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sezione VI penale; sentenza 5 novembre 1991; Pres. Perrotti, Est. Pisanti, P.M. Di Cicero (concl....

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sezione VI penale; sentenza 5 novembre 1991; Pres. Perrotti, Est. Pisanti, P.M. Di Cicero (concl. conf.); ric. Proc. gen. App. Genova c. Amadori e altro. Conferma App. Genova 27 febbraio 1991 Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 12 (DICEMBRE 1993), pp. 695/696-705/706 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188609 . Accessed: 25/06/2014 01:10 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.76 on Wed, 25 Jun 2014 01:10:05 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione VI penale; sentenza 5 novembre 1991; Pres. Perrotti, Est. Pisanti, P.M. Di Cicero (concl.conf.); ric. Proc. gen. App. Genova c. Amadori e altro. Conferma App. Genova 27 febbraio 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 12 (DICEMBRE 1993), pp. 695/696-705/706Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188609 .

Accessed: 25/06/2014 01:10

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PARTE SECONDA

tù della norma di cui all'art. 245, 2° comma, delle disposizioni transitorie ex d.p.r. 28 luglio 1989 n. 271.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata

senza rinvio nei confronti di Panizzolo Vivaldi perché il reato

di insolvenza fraudolenta — cosi qualificato il fatto ascrittogli

nell'imputazione — è estinto per intervenuta amnistia, ferme

restando le statuizioni civili della sentenza di primo grado che

vanno confermate.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 5 no

vembre 1991; Pres. Perrotti, Est. Pisanti, P.M. Di Cicero

(conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Genova c. Amadori e

altro. Conferma App. Genova 27 febbraio 1991.

Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio — Conces

sionario di posto telefonico pubblico — Incaricato di pubbli co servizio — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 314,

315, 358, 646).

L'assuntore della gestione di un apparecchio telefonico pubbli

co, installato nel proprio esercizio di «alimentari ed altro»,

svolgendo — anche per quel che attiene all'attività di cassa — mansioni meramente esecutive e di modesto livello concet

tuale, equiparabili ai compiti delle carriere ausiliarie per il

cui esercizio si richiedono preparazione e conoscenze elemen

tari, non è qualificabile incaricato di pubblico servizio atteso

che tale qualifica spetta non già a tutti coloro che non siano

né pubblici ufficiali né incaricati di un servizio di pubblica necessità, ma soltanto a coloro che svolgono compiti di rango intermedio tra le pubbliche funzioni e le mansioni di ordine

(nella specie, se ne è dedotto che l'appropriazione da parte dell'assuntore dei proventi incassati per l'uso dell'apparecchio

telefonico si configura come appropriazione indebita e non

come peculato). (1)

(1-3) I. - Nel tracciare una linea di confine tra attività sussumibili nella nozione di pubblico servizio e attività che — sebbene di natura

pubblicistica — il legislatore non ha voluto assoggettare allo statuto

penale della pubblica amministrazione, le tre sentenze in epigrafe sono costrette a doppiare lo scoglio forse più arduo della definizione intro dotta dall'art. 18 1. 86/90: l'interpetrazione del concetto di «mansioni di ordine».

Le difficoltà ermeneutiche connesse alla nozione in parola erano sta te intuite in sede di lavori preparatori della riforma dei delitti dei pub blici ufficiali. Il ministro di grazia e giustizia, nella seduta del 5 aprile 1990, dinanzi all'assemblea del senato, rilevò, infatti, che la definizione di mansioni di ordine «era una delle partizioni delle cosiddette carriere del pubblico impiego... superata nel 1980 con il nuovo assetto previsto dalla legge-quadro dell'11 luglio 1980 n. 312», per cui l'inserimento di un concetto «normativamente abbandonato» nel novellato art. 358

c.p. avrebbe imposto all'interprete «un complicato e del tutto aleatorio lavoro di ricostruzione della corrispondenza tra le ex carriere e gli at tuali inquadramenti in una certa qualifica a profilo» (cfr. Atti parla mentari. Senato della repubblica, X legislatura, seduta del 5 aprile 1990, 68; in proposito, v. Seminara, in Crespi-Stella-Zuccalà, Commenta rio breve al codice penale, Padova, 1992, 800 ss.; Bertoni, Pubblici

ufficiali e incaricati di pubblico servizio: la nuova disciplina, in Cass.

pen., 1991, 888 ss.; Segreto-De Luca, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1991, 55 ss.; sulla nuova definizione di incaricato di pubblico servizio, cfr. Flandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, appendice, Bologna, 1991, 5 ss.; Paglia

ro, Principi di diritto penale, parte speciale - Delitti dei pubblici uffi ciali contro la pubblica amministrazione, 5" ed., Milano, 1992, 12 ss.; Severino Di Benedetto, Pubblica amministrazione (delitti contro la), voce deli'Encilopedia giuridica Treccani, Roma, 1991, XXV). La que stione è di evidente rilevanza pratica ove si consideri che, costituendo le mansioni di ordine — con le prestazioni di opera materiale — il c.d. limite inferiore della qualifica di incaricato di pubblico servizio, la sfera di operatività dell'art. 358 c.p. è destinata ad estendersi o a

Il Foro Italiano — 1993.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 14 mag

gio 1991; Pres. Salafia, Est. Casadei Monti, P.M. Frati

celli (conci, conf.); ric. Serra. Annulla senza rinvio App.

Cagliari 9 aprile 1990.

Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio — Conces

sionario di posto telefonico pubblico — Incaricato di pubbli co servizio — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 315,

358, 646).

La definizione dell'incaricato di pubblico servizio contenuta nel

l'art. 358, 2° comma, c.p., nel testo modificato dall'art. 18

l. 26 aprile 1990 n. 86, risulta più restrittiva di quella recata

nel testo originario e non più idonea a comprendervi le attivi

tà dei privati gestori di bar concessionari di posti telefonici

per conto della Sip, poiché il contenuto di tali attività (illumi

nazione, decoro, ordine e pulizia dei locali, evidenziazione

di cartelli per elenchi e avvisi Sip, conservazione delle attrez

zature e del materiale telefonico, cura del recapito degli avvisi

delle telefonate in arrivo, applicazione scrupolosa delle tariffe

telefoniche) e la loro accessorietà rispetto alla gestione del

bar consente di classificarle fra le semplici mansioni di ordine

che la riforma ha inteso escludere dalla tutela penalistica del

servizio pubblico (nella specie, la Cassazione ha annullato senza

rinvio la sentenza che condannava l'imputato per il delitto

di malversazione in danno di privati, non ravvisando nella

condotta del gestore che omette di versare alla Sip le somme

corrisposte dagli utenti neppure il delitto di appropriazione

indebita). (2)

III

CORTE D'APPELLO DI PALERMO; sentenza 7 maggio 1992; Pres. Giordano, Est. Cottone; imp. Missaglia.

Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio — Ausiliario

socio-sanitario — Qualifica — Incaricato di pubblico servizio — Fattispecie (Cod. pen., art. 61, 358, 519).

L'ausiliario socio-sanitario specializzato svolge non solo man

sioni meramente esecutive, ma anche attività suscettive di es

sere realizzate in settori particolarmente delicati (quali, come

ridursi a seconda della minore o maggiore consistenza contenutistica riconosciuta alla citata locuzione.

A distanza di tre anni dall'entrata in vigore della 1. 86/90, la giuris prudenza sembra essersi in larga parte orientata nel senso di ribadire i principi affermati durante la vigenza della pregressa formulazione del la norma, quasi ignorando l'ultima parte del 2° comma dell'art. 358

c.p. (la qualifica di incaricato di pubblico servizio è stata infatti attri buita al dipendente della «società autostrade» in qualità di esattore alla stazione di uscita: Cass. 1° giugno 1990, Tivoli, Foro it., Rep. 1991, voce Peculato, n. 29; alla guardia giurata che conduce un autofurgone portavalori: Cass. 6 giugno 1990, Di Salvo, ibid., voce Pubblico uffi ciale e incaricato di pubblico servizio, n. 26; all'archivista capo superio re: Cass. 15 giugno 1990, Bianciardi, ibid., n. 27; all'ausiliario socio sanitario: Cass. 7 giugno 1991, Cascino, id., Rep. 1992, voce Corruzio ne, n. 7; all'addetto alla dispensa di un ospedale: Cass. 4 marzo 1992, Bigoni, Riv. pen., 1992, 1047; alla guardia giurata adibita alla vigilanza all'ingresso di un ospedale: Cass. 18 febbraio 1992, Parisi, Foro it., Rep. 1992, voce Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 41 e Riv. pen. 1992, 959).

Le sentenze della Cassazione sopra riprodotte, nel definire il concetto di mansioni di ordine, approdano ad un duplice risultato: in primo luogo, prendono atto dei nuovi limiti dell'art. 358 c.p., deducendone che la definizione introdotta dall'art. 18 1. 86/90 è più restrittiva di quella prevista nel testo originario e idonea a comprendere soltanto co loro che svolgono compiti di rango intermedio tra le pubbliche funzioni e le mansioni d'ordine o materiali (in senso contrario, v. Cass. 3 dicem bre 1990, Trentani, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 13 e 30 gennaio 1992, Ginghiali, ibid., n. 44, secondo le quali la 1. 26 aprile 1990 n. 86 ha ampliato la nozione di incaricato di pubblico servizio; in una

posizione intermedia si pongono Cass. 6 giugno 1990, cit.; 23 ottobre 1990, Zeccardo, id., Rep. 1991, voce Falsità in atti, n. 26 e Gius, pen., 1991, II, 459; 6 giugno 1991, Isola, Foro it., Rep. 1992, voce Pubblico

ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 15 e Cass. pen., 1992, 2084, che non ravvisano nelle nuove definizioni sostanziali mutamenti).

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GIURISPRUDENZA PENALE

nel caso di specie, l'assistenza ai cerebropatici) con un certo

margine di autonomia quantomeno in relazione all'organizza zione dei servizi e, con particolare riferimento alla «program mazione degli interventi assistenziali», addirittura con taluni

poteri di iniziativa; tanto basta a ricondurre la figura in que stione nell'ambito della qualifica di incaricato di pubblico ser

vizio (nella specie, è stata confermata la sentenza di primo

grado che aveva condannato l'imputato per violenza carnale

ai danni di una paziente cerebropatica, aggravata dalla viola

zione dei doveri inerenti al pubblico servizio). (3)

I

Fatto e diritto. — Amadori Ida e Amadori Gabriella veniva

no tratte a giudizio dal Tribunale di La Spezia per rispondere del delitto di cui agli art. 81, 110 e 314 c.p. perché in concorso

tra loro dall'aprile 1984 al febbraio 1985, quali assuntrici della

In secondo luogo, esse sostengono che dall'area ormai ridotta del pub blico servizio devono, conseguentemente, essere espunti i gestori di un

posto telefonico pubblico, atteso che i compiti ad essi attribuiti si so

stanziano nello svolgimento di mansioni di ordine (in senso opposto si era pronunciata la precedente giurisprudenza: v. Cass. 13 novembre

1970, Corbi, Foro it., Rep., 1971, voce Malversazione, n. 9; 2 marzo

1971, Licata, id., Rep. 1972, voce cit., n. 9; 17 ottobre 1986, Barcello

na, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2; 21 maggio 1987, Garasto, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1; 24 gennaio 1989, Culotta, id., Rep. 1990, voce Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 31; 29 marzo

1989, Pollio, ibid., voce Malversazione, n. 4; 20 giugno 1989, Conci,

ibid., n. 5; analoga qualifica era riconosciuta ai dipendenti dell'ente:

v. Cass. 16 giugno 1980, Campese, id., Rep. 1981, voce Millantato cre

dito, n. 1; 3 maggio 1989, Morelli, id., Rep. 1991, voce Pubblico uffi ciale e incaricato di pubblico servizio, n. 17; 22 febbraio 1990, Cavaz

zoni, ibid., n. 16). Significativi sono i passaggi delle relative motivazioni nei quali l'in

dagine si misura con la ferraginosa espressione «mansioni di ordine».

La pronunzia più recente ravvisa siffatte mansioni in quelle «meramen

te esecutive e di modesto livello concettuale, equiparabili a compiti del

le carriere ausiliari per il cui esercizio si richiedono preparazione e co

noscenze elementari». La decisione sub 2 aggancia il concetto ad un

duplice parametro di riferimento: il contenuto delle attività espletate e la loro accessorietà rispetto ad un'attività principale.

La sentenza della Corte d'appello di Palermo segna il discrimen tra

l'area del pubblico servizio, e quella delle mansioni d'ordine, enuncian

do il principio a tenore del quale la qualifica soggettiva pubblicistica

può essere esclusa «soltanto nelle ipotesi in cui l'attività posta in essere

dall'agente abbia carattere meramente applicativo o esecutivo, essendo

priva di qualsivoglia autonomia o discrezionalità». In tale ottica l'orga no giudicante qualifica incaricato di pubblico servizio l'ausiliario socio

sanitario specializzato, individuando quali indici rivelatori della qualifi ca pubblicistica: la complessità dell'attività svolta, l'espletamento di es

sa in settori particolarmente delicati, l'esistenza di un margine di auto

nomia in relazione all'organizzazione dei servizi nonché di taluni limita

ti poteri di iniziativa (nella stessa scia, v. Trib. Palermo 14 aprile 1993,

Precania, inedita, che ha riconosciuto la qualifica di incaricato di pub blico servizio all'ausiliario socio-sanitario di un ospedale, facendo leva

sulle attività di collaborazione nella salvaguardia delle condizioni igieni che della struttura sanitaria e dell'igiene della persona ricoverata esple tate dall'imputato; e, nella giurisprudenza di legittimità, v. la già citata

Cass. 7 giugno 1991). Dall'analisi delle tre sentenze sopra riprodotte

emerge che, nel tentativo di rischiarare la zona grigia di confine tra

la figura dell'incaricato di pubblico servizio e quella dell'esercente man

sioni di ordine, i giudici hanno adottato parametri non sempre omoge nei. Il dato è allarmante perché, in assenza di un unico criterio guida, rimane affidata alla più ampia discrezionalità dell'interprete l'indivi

duazione di un discrimen che modifica drasticamente i termini della

tutela penale. A noi sembra che la nozione riveli contorni più precisi e netti di

quanto non possa apparire prima facie ancorandola alla fonte normati

va da cui trae origine: l'art. 1 r.d.l. 13 novembre 1924 n. 1825.

Il richiamo alla legge sull'impiego privato non mira a far rivivere

il criterio d'attribuzione della qualifica pubblicistica basato sul rappor to organico tra il soggetto e l'ente (c.d. concezione soggettiva) ma, al

l'opposto, persegue l'obiettivo di individuare — nel solco della conce

zione funzionale oggettiva che fonda la qualifica sui caratteri dell'atti

vità concretamente esercitata — i connotati qualitativi che

contraddistinguono le mansioni d'ordine. Pur nella consapevolezza che

la disciplina dell'impiego privato è ormai obsoleta, è possibile rapportare ad essa il concetto di mansioni d'ordine ai fini penali per un duplice ordi

ne di ragioni: a) il legislatore del '90, inserendo la suddetta locuzione nel

la definizione di cui all'art. 358 c.p., non può che averla enucleata dal

li Foro Italiano — 1993.

gestione dell'apparecchio telefonico pubblico, installato nel lo

ro esercizio di «alimentari ed altro», si appropriavano della som

ma di lire 3.331.000 costituita da proventi incassati per l'uso

dal suddetto apparecchio. Con sentenza in data 16 dicembre 1988 il tribunale dichiarava

le predette colpevoli del delitto di malversazione in danno di pri vati (art. 375 c.p.), cosi' modificata l'imputazione originaria e, concesse le attenuanti generiche e quelle di cui all'art. 62, n. 4,

c.p., reputate prevalenti sulla recidiva gravante su Amadori Ga

briella, le condannava a pena ritenuta di giustizia ed al risarci

mento dei danni in favore della Sip, costituitasi parte civile.

A seguito di impugnazione delle imputate, la Corte d'appello di Genova, con sentenza in data 27 febbraio 1991 preso atto

della sopravvenuta abrogazione dell'art. 315 c.p. ad opera della

nuova 1. 26 aprile 1990 n. 86 ed esclusa la possibilità di far

confluire l'illecito nella nuova e onnicomprensiva figura di pe culato di cui all'art. 314 novellato ostandovi il principio dell'ir

l'art. 1 r.d.l., 13 novembre 1924 n. 1825, posto che tale disposizione offre l'unica definizione legislativa specifica della categoria impiegati zia; ti) l'art. 95 disp. att. c.c., nel prevedere che «quando le leggi e

le norme corporative non dispongono, l'appartenenza alla categoria di

impiegato o di operaio è determinata dal r.d.l. 13 novembre 1924 n. 1825» stabilisce che per la categoria impiegatizia (e, di conseguenza, per quella operaia) i criteri distintivi sono fissati tuttora dalla legge sul

l'impiego privato in via sussidiaria rispetto alla contrattazione collettiva

(cfr. Ghera, Diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro, Bari, 1993, 120

ss.; Carinci-De Luca-Tosi-Treu, Diritto del lavoro, Il rapporto di la voro subordinato, tomo 2, Torino, 1985, 132 ss.; Garilli, Le categorie dei prefatori di lavoro, Napoli, 1988; per la giurisprudenza di legittimi tà sul punto b), cfr.: Cass. 18 dicembre 1992, n. 13387, Foro it., Rep. 1992, voce Lavoro (rapporto), n. 761; 14 maggio 1991, n. 5363, id.,

Rep. 1991, voce cit., n. 703; 28 gennaio 1985, n. 454, id., Rep. 1985, voce cit., n. 756; 3 aprile 1984, n. 2167, ibid., n. 759).

L'art. 1 r.d.l. 13 novembre 1924 n. 1825 (legge sull'impiego privato), nel tracciare la linea di demarcazione tra la categoria degli impiegati e quella degli operai, definisce l'impiegato come colui che svolge «un'at

tività professionale... con funzioni di collaborazione, tanto di concetto

che di ordine, eccettuata pertanto ogni prestazione che sia semplice mente di mano d'opera». La chiave di lettura del criterio definitorio della collaborazione — ritenuta caratteristica fondamentale dell'impie gato — deve essere cercata nella relazione alla legge, ove è precisato che la collaborazione impiegatizia assume nel contratto di impiego una

colorazione particolare in quanto con essa si indica la funzione di sosti

tuzione che deve svolgere l'impiegato: «il contratto di impiego tende

ad integrare quell'opera personale dell'assuntore dell'azienda, opera cui

egli non può personalmente attendere... per la moltiplicazione delle oc

cupazioni sue» (per un commento alla legge ed una ricostruzione delle

prime pronunzie giurisprudenziali, v. Vaccaro, Disposizioni relative al

contratto d'impiego privato, Roma, 1938). Dalla ricostruzione della fi

gura dell'impiegato discendono i seguenti corollari: 1) la collaborazione

impiegatizia, perseguendo l'obiettivo di integrare o sostituire l'opera del

l'imprenditore, presuppone che l'impiegato sia dotato di una sfera di

autonomia e discrezionalità propria: 2) anche gli impiegati che svolgo no mansioni d'ordine (atteso che il criterio definitorio della collabora zione contraddistingue l'intera categoria) godono di margini di autono

mia e di poteri di iniziativa. La tesi, che ha trovato il conforto della

giurisprudenza degli anni '30 (cfr. Cass. 17 giugno 1938, n. 2051, Foro

it., Rep. 1938, voce Impiego privato, n. 240; 9 giugno 1934, n. 2025, id., Rep. 1934, voce cit., nn. 335, 336; 25 luglio 1938, n. 2832, id.,

Rep. 1938, voce cit., n. 337), se accolta, ridurrebbe notevolmente l'area

del pubblico servizio. La giurisprudenza, tuttavia, già a partire dagli anni '50, ha espunto dalla nozione di impiegato il requisito dell'autono

mia che oggi assurge, invece, a criterio discretivo fra le due sottocatego rie degli impiegati di concetto e di ordine (v. Cass. 10 agosto 1987, n. 6868, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 801, secondo la

quale «il criterio discretivo tra le mansioni d'ordine e quelle di concetto

va ravvisato nella facoltà d'iniziativa e nella libertà di apprezzamento che caratterizzano queste ultime»; in senso conforme, Cass. 27 aprile

1987, n. 4082, ibid., n. 803; per la giurisprudenza di merito, cfr. Pret.

Palermo 13 settembre 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 780, v. anche

Pret. Gorizia 27 aprile 1988, ibid., n. 781 che ha ritenuto che l'elemen

to distintivo fra mansione di concetto e mansione d'ordine è costituito

dalle modalità di controllo, sul risultato nel caso di mansioni di concet

to e sulle modalità di esecuzione nel caso di mansioni di ordine). L'im

piegato d'ordine è, oggi, qualificato dalla giurisprudenza come colui

che compie «il proprio lavoro, anche se intellettivo, come mera attua

zione della volontà altrui sotto il continuo controllo... ed è privo di

qualsiasi autonomia e discrezionalità, mentre se una certa facoltà d'ini

ziativa gli è attribuita, questa è pur sempre limitata nell'ambito delle

operazioni d'ordine commessegli» (Cass. 27 aprile 1987, cit.). Acceden

do alla nozione di mansione d'ordine tratteggiata dalla giurispruden

za, non sembra dunque che risultino decisivi, al fine di verificare

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PARTE SECONDA

retroattività della legge meno favorevole (art. 2 c.p.p.), riteneva

di doversi configurare nella fattispecie, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, il delitto di appropriazione indebita aggravata (art.

81, 110, 646, 61, n. 9, c.p.). Di conseguenza, in concorso delle

già concesse attenuanti ed in particolare di quella dell'art. 62, n. 4, c.p., dichiarava non doversi procedere nei confronti delle

imputate in ordine al delitto come sopra qualificato perché estinto

in virtù del decreto di amnistia n. 865 del 1986; ferme restando

le statuizioni civili. Ricorrono per cassazione il p.g. di Genova e le imputate.

Queste ultime si dolgono dell'omesso esame dei motivi di ap

pello con i quali avevano dedotto doversi configurare nella fat

tispecie l'inadempimento di una obbligazione civile e non di un

illecito penale, del quale peraltro erano state chiamate a rispon dere entrambe indiscriminatamente.

Il p.g., con unico articolato motivo, denuncia difetto di mo

tivazione ed erronea applicazione della legge penale innanzitut

to perché, dovendo la comparazione tra l'abrogato art. 315 ed

il nuovo art. 314, 1° comma, c.p. effettuarsi con criterio di

concretezza e cioè sulla base della sanzione nel minimo applica ta in primo grado — più favorevole, indipendentemente dal no

men iuris «di peculato» si doveva ritenere la nuova normativa:

posto che, in questa, non era più prevista la pena pecuniaria

congiunta e vi era stata aggiunta l'attenuante speciale dell'art.

323 bis c.p.; in secondo luogo perché, alla luce dell'art. 12 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, il quale definisce «pubblici ufficiali o

incaricati di pubblico servizio le persone addette ai servizi po

stali, di bancoposta e di telecomunicazioni anche se dati in con

cessione ad uso pubblico», non si era considerato che il gestore di un posto telefonico pubblico, pur avendo stipulato con la

Sip un contratto d'opera, esercita un pubblico servizio in quan to su di lui gravano più obblighi, funzionali ad assicurare alla

collettività il servizio telefonico (custodia impianti, riscossione

tariffe) ed in quanto gli obblighi di cassa non consentono di

equipararlo ad un semplice prestatore di mansioni d'ordine o

esecutive.

È innanzitutto infondato il ricorso del procuratore generale. L'art. 358 c.p., espressamente richiamato dalla citata disposi

zione dell'art. 12 cod. postale (per la quale «le persone addette

ai servizi postali di bancoposta e di telecomunicazione, anche

se un'attività sia o meno sussumibile nello schema del pubblico servi

zio, il grado di complessità, la delicatezza del settore in cui essa viene

svolta, i fini perseguiti. Assumono, invece, un risalto centrale i poteri d'iniziativa di cui gode l'agente ove il soggetto possa operare con di

screzionalità, sicuramente l'attività espletata travalica i confini delle man sioni di ordine; l'esistenza di poteri di iniziativa limitati alle modalità di esecuzione delle direttive ricevute è, invece, caratteristica tipica del l'esercente mansioni d'ordine e, pertanto, non giustifica l'operatività dell'art. 358 c.p.

II. - Il secondo problema affrontato dalle sentenze della Cassazione su riprodotte concerne la qualificazione giuridica della condotta del ti tolare di un posto telefonico pubblico che omette di versare alla Sip le somme corrisposte dagli utenti per le telefonate eseguite.

La sentenza sub I, limitandosi a sussumere il comportamento del ge store nello schema dell'appropriazione indebita piuttosto che in quello di cui all'art. 314 c.p., ne dà — implicitamente — per scontata la rile vanza penale.

Nella decisione sub II, l'organo giudicante ritiene, invece, di non po ter prescindere — nell'indagine diretta a stabilire se il mancato versa mento alla Sip integri reato — dall'esame degli accordi intervenuti tra le parti. Il contenuto del contratto evidenzierebbe che, in assenza di clausole che impongano al gestore di tenere la contabilità delle somme versate dagli utenti o che richiamino gli schemi del mandato a riscuote

re, è consentita la confusione tra le telefonate fatte in proprio dal ge store e quelle fatte dagli utenti: in siffatto contesto si ravvisa soltanto l'esistenza di un credito, escludendosi che in capo al gestore si fosse verificata una detenzione di denaro della Sip (per la analoga conclusio ne che il mancato versamento alla Sip dell'importo riscosso per le tele fonate integri soltanto inadempimento contrattuale, con riferimento al la esclusa configurabilità del delitto di peculato, cfr. Cass. 11 luglio 1991, Giordano, Foro it., Rep. 1992, voce Peculato, n. 17 e Riv. pen. economìa, 1991, 339). Muovendo da tale assunto non sarebbe configu rabile il reato di appropriazione indebita che postula un preesistente possesso della cosa altrui da parte dell'agente (sugli elementi costitutivi di questa fattispecie di reato, v. Petrocelli, L'appropriazione indebi

ta, Napoli, 1933; Pedrazzi, Appropriazione indebita, voce àdVEnci

clopedia del diritto, Milano, 1958, II, 833 ss.; Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, 9a ed., Milano, 1986, I, 273 ss.; Manto

vani, Delitti contro il patrimonio, Padova, 1989, 97 ss.; Fiandaca

II Foro Italiano — 1993.

se dati in concessione sono considerati pubblici ufficiali o inca

ricati di pubblico servizio... in conformità degli art. 357 e 358

c.p.»), stabilisce, nel suo secondo comma, nel testo modificato

dalla 1. 26 aprile 1990 n. 86, che per pubblico servizio deve

intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pub blica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipi ci di quest'ultima e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente ma

teriale.

Non diversamente da quanto rilevato dal ricorrente, l'eserci

zio del pubblico servizio, quale estremo essenziale alla configu rabilità dei delitti contro la pubblica amministrazione, va dun

que inteso in senso oggettivo, avendo cioè riguardo alla conno

tazione pubblicistica dell'attività concretamente svolta ed

all'inserimento dei compiti del singolo nell'ambito di un'attività

che risulti assoggettata ad una disciplina pubblicistica indipen dentemente dalla natura pubblica o privata dell'ente o dell'im

prenditore (sia pure concessionario) avvero del singolo dal qua le questa attività venga esercitata.

Ciò posto, non bisogna però dimenticare che, in virtù della

modifica della citata 1. 86/90, l'art. 358 c.p. delimita la figura dell'incaricato di pubblico servizio non solo verso l'alto esclu

dendo dalla relativa dimensione oggettiva i poteri propri della

pubblica funzione, ma anche verso il basso negando la qualifica a tutti gli addetti a mansioni d'ordine o meramente materiali;

con il risultato che nell'ambito delle attività disciplinate da nor

me pubblicistiche, la qualifica suindicata spetta non già a tutti

coloro che non siano né pubblici ufficiali né incaricati di un

servizio di pubblica necessità, ma soltanto a coloro che svolgo no compiti di rango intermedio tra le pubbliche funzioni e le

mansioni d'ordine o materiali.

Ora, proprio in linea con tali considerazioni, questa Corte

suprema ha già avuto modo di affermare in un'identica fatti

specie (cfr. Cass., sez. VI, 14 maggio 1991, Sera) che sebbene

la Sip, quale società per azioni concessionaria del servizio tele

fonico, svolga attività che rientrano in parte nella nozione di

pubblico servizio come sopra delineata, in realtà il gestore di

un bar, incaricato dalla stessa Sip, con contratto d'opera, di

tenere un posto telefonico pubblico, svolge semplici mansioni

d'ordine e perciò non è incaricato di pubblico servizio per gli

Musco, Diritto penale, parte speciale, Delitti contro il patrimonio, Bo

logna, 1992, II, tomo 2°, 80 ss.). Ad opposta soluzione era pervenuta la precedente giurisprudenza af

fermando che il titolare di un posto telefonico pubblico, riscuotendo

l'importo per conto ed in nome della Sip, è chiamato a risponderne a titolo di deposito (v. Cass. 17 ottobre 1986, cit.; 24 gennaio 1989, cit.; 29 marzo 1989, cit.; pur non richiamando esplicitamente lo schema del deposito, si esprimono in senso analogo, Cass. 20 novembre 1969, Ronchetti, Foro it., Rep. 1970, voce Malversazione, n. 9; 13 novembre 1970, cit.; 2 marzo 1971, cit.; 21 maggio 1987, cit.; 20 giugno 1989, cit.). In questa prospettiva sussisterebbe il presupposto possessorio pre visto dall'art. 646 c.p. Ed invero, la dottrina dominante e la giurispru denza concordemente negano che la nozione di possesso prevista nel codice penale coincide con quella elaborata nel codice civile che esige il concorso dell'elemento materiale (potere fisico sulla cosa) e dell'ele mento psicologico (proposito di comportarsi come proprietario o come titolare di altro diritto reale). Nel concetto di possesso, rilevante ai fini del diritto penale, sarebbero comprese non soltanto le situazioni di fat to qualificate possessorie dal diritto civile, ma anche quelle in cui il

potere sulla cosa si esercita in modo autonomo e fuori dalla diretta

vigilanza del possessore (in senso civilistico) e di altri che abbia sulla cosa un potere giuridico maggiore (cfr. De Marsico, Delitti contro il

patrimonio, Napoli, 1951; Pedrazzi, op. cit.; Marini, Possesso (diritto penale), voce del Novissimo digesto, 1966, XIII, 416 ss.; Ant.olisei, op. cit.\ in giurisprudenza, v. Cass. 9 maggio 1985, Pepe, Foro it., Rep. 1986, voce Appropriazione indebita, n. 12; 19 novembre 1985, Bruni, id., Rep. 1987, voce cit., n. 4; 4 giugno 1990, Galvano, id.,

Rep. 1991, voce Peculato, n. 16; 6 giugno 1990, Di Salvo, ibid., n.

18; in particolare, sono stati ritenuti possessori il depositario di una

partita di merce: Cass. 4 febbraio 1985, Ottoveggio, id., Rep. 1986, voce Appropriazione indebita, n. 7; il vettore ed il subvettore: Cass. 19 febbraio 1985, Amato, ibid., n. 10; l'affittuario: Cass. 21 marzo

1987, Cecconello, id., Rep. 1988, voce cit., n. 9 e Giur. agr. it., 1987, 671, con nota di Mazza; il capotavolo del casinò municipale: Cass. 13 luglio 1988, Zampone, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 3; il dipen dente della società autostrade che svolge la funzione di esattore: Cass. 1° giugno 1990, cit.; l'utilizzatore di un bene concesso in leasing: Trib. Pesaro 27 luglio 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 15 e Riv. it. leasing, 1985, 678, con nota di Gatti). [G. Bongiorno]

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GIURISPRUDENZA PENALE

effetti del delitto di peculato o dell'abrogato delitto di malver

sazione a danno di privati. Ed in effetti, pur non potendosi fare riferimento, come per

gli impiegati pubblici, ai precisi parametri delle qualifiche fun zionali del personale civile e militare dello Stato (1- H luglio

1980 n. 312 e 1. 24 marzo 1986 n. 7), non si può negare che

il privato incaricato di un posto telefonico pubblico — anche

per quel che attiene all'attività di cassa, sulla quale maggior

mente fa leva il ricorrente — svolge mansioni meramente esecu

tive e di modesto livello concettuale, equiparabili a compiti del

le carriere ausiliari per il cui esercizio si richiedano preparazio

ne e conoscenze elementari.

Esclusa a carico delle imputate la qualifica di incaricate di

pubblico servizio, ne segue che la sentenza impugnata — apo

dittica nella motivazione, ma ineccepibile nella decisione finale — ha rettamente configurato nella specie il delitto di appropria

zione indebita in luogo di quello simmetrico di cui all'art. 314,

2° comma, che diversamente si sarebbe potuto ravvisare in base

alle altre pertinenti osservazioni del p.m. ricorrente.

Né il configurato delitto di cui all'art. 646 c.p. poteva essere

dichiarato insussistente in deroga alla applicata causa estintiva

del reato (art. 152, cpv., c.p.p.) atteso che, in relazione al con

tenuto sostanziale del contratto di opera ed alla sottoscrizione

del medesimo da parte di entrambe le imputate, la sentenza im

pugnata, integrata nella motivazione da quella di primo grado,

va immune da censure sia per quanto attiene al dolo di appro

priazione (sistematica ritenzione mensile delle somme incassate

per circa un anno) che alle responsabilità delle due imputate,

essendo entrambe risultate iscritte alla camera di commercio e

titolari della gestione del servizio.

Tutti i ricorsi devono essere perciò rigettati.

II

Considerato che il ricorso si articola sui seguenti tre motivi.

Il primo motivo deduce violazione degli art. 2, 3° comma,

e 358 c.p. in quanto la nuova e più restrittiva definizione del

l'incaricato di pubblico servizio, contenuta nella 1. n. 86 del

1990 sui reati contro la pubblica amministrazione, impedirebbe

di comprendervi ora le mansioni svolte dal ricorrente. E ciò

in quanto la sua attività era disciplinata in tutto e per tutto

da norme di diritto privato e subordinatamente perché, essen

dosi limitato a custodire le somme versate per le telefonate da

gli occasionali avventori del bar, egli svolgeva una prestazione

d'opera puramente materiale. Il reato deve, perciò, essere quali

ficato come appropriazione indebita, reato divenuto improcedi

bile per l'amnistia di cui al d.p.r. n. 75 del 1990.

Il secondo motivo eccepisce la nullità della sentenza di merito

per nullità dell'ordinanza dibattimentale di primo grado dichia

rativa della contumacia, con conseguente retrocessione del pro

cesso. Invero, il difensore aveva dedotto che il Serra era stato

impedito per malattia dal partecipare all'udienza. Ciononostan

te il tribunale aveva disatteso la certificazione sanitaria prodot ta e dichiarato la contumacia senza previo accertamento.

Con il terzo motivo si chiede che venga riconosciuta la nuova

attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 323 bis c.p.

Va premesso, con riferimento al primo motivo concernente

la modifica delle qualifiche soggettive degli agenti pubblici, che

la novella n. 86 del 1990 ha abrogato altresì' l'art. 315 sulla

malversazione a danno di privati ed ha trasferito la relativa fat

tispecie fra quelle del nuovo peculato di cui all'art. 314. Si trat

ta del noto fenomeno giuridico della successione di leggi penali

e non di una abolitio criminis. Esso trova disciplina nell'art.

2, 3° comma, c.p. il quale consente la più favorevole ultrattivi

tà della fattispecie di malversazione, essendo previsto un massi

mo edittale della reclusione inferiore a quello portato dalla nuova

fattispecie di peculato. Deve perciò concludersi che nessuna ef

ficacia pratica la riforma può esplicare nel processo de quo,

sia sotto il profilo della norma incriminatrice sia sotto quello

dell'imputazione contestata.

Il primo motivo deve essere accolto. Invero, la definizione

dell'incaricato di pubblico servizio contenuta nell'art. 358, 2°

comma, c.p., nel testo modificato dall'art. 18 1. n. 86 del 1990,

risulta più restrittiva di quella recata dal testo originario e non

è più idonea a comprendervi le attività dei privati gestori di

bar concessionari di posti telefonici pubblici per conto della Sip.

Il Foro Italiano — 1993.

Dalla comparazione fra i due testi normativi, risulta anzitutto

che è stato mantenuto fermo il rapporto del soggetto agente con il servizio pubblico, rapporto definito di attività svolta per il servizio a qualunque titolo e non soltanto a titolo di pubblico

impiego. Per quanto concerne il concetto di pubblico servizio, il nuovo

testo ha cercato di meglio determinarne la nozione, che appari va troppo generica, attraverso più precisi parametri di riferi

mento: in ciò accogliendo auspici e fondendo fra loro varie pro

poste provenienti dalla dottrina.

Perciò, nello svolgere l'indagine diretta a qualificare l'attività

svolta fra quelle di pubblico servizio, l'interprete deve ora veri

ficare in concreto la sussistenza degli specifici parametri norma

tivi come più oltre richiamati. Ciò porta, di conseguenza, ad

operare una attenta revisione della numerosa casistica, nella quale la giurisprudenza precedente aveva ritenuto la natura del pub blico servizio e che comprendeva la gestione in concessione di

un posto telefonico pubblico (cfr. sez. VI 8 ottobre 1987, riv.

176.802). Il primo parametro della nuova definizione è di segno positi

vo e richiede che l'attività di pubblico servizio sia «disciplinata

nelle stesse forme della pubblica funzione», e il riferimento,

per il caso che occupa, deve essere fatto alla pubblica funzione

amministrativa «disciplinata da norme di diritto pubblico e da

atti autoritativi», di cui al precedente art. 357, 2° comma, mod.

c.p. Il secondo parametro dall'art. 358, 2° comma, è di segno

negativo e richiede che l'attività di pubblico servizio «sia carat

terizzata dalla mancanza dei poteri tipici» della pubblica fun

zione, cioè quelli che attengono alla «formazione e manifesta

zione della volontà della pubblica amministrazione e al suo svol

gersi per mezzo di poteri autoritativi e certificativi».

Il terzo parametro, anch'esso di segno negativo, stabilisce che

l'attività stessa non deve consistere nello «svolgimento di sem

plici mansioni di ordine e nella prestazione di opera meramente

materiale».

Rapportando tali parametri all'attività di gestione in favore

del pubblico del servizio telefonico, il primo e il secondo devo

no, intanto, ritenersi sussistenti. Invero, l'attività predetta risul

ta disciplinata da norme di diritto pubblico (cfr. le disposizioni del codice postale concernenti i servizi telefonici e le concessioni

ad uso pubblico: art. 197 ss. r.d. n. 645 del 1936 e succ. mod.)

nonché da atti autoritativi, quali le concessioni alla Sip di servi

zi telefonici e i relativi decreti di approvazione del presidente

della repubblica (d.p.r. n. 1594 del 1964 e succ. mod.). Inoltre,

l'attività è certamente caratterizzata dal mancato conferimento

al gestore di poteri autoritativi o certificativi. Per questa parte

deve perciò essere confermata la precedente giurisprudenza.

Fa difetto, invece, il terzo parametro nel caso specifico del

gestore di posto telefonico pubblico concessionario della Sip,

il che porta ad escluderlo dal novero delle persone incaricate

di pubblico servizio, innovando sulla citata giurisprudenza. Il

rapporto tra gestore e società si instaura mediante contratto di

adesione di diritto privato, del tipo di quello sottoscritto dal

ricorrente il 15 febbraio 1985 e prodotto in atti, che comporta

lo svolgimento delle seguenti attività: 1) svolgimento del servi

zio telefonico, quale attività accessoria e non prevalente rispetto

all'attività commerciale di gestione del bar (dove l'apparecchio

telefonico è stato installato a cura della Sip), mettendolo a di

sposizione del pubblico per l'intero orario di apertura del locale

e comunque per un orario minimo prefissato; 2) adoperarsi per

ché il locale sia illuminato, tenuto con decoro, ordine e pulizia

e perché tenga in evidenza cartelli, elenchi e avvisi Sip; 3) con

servazione con particolare cura delle attrezzature e del materiale

telefonico; 4) cura del recapito degli avvisi delle telefonate in

arrivo; 5) applicazione scrupolosa delle tariffe telefoniche. Il

contratto prevede altresì che la Sip possa chiedere al gestore

di espletare il servizio telegrafico, assicurando l'accettazione, la

trasmissione e la ricezione telefonica nonché il recapito dei tele

grammi. Non risulta che nella specie la Sip abbia conferito que

sto ulteriore servizio al Serra.

Il contenuto di tali attività e la loro accessorietà rispetto alla

gestione commerciale del bar — implicante questa capacità e

responsabilità imprenditoriali — consente di classificarle fra le

semplici mansioni di ordine, che la riforma ha inteso escludere

dalla tutela penalistica del servizio pubblico. E tale giudizio va

le anche per il recapito degli avvisi delle telefonate in arrivo

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PARTE SECONDA

e per il recapito dei telegrammi, da ritenere anch'esse attività

non implicanti cognizioni e responsabilità superiori (se si esclu

dono quelle connesse a speciali servizi postali qui non ricorrenti). Il fatto non costituisce reato anche sotto diverso profilo. L'e

same del contratto 15 febbraio 1985 evidenzia come esso abbia

costituito a carico del gestore Serra soltanto rapporti di natura

obbligatoria e comunque non implicanti la detenzione di denaro

per conto della società concessionaria. Nell'art. 8 del contratto

è stabilito, infatti, che il «provento telefonico» della Sip è costi

tuito dall'importo di ciascuno scatto (determinato secondo le

tariffe di legge) moltiplicato per il numero degli scatti risultanti

dai contatori di centrale, numero letto dal personale della socie

tà. Nel successivo art. 9 e poi previsto che l'importo verrà ri

chiesto con scadenza mensile e che in caso di ritardo superiore ai venti giorni il gestore è tenuto a versare un indennizzo pari al due per cento. L'art. 10 stabilisce che il gestore deve costitui

re presso la Sip un deposito cauzionale a garanzia del provento e l'art. 11 prevede l'importo dei compensi al gestore commisu

rati al numero delle telefonate. Si tratta di clausole e garanzia

per gran parte analoghe a quelle che la Sip pratica nei contratti

di utenza con i privati. Dunque, il contratto non impone al

gestore alcuna contabilità delle somme versate dagli utenti per il pagamento delle telefonate ma si limita al calcolo ex post

degli scatti sui contatori per determinare il credito mensile della

società. Né contiene altre clausole che richiamino gli schemi del

deposito o del mandato a riscuotere, talché è consentita la tota

le confusione fra le telefonate (e i relativi importi) fatte dal

gestore in proprio e quelle fatte dagli utenti. Deve perciò con

cludersi che in base al contratto del 15 febbraio 1985 non si

era verificata in capo al Serra alcuna detenzione di denaro della

Sip, ma che era sorto soltanto un credito, garantito da deposito cauzionale e reso liquido successivamente con le richieste in at

ti, poi rimaste non adempiute.

L'accoglimento del primo motivo di merito impedisce l'esa

me degli altri: il secondo perché giuridicamente subordinato a

norma dell'art. 152 c.p.p. 1930 e il terzo perché divenuto caren te di interesse.

Ili

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 10 ottobre 1991 il Tribunale di Palermo dichiarava Missaglia Umberto col

pevole del delitto di violenza carnale aggravato (art. 519, 1°

e 2° comma, n. 3, 61, n. 9, c.p.), commessa all'interno dell'o

spedale «Enrico Albanese» di Palermo il 21 gennaio 1990 in

pregiudizio della maggiorenne cerebropatica Callarelli Maria, e

10 condannava alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione, di chiarandolo interdetto dai pubblici uffici per una durata uguale a quella della pena inflitta.

Il tribunale motivata la sua decisione considerando che, seb

bene nessuna querela fosse stata proposta mell'interesse della

persona offesa, il reato era perseguibile d'ufficio avendo il Mis

saglia, indipendentemente dalla qualifica formalmente attribui

tagli, svolto di fatto le mansioni di infermiere, cui è corelata

la qualifica di incaricato di un pubblico servizio, e precisando, in punto di fatto, che dal contenuto della deposizione della te

stimone Fraterrigo Benedetta, impiegata con la qualifica di in

fermiera preso lo stesso ospedale ove prestava attività lavorati va l'imputato, nonché da tutti gli altri riscontri acquisiti nel corso del dibattimento, doveva ritenersi raggiunta la prova del

la fondatezza dell'accusa — e della responsabilità dell'imputa to. Avverso tale sentenza il condannato proponeva appello, per i motivi che saranno esaminati nel prosieguo.

All'odierno dibattimento, dopo la relazione del consigliere de

legato, p.g. e difensore dell'imputato hanno formulato ed illu strato le rispettive conclusioni, come da verbale di udienza in atti.

Motivi della decisione. — Col primo motivo di gravame l'ap

pellante, premesso di essere stato assunto presso l'ospedale con la qualifica di agente tecnico, poi ricompresa in quella di ausi liario socio-sanitario, ha contestato di avere di fatto svolto man sioni superiori a quelle corrispondenti alla propria qualifica e, ribadendo che le stesse devono considerarsi meramente d'ordine e si risolvono nella prestazione di opera meramente materiale, ha dedotto di non rivestire — in relazione al testo dell'art. 358

c.p. novellato dell'art. 18 1. 26 aprile 1990 n. 86 — la qualifica di incaricato di un pubblico servizio; con la conseguenza che 11 reato, oltre che non aggravato ex art. 61, n. 9, c.p., sarebbe

improcedibile per mancanza di querela.

Il Foro Italiano — 1993.

Il motivo è infondato e deve essere respinto. Tralasciando

inizialmente la questione relativa allo eventuale svolgimento di

fatto, da parte del Missaglia, di mansioni superiori a quelle cor

rispondenti alla sua qualifica (sul che più diffusamente in segui

to), il nucleo centrale della problematica sollevata col presente motivo inerisce alla portata della novella di cui alla 1. n. 86

del 1990 relativamente alla nozione di incaricato di un pubblico servizio nonché alla riconducibilità o meno delle mansioni svol

te dal Missaglia — nell'ambito della qualifica allo stesso attri

buita — in tale categoria. In particolare, per quanto concerne la questione relativa alla

portata della riforma dei reati contro la pubblica amministra

zione, è ovvio che l'indagine, ai fini della decisione del caso

in esame, non deve essere diretta all'individuazione ed alla pre cisazione di tutti i presupposti ai quali lo stesso art. 358 c.p.

ricollega la qualifica di che trattasi, ma, esclusivamente, di quello meramente negativo, di cui all'ultima parte del 2° comma, con

sistente nella «esclusione dello svolgimento di semplici mansioni

d'ordine e della prestazione di opera meramente materiale»: pre

supposto, questo, che è stato contestato dall'appellante sul rilie

vo che secondo la normativa in tema di pubblico impiego egli, essendo inquadrato con una qualifica corrispondente al terzo

livello retributivo, avrebbe svolto mansioni meramente d'ordine.

Sul punto si impone, innanzi tutto, la considerazione che nel

le pronunce intervenute dopo la riforma dei reati contro la pub blica amministrazione, la Corte suprema di cassazione ha sta

tuito che il nuovo testo dell'art. 358 c.p., novellato ai sensi del

l'art. 18 1. n. 86 del 1990, non dà del pubblico servizio una

nozione sostanzialmente diversa da quella accolta col testo pre

vigente, secondo la quale esso va definito come qualsiasi attivi

tà non autoritaria, accessoria o complementare ad una pubblica

funzione, che non si risolva in un lavoro manuale: prospettiva,

questa, in base alla quale è stata ravvisata la qualifica pubblici stica di che trattasi nella guardia giurata che conduceva un fur

gone portavalori (Cass., sez. VI, 6 giugno 1990, Di Salvo, Foro

it., Rep. 1991, voce Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 26) nonché nell'operaio della Sip che eseguiva un

allacciamento telefonico (Cass., sez. VI, 2 novembre 1990, n.

14389). Più articolata è stata la posizione della dottrina, parte della

quale si è posto il problema se il concetto di mansione utilizzato

dal legislatore costituisca o meno nozione giuridicamente obso

leta, nonché se, ed in quale misura, il nuovo assetto del pubbli co impiego scaturente dalla legge quadro 11 luglio 1980 n. 312

incida sulla nozione di rilievo penale per cui è processo. In particolare, si è rilevato che in sede di lavori preparatori

della riforma (seduta del 5 aprile 1990 dinanzi all'assemblea del

senato) il ministro di grazia e giustizia propose la soppressione dell'art. 358 c.p. sia perché il concetto di mansione sarebbe sta

to «normativamente abbandonato» sia nel timore che, con tale

riferimento, venisse imposto all'interprete un complicato e del

tutto aleatorio lavoro di ricostruzione della corrispondenza fra

le ex-carriere e gli attuali inquadramenti di una certa qualifica e profilo.

Si è altresì osservato che prima della 1. 312/80 l'ordinamento

del personale civile dello Stato si basava sulla distinzione degli

impiegati in quattro carriere (direttiva, di concetto, esecutiva

ed ausiliaria) e che invece la legge quadro del 1980, che non

riguarda il personale direttivo ed esclude espressamente dal suo

ambito quello militare di carriera, ha distinto le altre categorie

subdirigenziali in otto qualifiche funzionali (cui la 1. n. 7 del 1986 ne ha aggiunto una nona), che rispondono all'esigenza di

organizzare il lavoro sul criterio della specificità delle funzioni.

Si è quindi evidenziato che la 1. n. 312 del 1980 ha inserito

il personale della carriera ausiliaria cui in precedenza erano at

tribuite mansioni d'ordine nella seconda e terza qualifica (salve alcune eccezioni tassativamente previste), e si è pertanto conclu

so (sul presupposto di una sostanziale assimilabilità del perso nale attualmente inserito nelle prime tre qualifiche a quello in

precedenza inquadrato nella carriera ausiliaria) nel senso che la nozione di semplici mansioni d'ordine di cui al 2° comma

dell'art. 358 c.p. sia riferibile a quelle categorie che prima della riforma del 1980 appartenevano alla carriera ausiliaria.

Al riguardo deve, innanzi tutto, evidenziarsi che la ricostru

zione teorica tendente ad escludere l'incaricato di un pubblico servizio il personale che risulti inquadrato nelle prime tre quali fiche previste dalla 1. n. 312 del 1980 finisce con lo svuotare

di contenuto la prospettiva sottesa alla riforma dei reati contro

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GIURISPRUDENZA PENALE

la pubblica amministrazione con la quale, recependo i numerosi

apporti della dottrina e della giurisprudenza formatasi sul vec

chio testo dell'art. 358 c.p., il legislatore si è spinto a dare una

definizione più articolata delle attività tutelate, precisando ciò

che «deve intendersi» agli «effetti della legge penale» per pub blico servizio.

Con questo non si vuole, certo, assumere che la nozione pe

nalistica di pubblico servizio avrebbe un'autonoma rilevanza ri

spetto agli altri settori dell'ordinamento giuridico; si vuole però sottolineare che il pregnante riferimento ad un'attività connota

ta formalmente dall'art. 358 c.p. sugli elementi di somiglianza e di differenza dalla pubblica funzione, e che viene postulata come presupposto necessario affinché una persona fisica possa

qualificarsi incaricato di un pubblico servizio, lascia intendere

che il semplice inquadramento soggettivo nell'una piuttosto che

nell'altra categoria sia di per sé inidoneo all'individuazione del

la qualifica di che trattasi, e che invece la relativa indagine deb

ba essere portata sul contenuto dell'attività in concreto esercita

ta dal dipendente, essendo l'ambito della responsabilità penale

precipuamente correlato al grado di partecipazione dell'agente

alla sfera dei poteri decisionali concernenti lo svolgimento del

servizio; ed è tra l'altro significativo, a tale riguardo, che lo

stesso ministro di grazia e giustizia, nell'intervento prima riferi

to, concluse ammettendo che il giudice penale, dopo il (da lui

paventato) lavoro di ricostruzione e confronto fra le ex-carriere

e gli attuali inquadramenti di una certa qualifica e profilo, avreb

be poi finito per «verificare la presenza, all'interno della quali

fica stessa, di componenti di autonomie operative e responsabi

lità tali da escludere l'equiparabilità ai fini penali di una deter

minata categoria di dipendenti pubblici agli ex impiegati d'ordine», cosi implicitamente confermando che, in sede pena

le, rileva, in definitiva, il tipo di attività esercitata e l'ampiezza

dei poteri correlati.

In tale ottica l'affermazione che la nozione di mansione sia

obsoleta, oltre che smentita dal fatto che proprio la 1. n. 312

del 1980 evoca ancora tale concetto (il che, tra l'altro, fu posto in evidenza in sede di lavori preparatori per respingere l'emen

damento del ministro), si appalesa, quindi, marginale; laddove

invece il riferimento, di natura squisitamente oggettiva, all'atti

vità concretamente esercitata — piuttosto che all'inquadramen

to formale nell'una o nell'altra categoria — consente di esclu

dere la configurabilità della qualifica di incaricato di un pubbli

co servizio soltanto nelle ipotesi in cui l'attività posta in essere

dall'agente abbia carattere meramente applicativo o esecutivo,

essendo priva di qualsivoglia autonomia o discrezionalità.

Nel caso in esame, nel quale è accertato che l'imputato è sta

to assunto con le funzioni di agente tecnico, occorre innanzi

tutto considerare che secondo il d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761,

ali. 2, che disciplina lo stato giuridico di tutto il personale del

servizio sanitario sono ricomprese nel vecchio ruolo degli agenti

tecnici diverse figure fra cui l'ausiliario socio-sanitario, il disin

fettore capo, il disinfettore, l'operaio qualificato (nell'ambito

del servizio ospedaliero), l'ausiliario assistente e l'operaio non

specializzato; dal che è dato desumere che alla suddetta nozione

possono ricondursi svariate attività, numerose delle quali mani

festamente complesse e non certo d'ordine o meramente materiali.

Tale complessità è ulteriormente confermata dall'art. 53 d.p.r.

7 settembre 1984 n. 821, col quale viene precisato che il perso

nale con la qualifica di agente tecnico «svolge attività che ri

chiede una normale capacità nella qualificazione professionale

posseduta, anche con l'uso di macchine che comportino mano

vra elementare; è addetto alla conduzione di veicoli e/o alla

piccola manutenzione degli stessi».

Con maggiore precisione l'art. 1 d.m. 10 febbraio 1984 col

quale vengono individuati taluni profili professionali previsti dal

l'art. 1, 4° comma, d.p.r. 761/79, specifica che l'ausiliario socio

sanitario specializzato (tale risulta essere il profilo professionale

attribuito al Missaglia), «assicura la pulizia negli ambienti di

degenza ospedaliera... provvede al trasporto degli infermi in ba

rella ed in carrozzella ed al loro accompagnamento se deambu

lanti con difficoltà. Collabora con il personale infermieristico

nelle pulizie del malato «allettato» e nelle manovre di posizio

namento del letto. È responsabile della corretta esecuzione dei

compiti che sono stati affidati dal caposala e prende parte alla

programmazione degli interventi assistenziali per il degente».

Non si tratta quindi soltanto di mansioni meramente esecuti

ve ma piuttosto di una serie di attività che tale ausiliario può

Il Foro Italiano — 1993.

porre in essere anche in settori particolamente delicati (quali, come nel caso in esame, l'assistenza ai cerebropatici) con un

certo margine di autonomia quanto meno in relazione all'orga nizzazione dei servizi, e, con particolare riferimento alla «pro

grammazione degli interventi assistenziali», addirittura con ta

luni poteri di iniziativa: tanto basta a ricondurre la figura di

che trattasi nell'ambito della qualifica di cui all'art. 358 c.p. Del resto, ove non bastassero le considerazioni che precedo

no, mette conto di evidenziare che nel caso in esame risulta

concretamente accertato che l'imputato, nella stessa data di cui

alla contestazione, sollevò di sua iniziativa dal letto il fratello

della persona offesa, anche lui cerebropatico, e lo sistemò di

nanzi ad un televisore nella stanza adiacente a quella in cui era

no ricoverati gli altri degenti.

Ora, è evidente che ad avviso della corte la condotta sopra

precisata rientra, alla luce delle argomentazioni precedentemen

te sviluppate, nell'ambito delle mansioni demandate all'imputa

to, sicché il diverso giudizio formulato sul punto dal primo giu dice non può essere condiviso.

Preme però sottolineare, in ogni caso, che proprio il fatto

che l'imputato abbia assunto tale iniziativa dimostra che le sue

mansioni non possano essere qualificate — ai fini de quibus — meramente «d'ordine»; con l'ovvia conseguenza che invece,

nell'ipotesi qui data per assurdo che l'iniziativa assunta dovesse

ritenersi esulante dalle mansioni allo stesso demandate, la re

sponsabilità del Missaglia deriverebbe comunque dai principi in

tema di funzioni «di fatto» cui si è riferito il tribunale. (Omissis)

CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA; sentenza 17 marzo 1992;

Pres. Russo, Est. Persico; imp. C.

CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA;

Oltraggio, violenza, resistenza a pubblico ufficiale o autorità — Oltraggio a magistrato

— Calunnia — Concorso di reati — Fattispecie (Cod. pen., art. 343, 368).

Commette il reato di oltraggio a magistrato in udienza, in con

corso con il reato di calunnia, il procuratore costituito in cau

sa propria che iscrive di proprio pugno a verbale frasi di in

colpazione del giudice istruttore tese a contestare a quest'ulti

mo l'asserita commissione del delitto di interesse privato e

abuso in atti di ufficio nel corso delle funzioni istruttorie,

costringendo cosi il medesimo giudice a dare lettura in udien

za delle predette accuse e ledendo di conseguenza la di lui

immagine di imparzialità agli occhi dei numerosi procuratori

di altre cause ivi presenti, indipendentemente dalla evidente

infondatezza e pretestuosità degli addebiti mossi. (1)

(1) Un precedente giurisprudenziale di oltraggio a magistrato in udienza,

che presenta modalità esecutive del fatto in alcuni tratti analoghe al

caso concreto oggetto della sentenza in epigrafe, è ravvisabile in Cass.

9 novembre 1966, Mancini, Foro it., 1967, II, 137, la cui massima reci

ta: «commette il reato di cui all'art. 343 c.p. l'imputato che, avendo

inoltrato dal carcere un memoriale alla corte d'assise contenente frasi

ingiuriose per il procuratore della repubblica che l'aveva interrogato, 10 conferma e acconsente che ne sia data lettura nel corso dell'udienza

nella quale esercita le funzioni di pubblico ministero il magistrato ol

traggiato». La pronunzia in rassegna si segnala, però, per il rigore con il quale

ha qualificato giuridicamente il fatto commesso dell'agente, reputando

lo integrante gli estremi di due distinte figure di reato: l'oltraggio a

magistrato in udienza (art. 343 c.p.) e la calunnia (art. 368 c.p.).

Senonché, con riferimento ai criteri atti a distinguere il concorso di

reati da quello apparente, la dottrina dominante raccomanda il rispetto in ogni caso del principio ne bis in idem sostanziale. Ciò significa che

anche laddove difetti un rapporto di specialità in senso stretto tra le

fattispecie concorrenti astrattamente considerate, ma il fatto su cui con

vergono le norme penali esprime un unico disvalore in base ad una

valutazione di tipo normativo-sociale, è preferibile per ragioni di giusti

zia sostanziale far operare il criterio della c.d. consunzione, secondo

11 quale andrebbe applicata soltanto la norma che prevede il reato più

grave in quanto finisce per assorbire quello meno grave (Pagliaro, Prin

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