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sezione VI; sentenza 25 marzo 1999, causa C-112/97; Pres. Hirsch, Avv. gen. Alber (concl.conf.); Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italianaSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 169/170-175/176Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193521 .
Accessed: 25/06/2014 03:32
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169 GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA 170
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; se zione VI; sentenza 25 marzo 1999, causa C-l 12/97; Pres.
Hirsch, Avv. gen. Alber (conci, conf.); Commissione delle
Comunità europee c. Repubblica italiana.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE;
Unione europea — Apparecchi a gas — Direttiva — Obblighi — Inadempimento (Trattato Ce, art. 36, 100 A, 169; diretti
va 29 giugno 1990 n. 90/396/Cee del consiglio, concernente
il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in ma
teria di apparecchi a gas, art. 4, 6, 7; d.p.r. 26 agosto 1993
n. 412, regolamento recante norme per la progettazione, l'in
stallazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termi
ci degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di ener gia, in attuazione dell'art. 4, 4° comma, 1. 9 gennaio 1991
n. 10, art. 5).
Avendo istituito e mantenuto in vigore un regime che, nel caso
di nuova installazione o di ristrutturazione di apparecchi a
gas, prescrive l'utilizzazione nei locali abitati di generatori di
calore esclusivamente di tipo stagno, con ciò implicitamente vietando l'installazione di generatori di altro tipo conforme alla direttiva del consiglio 29 giugno 1990 n. 90/396/Cee (la
quale ha proceduto all'armonizzazione esaustiva dei requisiti
essenziali che gli apparecchi a gas devono soddisfare, ivi in
clusi quelli relativi alla sicurezza e alla salute), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi impostile da tale di
rettiva. (1)
1. - Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della
corte il 18 marzo 1997, la commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del trattato Ce, un ricorso
diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana, avendo isti
tuito e mantenendo un regime che prescrive l'installazione nei
locali abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo «sta
gno», con ciò implicitamente vietando l'installazione di genera tori di calore di altro tipo conforme alla direttiva del consiglio 29 giugno 1990 n. 90/396/Cee, concernente il ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati membri in materia di apparecchi a gas (G.U. L 196, pag. 15; in prosieguo: la «direttiva»), è
venuta meno agli obblighi impostile dal diritto comunitario.
La direttiva
2. - La direttiva è stata adottata sulla base dell'art. 100 A
del trattato Cee, le cui disposizioni sono riprese dallo stesso
articolo del trattato Ce. Essa mira a realizzare la libera circola
zione all'interno del territorio comunitario degli apparecchi a
gas, garantendo nel contempo la sicurezza e la salute delle per sone e, all'occorrenza, degli animali domestici e dei beni contro
i rischi derivanti dall'uso di tali apparecchi. 3. - In proposito, il primo 'considerando' della direttiva enun
ci) La condanna dello Stato italiano, all'esito di un procedimento
promosso dalla commissione ex art. 169 del trattato Ce, giunge questa volta non già per l'inerzia nella trasposizione di una direttiva nell'ordi namento interno (v., da ultimo, proprio con riferimento all'Italia, Cor te giust. 21 gennaio 1999, causa C-416/97, Foro it., 1999, IV, 81) bensì
per il fatto di aver emanato, dopo l'entrata in vigore della direttiva,
disposizioni normative che avevano l'effetto di vanificare in parte l'o
peratività delle prescrizioni in essa contenute. Accertata agevolmente la palese discrepanza tra la norma comunita
ria e quella nazionale, i giudici di Lussemburgo non hanno accolto, in particolare, le giustificazioni fondate sull'art. 36 del trattato, che
ammette deroghe al divieto di restrizioni quantitative al commercio in
tracomunitario per esigenze, tra l'altro, di tutela della salute e della
vita delle persone e degli animali. E ciò per la fondamentale ragione
che, quando in sede di armonizzazione viene stabilito in maniera esau
riente uno standard di sicurezza, in vista della tutela della salute, fissan
do anche le relative procedure di controllo, non vi è più spazio, per ciascun paese, di introdurre liberamente ulteriori restrizioni (cfr. Corte
giust. 5 ottobre 1994, causa C-323/93, id., Rep. 1995, voce Unione
europea, n. 693, e 26 maggio 1993, causa C-52/92, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1416, che sottolineano entrambe l'esigenza di armonizza
zione completa). Qualora, dunque, per stare al caso esaminato dalla
pronuncia in epigrafe, un apparecchio generatore di calore sia conside
rato sicuro in Europa, esso non può essere bocciato in uno Stato mem
bro per ragioni attinenti alla sicurezza; ove mai vi siano perplessità e
contestazioni, occorre manifestarle nelle forme previste dalla direttiva
stessa o eventualmente, per le misure di armonizzazione adottate dal
consiglio a maggioranza qualificata, avvalendosi della procedura deli
neata dall'art. 100 A, n. 4, del trattato Ce.
Il Foro Italiano — 1999 — Parte IV-9.
eia «che gli Stati membri sono tenuti a garantire sul proprio territorio la sicurezza e la salute delle persone e, all'occorrenza,
degli animali domestici e dei beni dai rischi derivanti dall'uso degli apparecchi a gas». Al quinto 'considerando' si precisa inol
tre che, conformemente al nuovo approccio in materia di ravvi
cinamento delle legislazioni, «l'armonizzazione legislativa deve
limitarsi, nel caso presente, alle sole prescrizioni necessarie per soddisfare i requisiti imperativi ed essenziali della sicurezza, della
salute e del risparmio energetico relativi agli apparecchi a gas; che questi requisiti devono sostituire le prescrizioni nazionali
in materia poiché essi sono essenziali».
4. - Ai sensi del suo art. 1, n. 1, primo trattino, la direttiva
si applica agli «apparecchi utilizzati per la cottura, il riscalda
mento, la produzione di acqua calda, il raffreddamento, l'illu
minazione e il lavaggio, i quali bruciano combustibili gassosi ed hanno eventualmente una temperatura normale dell'acqua non superiore a 105°C, in seguito denominati 'apparecchi'. So
no assimilati agli apparecchi i bruciatori ad aria soffiata e i
corpi di scambio calore attrezzati con i bruciatori precitati». 5. - A norma dell'art. 2, n. 1, della direttiva «gli Stati mem
bri prendono tutte le disposizioni utili affinché gli apparecchi di cui all'art. 1 possano essere immessi sul mercato e posti in
servizio soltanto se, qualora usati normalmente, non compro mettono la sicurezza delle persone, degli animali domestici e
dei beni». 6. - L'art. 3 prevede: «Gli apparecchi e i dispositivi di cui all'art. 1 devono soddi
sfare i requisiti essenziali che sono loro applicabili e che figura no nell'ali. I».
7. - Ai sensi dell'art. 4, n. 1:
«Gli Stati membri non possono vietare, limitare o ostacolare
l'immissione sul mercato e la messa in servizio degli apparecchi che soddisfano i requisiti essenziali enunciati nella presente di
rettiva».
8. - L'art. 5 della direttiva dispone quanto segue: «1. Gli Stati membri presumono conformi ai requisiti essen
ziali di cui all'ali. 3 gli apparecchi e i dispositivi conformi: a) alle norme nazionali che li riguardano e che recepiscono
le norme armonizzate i cui riferimenti sono stati pubblicati nel
la Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.
(. . .)». 9. - A norma dell'art. 6, n. 1:
«Se uno Stato membro o la commissione ritiene che le norme
di cui all'art. 5, par. 1, non soddisfano pienamente i requisiti essenziali di cui all'art. 3, la commissione o lo Stato membro
interessato adisce il comitato permanente istituito dalla direttiva
83/189/Cee, in seguito denominato 'comitato', esponendone i
propri motivi. Il comitato esprime un parere con urgenza. Visto il parere del comitato, la commissione notifica agli Sta
ti membri se sia o non sia necessario procedere alla cancellazio
ne delle norme in questione dalle pubblicazioni di cui all'art.
5, par. 1».
10. - Ai sensi dell'art. 7 della direttiva:
«1. Se uno Stato membro constata che alcuni apparecchi che
sono usati normalmente e che sono muniti del marchio Ce pos sono compromettere la sicurezza delle persone, degli animali
domestici o dei beni, esso prende tutte le misure utili per ritirare
tali apparecchi dal mercato o per proibirne o limitarne l'immis
sione sul mercato.
Lo Stato membro interessato informa immediatamente la com
missione di tutte le misure prese e spiega i motivi della propria decisione e, in particolare, se la non conformità è dovuta:
a) alla mancata rispondenza ai requisiti essenziali di cui al
l'art. 3, qualora l'apparecchio non corrisponda alle norme di
cui all'art. 5, par. 1;
b) ad un'errata applicazione delle norme di cui all'art. 5,
par. 1;
c) ad una carenza delle norme stesse di cui all'art. 5, par. 1.
2. La commissione avvia il più rapidamente possibile una con
sultazione con le parti interessate. Se la commissione constata,
dopo tale consultazione, che le misure di cui al par. 1 sono
giustificate, essa ne informa immediatamente lo Stato membro
che ha preso le misure e gli Stati membri.
Se la decisione di cui al par. 1 è determinata da una carenza
delle norme, la commissione, previa consultazione delle parti
interessate, adisce il comitato entro due mesi se lo Stato mem
bro che ha preso tali misure intende mantenerle e avvia le pro cedure di cui all'art. 6.
(. . .)».
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PARTE QUARTA
11. - Infine, gli art. 8-11 e gli all. II e III della direttiva elen
cano i presupposti in presenza dei quali gli apparecchi che sod
disfano i requisiti essenziali previsti dalla stessa sono muniti del
marchio Ce di conformità. Le dette norme predispongono le
procedure di verifica e di sorveglianza necessarie a tal fine.
12. - I requisiti essenziali che gli apparecchi previsti dalla di rettiva devono soddisfare sono definiti all'ali. I. In particolare, vi si menzionano:
— al punto 1, le istruzioni e le avvertenze elaborate per l'in
stallatore e per l'utente per quel che riguarda le modalità cor
rette di messa in servizio, di manutenzione, di utilizzazione e
di funzionamento degli apparecchi; — al punto 2, i requisiti relativi ai materiali da utilizzare per
la loro fabbricazione; — al punto 3, i requisiti relativi alla progettazione e alla fab
bricazione, con particolare riferimento a certe modalità di fun
zionamento e certe caratteristiche che gli apparecchi devono pre sentare.
La normativa nazionale
13. - In Italia, l'art. 5, 10° comma, d.p.r. 26 agosto 1993
n. 412, «regolamento recante norme per la progettazione, l'in
stallazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici
degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, 4° comma, 1. 9 gennaio 1991 n. 10»
(supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 242 del 14 ottobre 1993; in prosieguo: «il d.p.r.
412/93»), prescrive, nei casi di nuova installazione o di ristrut
turazione dell'impianto termico che comportino l'installazione
di generatori di calore individuali, esclusi i casi di mera sostitu
zione di questi ultimi, l'impiego di generatori isolati rispetto all'ambiente abitato, oppure di apparecchi di qualsiasi tipo se
installati all'esterno o in locali tecnici adeguati.
Il procedimento precontenzioso
14. - La commissione, ritenendo che tale norma fosse incom
patibile con l'art. 4 della direttiva, con lettera di costituzione
in mora del 3 ottobre 1994 ha invitato il governo italiano a
presentarle le sue osservazioni al riguardo, in conformità al
l'art. 169 del trattato.
15. - Il governo italiano ha risposto con lettera 5 dicembre
1994. Tale lettera conteneva osservazioni in ordine all'effettiva
portata della norma contestata, alle sue motivazioni sostanziali
e alla sua compatibilità con la normativa comunitaria.
16. - Ritenendo insoddisfacente la risposta ricevuta, la com
missione, con lettera 28 novembre 1995, ha inviato alla Repub blica italiana un parere motivato, invitandola a conformarvisi
entro due mesi dalla ricezione.
17. - Con lettera inviata alla commissione il 6 giugno 1996, il governo italiano si è dichiarato pronto a ricercare una solu
zione conforme al diritto comunitario, ivi compresa la possibili tà di modificare la norma contestata del d.p.r. 412/93. In una
successiva lettera del 5 dicembre 1996, il governo italiano ha
comunicato alla commissione un progetto di modifica di tale
disposizione in senso conforme al diritto comunitario, sottoli
neando l'intenzione di giungere a una rapida adozione del
progetto. 18. - La commissione, non avendo avuto conoscenza da allo
ra di alcun altro elemento atto a dimostrare che tale modifica
era stata effettivamente adottata, ha proposto il presente ricorso.
Il ricorso
19. - La commissione sostiene che l'art. 5, 10° comma, d.p.r.
412/93, autorizzando l'installazione di generatori diversi da quelli di tipo «isolato» (ad esempio, quelli di tipo «aperto») soltanto all'esterno o in locali a ciò specificamente adibiti, vieta specifi
camente, pur se implicitamente, l'installazione di tali generatori nei locali abitati nei casi di nuova installazione o di ristruttura
zione degli apparecchi di riscaldamento.
20. - Tale divieto specifico, pur non essendo un divieto di
commercializzare generatori di tipo «aperto» né un divieto ge neralizzato di installarli, sarebbe in contrasto con l'art. 4 della
direttiva, in quanto costituisce un ostacolo all'installazione di
Il Foro Italiano — 1999.
apparecchi cui quest'ultima si applica e che sono conformi ai
requisiti essenziali dalla stessa previsti. 21. - Tali requisiti sarebbero esaustivi e si sostituirebbero alle
prescrizioni nazionali in materia. Quanto detto è confermato — a parere della commissione — tanto dal tenore del quinto 'considerando' della direttiva quanto dalla logica sottesa agli art. 3 e 4, in forza dei quali, allorché gli apparecchi soddisfano
i requisiti comunitari essenziali, gli Stati membri non possono
vietarne, limitarne o ostacolarne la libera circolazione e l'utiliz
zo sul territorio comunitario imponendo ulteriori requisiti. 22. - Il governo italiano sostiene che un generatore di calore
non isolato non può soddisfare i requisiti essenziali della diretti
va. In particolare, tra i vari punti dell'ali. I della direttiva che
enunciano tali requisiti, il punto 3.4.3 dispone che «Ogni appa recchio collegato ad un condotto di evacuazione dei prodotti di combustione dev'essere costruito in modo che in caso di ti
raggio anomalo non si producano esalazioni di prodotti di com
bustione in quantità pericolosa nel locale in cui è situato». Ne
deriverebbe che siffatte esalazioni non dovrebbero in nessun ca
so prodursi nel locale in cui l'apparecchio è installato.
23. - Orbene, tale possibilità esisterebbe invece per tutti gli
apparecchi di tipo «aperto». Secondo il governo italiano, seb
bene tutti gli apparecchi di tipo «aperto» debbano essere dotati
di un apposito dispositivo di sicurezza destinato a bloccare la
combustione in caso di esalazione di prodotti di combustione, una serie di prove effettuate nel laboratorio di prove termiche
e tecnologiche della società Italgas ad Asti ha dimostrato che, in presenza di particolari circostanze e precisamente:
— con vento discendente per il camino con velocità superiore a 0,5 m/s,
— con vento discendente per il camino a raffiche della durata
di quindici secondi, alternate a trenta secondi di funzionamento
a tiraggio naturale, — con scambiatore di calore occluso per l'ottantotto per cento,
i dispositivi installati non sono in grado di impedire un grave
inquinamento all'interno del locale, anche in presenza di venti
lazione regolare, conforme alle norme tecniche vigenti. 24. - Osservazioni analoghe potrebbero svolgersi con riferi
mento alle disposizioni di cui ai punti 3.1.9 e 3.2.1 dello stesso
all. I della direttiva, ove è prescritto che ogni apparecchio de
v'essere progettato e costruito in modo che un eventuale guasto non possa presentare una fonte di pericolo e che una fuga di
gas non provochi alcun rischio. Tali requisiti, a parere del go verno italiano, possono essere pienamente soddisfatti solo ove
l'apparecchio si trovi isolato dal locale abitato.
25. - La commissione sostiene che il pieno rispetto dei requi siti essenziali definiti nella direttiva garantisce sul piano tecnico
la sicurezza di tutti gli apparecchi a gas cui essa si applica. 26. - Essa indica in particolare che la norma armonizzata EN
297, adottata dal comitato europeo di normalizzazione (G.U.
1995, C 187, pag. 9), concernente in particolare le caldaie di
tipo «aperto», al punto 3.5.8 prevede che le caldaie devono es
sere munite di un dispositivo di sicurezza che blocca il funzio
namento dell'apparecchio nel caso in cui l'evacuazione dei pro dotti di combustione sia anomala per un determinato lasso di
tempo. Di conseguenza, salvo prova contraria, gli Stati membri
dovrebbero presumere, sul fondamento dell'art. 5 della diretti
va, che gli apparecchi di tipo «aperto» dotati di tale dispositivo soddisfano il requisito essenziale previsto dal punto 3.4.3 del
l'ali. I della direttiva.
27. Le prove effettuate dal laboratorio della società Italgas sarebbero note alla commissione, che le ha considerate spropor zionate giacché le loro condizioni di riferimento sarebbero diffi
cilmente immaginabili nella realtà.
28. - Infine, quand'anche gli argomenti tecnici svolti dal gover no italiano fossero fondati, la Repubblica italiana avrebbe dovu
to avvalersi dei procedimenti comunitari previsti dagli art. 6 e 7
della direttiva; essa non sarebbe autorizzata ad adottare unilate
ralmente una disposizione quale l'art. 5,10° comma, d.p.r. 412/93.
29. - Occorre anzitutto rilevare che, come risulta dagli atti, i generatori di calore di tipo «aperto» sono apparecchi impiega ti per il riscaldamento o la produzione di acqua calda, che bru
ciano combustibili gassosi. Essi rientrano pertanto nell'ambito
di applicazione ratione materiae della direttiva quale definito
all'art. 1, n. 1, primo trattino.
30. - Va ricordato inoltre che, ai sensi dell'art. 3 della diretti
va, gli apparecchi e i dispositivi di cui all'art. 1 devono soddi sfare i requisiti essenziali che sono loro applicabili e che figura no nell'ali. I.
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
31. - Tali requisiti riguardano, in particolare, le istruzioni re
datte per l'installatore e per l'utente degli apparecchi, i materia
li impiegati e, soprattutto, la progettazione e fabbricazione de
gli apparecchi. 32. - Come risulta dal quinto 'considerando' della direttiva,
tali requisiti sostituiscono le prescrizioni nazionali in materia
di sicurezza, di salute e di risparmio energetico, il che significa
che, nei settori che essi disciplinano, sono esaustivi.
33. - Per tale ragione, l'art. 4 della direttiva impone agli Stati
membri di non vietare, limitare od ostacolare l'immissione sul
mercato e la messa in servizio degli apparecchi che soddisfano
i requisiti essenziali enunciati dalla direttiva.
34. - Pertanto, è sufficiente che gli apparecchi previsti dalla
direttiva, ivi compresi i generatori di calore di tipo «aperto», siano conformi ai requisiti essenziali che essa detta perché pos sano essere immessi sul mercato e messi in servizio.
35. - Rientra fra questi requisiti quello di cui al punto 3.4.3
dell'ali. I della direttiva. Ai sensi di tale norma l'apparecchio dev'essere costruito in modo che, in caso di tiraggio anomalo,
non si producano esalazioni di prodotti di combustione in quan tità pericolosa nel locale in cui è situato.
36. - Contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, i generatori di calore di tipo «aperto» sono idonei a soddisfare
tale requisito. Come risulta infatti dagli atti, tutti gli apparecchi di questo tipo sono, in applicazione della norma armonizzata
EN 297, dotati di un dispositivo di sicurezza che blocca il fun
zionamento dell'apparecchio allorché l'evacuazione dei prodotti di combustione è anomala per un tempo determinato.
37. - I risultati delle prove effettuate dal laboratorio della
Italgas, invocati dal governo italiano, non sono atti a inficiare
tale constatazione.
38. - Da una parte, come la commissione ha sostenuto, senza
essere efficacemente contraddetta dal governo italiano, le con
dizioni di riferimento di tali prove sono difficilmente immagi nabili nella realtà.
39. - Dall'altra, ove il concreto utilizzo di un generatore di
calore di tipo «aperto» conforme ai requisiti essenziali sanciti
dalla direttiva presentasse, in presenza di determinate circostan
ze, problemi a livello di funzionamento del dispositivo di sicu
rezza, il governo italiano potrebbe avvalersi delle procedure pre viste dagli art. 6 e 7 della direttiva. Orbene, è pacifico che il
governo italiano non ha avviato tali procedure. 40. - Pertanto, l'argomento dedotto dal governo italiano sul
fondamento del punto 3.4.3 dell'ali. I della direttiva dev'essere
respinto. 41. - Quanto all'affermazione secondo la quale un generatore
di tipo «aperto» non potrebbe soddisfare i requisiti essenziali
previsti ai punti 3.1.9 e 3.2.1. dell'ali. I della direttiva, si deve
rilevare che il governo italiano, a parte gli argomenti già dedotti
nell'ambito del punto 3.4.3 dello stesso allegato, non ha pro dotto alcun elemento atto a suffragarla.
42. - Tale affermazione, di conseguenza, dev'essere anch'essa
disattesa.
43. - Il governo italiano deduce inoltre che la disposizione
contestata del d.p.r. 412/93 non vieta affatto l'installazione di
apparecchi diversi da quelli di tipo «stagno», bensì contiene sem
plicemente prescrizioni relative ai luoghi e alle modalità della
loro installazione. In tal senso, perché vi sia limitazione o osta
colo effettivo all'immissione sul mercato di generatori di calore
di tipo «aperto», occorrerebbe dimostrare che non è possibile installare un apparecchio di tale tipo all'esterno, né procedere al suo isolamento ove dovesse essere installato in un locale abi
tato. Orbene, la commissione si sarebbe limitata ad affermare
in via teorica l'incompatibilità di tale norma con la normativa
comunitaria, senza produrre alcun elemento atto a dimostrare
che la detta disposizione vieta, limita o ostacola effettivamente
l'immissione sul mercato e la messa in servizio dell'apparecchio. 44. - In proposito, non è contestato che, secondo la disposi
zione censurata, nei locali abitati sia ammessa soltanto l'instal
lazione di generatori di calore di tipo «stagno» nei casi di nuo
va installazione o di ristrutturazione di un apparecchio di riscal
damento.
45. - Ne deriva che tale norma vieta implicitamente, nei casi
summenzionati, l'installazione in un locale abitato di un gene
ratore di calore di tipo «aperto». Tale divieto implicito costitui sce un ostacolo all'installazione di un apparecchio di questo ti
po, ostacolo vietato dall'art. 4 della direttiva.
46. - Il fatto che l'art. 5, 10° comma, d.p.r. 412/93 consenta
l'installazione di un apparecchio del genere in un locale abitato
Il Foro Italiano — 1999.
qualora si proceda al suo isolamento non soltanto non è atto
a modificare la constatazione di cui al punto precedente, bensì, al contrario, la corrobora, giacché — per poter installare l'ap
parecchio in un locale abitato — l'acquirente dovrà far fronte
a costi supplementari. 47. - Analogamente, il fatto che il divieto derivante dalla det
ta disposizione possa avere una portata ridotta, in quanto non
si applica in caso di semplice sostituzione di un apparecchio di riscaldamento, non può, di per sé, farne venir meno il carat
tere di ostacolo, poiché tale divieto è mantenuto nei casi di nuo
va installazione o di ristrutturazione di un apparecchio di riscal
damento.
48. - Di conseguenza, tale argomento del governo italiano
dev'essere respinto. 49. - Ne consegue che l'art. 5, 10° comma, d.p.r. 412/93
è in contrasto con l'art. 4 della direttiva.
50. - Il governo italiano sostiene tuttavia che tale norma, es
sendo volta alla tutela della salute, della vita e della sicurezza
delle persone e degli animali domestici, potrebbe essere giustifi cata ai sensi dell'art. 36 del trattato Ce e dell'art. 7, n. 1, della
direttiva.
51. - Il governo italiano afferma, in particolare, che la possi bilità di richiamarsi all'art. 36 del trattato risulta dalla direttiva
stessa, la quale non soltanto impone agli Stati membri, al pri mo 'considerando', l'obbligo di garantire sul loro territorio la
sicurezza e la salute delle persone, ma prevede altresì, all'art.
7, che gli stessi Stati, ove constatino che un apparecchio usato
normalmente può compromettere la sicurezza delle persone e
degli animali domestici, sono autorizzati ad adottare tutte le
misure necessarie per vietare o limitare l'immissione sul merca
to di tali apparecchi. 52. - In ogni caso, la possibilità di invocare l'art. 36 del trat
tato non potrebbe essere esclusa nel caso in cui lo specifico inte
resse in causa non sia sufficientemente garantito dai provvedi menti comunitari, in quanto riguarda situazioni non previste dalle direttive di armonizzazione (v. sentenza 10 luglio 1984, causa 72/83, Campus Oil e a., Racc. pag. 2727; Foro it., 1986,
IV, 80). 53. - Infine, la possibilità che uno Stato membro ricorra al
l'art. 36 del trattato sarebbe espressamente prevista dall'art. 100A
del trattato stesso, sul fondamento del quale la direttiva è stata
adottata.
54. - Occorre rilevare in proposito che, per giurisprudenza
costante, allorché direttive comunitarie dispongono l'armoniz
zazione dei provvedimenti necessari a garantire la tutela della
salute degli animali e degli uomini che organizzano procedure comunitarie di controllo della loro osservanza, il ricorso all'art.
36 cessa di essere giustificato ed è entro lo schema tracciato
dalla direttiva di armonizzazione che vanno effettuati i controlli
appropriati e adottati i provvedimenti di tutela (v. sentenza 5
ottobre 1977, causa 5/77, Tedeschi, Racc. pag. 1555, punto 35; Foro it., 1978, IV, 93).
55. - Nel caso di specie, è già stato dichiarato, al punto 32
della presente sentenza, che la direttiva ha proceduto all'armo
nizzazione esaustiva dei requisiti essenziali che gli apparecchi a gas devono soddisfare. Come risulta dal quinto 'consideran
do' della direttiva, vi sono fra tali requisiti quelli relativi alla
sicurezza e alla salute.
56. - Inoltre, come già detto al punto 11 della presente sen
tenza, la direttiva definisce ai suoi art. 8-11, nonché negli ali.
II e III, i presupposti in presenza dei quali gli apparecchi con
formi a tali requisiti essenziali sono muniti del marchio Ce di
conformità, predisponendo le procedure di verifica e di sorve
glianza all'uopo necessarie.
57. - Infine, come risulta dagli art. 6, n. 1, e 7 della direttiva,
essa ha istituito procedure comunitarie volte ad ovviare agli even
tuali problemi che potrebbero presentarsi in sede di utilizzo de
gli apparecchi a gas. 58. - Ne consegue che la direttiva ha proceduto, per quanto
riguarda gli apparecchi a gas, all'armonizzazione completa delle
misure necessarie affinché tali apparecchi soddisfino i requisiti
essenziali di sicurezza e di salute.
59. - Pertanto, gli Stati membri non sono più autorizzati a
far valere dinanzi alla corte l'art. 36 del trattato per giustificare
provvedimenti nazionali volti a soddisfare gli stessi requisiti. 60. - Tale conclusione non è inficiata, nella specie, dalle di
sposizioni di cui all'art. 100 A, n. 4, del trattato.
61. - Ai sensi di tale disposizione: «Allorché, dopo l'adozione di una misura di armonizzazione
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PARTE QUARTA
da parte del consiglio a maggioranza qualificata, uno Stato mem
bro ritenga necessario applicare disposizioni nazionali giustifi cate da esigenze importanti previste dall'art. 36 o relative alla
protezione dell'ambiente di lavoro o dell'ambiente, esso notifi
ca tali disposizioni alla commissione.
La commissione conferma le disposizioni in questione dopo aver verificato che esse non costituiscano uno strumento di di
scriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata nel com
mercio tra gli Stati membri.
(. . .)». 62. - Dalla norma citata deriva che, a prescindere dal fatto
che ci si possa ancora avvalere della facoltà da essa attribuita
allorché il provvedimento comunitario ha realizzato una com
pleta armonizzazione nel settore interessato, tale facoltà pre
suppone l'osservanza della procedura prevista a tal fine.
63. - Orbene, è pacifico che, nel caso di specie, il governo italiano non ha avviato la procedura prevista dall'art. 100 A, n. 4, del trattato.
64. - Analogamente, uno Stato membro non può far valere
dinanzi alla corte l'art. 7 della direttiva per giustificare un prov vedimento nazionale, qualora esso non abbia posto in atto il
procedimento previsto da tale norma.
65. - Alla luce di quanto sopra, il motivo invocato dal gover no italiano che fa leva sugli art. 36 del trattato e 7, n. 1, della
direttiva dev'essere respinto. 66. - Sulla scorta delle considerazioni che precedono, si deve
dichiarare che la Repubblica italiana, avendo istituito e mante
nendo un regime che, nei casi di nuova installazione o di ri
strutturazione di apparecchi a gas, prescrive l'utilizzo nei locali
abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo «stagno», con ciò vietando implicitamente l'installazione di generatori di
calore di altro tipo conforme alla direttiva, è venuta meno agli
obblighi impostile dalla direttiva stessa.
Per questi motivi, la corte (sesta sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana, avendo istituito e mantenendo in
vigore un regime che, nel caso di nuova installazione o di ri
strutturazione di apparecchi a gas, prescrive l'utilizzazione nei locali abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo «sta
gno», con ciò vietando implicitamente l'installazione di genera tori di calore di tipo diverso conforme alla direttiva del consi
glio 29 giugno 1990 n. 90/396/Cee, concernente il ravvicina mento delle legislazioni degli Stati membri in materia di
apparecchi a gas, è venuta meno agli obblighi impostile da tale direttiva.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; se zione VI; sentenza 4 marzo 1999, causa C-258/97; Pres. Kap
teyn, Avv. gen. Saggio; Hospital Ingenieure Krankenhau stechnik Planungs GmbH c. Landeskrankenanstalten
Betriebsgesellschaft.
Unione europea — Ce — Appalti pubblici di forniture e di la vori — Procedure di aggiudicazione — Mezzi di ricorso —
Attuazione — Organo competente — Natura giurisdizionale — Effetti (Direttiva 21 dicembre 1989 n. 89/665/Cee del con
siglio, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, art. 2).
Unione europea — Ce — Appalti pubblici di servizi — Diretti va — Procedure di aggiudicazione — Mezzi di ricorso — Man cata attuazione — Organi preposti al controllo delle procedu re di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori e fornitu re — Competenza — Esclusione (Direttiva 18 giugno 1992 n. 92/50/Cee del consiglio, che coordina le procedure di ag giudicazione degli appalti pubblici di servizi, art. 2, 41).
Unione europea — Ce — Appalti pubblici di servizi — Diretti va — Progettazione di ospedale pediatrico — Applicabilità (Direttiva 18 giugno 1992 n. 92/50/Cee del consiglio, art. 8).
Il Foro Italiano — 1999.
Unione europea — Ce — Appalti pubblici di servizi — Diretti
va — Mancata trasposizione — Efficacia diretta (Trattato Ce, art. 189; direttiva 18 giugno 1992 n. 92/50/Cee del consiglio).
I requisiti di cui all'art. 2, n. 8, della direttiva del consiglio 21 dicembre 1989 n. 89/665/Cee, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative all'appli cazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazio ne degli appalti pubblici di forniture e di lavori, non si appli cano ad organi la cui composizione e il cui funzionamento sono disciplinati da norme come quelle che caratterizzano l'U
nabhàngiger Verwaltungssenat ftir Kàrnten (organismo am
ministrativo austriaco indipendente incaricato del controllo di
legalità degli atti dell'amministrazione del land). (1) Né l'art. 2, n. 8, né le altre disposizioni della direttiva 89/665/Cee
possono essere interpretati nel senso che, in mancanza di re
cepimento della direttiva del consiglio 18 giugno 1992 n.
92/50/Cee, che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di servizi, entro il termine all'uopo prescrit to, gli organi di ricorso degli Stati membri competenti in ma teria di procedimenti di aggiudicazione di appalti pubblici di
forniture e di lavori, istituiti in forza dell'art. 2, n. 8, della direttiva 89/665/Cee, sono legittimati a conoscere altresì dei
ricorsi riguardanti i procedimenti di aggiudicazione di appalti pubblici di servizi; tuttavia, le esigenze di un'interpretazione del diritto nazionale conforme alla direttiva 92/50/Cee e di un 'effettiva tutela dei diritti dei singoli impongono al giudice nazionale di verificare se le norme pertinenti del diritto nazio nale consentano di riconoscere ai singoli un diritto di ricorso in materia di aggiudicazione di appalti pubblici di servizi; in circostanze come quelle della causa principale, l'organo giuris dizionale nazionale è tenuto in particolare ad accertare se det to diritto di ricorso possa essere esercitato dinanzi agli stessi
organi previsti in materia di aggiudicazione di appalti pubbli ci di forniture e di lavori. (2)
Prestazioni di servizi come quelle oggetto della gara d'appalto, che riguardano lavori relativi all'ideazione e all'esecuzione di
progetti per la costruzione di una clinica pediatrica in un ospe dale e delle relative apparecchiature mediche, rientrano nel l'ali. I A, categoria 12, della direttiva 92/50/Cee. (3)
Le disposizioni dei titoli I e II della direttiva 92/50/Cee posso no essere fatte valere direttamente dai singoli dinanzi ai giu dici nazionali; quanto alle disposizioni dei titoli III- VI, esse
possono essere del pari fatte valere da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale nella misura in cui dall'esame individua le del loro testo emerga che sono incondizionate e sufficiente mente chiare e precise. (4)
(1) In termini, Corte giust. 4 febbraio 1999, causa C-103/97, Foro it., 1999, IV, 121.
(2) In senso conforme, con motivazioni analoghe, Corte giust. 17 settembre 1997, causa C-54/96, Foro it., 1997, IV, 361, con nota di richiami ed osservazioni di A. Barone.
Sull'obbligo risarcitorio gravante sullo Stato in conseguenza della man cata attuazione della direttiva, v., riassuntivamente, Corte giust. 8 otto bre 1996, cause riunite C-178, C-179, C-188, C-190/94, id., Rep. 1997, voce Unione europea, nn. 765, 1168-1171; nonché, più di recente, Cor te giust. 9 dicembre 1997, causa C-265/95, id., 1998, IV, 400, e, con specifico riguardo alla tormentata vicenda dell'attuazione italiana della direttiva 80/987/Cee sulla tutela dei crediti dei lavoratori in caso d'in solvenza del datore di lavoro (sulla quale, sul versante interno, v. Cass. 10 febbraio 1998, n. 1366, e 9 gennaio 1997, n. 133, ibid., I, 1469, con nota di richiami ed osservazioni di G. Ricci), le coeve Corte giust. 10 luglio 1997, causa C-373/95, 10 luglio 1997, cause C-94/95 e C-95/95, e 10 luglio 1997, causa C-261/95, ibid., IV, 214, con nota di richiami ed osservazioni di G. Ricci.
Per una prima applicazione, da parte della giurisprudenza nazionale, del principio della responsabilità statale per omessa (o non corretta) trasposizione di una direttiva, Trib. Caltanissetta 15 settembre 1997, Danno e resp., 1998, 469, con nota di Lazari.
(3) Sulle implicazioni della riconducibilità di una determinata catego ria di servizi nell'alveo dell'ali. I A della direttiva 92/50, anche alla stre gua della normativa italiana di recepimento introdotta dal d.leg. 17 marzo 1995 n. 157, cfr., da ultimo, Mastragostino (a cura di), Appalti pub blici di servizi e concessioni di servizio pubblico, Padova, 1998, passim, e, con specifico riferimento ai servizi di ingegneria ed architettura, rien tranti nella categoria 12, di cui alla sentenza in epigrafe, 232-239 e 270 ss.
(4) Enunciazioni coincidenti con quelle riassunte in massima si rin vengono nella richiamata Corte giust. 24 settembre 1998, causa C-76/97, Togel, inedita, che, al pari della decisione in rassegna, sembra non esclu dere la presenza, all'interno della direttiva 92/50, di disposizioni prive di effetto diretto (quali, ad esempio, come rilevato dall'avv. gen. Sag
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