabbricato nello stabilimento

di Milano della ditta S. Carlo, circostanza questa che non ri

sponde al vero perché la preparazione ed anche il confeziona

mento del prodotto erano stati posti a carico e a cura della

Dulciora.

Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, deducendo la

violazione dell'art. 524, n. 1, cod. proc. pen. in relazione all'art.

517 cod. pen. e concludendo per l'annullamento della sentenza

impugnata. Motivi della decisione. — Assume il ricorrente che non è con

figurabile nei suoi confronti l'ipotesi criminosa della « vendita

di prodotti industriali con segni mendaci » (art. 517 cod. pen.)

per il motivo saliente che essa affidò alla ditta Dulciora l'incarico

di fabbricare un dato contingente di panettoni, secondo una ricet

ta convenuta, che avrebbe garantito le medesime originarie ca

ratteristiche qualitative della produzione « S. Carlo », e che quin

di aveva diritto di apporre sul panettone, prodotto su commis

sione, i propri segni distintivi e di indicare che esso proveniva

giuridicamente dai propri stabilimenti.

Le suddette argomentazioni non possono essere condivise dal

Supremo collegio. Difatti non può negarsi che l'imprenditore, nel campo dell'at

tività industriale, possa affidare a terzi subfornitori l'incarico di

produrre materialmente, secondo caratteristiche qualitative e ri

cette pattuite con l'esecutore, un determinato bene, e che possa

imprimervi il proprio marchio con i suoi segni distintivi e quindi

lanciarlo in commercio.

Ma tutto questo non esonera l'imprenditore, che realizza il

prodotto per commissione, dall'obbligo giuridico di impiegare

commercio, n. 9; 9 ottobre 1974, Barraccano, 9 ottobre 1974, Carote

nuto, ibid., voce Falsità in sigilli, nn. 8-10; 27 febbraio 1973, Astarita, 16 aprile 1973, Zini, id., Rep. 1974, voce Frode in commercio, nn. 12,13; 25 ottobre 1972, Avolis, 27 marzo 1973, Lama, id., Rep. 1973, voce

Falsità in sigilli, nn. 1-3. Nel senso che la semplice detenzione di prodotti industriali con se

gni mendaci senza che gli stessi possano dirsi posti in vendita, non

integra gli estremi del reato di cui all'art. 517 cod. pen., v. Cass. 9

marzo 1970, D'Amodio, id., Rep. 1970, voce Frode in commercio,

n. 24.

nomi, marchi o segni distintivi che non siano equivoci, ed idonei invece a non indurre in errore i consumatori circa l'origine, la

qualità e la provenienza del prodotto. Non vi è incertezza ad ammettere che il ricorrente avesse il

diritto di apporre sul prodotto da lui posto in commercio (« Pa

nettone Junior San Carlo ») il proprio segno distintivo ed il luo

go e il nome della fabbrica, con il divieto però di usare detti

segni in modo artificioso ed equivoco, come hanno incontesta

bilmente accertato i giudici di merito. E per non incorrere nella

violazione di tale divieto, sanzionato dall'art. 517 cod. pen., il

Vitaloni avrebbe dovuto lealmente specificare non solo che i pa nettoni erano posti in commercio dalla ditta « San Carlo » ma

che erano stati fabbricati nello stabilimento di Milano della dit

ta « Dulciora ».

Al contrario sull'involucro di cartone dei panettoni, posti in

vendita dall'imputato, fu impressa la dicitura « prodotto nello

stabilimento di Milano » e con caratteri più grossi ed in rosso fu

impressa la successiva scritta « San Carlo Milano » e solo ac

canto alla parola « San » figura un rettangolino con dentro il

disegno di un fiocchetto orizzontale, ché è il marchio della Dul

ciora. È evidente che la provenienza del prodotto (luogo di fab

bricazione e nome del fabbricante) è stata volutamente indicata

in modo ambiguo, dando al consumatore la possibilità di confu

sione dei due marchi nonché la possibilità (pericolo presunto) di trarre il convincimento che il panettone era stato fabbricato

nello stabilimento di Milano della San Carlo « industria di spe cialità alimentari », indicazione, come è pacifico, che non rispon de assolutamente a verità.

Le considerazioni svolte rendono evidente la infondatezza dei

motivi di ricorso, in ordine al quale però non può emettersi pro nuncia, con la formula prescritta essendo pregiudiziale l'appli cazione dell'amnistia di cui al recente d. pres. 4 agosto 1978

n. 413 ed in proposito, ove non bastasse quanto sopra premesso, occorre rilevare che non ricorrono in alcun modo le condizioni

per l'applicabilità del 1° capov. dell'art. 152 cod. pen., non esi

stendo agli atti prove evidenti della innocenza dell'imputato. Deve dunque provvedersi alla declaratoria della estinzione del

reato per amnistia. Il reato di cui all'art. 517 cod. pen. è com

preso fra quelli, per i quali è stata concessa amnistia con il d.

pres. 4 agosto 1978 n. 413, ed anche con riguardo ai precedenti

penali dell'imputato non ricorre alcuna delle ipotesi escludenti

l'applicabilità del decreto stesso. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 22 dicembre 1980; Pres. Bat

tagline Est. Viglietta; imp. Cruciani e altri. TRIBUNALE DI ROMA;

Truffa — Scommesse clandestine su partite di calcio — Accordi

tra scommettitori e calciatori — Preordinazione del risultato

delle gare — Truffa in danno degli allibratori e degli altri scom

mettitori — Insussistenza — Fattispecie (Cod. pen., art. 640). Truffa — Scommesse clandestine su partite di calcio — Accordi

tra scommettitori e calciatori — Mancanza del risultato pat tuito — Truffa in danno delle controparti idei «pactum scele

ris » — Insussistenza — Fattispecie (Cod. pen., art. 640).

Devono essere assolti perché il fatto non sussiste i calciatori e

gli scommettitori imputati di truffa in relazione a contratti

clandestini di scommessa sull'esito di partite di calcio se, pur risultando provato il pactum sceleris inteso alla preordinazione del risultato delle partite oggetto di scommessa, manchi del tut

to la prova: a) degli artifici dei calciatori intesi ad alterare lo

svolgimento regolare delle partite, desumibili dalla loro con

dotta di gara; b) dell'efficacia causale dei supposti artifici sulla

determinazione di un evento complesso e condizionato da un

numero elevato di concause, quale è il risultato di una partita di calcio; c) del danno subito dagli allibratori o da altri scom

mettitori clandestini in conseguenza della preordinazione del

l'esito delle partite oggetto di scommessa (nella specie, il tri

bunale ha 'ritenuto che per gli allibratori il danno andrebbe

valutato non in relazione alla singola scommessa, sibbene in ri

ferimento alla gestione complessiva delle giocate, e che quanto

agli ignoti scommettitori clandestini, pur potendosi presumere

la loro esistenza, risulta impossibile dimostrare che taluno di

essi abbia, in concreto, riportato un danno, mentre ha ritenuto

irrilevante l'eventuale diversa ripartizione del monte-premi tra

gli scommettitori partecipanti al concorso pronostici del toto

calcio). (1)

(1-2) La sentenza — che chiude il giudizio di primo grado relativo

alla ben nota vicenda delle scommesse clandestine sulle partite del

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