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sezione VI; sentenza 29 aprile 2004, causa C-371/02; Pres. Skouris, Avv. gen. Leger (concl. conf.);...

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sezione VI; sentenza 29 aprile 2004, causa C-371/02; Pres. Skouris, Avv. gen. Leger (concl. conf.); Björnekulla Fruktindustrier AB c. Procordia Food AB. Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 9 (SETTEMBRE 2004), pp. 415/416-419/420 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199438 . Accessed: 24/06/2014 20:09 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.134 on Tue, 24 Jun 2014 20:09:00 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione VI; sentenza 29 aprile 2004, causa C-371/02; Pres. Skouris, Avv. gen. Leger (concl.conf.); Björnekulla Fruktindustrier AB c. Procordia Food AB.Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 9 (SETTEMBRE 2004), pp. 415/416-419/420Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199438 .

Accessed: 24/06/2014 20:09

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PARTE QUARTA

giunto, nel corso del 1999, l'obiettivo fissato dalla direttiva

95/21 in materia di ispezioni di navi, la commissione iniziava

nei confronti di tale Stato membro il procedimento per inadem

pimento previsto dall'art. 226 Ce, inviandogli il 20 dicembre

2000 una lettera di diffida. 5. - Nella loro risposta del 26 marzo 2001 alla lettera di diffi

da le autorità francesi facevano presenti taluni vincoli collegati alla gestione delle risorse umane ed all'organizzazione dei loro

servizi.

6. - Nel frattempo la commissione, che aveva ricevuto infor

mazioni secondo le quali il numero delle ispezioni eseguite nel

2000 corrispondevano al 12,2 per cento delle navi entrate nei

porti francesi, inviava il 7 maggio 2001 una lettera di diffida

integrativa alla Repubblica francese.

7. - Ritenendo.che il numero insufficiente delle ispezioni ese

guite nel 1999 e nel 2000 costituisse un inadempimento degli

obblighi incombenti alla Repubblica francese in forza della di

rettiva 95/21, il 19 novembre 2001 la commissione le inviava un

parere motivato invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarsi al parere medesimo entro due mesi dalla sua notifi

ca.

8. - Nelle risposte 22 novembre e 21 dicembre 2001 il gover no francese esponeva i motivi per i quali non aveva perseguito

gli obiettivi stabiliti. A suo avviso, a causa della struttura demo

grafica degli enti incaricati dell'ispezione delle navi, erano in

tervenuti molti pensionamenti. A tali pensionamenti si sarebbe

aggiunta la sospensione di talune assunzioni collegate alla crea

zione del corpo degli ispettori degli affari marittimi. Quindi, il numero degli ispettori abilitati ad effettuare i controlli richiesti dalla direttiva 95/21 sarebbe calato da settanta a cinquantaquat tro nel periodo tra il 1994 e il 1999. Gli sforzi in materia di bi lancio e di assunzione effettuati da allora avrebbero consentito

di aumentare in proporzioni sostanziali le percentuali di con

trollo.

9. - Inoltre le autorità francesi rilevavano la qualità dei con trolli effettuati, la quale si tradurrebbe in particolare in una per centuale di fermi di navi superiore alla media europea (11 per cento delle navi fermate nel 1999 e 17 per cento nel 2000, ri

spetto alle medie europee che sono del 9,15 per cento nel 1999 e

del 9,50 per cento nel 2000). 10. - In seguito, poiché le suddette autorità si limitavano a

comunicare alla commissione lo stato dei mezzi finanziari stan

ziati per aumentare il numero degli ispettori di navi, quest'ulti ma ha deciso di proporre il ricorso in oggetto.

Sul ricorso

Argomenti delle parti

11. - A sostegno del ricorso la commissione fa valere che,

ispezionando solo il 14,1 per cento e, rispettivamente, il 12,2

per cento delle singole navi straniere approdate nei suoi porti nel 1999 e nel 2000, la Repubblica francese non ha manifesta mente adempiuto l'obbligo derivante dall'art. 5, n. 1, della di

rettiva, secondo il quale ciascuno Stato membro deve ispeziona re almeno il 25 per cento delle singole navi approdate nei suoi

porti nel corso di un determinato anno civile. Ora, l'inadempi mento di tale obbligo avrebbe inevitabilmente come conseguen za l'aumento del rischio di incidenti marittimi e quindi di per dite di vite umane, nonché di inquinamento dei mari e delle co ste. Secondo la commissione, la mancanza di personale non può giustificare l'inosservanza degli obblighi derivanti dalla sud detta disposizione.

12. - Basandosi sulla relazione annuale per il 2001 del memo randum di Parigi, in cui si rileva che il 9,63 per cento delle navi

approdate nei porti francesi nel 2001 hanno costituito oggetto di

un'ispezione, la commissione constata che non soltanto la Re

pubblica francese non ha conseguito l'obiettivo del 25 per cento stabilito dall'art. 5, n. 1, della direttiva 95/21, ma che, inoltre, detta percentuale d'ispezione risulta in calo.

13. - Il governo francese, senza contestare l'inadempimento addebitato, precisa anzitutto che, secondo i dati di cui dispone, le percentuali di controlli delle navi che hanno fatto scalo nei

porti francesi sono state in realtà del 13,83 per cento nel 1999 e del 12,13 per cento nel 2000. Esso si richiama poi al piano plu riennale di assunzione eccezionale, che proseguirà almeno fino

Il Foro Italiano — 2004.

al 2006, il cui obiettivo è di raddoppiare il numero degli ispetto ri incaricati di controllare la sicurezza delle navi. Infine, secon

do il suddetto governo, tale piano garantirà, a medio termine, un

incremento del numero delle ispezioni, senza per questo alterare

la qualità di queste ultime, al fine di conseguire gli obiettivi sta

biliti dalla direttiva 95/21.

Giudizio della corte

14. - Nel caso di specie è pacifico che la Repubblica francese

non ha adempiuto l'obbligo derivante dall'art. 5, n. 1, della di

rettiva secondo cui ciascuno Stato membro deve ispezionare almeno il 25 per cento delle singole navi approdate nei suoi

porti nel corso di un determinato anno civile.

15. - Peraltro, la corte ha ripetutamente affermato che uno

Stato membro non può eccepire disposizioni, prassi o situazioni

del suo ordinamento giuridico interno per giustificare la man

cata attuazione di una direttiva entro il termine prescritto (v., in

particolare, sentenza 7 novembre 2002, causa C-352/01, Com

missione/Spagna, Racc. pag. 1-10263, punto 8). 16. - Quindi, il ricorso proposto dalla commissione dev'esse

re considerato fondato.

17. - Di conseguenza, occorre dichiarare che la Repubblica francese, non avendo eseguito, ogni anno, un numero comples sivo di ispezioni pari almeno al 25 per cento delle singole navi

approdate nei suoi porti nel 1999 e nel 2000, è venuta meno agli

obblighi che le incombono in forza dell'art. 5, n. 1, della diretti

va 95/21. Per questi motivi, la corte (quinta sezione) dichiara e statui

sce:

La Repubblica francese, non avendo eseguito, ogni anno, un

numero complessivo di ispezioni pari almeno al 25 per cento

delle singole navi approdate nei suoi porti nel 1999 e nel 2000, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art.

5, n. 1, della direttiva del consiglio 19 giugno 1995 n. 95/21/Ce, relativa all'attuazione di norme internazionali per la sicurezza

delle navi, la prevenzione dell'inquinamento e le condizioni di

vita e di lavoro a bordo, per le navi che approdano nei porti co

munitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di approdo).

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sezione VI; sentenza 29 aprile 2004, causa C-371/02; Pres.

Skouris, Avv. gen. Leger (conci, conf.); Bjornekulla Fruk tindustrier AB c. Procordia Food AB.

Unione europea — Marchio registrato —

Volgarizzazione —

Decadenza — Valutazione — Ambienti rilevanti (Direttiva 21 dicembre 1988 n. 89/104/Cee del consiglio, sul ravvicina mento delle legislazioni degli Stati membri in materia di mar chi d'impresa, art. 3, 12).

L'art. 12, n. 2, lett. a), della prima direttiva del consiglio 21 di

cembre 1988 n. 89/104/Cee, sul ravvicinamento delle legisla zioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, deve

essere interpretato nel senso che, nel caso in cui intervengano intermediari nella distribuzione al consumatore o all'utiliz zatore finale di un prodotto coperto da un marchio registrato, gli ambienti rilevanti per valutare se il detto marchio sia di venuto la comune denominazione commerciale del prodotto in

questione sono costituiti dall'insieme dei consumatori o degli utilizzatori finali e, a seconda delle caratteristiche del mer cato del prodotto interessato, dall'insieme degli operatori

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

professionali che intervengono nella commercializzazione di

quest'ultimo. (1)

1. - Con ordinanza 14 ottobre 2002, pervenuta alla corte il 16

ottobre seguente, lo Svea hovratt (corte d'appello per la regione

svedese) ha sottoposto alla corte, ai sensi dell'art. 234 Ce, una

questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 12,

n. 2, lett. a), della prima direttiva del consiglio 21 dicembre 1988 n. 89/104/Cee, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (G.U. 1989, L 40,

pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»), 2. - Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una con

troversia tra la Bjornekulla Fruktindustrier AB (in prosieguo: la

«Bjornekulla») e la Procordia Food AB (in prosieguo: la «Pro

cordia»), titolare del marchio Bostongurka, utilizzato per una

conserva di cetrioli a pezzi marinati, vertente sui diritti conferiti

da detto marchio, di cui la Bjornekulla chiede la decadenza.

(1) I. - La sentenza in rassegna costituisce la prima pronuncia della

Corte di giustizia (in sede di questione pregiudiziale) sulla decadenza

del marchio registrato per volgarizzazione, di cui all'art. 12, n. 2, lett.

a), della prima direttiva 21 dicembre 1988 n. 89/104/Cee del consiglio, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di

marchi d'impresa (d'ora in avanti: la direttiva); i giudici comunitari si

sono occupati di un profilo raramente considerato anche dalla dottrina e

dalle giurisprudenze nazionali, quello dell'individuazione degli «am

bienti rilevanti» per valutare se il detto marchio sia divenuto la comune

denominazione commerciale del prodotto. Si tratta di una fattispecie di perdita, sopravvenuta, della capacità di

stintiva, su cui v. — in dottrina — Benussi, Il marchio comunitario,

Milano, 1996, 149; Bonet, Le marque communautaire. Règlement Cee

40/94 du Conseil du 20 décembre 1994, in Revue Trimestrielle de Droit

Européen, 1995, 3; Wilkinsons, The community Trade Mark Regula tion and its Role in European Economic Integration, in Trade mark Re

porte, 1990, 197. La norma in oggetto trova riscontro nell'art. 50, 1° comma, lett. b),

del regolamento Ce 40/94 del consiglio del 20 dicembre 1993, sul mar

chio comunitario (che però richiama il marchio divenuto «denomina

zione abituale nel commercio di un prodotto o di un servizio») e, nel di

ritto interno italiano, nell'art. 41, 1° comma, lett. a), 1. marchi (nel testo

novellato dal d.leg. 4 dicembre 1992 n. 480), che fa riferimento al mar

chio divenuto «denominazione generica del prodotto o servizio». È

stata segnalata una discrepanza tra tale norma e l'art. 7, 1° comma, lett.

d), del regolamento cit., che prevede come impedimento assoluto alla

registrazione anche il fatto che il segno o l'indicazione siano divenuti

di uso comune nelle consuetudini leali e costanti del commercio, e non

solo nel linguaggio: v. La Villa, Il marchio comunitario, Torino, 1996, 17. Per ulteriori richiami, v. Ubertazzi (a cura di), Commentario breve

al diritto della concorrenza, Padova, 2004, 294 e 484.

II. - Per profili di diritto comparato, v. — per la Francia — l'art.

714-6 del Code de la propriété intellectuelle (introdotto dalla 1. 91-7 del

4 gennaio 1991 in attuazione della direttiva cit.), che richiama, ai fini

della decadenza, il marchio divenuto «la désignation usuelle dans le

commerce du produit ou du service»; al riguardo la dottrina francese fa

riferimento alla «dégénérescence des marques par excès de notoriété».

III. - Infine, quanto alla giurisprudenza italiana sulla volgarizzazione del marchio, v. Cass. 1° febbraio 2002, Carino, Foro it., Rep. 2002, vo ce Marchio, n. 226: «perché possa aversi la volgarizzazione del mar

chio occorre che il suo titolare abbia tenuto un comportamento da cui

possa desumersi con certezza la rinuncia a valersi in via esclusiva del

marchio stesso». V. anche Cass. 9 febbraio 1995, n. 1473, id., Rep. 1996, voce cit., n. 228; 18 giugno 1990, n. 6119, id., Rep. 1990, voce

cit., n. 116 (caso «Cristal»); 28 novembre 1984, n. 6180, id., Rep. 1986, voce cit., n. 104.

Per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Brescia 6 dicembre 2000,

id., Rep. 2001, voce cit., n. 282; Trib. Torino 22 aprile 1999, ibid., n.

284. Di particolare interesse Trib. Roma 22 ottobre 1999, ibid., n. 287, secondo cui non possono essere ritenuti nulli e quindi volgarizzati i

marchi che abbiano consolidato un carattere distintivo in ragione, fra

l'altro, di continue e rilevanti campagne pubblicitarie sostenute proprio al fine della diffusione.

Cfr. inoltre Trib. Parma 15 gennaio 1999, ibid., n. 103 (che — ai fini

dell'accertamento della sopravvenuta decettività — pone l'accento

sulla condotta del titolare del segno, piuttosto che sulla percezione dei

consumatori); Trib. Roma 9 marzo 1994, id., Rep. 1995, voce cit., n.

297; Trib. Milano 24 gennaio 1994, ibid., n. 298 (secondo cui, perché si

abbia volgarizzazione di un marchio occorre che il fonema che caratte

rizza tale marchio sia divenuto il termine usuale con cui i consumatori

definiscono ogni prodotto dello stesso genere, da chiunque fabbricato); Trib. Vicenza 28 ottobre 1993, ibid., n. 299; Trib. Milano 17 settembre

1992, id., Rep. 1994, voce cit., n. 135.

Il Foro Italiano — 2004.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3. - L'art. 3, n. 1, lett. b), c) e d), della direttiva, intitolato

«Impedimenti alla registrazione o motivi di nullità», dispone

quanto segue: «1. Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono

essere dichiarati nulli:

(...)

b) i marchi d'impresa privi di carattere distintivo;

c) i marchi d'impresa composti esclusivamente da segni o in

dicazioni che in commercio possono servire a designare la spe

cie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la prove nienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del pro dotto o servizio;

d) i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o

indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio».

4. - L'art. 12, n. 2, lett. a), della direttiva, intitolato «Motivi

di decadenza», enuncia quanto segue: «2. Il marchio di impresa è suscettibile inoltre di decadenza

quando esso dopo la data di registrazione:

a) è divenuto, per il fatto dell'attività o inattività del suo ti

tolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o

servizio per il quale è registrato».

La normativa nazionale

5. - Ai sensi dell'art. 25 della legge svedese 2 dicembre 1960,

1960:644, in materia di marchi, legge modificata ai fini del re

cepimento della direttiva (in prosieguo: la «legge svedese sui

marchi»), un marchio può decadere quando non possiede più ca

rattere distintivo.

Controversia principale

6. - La Bjornekulla ha promosso un'azione nei confronti della

Procordia, dinanzi al tingsràtt (tribunale di primo grado locale),

al fine di far dichiarare la decadenza dei diritti conferiti dal

marchio Bostongurka. Essa ha sostenuto che il detto marchio

aveva perso il suo carattere distintivo, in quanto considerato un

termine generico per cetrioli a pezzi marinati.

7. - A sostegno della sua domanda, essa ha fatto riferimento,

in particolare, a due indagini di mercato fondate su un sondag

gio realizzato presso i consumatori.

8. - La Procordia si è opposta a tale richiesta, facendo valere,

in particolare, un'indagine di mercato rivolta ad organi direttivi

nell'ambito di importanti operatori nei settori commerciali del

l'alimentazione generale, delle mense e delle tavole calde.

9. - Il tingsràtt, facendo riferimento in particolare ai lavori

preparatori della legge svedese sui marchi, ha ritenuto che

l'ambiente di riferimento rilevante per valutare se il marchio Bostongurka avesse o meno perduto il suo carattere distintivo

fosse il circuito della distribuzione a cui si rivolgeva l'indagine della Procordia. Esso ha respinto la domanda della Bjornekulla, in quanto quest'ultima non aveva dimostrato la perdita del ca

rattere distintivo del marchio.

10. - Lo Svea hovràtt ritiene che né il tenore letterale dell'art.

25 della legge svedese sui marchi, né quello dell'art. 12, n. 2,

lett. a), della direttiva permettano di individuare gli ambienti di

riferimento la cui opinione vada presa in considerazione per valutare se un marchio abbia perso il suo carattere distintivo.

Secondo tale giudice, se la legge svedese sui marchi viene in

terpretata alla luce dei suoi lavori preparatori, gli ambienti di ri

ferimento sono quelli che si occupano della commercializzazio

ne del prodotto. Tuttavia, lo Svea hovratt si chiede se, così in

terpretata, tale legge concordi con la direttiva.

11. - In tale contesto, esso ha deciso di sospendere il proce

dimento e di sottoporre alla corte la seguente questione pregiu diziale:

«Nel caso in cui un prodotto passi attraverso varie fasi di

commercializzazione prima di raggiungere il consumatore, quali

siano, ai fini dell'applicazione dell'art. 12, n. 2, lett. a), della di

rettiva sui marchi, gli ambienti rilevanti per valutare se un mar

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PARTE QUARTA

chio sia diventato la generica denominazione commerciale di un

prodotto per il quale è registrato».

Sulla questione pregiudiziale

12. - Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l'art. 12, n. 2, lett. a), della direttiva debba essere interpretato nel senso che, nel caso in cui intervengano intermediari nella distribuzione al consumatore o all'utilizzatore finale di un prodotto coperto da un marchio registrato, gli am bienti rilevanti per valutare se il detto marchio sia diventato la comune denominazione commerciale del prodotto in questione sono costituiti dall'insieme dei consumatori o degli utilizzatori finali del prodotto e/o dall'insieme degli operatori professionali che intervengono nella commercializzazione di quest'ultimo.

13. - Quando un giudice nazionale è chiamato ad interpretare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme

precedenti o successive ad una direttiva, deve farlo, il più possi bile, alla luce della lettera e dello scopo di tale direttiva, onde

conseguire il risultato perseguito da quest'ultima e conformarsi

pertanto all'art. 249, 3° comma, Ce (v., in particolare, sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing, Racc. pag. I

4135, punto 8; Foro it., 1992, IV, 173, e 12 febbraio 2004, cau sa C-218/01, Henkel, punto 60, id., 2004, IV, 130) e ciò nono stante l'esistenza di elementi interpretativi contrari che possano risultare dai lavori preparatori della norma nazionale.

14. - La risposta alla questione posta dal giudice del rinvio

dipende essenzialmente dal senso dell'espressione «generica denominazione commerciale», utilizzata dall'art. 12, n. 2, lett.

a), della direttiva.

15. - La Bjornekulla ed il governo italiano ritengono che l'ambiente di riferimento sia quello dei consumatori. La Procor dia ed il governo svedese sostengono, invece, che l'ambiente rilevante è quello degli operatori che intervengono nella com mercializzazione del prodotto. Quanto alla commissione, essa fa valere che nell'ambiente rilevante rientrano innanzi tutto i con sumatori del prodotto ma che, a seconda delle circostanze di

fatto, possono rientrarvi anche altri gruppi, in particolare gli in termediari.

16. - A tale proposito, va ricordato che, secondo giurispru denza costante, le norme comunitarie devono essere interpretate ed applicate in modo uniforme alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue della Comunità (v., in tal senso, in particolare, sentenze 5 dicembre 1967, causa 19/67, Van der Vecht, Racc.

pag. 407, in particolare pag. 417; Foro it., Rep. 1968, voce Co munità europee, n. 131, e 17 luglio 1997, causa C-219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. 1-4411, punto 15; Foro

it., Rep. 1998, voce Unione europea, nn. 545, 553, 796, 828). 17. - Dall'esame delle diverse versioni linguistiche dell'art.

12, n. 2, lett. a), della direttiva emerge che i termini usati nelle versioni inglese e finlandese («in the trade» e «elinkeinotoimin

nassa») rinviano piuttosto ai soli ambienti professionali, mentre i termini usati nelle versioni spagnola, danese, tedesca, greca, francese, italiana, olandese, portoghese e svedese («en el co

mercio», «inden for handelen», «im geschaftlichen Verkehr»,

«CRjvr)0r|q E|i7iopiKT| ovofiaaia», «dans le commerce», «la gene rica denominazione commerciale», «in de handel», «no comércio» e «i handeln») indicano piuttosto, contemporanea mente, i consumatori e gli utilizzatori finali, nonché gli operato ri che distribuiscono il prodotto.

18. - Sembra quindi che, nella maggioranza delle sue versioni

linguistiche, la disposizione comunitaria da interpretare non si limiti ai soli ambienti professionali.

19. - Tale constatazione è corroborata dalla struttura generale e dalla finalità della direttiva.

20. - La funzione essenziale del marchio consiste nel garanti re al consumatore o all'utilizzatore finale l'identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato, consentendogli di di

stinguere senza confusione possibile tale prodotto o servizio da

quelli di provenienza diversa (v., in particolare, sentenze 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc. pag. 1-5507, punto 28; Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 883, e 4 ottobre

2001, causa C-517/99, Meri & Krell, Racc. pag. 1-6959, punto 22; Foro it., Rep. 2002, voce cit., n. 1526). Per poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza

Il Foro Italiano — 2004.

leale che il trattato Ce intende istituire, esso deve costituire la

garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne siano contrassegnati sono stati fabbricati sotto il controllo di un'unica impresa alla

quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità (sen tenza Canon, cit., punto 28).

21. - Il legislatore comunitario ha consacrato tale funzione es senziale del marchio disponendo, all'art. 2 della direttiva, che i

segni riproducibili graficamente possono costituire un marchio a condizione ch'essi siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese (sentenza Merz & Krell, cit., punto 23).

22. - Da tale condizione vengono poi tratte talune conclusio

ni, in particolare agli art. 3 e 12 della direttiva. Mentre l'art. 3 elenca i casi in cui il marchio non è idoneo, ab initio, a svolgere la funzione d'indicazione d'origine, l'art. 12, n. 2, lett. a), indi ca il caso in cui il marchio non è più atto ad adempiere tale fun zione.

23. - Orbene, se la funzione di indicazione di origine propria del marchio è essenziale, innanzi tutto, per il consumatore o l'utilizzatore finale, essa è parimenti importante per gli inter mediari che intervengono nella commercializzazione del pro dotto. Infatti, così come per i consumatori o gli utilizzatori fina

li, essa contribuirà a determinare il loro comportamento sul mercato.

24. - In generale, la percezione dell'ambiente dei consumatori o degli utilizzatori finali ha un ruolo determinante. Infatti, l'in tero processo di commercializzazione ha come obiettivo l'ac

quisto del prodotto da parte di tale ambiente ed il ruolo degli intermediari consiste tanto nell'individuare e nell'anticipare la domanda di tale prodotto quanto nell'amplificarla o nell'orien tarla.

25. - Così, negli ambienti di riferimento rientrano innanzi tutto i consumatori e gli utilizzatori finali. Tuttavia, a seconda delle caratteristiche del mercato del prodotto interessato, occor re anche tenere conto dell'influenza degli intermediari sulle de cisioni di acquisto e, quindi, della loro percezione del marchio.

26. - Occorre pertanto rispondere alla questione pregiudiziale sottoposta alla corte dichiarando che l'art. 12, n. 2, lett. a), della direttiva deve essere interpretato nel senso che, nel caso in cui

intervengano intermediari nella distribuzione al consumatore o all'utilizzatore finale di un prodotto coperto da un marchio regi strato, gli ambienti rilevanti per valutare se il detto marchio sia diventato la comune denominazione commerciale del prodotto in questione sono costituiti dall'insieme dei consumatori o degli utilizzatori finali e, a seconda delle caratteristiche del mercato del prodotto interessato, dall'insieme degli operatori professio nali che intervengono nella commercializzazione di quest'ulti mo.

Per questi motivi, la corte (sesta sezione), pronunciandosi sulla questione sottopostale dallo Svea hovratt, con ordinanza 14 ottobre 2002, dichiara:

L'art. 12, n. 2, lett. a), della prima direttiva del consiglio 21 dicembre 1988 n. 89/104/Cee, sul ravvicinamento delle legisla zioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, deve essere interpretato nel senso che, nel caso in cui intervengano intermediari nella distribuzione al consumatore o all'utilizzatore finale di un prodotto coperto da un marchio registrato, gli am bienti rilevanti per valutare se il detto marchio sia diventato la comune denominazione commerciale del prodotto in questione sono costituiti dall'insieme dei consumatori o degli utilizzatori finali e, a seconda delle caratteristiche del mercato del prodotto interessato, dall'insieme degli operatori professionali che inter

vengono nella commercializzazione di quest'ultimo.

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