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Sezione XVI; decisione 16 settembre 1982, n. 2575; Pres. Longo, Est. Giardina; Ufficio registro di...

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Sezione XVI; decisione 16 settembre 1982, n. 2575; Pres. Longo, Est. Giardina; Ufficio registro di Verona c. Frigo e altro Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1983), pp. 265/266-267/268 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175390 . Accessed: 25/06/2014 03:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.14 on Wed, 25 Jun 2014 03:21:14 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione XVI; decisione 16 settembre 1982, n. 2575; Pres. Longo, Est. Giardina; Ufficio registrodi Verona c. Frigo e altroSource: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1983), pp. 265/266-267/268Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175390 .

Accessed: 25/06/2014 03:21

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

mediatamente inciso 1 entrata in vigore della 1. 1° aprile 1981 n.

121. L'art. 70 di quest'ultima, infatti, conferiva al governo la

delega a provvedere, con decreto avente valore di legge ordina

ria, alla determinazione delle sanzioni disciplinari per il perso nale dell'amministrazione della pubblica sicurezza con l'osser

vanza di alcuni criteri direttivi fra i quali figura l'esclusione del le sanzioni limitative della libertà personale, in ossequio ai prin

cipi innovatori fondamentali della legge, contenuti negli art. 3

e 23, secondo i quali l'amministrazione della pubblica sicurezza

è civile e il corpo delle guardie di pubblica sicurezza è disciolto.

Il decreto, peraltro, non risultava ancora emanato alla data di

irrogazione della sanzione impugnata e l'avvocatura dello Stato

sostiene che sarebbe applicabile, per la materia disciplinare, l'art.

Ili, 2° comma, il quale richiama «per quanto non previsto dalla

legge e in quanto compatibili con essa », le disposizioni del r.d.

30 novembre 1930 n. 1629, mentre la difesa del ricorrente indica

l'art. 23, 5° comma, il quale, con identica espressione, rinvia

alle norme relative agli impiegati dello Stato.

Ritiene il collegio che quest'ultima tesi sia fondata.

Dal punto di vista sistematico, deve preliminarmente rilevarsi

che il richiamo operato dall'art. Ili della legge sembra limitato

alle norme più propriamente organizzative del regolamento di

servizio della rinnovata amministrazione, tanto che viene previ

sta, al riguardo, l'emanazione di una nuova disciplina meramen

te regolamentare, mentre per la materia delle sanzioni discipli

nari, che incide sullo status dei dipendenti, l'art. 70 prevede un

decreto avente forza di legge. Inoltre — e ciò sembra decisivo — l'abolizione dello status

di militari degli appartenenti all'amministrazione della pubblica sicurezza non può che aver comportato, per incompatibilità, l'im

mediata abrogazione di ogni norma che contemplava la possibi lità di irrogazione di sanzioni detentive, per il venir meno del

l'unico presupposto che legittimava l'istituzione di tali sanzioni,

giudicate dal legislatore tipiche e connaturate all'appartenenza alle forze armate.

Del resto, una diversa interpretazione sarebbe contra constitu

tionem e imporrebbe la rimessione alla Corte costituzionale, per violazione dell'art. 13 Cost., delle norme che ancora legittimas sero l'irrogazione di sanzioni detentive nei confronti di dipenden ti civili dello Stato.

Poiché, come si è visto, l'espunzione dall'ordinamento discipli nare congegnato dal r.d. n. 1629 del 1930 delle sanzioni detentive

rende di fatto inapplicabile per mancanza del principio di gradua lità fra sanzioni meno gravi e sanzioni più gravi (resterebbero,

infatti, soltanto il rimprovero semplice, il rimprovero solenne, il

licenziamento e l'espulsione dal corpo), deve concludersi che

l'intero sistema del decreto deve intendersi abrogato per incom

patibilità e sostituito, in via provvisoria, dalla normativa sulle

sanzioni disciplinari relativa agli impiegati civili dello Stato, ri

chiamata dall'art. 23 e del resto mutuata dai principi e criteri

direttivi delineati dall'art. 70 della legge.

Dev'essere, infine, disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizio ne sollevata dall'avvocatura dello Stato, poiché, nella specie, si

controverte principalmente non in materia di violazione del di

ritto alla libertà personale del ricorrente ma in materia di norma

tiva applicabile in tema di disciplina del rapporto di pubblico

impiego, sottoposto alla giurisdizione esclusiva del giudice am

ministrativo. Il ricorso dev'essere, quindi, accolto, restando assorbite le ri

manenti censure. (Omissis)

COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; Sezione XVI; de

cisione 16 settembre 1982, n. 2575; Pres. Longo, Est. Giardina; Ufficio registro di Verona c. Frigo e altro.

COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; Se

successioni \impusut suiic; — violazioni c sanzioni — rena pe cuniaria — Definizione in via breve — Applicabilità (L. 7 gen naio 1929 n. 4, norme per la repressione delle violazioni delle

leggi finanziarie, art. 15; d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637, disci

plina dell'imposta sulle successioni e donazioni, art. 50).

Il principio generale della definizione in via breve delle viola

zioni di leggi finanziarie per cui sia prevista la pena pecunia ria è applicabile alle violazioni in materia di imposta sulle

successioni, in quanto non espressamente ivi derogato. (1)

(1) La decisione contrasta con l'unica pronuncia che, per quanto consta, è stata emessa dalla Commissione tributaria centrale (dee. 13

novembre 1978, n. 3047, Foro it., Rep. 1979, voce Successioni (impo

sta), n. 64) circa l'applicabilità dell'istituto della definizione in via breve delle violazioni di leggi finanziarie per cui sia prevista la pena

pecuniaria, di cui all'art. 15 1. 7 gennaio 1929 n. 4, al sistema san

zionatone attualmente previsto in materia di imposte sulle succes

sioni (d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637).

Fatto. — A seguito della morte di Montanari Armida, avvenuta il 2 gennaio 1974 gli eredi presentavano tardivamente la denun cia di successione. In conseguenza l'ufficio del registro di Verona

applicava la pena pecuniaria per un ammontare di lire 6,352.000 e la sopratassa di lire 110.000 ai fini dell'imposta i.n.v.i.m.

Gli eredi proponevano ricorso, chiedendo tra l'altro che fosse riconosciuto il loro diritto a definire in via breve la pendenza circa la pena pecuniaria ai sensi dell'art. 15 1. n. 4 del 1929. La loro richiesta veniva accolta dalla commissione di I grado.

A seguito di impugnazione dell'ufficio la commissione di II

grado confermava la decisione dei primi giudici. L'ufficio del registro ricorre ora a questa Commissione centra

le, deducendo l'inapplicabilità al caso di specie del richiamato art. 15.

Diritto. — Con l'unico motivo del ricorso l'ufficio del registro deduce l'illegittimità della decisione impugnata per il fatto che essa ha ritenuto applicabile al caso di specie l'istituto della de finizione in via breve previsto dall'art. 15 1. n. 4 del 1929, istituto che si sostiene essere incompatibile con il sistema sanzionatorio

previsto dalla nuova disciplina dell'imposta di successione. Ma il ricorso è infondato.

Va osservato preliminarmente che qui non è tanto in discussio ne il c.d. principio di fissità della 1. n. 4 del 1929, che richiede

una abrogazione espressa delle norme contenute in tale legge, come sembra sostenere l'ufficio ricorrente, quanto la questione se il nuovo sistema sanzionatorio previsto per l'imposta di suc

cessione dal d.p.r. n. 637 del 1972 abbia comportato una deroga alla norma di carattere generale del nostro sistema di repressio ne delle violazioni delle leggi finanziarie, prevista dall'art. 15 1.

del 1929, che concede al contribuente la facoltà di definire in via

breve le violazioni di legge punibili con la pena pecuniaria. Orbene, premesso che nessuna deroga esplicita è stabilita dal

d.p.r. n. 637, ad avviso di questa Commissione centrale non si

ricava da tale provvedimento alcuna incompatibilità con l'istituto

della definizione in via breve, tale che possa sostenersi che il nuo

vo sistema sanzionatorio previsto per l'imposta di successione

non consenta di applicare l'art. 15 1. n. 4 del 1929. Ed invero gli

argomenti addotti in proposito dall'ufficio del registro non sono

affatto concludenti. Non lo è anzitutto quello che richiama le

innovazioni disposte dal d.p.r. n. 637 in materia di organi compe tenti ad irrogare le sanzioni: il fatto che siano stati modificati

gli organi e le procedure per l'irrogazione della pena pecuniaria in sé e per sé non dice nulla sulla volontà del legislatore di man

tenere o di escludere la possibilità per l'autore dell'infrazione di

definire in via breve la pendenza fiscale.

Quanto all'altro argomento, secondo cui se il legislatore avesse

voluto conservare questa possibilità avrebbe espressamente ri

chiamato la 1. n. 4 del 1929, esso prova troppo ed è facilmente

reversibile. Può infatti osservarsi che il legislatore, se avesse vo luto escludere la possibilità della definizione in via breve delle infrazioni alla legge sull'imposta di successione, lo avrebbe detto

esplicitamente, tenuto conto anche del carattere di generalità dell'istituto e delle discussioni che si hanno sul principio di fis sità della 1. n. 4 del 1929.

Il fatto infine che il d.p.r. n. 642 del 1972 sull'imposta di bollo, a differenza del d.p.r. n. 637, richiami espressamente la 1. n. 4 del 1929, non è concludente, in quanto questo richiamo si è reso necessario per ciò che il legislatore ha voluto fare un generale rinvio alla disciplina dettata da tale legge per l'accertamento delle violazioni in materia di imposta di bollo. Cosi come non è concludente l'altra circostanza, secondo cui l'originaria formula

Tale primo orientamento della Commissione tributaria centrale ne gava l'applicabilità dell'istituto della definizione in via breve in quan to le nuove disposizioni in materia di imposta sulle successioni hanno compiutamente disciplinato alcune fattispecie tra cui quelle previste all'art. 50 d.p.r. n. 637 del 1972 (omessa o tardiva presentazione della denuncia di successione) determinando di conseguenza la inapplicabi lità, in quanto con le stesse incompatibili, di norme generali quali l'art. 15 1. 7 gennaio 1929 n. 4.

Con la decisione qui riportata viene affermato al contrario che il sistema sanzionatorio previsto per la nuova imposta sulle successioni non comporta alcuna deroga al principio generale della definizione in via breve in quanto lo stesso è inserito sistematicamente nel nostro ordinamento finanziario e risulta applicabile in mancanza di una contraria disposizione.

In senso conforme, Comm. trib. II grado Verona 25 ottobre 1978, ibid., n. 66; Comm. trib. I grado Verona 18 aprile 1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 63. Contra, Comm. trib. I grado Piacenza 23 febbraio 1978, id., Rep. 1979, voce cit., n. 65.

In dottrina cfr. Schiavon, Sanzioni per l'imposta di successione: definibili in via breve?, in Fisco, 1980, 486; Gorelli, Gli istituti della « definizione in via breve » e della « estinzione degli effetti sanziona tori delle violazioni punite con pena pecuniaria » nel nuovo sistema

tributario, in Rass. i.v.a., 1976, 325; Provini, Il procedimento per la

repressione degli illeciti fiscali amministrativi dopo la riforma tribu

taria, in Bollettino trib., 1975, 205.

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PARTE TERZA

zione dell'art. 58 del d.p.r. n. 633 del 1972 sull'i.v.a., a differenza

del d.p.r. n. 637, prevedeva esplicitamente la possibilità della de

finizione in via breve. E ciò perché questa previsione era limitata

ad alcuni casi, e nulla escludeva che negli altri casi fosse ope rante la disposizione dell'art. 15 1. n. 4 del 1929.

Chiarito quindi che non esiste alcuna logica o sistematica in

compatibilità tra il sistema sanzionatorio del d.p.r. n. 637 e l'isti

tuto della definizione in via breve delle infrazioni, vanno consi

derate le ragioni che portano a ritenere che tale istituto sia appli cabile alle violazioni della legge sull'imposta di successione. La

definizione in via breve deve intendersi come espressione di un

generale principio di economia dei giudizi, che il nostro legisla tore ha inserito nell'ordinamento finanziario, sistematicamente

con la 1. n. 4 del 1929, e successivamente con altri provvedimenti

quali da ultimo le 1. n. 706 del 1975 e n. 689' del 1981. Questo

istituto mira a ridurre il numero delle pendenze tra contribuente

e fisco, accordando al primo una diminuzione dell'ammontare

della sanzione pecuniaria come incentivo alla rinunzia al ricorso, e prevedendo per il secondo la pronta soddisfazione della pretesa

giuridica. Ora, non si vedono ragioni convincenti per ritenere che

il legislatore abbia voluto escludere questo principio nel caso

delle infrazioni alla disciplina dell'imposta di successione. In

proposito va osservato che il legislatore delegante nel fissare i

criteri direttivi nella materia (1. n. 825 del 1971, art. 10, 1° e 2°

comma, n. 10), dispose che i provvedimenti delegati dovessero

essere diretti tra l'altro a semplificare i rapporti tributari nelle

varie fasi e a perfezionare il sistema delle sanzioni amministra

tive e penali. Non sembra che l'esclusione dell'istituto della defi

nizione in via breve per le violazioni alla legge sull'imposta di

successione sia compatibile col perseguimento di questi obiettivi, laddove l'ammissibilità di esso si pone in piena coerenza col di

segno del legislatore delegante. Ciò premesso, la decisione della commissione di li grado di

Verona che ha ritenuto applicabile al caso di specie l'istituto in

esame risulta pienamente legittima, e merita di essere confermata.

Rivista di giurisprudenza amministrativa Tributi in genere — Imposta sul reddito delle persone fisiche —

Oneri deducibili — Carattere retroattivo della legge — Que

stione non manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 53; 1. 13 aprile 1977 n. 114, modificazioni alla disciplina

dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 5).

Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esa

me alla Corte costituzionale) la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 5 1. 13 aprile 1977 n. 114, nella parte in cui sta

bilisce, con efficacia retroattiva, una riduzione dell'entità degli oneri deducibili ai fini della dichiarazione i.r.p.e.f. relativa all'an no 1977, in riferimento agli art. 3 e 53 Cost. (1)

Commissione tributaria di I grado di Rieti; ordinanza 28 mag gio 1982 (Gazz. uff. 16 marzo 1983, n. 74); Pres. Dell'Uomo

D'Arme; ric. Mariannantoni.

(1) Del problema della legittimità costituzionale di leggi tributarie con efficacia retroattiva la Corte costituzionale ha avuto modo di oc cuparsi in numerose occasioni. Cfr. sent. 19 giugno 1974, n. 175, Foro it., 1974, I, 1589, commentata da Zagrebelsky, Sulla interpretazione autentica (a proposito dela legge per Assisi), in Giur. costit., 1974, 3482; 22 giugno 1971, n. 132, Foro it., 1971, I, 1782, commentata da Grottanelli De' Santi, Principio di retributività, eguaglianza, irretroattività, in Giur. costit., 1971, 1468; 11 aprile 1969, n. 75, Foro it., 1969, >1, 1394; 6 luglio 1966, n. 89, id., 1966, I, 179; 23 maggio 1966, n. 44, ibid., 996; 16 giugno 1964, n. 45, id., 1964, I, 1528; 9 marzo 1959, n. 9, id., 1959, I, 313; 8 luglio 1958, n. 81, ibid., 6; 8 luglio 1957, n. 118, id., 1958, I, 1134.

Da un esame complessivo di tale giurisprudenza traspare un indi rizzo che può ritenersi ormai consolidato nelle sue linee generali. Cfr. in particolare la sent. n. 45 del 1964, cit., secondo cui « una legge tri butaria retroattiva (come ogni altra legge non penale) non è di per sé viziata di incostituzionalità, e il carattere retroattivo di una legge siffatta può comportare l'illegittimità costituzionale soltanto se porti, come sua conseguenza, la violazione di un precetto o di un principio contenuti nella Costituzione ». E sul problema del rapporto tra leggi tributarie retroattive ed il principio della capacità contributiva, in particolare la sent. n. 9 del 1959, cit., secondo cui: « non è esatto che una legge tributaria retroattiva violi di per se stessa la capacità contributiva »; ma soprattutto la sent. n. 44 del 1966, cit., laddove si legge che: « l'emanazione di una legge finanziaria retroattiva può ri velarsi in contrasto con qualche specifico principio o precetto costitu zionale, pur non comportando per se stessa la violazione del principio della capacità contributiva, sicché deve verificarsi di volta in volta, in relazione alla singola legge tributaria, se questa, con l'assumere a

presupposto della prestazione un fatto o una situazione passati, o con l'innovare, estendendo i suoi effetti al passato, gli effetti dai quali la

prestazione trae i suoi caratteri essenziali, abbia spezzato il rapporto che deve sussistere tra imposizione e capacità contributiva ed abbia cosi violato il precetto costituzionale ». Sulla base di un'argomentazio ne siffatta, con questa sentenza la corte dichiarò la illegittimità costi

tuzionale per contrasto con l'art. 53 Cost, dell'art. 25 1. 5 marzo 1966

n. 246, istitutiva di un'imposta sugli incrementi di valore delle aree

fabbricabili e che consentiva ai comuni di applicare l'imposta anche

a quei contribuenti che avessero alienato aree fabbricabili in epoca successiva alla data di riferimento fissata dalla legge, ma prima della

sua emanazione; questo in quanto la disposizione tributaria retro

attiva considerata rompeva il nesso che deve necessariamente sussi

stere tra imposizione fiscale e capacità contributiva con l'applicazione dell'imposta anche ai rapporti ormai esauriti, senza che tale retro attività (c.d. propria), fosse giustificabile da una razionale presunzione di permanenza degli effetti economici dell'avvenuta alienazione nella sfera patrimoniale del soggetto.

E questo anche in considerazione del fatto che le alienazioni pote vano essere avvenute anche in un tempo notevolmente lontano, quando non era ancora possibile prevedere l'istituzione dell'imposta (ma su

queste ultime considerazioni si vedano i rilievi critici di Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, 1976, 150-151, spec, nota 2).

In dottrina cfr. Merusi. L'affidamento del cittadino, 1967, 15, il

quale rileva come « nell'ipotesi di leggi tributarie esisterebbe un onere a carico del legislatore di giustificare la persistenza degli ef fetti giuridici di fattispecie concluse »; Grottanelli De' Santi, Pro

fili costituzionali della irretroattività delle leggi, 1970, spec. 220 ss.: « attraverso tale interpretazione il principio della capacità contributiva oltre che riaffermazione e specificazione del principio di eguaglianza richiede non solo che nella legge tributaria sussista un ragionevole collegamento tra obbligo d'imposta e indice assunto per l'applicazio ne di quest'ultima, ma anche, quanto meno nell'ordine di una ragio nevole presunzione, il permanere nel patrimonio degli effetti del fatto

passato che con l'imposta si intende colpire» (spec. 231); e inoltre: « non sembra peraltro che le sentenze costituzionali che fino ad oggi si sono occupate dell'argomento, e nemmeno la dottrina più contraria alla retroattività tributaria abbiano fornito criteri che consentano di descrivere con una certa precisione i confini della retroattività arbi traria ».

Su questa problematica si possono vedere anche: Micheli, Osserva zioni in tema di manifesta infondatezza della questione relativa alla irretroattività della legge tributaria, in Riv. dir. fin., 1964, II, 157, e Note minime sulla retroattività della legge tributaria, in Giur. costit., 1963, 1702; Forte, Sul problema della costituzionalità delle imposte retroattive, in Giur. it., 1966, I, 1, 962; La Valle, Annullamento della norma tributaria e rapporti esauriti (a proposito degli effetti della dichiarazione d'incostituzionalità della imposta retroattiva sulle aree

fabbricabili), in Riv. dir. fin., 1967, II, 331; Barile, Capacità contri butiva e imposta sulle aree: efficacia della sentenza della Corte costi tuzionale sui rapporti pregressi, in Giur. costit., 1966, 747; Manzoni, Sul problema della costituzionalità delle leggi tributarie retroattive, in Riv. dir. fin., 1963, 519; Bertora, Legittimità delle norme di pre lievo cosiddette retroattive, id., 1969, 132; Schiavello, Sulla retro attività delle leggi tributarie, id., 1966, I, 587; Pasero, La retroatti vità della norma tributaria, in Tributi, 1979, fase. 1-2, 39; Allorio, Breve trittico sulla irretroattività delle norme tributarie, in Giur. it., 1957, IV, 81; Minoli, Problemi sollevati da una legge fiscale retro

attiva, in Dir. economia, 1957, 895; Miele, Note e pareri sull'irretro attività delle norme tributarie, ibid., 58; A. D. Giannini, Sulla retroattività delle norme tributarie, in Dir. e pratica trib., 1957, I. 333. In particolare si può ricordare la posizione di Schiavello, cit., che, diversamente da quanto ritiene la dottrina dominante, sostiene la retroattività della legge tributaria in quei casi in cui sia giustificata dai principi di solidarietà sociale, di eguaglianza o, addirittura, dei principi produttivistici accolti dalla Costituzione, col riconoscimento della legittimità costituzionale di norme tributarie che abbiano ca rattere sanzionatorio e di confisca. In senso del tutto contrario si è talora parlato in dottrina delle leggi tributarie retroattive come di « leggi incivili », pur senza far discendere conseguenze giuridiche da tale affermazione; secondo D'Antino, Retroattività della legge: principi costituzionali e interesse pubblico, in Foro amm., 1974, 680, spec. 686: « sono da considerare, del pari, profondamente incivili le leggi tribu tarie retroattive, in quanto pervengono a colpire a posteriori un red dito o un capitale che il titolare ha impiegato o speso a suo tempo in relazione al carico fiscale che egli poteva prevedere esistente in base alle leggi allora vigenti».

Sulla incidenza che il principio di eguaglianza esercita sulle leggi retroattive (e non solo in materia tributaria), ma anche per il rilievo secondo cui: « i piani dell'eguaglianza e della retroattività rimangono staccati », mentre il principio di ragionevolezza vale per le leggi re troattive in termini identici che per tutta quanta la legislazione, cfr. ancora Grottanelli, Profili, cit., spec. 98 ss. e Retributività, cit.

Per una rassegna di leggi interpretative (e pertanto con efficacia re

troattiva) in materia tributaria, si veda in appendice a Castellano, Interpretazione autentica della legge e politica del diritto, in Politica del diritto, 1971, 593.

In generale, sul principio della capacità contributiva: Maffezzoni, Il principio di capacità contributiva, 1970; Ciavarella, La capacità contributiva nella teoria e nella esperienza costituzionale, 1971; Fèr lazzo-Natoli, Fattispecie tributaria e capacità contributiva, 1979; Manzoni, Il principio della capacità contributiva nell'ordinamento co stituzionale italiano, 1965; Marazzi, La capacità contributiva, in Riv. dott. commercialisti, 1981, 302; Coco, Il principio della capacità con tributiva nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Riv. trib., 1973, 247.

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