Sezione VI penale; sentenza 7 aprile 1981; Pres. Clemente Di S. Luca, Est. Taglienti, P. M. (concl.conf.); ric. Loprete. Conferma App. Venezia, ord. 3 novembre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 421/422-423/424Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173062 .
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421 GIURISPRUDENZA PENALE 422
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione VI penale; sentenza 30
giugno 1981; Pres. Marucci, Est. Simoncelli, P. M. Ciani
(conci, conf.); ric. Rogai. Annulla App. Roma, ord. 27 mag
gio 1981.
CORTE DI CASSAZIONE;
Libertà personale dell'imputato — Custodia preventiva — Ter mini — Rapina aggravata — Attenuanti prevalenti o equiva lenti alle aggravanti — Prolungamento ai sensi dell'art. 10 d. 1. n. 625/1979 — Esclusione (Cod. proc. pen., art. 272; d. 1.
15 dicembre 1979 n. 625, misure urgenti per la tutela dell'or dine democratico e della sicurezza pubblica, art. 10; legge 6
febbraio 1980 n. 15, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 15 dicembre 1979 n. 625, art. unico).
Il prolungamento di un terzo dei termini massimi della custodia
preventiva, introdotto per il reato di rapina aggravata (e per altri reati) dall'art. 10 d.l. n. 625/1979, convertito, con mo
dificazioni, nella legge n. 15/1980, non si applica ove, con
sentenza dibattimentale, siano state concesse circostanze atte
nuanti ritenute equivalenti o prevalenti sulle contestate aggra vanti. (1)
La Corte, ecc. — Lette le conclusioni del p. m. con le quali chiede l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio alla
Corte d'appello di Roma ai soli fini dell'eventuale imposizione
degli obblighi di cui all'art. 272, 7° comma, cod. proc. penale; la corte, letta la requisitoria del procuratore generale che qui si
allega e costituisce parte integrante della sentenza.
Per questi motivi, visti gli art. 272 bis., 531 e 543, n. 1, cod.
proc. pen., annulla l'impugnata ordinanza con rinvio alla Corte
d'appello di Roma ai soli fini dell'eventuale imposizione degli
obblighi previsti nell'art. 272 cod. proc. penale.
Il Procuratore generale — Letti gli atti del ricorso presentato da Rogai Sandro — ricorrente avverso la sentenza 30 gennaio 1980, con la quale la Corte d'appello di Roma, previa concessione
delle attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen. ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti, lo ha
condannato alla pena di anni due, mesi otto di reclusione e lire
200.000 di multa per il delitto di rapina aggravata — contro l'ordinanza 27 maggio 1981 con cui la menzionata corte d'appello ha rigettato l'istanza di scarcerazione per decorrenza (alla data del 28 maggio 1981) del termine massimo di custodia preventiva avanzata nel suo interesse.
Osserva: il ricorso — a sostegno del quale si deduce la violazione dell'art. 10 d. 1. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito con modifiche di legge 6 febbraio 1980 n. 15, per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto che il termine di due anni, derivante dal giudizio di valenza delle aggravanti con le attenuan
ti, debba essere aumentato di un terzo in virtù della citata norma la quale, richiamando l'art. 165 ter cod. proc. pen., ha inteso fare riferimento al titolo del reato contestato e non a quello ritenuto in sentenza — è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
La giurisprudenza di codesta corte, infatti con orientamento
ormai consolidato, ritene che ai fini della valutazione dei termini
massimi della custodia preventiva — dopo decisione tuttora su
scettibile di gravame — deve aversi riguardo alla pena edittale
prevista per il reato ritenuto in sentenza e determinata tenendo
conto degli aumenti per le aggravanti e delle diminuzioni per le attenuanti applicate e in ipotesi di concorso delle une con le
altre, del risultato del giudizio di comparazione effettuata in
sentenza ai sensi dell'art. 69 cod. pen. (Sez. un. 22 giugno 1974,
Porfido, Foro it., Rep. 1975, voce Libertà personale dell'imputato, n. 69; 22 luglio 1974, Sezzu, ibid., n. 88; Sez. II 22 ottobre 1974,
Shandovich, ibid., n. 86; 2 febbraio 1976, Costantini, id., Rep.
1976, voce cit., n. 149; 20 ottobre 1976, Favat, id., Rep. 1977,
voce cit., n. 100; 28 gennaio 1980, Savasta).
Consegue da tale principio che una volta determinato il termine
in esame con riferimento al reato ritenuto in sentenza — che
quoad poenam era il reato di rapina semplice — non poteva
applicarsi, come hanno ritenuto i giudici di merito, il prolunga mento dei termini di cui alla norma citata dianzi, che, mediante il
richiamo all'art. 165 ter cod. proc. pen., non può che riferirsi
esclusivamente al reato di rapina aggravata ex art. 628, 3°
comma, cod. penale. È contrario alla più elementare logica, oltre che ai comuni
(1) Nello stesso senso v. Cass. 11 febbraio 1981, Nardozza, Foro it.,
1981, II, 201, con nota di richiami di G. Ciani, cui adde, conforme mente alla sentenza che si riporta, 9 giugno 1981, Coccioli, ined.; 27
maggio 1981, Casaburi, ined. Sull'art. 10 d.l. n. 625/1979, convertito, con modificazioni, in legge
n. 15/1980, v., da ultimo, Cass. 25 febbraio 1981, Verdecchia, in
questo fascicolo, II, 423, con nota di richiami.
canoni ermeneutici — né può trovare ingresso per supposte esigenze di politica criminale — aver riguardo alla pena per il reato ritenuto in sentenza in sede di individuazione del termine
base ex art. 272 cod. proc. pen. e poi considerare operante, in
relazione al medesimo termine, il prolungamento in questione, previsto solo per le pene afferenti ai delitti tassativamente indica
ti, in particolare la rapina aggravata, come se fosse rimasto
inalterato — agli effetti che qui interessano — il reato origina riamente contestato.
Le stesse esigenze che hanno indotto la giurisprudenza a tener
conto, dopo la pronuncia di una sentenza di condanna, ancorché
suscettibile di modifica, della effettiva natura e gravità del reato
del quale l'imputato è stato riconosciuto colpevole, ai fini della
determinazione del termine massimo della custodia preventiva, debbono portare ad escludere l'applicabilità del prolungamento del termine stesso ove nel corso del dibattimento sia stato
ridimensionato, a seguito del giudizio di bilanciamento delle
circostanze del reato, il disvalore sociale dello stesso.
Consegue dai rilievi fin qui svolti che, nella specie, avuto
riguardo al reato ritenuto in sentenza ed alla fase processuale cui
il procedimento è pervenuto, il termine massimo della custodia
preventiva, non essendo intervenuta una sentenza definitiva di
condanna, è di due anni (cfr. Sez. I 13 marzo 1981, Grimaldi,
ined.; Sez. II 3 marzo 1981, Morgioni, ined.; Sez. II 11 febbraio
1981, Nardozza, id., 1981, II, 201). Tale termine è scaduto il 29 maggio 1981.
L'ordinanza de qua deve essere, pertanto, annullata; l'annulla
mento va disposto con rinvio per l'eventuale imposizione all'im
putato degli obblighi di cui all'art. 272, 7° comma, cod. proc.
penale. Per questi motivi, chiede che la Corte di cassazione annulli
l'ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Roma ai
soli fini della eventuale imposizione degli obblighi di cui all'art.
272, 7° comma, cod. proc. penale.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione VI penale; sentenza 7 aprile
1981; Pres. Clemente Di S. Luca, Est. Taglienti, P. M. (conci,
conf.); ric. Loprete. Conferma App. Venezia, ord. 3 novembre
1980.
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Ricusa
zione — Inimicizia grave — Nozione (Cod. proc. pen., art. 64).
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Ricusa
zione — Giudizio espresso dal giudice in occasione di pre cedente provvedimento contro altro imputato — Necessità di
indicazioni per l'individuazione del ricusante — Assenza —
Inammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. peti., art. 64).
L'inimicizia grave, quale motivo di ricusazione del giudice ai
sensi dell'art. 64, n. 3, cod. proc. pen., si deve riscontrare nei
rapporti personali svoltisi in precedenza e al di fuori del
processo, e non anche nel trattamento eventualmente usato dal
giudice nel corso del processo e deve fondarsi su fatti e
circostanze obiettive e non su mere supposizioni del ricusan
te. (1) Non costituiscono motivo di ricusazione, ai sensi dell'art. 64, n. 2,
cod. proc. pen., le affermazioni fatte dal giudice in un prece dente provvedimento contro altro imputato, quando queste, per la loro genericità e la mancanza di precise indicazioni, rendano
impossibile l'identificazione del ricusante (nella specie era con
testata dal ricorrente un'affermazione fatta dal giudice, secondo
cui « ai fatti potrebbero non essere estranee persone apparte nenti ai più alti gradi della guardia di finanza o ad altre
amministrazioni »). (2)
(1) In termini v., da ultimo, Cass. 16 dicembre 1979, Borgoglio, Foro
it., 1980, II, 419, con nota di richiami; Cass. 2 ottobre 1978, Vitalone,
id., Rep. 1979, voce Astensione, ricusazione e responsabilità del giudi
ce, n. 26. Nel senso che la ricusazione deve qualificarsi come un procedimento
incidentale di accertamento tendente a verificare tutte le situazioni
allegate per dimostrare che tra il giudice e l'imputato si è instaurata
quella astiosa avversione che l'art. 64, n. 3, cod. proc. pen. definisce
grave inimicizia e che tale indagine deve riguardare, oltre che il
comportamento del ricusato, anche quello degli altri magistrati dell'uffi cio quando risulti chiara la volontà di ricusare tutti i componenti dell'ufficio giudicante, v. Cass. 20 dicembre 1979, Vitalone, id., 1980, II, 417, con nota di richiami.
(2) Per l'inammissibilità dell'istanza di ricusazione proposta nei con fronti dei magistrati i quali, in occasione di altra pronuncia, abbiano
espresso o potuto esprimere il loro giudizio sulla questione oggetto del
ricorso, cfr. Cass., ord. 28 luglio 1980, Caltagirone, Foro it., 1981, II,
Il Foro Italiano — 1981 — Parte II-31.
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PARTE SECONDA
La Corte, ecc. — Loprete Donato ricorre avverso l'ordinanza
della Corte d'appello di Venezia in data 3 novembre 1980 con la
quale è stata dichiarata inammissibile la dichiarazione di ricusa
zione proposta in data 10 ottobre 1980 nei confronti del dott.
Felice Napolitano, g. i. presso il Tribunale di Treviso.
A sostegno del ricorso deduce: 1) la violazione dell'art. 64, n.
3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 524, nn. 1 e 3, cod. proc.
pen.; 2) l'inosservanza dell'art. 64, n. 2, cod. proc. pen. in
relazione all'art. 524, nn. 1 e 3, cod. proc. penale.
Chiede, pertanto, l'annullamento del provvedimento impugnato. Il ricorso è privo di fondamento.
La costante giurisprudenza di questa Suprema corte ha fissato il
principio per il quale l'inimicizia grave, come motivo di ricusa
zione del giudice, si deve riscontrare nei rapporti personali svoltisi in precedenza e al di fuori del processo, e non anche nel
trattamento eventualmente usato dal giudice nel corso del proce dimento. È ovvio, altresì', che la causa di ricusazione debba
fondarsi su fatti e circostanze obiettivi e non su mere supposizio ni o impressioni del ricusante.
Alla stregua di tali principi la corte di merito ha preso in
esame tutti i fatti denunciati ed indotti a sostegno della ricusazio
ne e, attraverso un'accurata valutazione degli stessi, è pervenuta alla affermazione che nessuna sintomaticità assumono gli atti
compiuti dal giudice istruttore sotto il denunciato profilo. Va condivisa, pertanto, la decisione adottata dalla corte di
merito, non potendosi ravvisare, nella specie, la denunciata inimi
cizia grave che il giudice ricusato avrebbe nutrito nei confronti
del ricorrente.
Ma non ricorre, altresì, neppure l'altra ipotesi di cui all'art. 64,
n. 2, cod. proc. pen. indotta come motivo di ricusazione, poiché la generica affermazione attribuita al predetto giudice in un
precedente provvedimento contro altro imputato, secondo la quale « ai fatti potrebbero non essere estranee persone appartenenti ai
più alti gradi della guardia di finanza o ad altre amministrazioni »
non può avere alcuna rilevanza per la genericità dell'espressione e
per la mancanza di qualsiasi indicazione dalla quale potesse dedursi la identità del ricorrente. Ciò anche per la considerazione
che l'opinione del giudice era estesa anche a persone appartenenti ad altre amministrazioni. Va accolta la richiesta del p. g. e, di
conseguenza il ricorso del Loprete va rigettato. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
90, con nota di richiami; secondo Cass. 16 dicembre 1979, Borgoglio
(id., 1980, II, 419, con nota di richiami) l'istanza di ricusazione deve
indicare in maniera chiara e determinata i fatti rilevanti per la
confìgurabilità, nei confronti del giudice procedente, di un addebito di
violazione del dovere di riservatezza. Per il carattere eccezionale dell'istituto della ricusazione, per cui esso
non può trovare applicazione oltre i casi tassativamente stabiliti dalla
legge, v. Cass. 25 ottobre 1979, Torlonia, id., 1980, II, 422, con nota
di richiami.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione VI penale; sentenza 25
febbraio 1981; Pres. Marucci, Est. Dattilo, P. M. Simoncelli
(conci, conf.); ric. Verdecchia. Conferma App. Firenze, orci. 12
novembre 1980.
Libertà personale dell'imputato — Custodia preventiva — Ter
mini — Prolungamento per i delitti commessi per finalità di
terrorismo o eversione dell'ordine democratico — Reati com
messi anteriormente all'entrata in vigore del d. 1. n. 625/79 —
Applicabilità (Cod. proc. pen., art. 272; d. 1. 15 dicembre 1979
n. 625, misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico
e della sicurezza pubblica, art. 10, 11; legge 6 febbraio 1980
n. 15, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 15 di
cembre 1979 n. 625, art. unico).
Il prolungamento di un terzo dei termini massimi della custodia
preventiva, introdotto dall'art. 10 d. I. n. 625/1979, convertito, con modificazioni, nella legge n. 15/1980, per i delitti commes
si per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democra
tico (e per altri reati) si applica anche ai procedimenti in corso
per reati commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto legge. (1)
(1) Non constano precedenti editi in termini. Contra, in dottrina, Corso, Nuovi profili della carcerazione preventiva, 1981, 94; contro il prolungamento dei termini si era espresso, nel corso del dibattito svoltosi alla Camera dei deputati sul d. d. 1. di conversione del d. 1. n. 625, l'on. Mellini, il cui intervento è riportato in appendice alla citata opera di Corso, pp. 236-237. In dottrina vedasi, altresì, Marzaduri,
La Corte, ecc. — Ritenuto in fatto e diritto. — La Corte
d'appello di Firenze, sezione istruttoria, con ordinanza del 12
novembre 1980 rigettò l'istanza di scarcerazione per decorrenza
dei termini massimi della custodia preventiva, presentata da
Verdecchia Giampaolo, rinviato a giudizio (ord. g. i. di Firenze
del 26 novembre 1979) per rispondere dei reati di cui agli art.
624 e 625, nn. 2 e 7, e 61, n. 11, cod. pen., 81, capov., 307 cod.
pen., 379 cod. pen., 81, capov., 278 cod. pen. commessi nel
febbraio 1979 ed in epoca precedente. La sezione istruttoria rilevò che i reati di favoreggiamento
personale, di favoreggiamento reale e di assistenza ai partecipi di banda armata dovevano ritenersi commessi dal Verdecchia per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, avendo l'imputato aiutato, sia pure indirettamente, ma in modo non meno efficiente e specificamente strumentale, il fenomeno
terroristico, con la conseguenza che i reati indicati rientravano nella nuova disciplina della legge 6 febbraio 1980 n. 15, che
proroga la custodia preventiva. Ne trasse l'ulteriore rilievo che il
termine di custodia preventiva, previsto per il reato più grave (favoreggiamento reale), per il quale l'art. 272 cod. pen. prescrive il mandato di cattura facoltativo, il termine massimo della carce razione preventiva era di un anno e quattro mesi, non ancora decorsi al tempo del provvedimento.
Nel suo ricorso per cassazione il ricorrente denuncia la viola zione del principio della irretroattività della legge penale (art. 2 cod. pen.), deducendo che i reati suddetti non potevano essere considerati aggravati ai sensi dell'art. 1, 1° comma, legge 6 febbraio 1980 n. 15, cioè commessi per finalità di terrorismo, perché verificatisi anteriormente all'entrata in vigore delia legge e
che, conseguentemente non può trovare applicazione il disposto dell'art. 10, che, per i reati commessi per scopo di eversione o di
terrorismo, stabilisce che ia durata massima della custodia preven tiva è prolungata di un terzo e, nel caso in discorso, da un anno ad un anno e quattro mesi.
Osservasi che le doglianze mosse dal ricorrente contro l'ordi nanza della sezione istruttoria non hanno fondamento.
Invero il testo dell'art. 10 della legge sulla tutela dell'ordine
democratico, modificando le disposizioni dell'art. 272 cod. proc. pen. sulla durata massima della custodia preventiva, introduce il
prolungamento fino ad un terzo di tale durata, in considerazione delle esigenze di tutela della incolumità delle persone, di fronte a manifestazioni oitremodo pericolose di criminalità individuale ed
associata, ad evitare che per la pesantezza e complessità dei
procedimenti penali, riacquistino, nel frattempo, la libertà indivi dui di spiccata pericolosità sociale. E, sotto tale evidente aspetto di politica criminale, che sta alla base delia norma in esame, la
quale ha natura tuttavia esclusivamente processuale, devesi ritene re che l'aumento della durata massima di carcerazione preventiva ili cui al citato art. 10 prescinde completamente dalla contestabili tà dell'aggravante prevista dall'art. 1 della legge in esame e dalla
possibilità che la pena da infliggersi per il reato venga aumentata, in concreto, per effetto dell'applicazione della suddetta aggravante. Solo con riferimento a tale ultimo precetto di legge (art. 1), che ha introdotto nell'ordinamento penale sostanziale una nuova cir costanza aggravante, applicabile a tutti i reati commessi per « finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico » è da riconoscersi pienamente giustificata la non applicabilità del l'aumento di pena, conseguente a tale aggravante, per i reati commessi anteriormente all'entrata in vigore del d. 1. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980 n. 15.
È chiaro che per il rispetto al principio fondamentale delia irretroattività della legge penale (art. 2 cod. pen.) operativo in tema di successione delle leggi penali, l'aggravante, di cui al menzionato art. 1 della legge per la tutela dell'ordine democratico, non può trovare applicazione per i reati commessi anteriormente ali entrata in vigore del menzionato decreto legge.
Viceversa la norma processuale sul prolungamento della durata
La legislazione penale, 1980; Vigna, La finalità di terrorismo ed eversione, 1981; Albanello, Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica, in Giur. merito, 1981, 276.
Nel senso che non sono manifestamente infondate le questioni di costituzionalità degli art. 10 e 11 d. 1. n. 625/1979, convertito, con modificazioni, in legge n. 15/1980, in riferimento agli art. 3, 13, 25 e 27 Cost., v. Assise Torino 17 novembre 1980, in questo fascicolo, II, 435, con nota di richiami.
Sull'art. 10 del ricordato decreto legge v., da ultimo, Cass. 30 giugno 1981, Rogai, in questo fascicolo, II, 421, con nota di richiami
Può ritenersi ormai pacifico in giurisprudenza che le disposizioni che prolungano i termini massimi della custodia preventiva hanno natura processuale: cfr. Cass. 19 marzo 1980, Musone, id., 1980, II, 217, con nota di richiami, citata nella motivazione della sentenza che si riporta; sul punto v., recentemente, in dottrina, Corso, op. cit., 95 s.
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