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Sezioni riunite; decisione 10 maggio 1984, n. 374/A; Pres. Borzellino, Est. Sorrentino; Proc. gen....

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Sezioni riunite; decisione 10 maggio 1984, n. 374/A; Pres. Borzellino, Est. Sorrentino; Proc. gen. Corte conti c. Mosca e altri (Avv. Lo Cicero). Conferma Corte conti, sez. giur. reg. sic., 13 marzo 1979, n. 1206 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 12 (DICEMBRE 1984), pp. 471/472-473/474 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178381 . Accessed: 25/06/2014 10:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.37 on Wed, 25 Jun 2014 10:51:30 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni riunite; decisione 10 maggio 1984, n. 374/A; Pres. Borzellino, Est. Sorrentino; Proc.gen. Corte conti c. Mosca e altri (Avv. Lo Cicero). Conferma Corte conti, sez. giur. reg. sic., 13marzo 1979, n. 1206Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 12 (DICEMBRE 1984), pp. 471/472-473/474Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178381 .

Accessed: 25/06/2014 10:51

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PARTE TERZA

il requisito minimo, cioè la laurea in lingua e letteratura giappo nese. La valutazione negativa dell'amministrazione ha trovato una

conferma insospettabile nel successivo rifiuto opposto dalle autori

tà accademiche giapponesi ad accettare la candidatura della Luzzi

per un incarico di lettore presso due università, incarico che

l'amministrazione aveva cercato di procurarle onde consentirle la

permanenza in Giappone. Di conseguenza l'amministrazione l'ha trasferita a Tel Aviv,

presso il cui istituto di cultura è vacante un posto adeguato alla

sua qualifica e alla sua preparazione professionale e culturale.

2. - È anche infondato il secondo motivo, con il quale si

imputa all'amministrazione di aver disposto il trasferimento senza

aver preventivamente valutato, nella giusta misura, la situazione

personale della ricorrente, e cioè il suo interesse a prolungare la

permanenza in Giappone onde completare il lavoro di ricerca

presso gli archivi imperiali, necessario per lo svolgimento della

tesi di laurea in lingua e letteratura giapponese. La circosctanza addotta dalla ricorrente è cosi' irrilevante che

l'amministrazione non aveva alcun obbligo di prenderla in consi

derazione. Non sussistono infatti neppure le condizioni per ipo tizzare la necessità di stabilire un raffronto ed una ponderazione fra l'interesse pubblico ad affidare la direzione di una struttura

culturale ad alto livello ad un soggetto dotato di requisiti profes sionali e culturali adeguati e l'interesse del pubblico dipendente ad ottenere, pur in carenza di detti requisiti, quella direzione che

le consentirebbe, assicurandole la permanenza in loco, la possibi lità di completare un proprio programma di studi. Il pubblico

dipendente è arbitro di utilizzare il tempo libero come crede, ma

il programma che egli ha predisposto a questo riguardo non

costituisce una situazione soggettiva tutelata, capace di fungere da

limite rispetto all'azione amministrativa quando questa, per ragio ni obiettive e ragionevoli, si rivolge in altra direzione. (Omissis)

IV

Diritto. — Il ricorso, con il quale si censura il trasferimento di

un funzionario delle poste, da un ufficio ministeriale alla direzio

ne compartimentale per il Lazio, è fondato per l'assorbente

motivo di incompetenza proposto con il secondo profilo del

primo mezzo originario. La sezione ha già affermato in un caso analogo (8 novembre

1982, n. 1130) che costituisce un vero e proprio trasferimento di

sede, rientrante nella gestione della potestà « organizzativa » della

p.a., e non un mero spostamento tra uffici, soggetto alla più

ampia e discrezionale potestà « gerarchica », il movimento di un

funzionario da un organo centrale ad un altro periferico pur se

nella medesima città (nel caso richiamato, dalla direzione generale dell'A.n.a.s. al compartimento del Lazio di tale azienda).

Sussistono anche nella specie i medesimi tratti istituzionali,

potendo intravedersi anche nella struttura dell'amministrazione

postale l'autonomia funzionale ed organica fra la direzione cen

trale patrimonio e approvvigionamenti della direzione generale del ministero delle poste e la direzione compartimentale delle

poste per il Lazio: da ciò discende logicamente che la distinzione

fra ufficio-organo di « partenza » e « ufficio-organo » di arrivo

corrisponde ad una pluralità-distinzione fra sedi, anche se en trambi i centri operativi si trovano nella capitale.

Ulteriore conseguenza è l'applicabilità alla fattispecie della

disposizione di cui all'art. 10 d.p.r. 30 giugno 1972 n. 748, che affida al ministro in via residuale — rispetto agli altri atti

incidenti sullo stato giuridico ed economico del personale di

qualunque carriera, spettanti al dirigente generale del personale —, fra le altre determinazioni, i trasferimenti di sede.

Pertanto, a prescindere dall'appartenenza del dipendente all'una

o all'altra carriera, è illegittimo e va annullato, in accoglimento del ricorso, il trasferimento del Bianchini disposto dal direttore

generale con telex 23 novembre 1982, DCP/2/l/Co n. 12127, comunicato con la nota 27 novembre 1982 n. DCPA/Segr.:0352, salvi rimanendo gli ulteriori provvedimenti dell'autorità ministe

riale competente. (Omissis)

CORTE DEI CONTI; Sezioni riunite; decisione 10 maggio 1984, n. 374/A; Pres. Borzellino, Est. Sorrentino; Proc. gen. Corte

conti c. Mosca e altri (Avv. Lo Cicero). Conferma Corte conti, sez. giur. reg. sic., 13 marzo 1979, n. 1206.

CORTE DEI CONTI;

Responsabilità contabile e amministrativa — Dipendente destitui

to — Trattenimento in servizio — Danno per l'ente pubblico — Esclusione — Fattispecie.

Vanno esenti da responsabilità i funzionari di un ente pubblico che abbiano mantenuto colposamente in servizio un dipendente destituito in seguito a sentenza penale di condanna, se non

risulta che l'ente stesso abbia subito un danno, anche sotto il

profdo della corresponsione di una retribuzione maggiore di

quella che avrebbe corrisposto ad un nuovo assunto. (1)

(1) L'esistenza di un danno erariale non può desumersi dalla

illegittima erogazione di compensi retributivi a favore di un pubblico dipendente, in assenza dell'elemento costituito dalla concreta e attuale lesione di un interesse patrimoniale pubblico: cosi afferma in via di principio Corte conti, sez. I, 11 ottobre 1982, n. 108, Foro it., Rep. 1983, voce Responsabilità contabile, n. 73, ricondotta ad applicazioni pratiche dalle conformi decisioni richiamate nell'osser vazione di L. Verrienti, a Corte conti, sez. riun., 20 maggio 1983, n.

336/A, id., 1984, MI, 75, circa l'irrilevanza del danno subito dall'am

ministrazione, nell'ipotesi di illegittimo trattenimento in servizio di

pubblico impiegato oltre i termini di legge, a causa della retribuzione allo stesso erogata, in quanto essa rappresenta il corrispettivo di effettive prestazioni rese all'amministrazione, mentre Corte conti, sez. I, 18 gennaio 1984, n. 14, ibid., 235, con nota di richiami, giunge a conclusioni contrarie, ritenendo sussistente la responsabilità di funzio nari pubblici per illegittime assunzioni di personale, in violazione di

espressi divieti di legge. Circa la destituzione di diritto del pubblico impiegato condannato

per particolari reati indicati nell'art. 85 d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, la

giurisprudenza amministrativa rileva nel provvedimento disciplinare contenuto dichiarativo e natura vincolata, tale da escludere l'esistenza di qualsiasi margine di discrezionalità relativamente alla sua applica zione: v. Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 1982, n. 607, id., Rep.

1983, voce Impiegato dello Stato, n. 1118; T.A.R. Marche 6 aprile

1982, n. 176, id., Rep. 1982, voce vit., n. 1170; T.A.R. Basilicata 25

febbraio 1981, n. 3, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1068; Cons. Stato, sez. II, 19 dicembre 1979, n. 594/78, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1171 e le altre richiamate in nota a T.A.R. Basilicata 3 ottobre 1980, n.

217, id., 1982, III, 84. Circa la competenza ad irrogare il provvedi mento della destituzione di diritto, la giurisprudenza è discorde: secondo l'orientamento espresso da T.A.R. Abruzzo 8 ottobre 1981, n.

378, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1161, la competenza spetta al

ministro, mentre secondo T.A.R. Basilicata 25 febbraio 1981, n. 3, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1069, spetta al dirigente con funzioni di capo del personale. Circa la questione di costituzionalità dell'art. 85 cit., v. le ordinanze Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 1982, n. 606, id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 1112 e sez. IV 24 novembre 1981, id., 1984,

III, 51, con nota di richiami, che sollevano l'incidente in riferimento all'art. 3 Cost.

La riportata decisione perviene tuttavia a ritenere l'insussistenza del danno risarcibile, data la rilevanza dell'anzianità di servizio, quale circostanza presuntiva della maggiore utilità delle prestazioni lavorative rese dal pubblico dipendente, pur destituito ipso iure: v., in senso

conforme, Cass. 22 maggio 1979, n. 2982, id., Rep. 1979, voce Lavoro

(rapporto), n. 849, che pone l'accento sul carattere generale dell'istituto sia nel rapporto di impiego pubblico che in quello di lavoro privato; concorde è la giurisprudenza civile nel ritenere che l'istituto dell'anzia nità di servizio, tale da comportare aumenti periodici della retribuzio

ne, sia il prodotto dell'autonomia negoziale della contrattazione collet

tiva, al di fuori delle prescrizioni imposte dall'art. 36 Cost, circa la

proporzionalità della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro

prestato: v. Cass. 11 novembre 1983, n. 1845, id., Rep. 1983, voce

cit., n. 1578; 4 luglio 1983, n. 4480, ibid., n. 1576; 16 dicembre 1982, n. 6959, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1129; 11 dicembre 1982, n. 6798, ibid., n. 1181; 3 settembre 1981, n. 5032, id., Rep. 1981, voce cit., n.

1167; 29 agosto 1980, n. 5026, id., Rep. 1980, voce cit-, n. 912; 22 settembre 1979, n. 4914, id., Rep. 1979, voce cit., n. 808; 8 gennaio 1979, n. 91, ibid., n. 825; mentre la giurisprudenza amministrativa, facendo applicazione dell'art. 1 d.p.r. 11 gennaio 1956 n. 19, ha

ritenuto, con maggior restrizione rispetto a quella civile, che spettano all'impiegato gli aumenti periodici di stipendio nella misura del 2,50 %

per ogni biennio di servizio prestato senza demerito: v. Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 1972, n. 379, id., Rep. 1972, voce Impiegato dello

Stato, n. 502; Cons, giust. amm. sic. 13 marzo 1970, n. 65, id., Rep. 1970, voce cit., n. 521; nel senso che l'aumento biennale nella misura del 2,50 % spetta anche al personale non di ruolo, v. T.A.R. Lazio, sez. I, 21 gennaio 1976, n. 37, id., Rep. 1976, voce cit., n. 1122; tuttavia la disciplina degli aumenti periodici di retribuzione per effetto dell'anzianità pare ora lasciata agli esiti della contrattazione collettiva ex art. 3, n. 1, 1. 29 marzo 1983 n. 93, c.d. legge quadro sul pubblico impiego.

In dottrina v. recentemente la relazione di F. Mazziotti, Profili generali dell'anzianità nel rapporto di lavoro, in Atti del XII Conve gno nazionale, Amalfi 14-16 maggio 1982, Riflessi dell'anzianità sul

rapporti di lavoro, Milano, 1983, pubblicata anche in Riv. it. dir. lav., 1982, I, 453, con bibliografia sull'argomento, secondo il quale nel

pubblico impiego l'anzianità di servizio, e il conseguente aumento

retributivo, è sempre stata finalizzata alla continuità e al buon funzionamento degli uffici pubblici preposti all'esercizio di pubbliche funzioni, mentre nel lavoro privato l'istituto corrisponde ad esigenze di tutela del lavoratore, compensando la perdita progressiva della mobilità

professionale. Per alcuni richiami sull'evoluzione stòrica dell'istituto v. L. Bonaretti, Aumenti periodici della retribuzione nei rapporti privati

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Diritto. — 1. - La vertenza giudiziaria ha per oggetto la

dedotta responsabilità amministrativa di alcuni dipendenti dell'En

te di sviluppo agricolo per la regione siciliana (E.sja.) — e

precisamente del dott. Mosca Giovan Battista, quale capo del l'ufficio del personale e del sig. Giuliani Nicola, addetto allo stesso servizio, nonché dell'avv. Amato Antonino, quale capo dell'ufficio legale — per aver col proprio comportamento colpo samente omissivo causato l'illegittimo trattenimento in servizio di altro dipendente dello stesso ente — perito agrario Di Forti Luigi — oltre la data dalla quale gli amministratori dell'ente, se

tempestivamente informati dell'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna per peculato continuato, emes sa nei confronti dell'infedele impiegato, avrebbero potuto e dovu to adottare il provvedimento di destituzione dall'impiego.

Secondo l'originario atto di citazione il danno patrimoniale cagionato all'ente ammontava a complessive lire 653.366. Succes

sivamente — come si è detto nella precedente narrativa in fatto — in esecuzione di due ordinanze della sezione adita, il danno

venne elevato a lire 2.684.736

Con la decisione appellata i primi giudici hanno assolto i convenuti per insussistenza del danno loro contestato. (Omissis)

4. - Le residue censure mosse dall'appellainte riguardano la

configurazione del danno risarcibile, i criteri per la sua quantifica zione e, conseguentemente, la individuazione del soggetto proces suale cui incombe l'onere della prova.

I primi giudici hanno ritenuto, con l'impugnata sentenza, che l'E.s.a. non abbia subito alcun danno perché, a fronte degli

assegni percepiti nei mesi successivi al passaggio in giudicato della sentenza di condanna penale il Di Forti continuò a rendere

le prestazioni di servizio corrispondenti alla sua qualifica di

perito agrario. Né costituisce danno per l'ente la differenza tra

quanto corrisposto al Di Forti, tenuto conto della sua anzianità di servizio, e quanto avrebbe potuto corrispondere ad un giovane perito agrario da assumere eventualmente per ricoprire il posto del Di Forti se questi fosse stato tempestivamente destituito, in

quanto è legittimo presumere una maggiore utilità del Di Forti

proprio per la sua anzianità di servizio ed il correlativo affida

mento delle sue capacità professionali. Contro tale assunto il p.g. sostiene che quando « si provi che

alcuni pubblici dipendenti a causa di loro colpose omissioni e

ritardi abbiano indotto l'ente ad erogazioni di denaro che, altri

menti, non si sarebbero avute, tali erogazioni costituiscono il danno da ripianare ». Di conseguenza, una volta dimostrata, nella

specie, la colpa dei convenuti — consistente nell'essere stato il loro

comportamento causa dell'illegittimo mantenimento in servizio dell'infedele impiegato — l'attore avrebbe assolto da parte sua l'onere della prova, mentre i convenuti avrebbero dovuto offrire, in sede di eccezione, la prova dell'intera o parziale utilità tratta dall'ente dal mantenimento in servizio del Di Forti.

Queste sezioni riunite osservano che cosi come impostata dalla

procura generale la concezione della responsabilità amministrativa sembra rievocare la nozione della responsabilità c.d. « formale ».

Questa nozione — fondata, come è noto, sulla presunzione iuris et de iure di colpa e danno derivante dalla sola trasgressione della norma ovvero sulla presunzione iuris tantum dei predetti presupposti, presunzione che fa salva la prova contraria posta a carico del convenuto — già superata da questa corte, e cosi ritenuta dalla Corte costituzionale per negarne iil fondamento

giuridico agli efletti della legittimità costituzionale delle relative norme (v. sentenza n. 72/83, Foro it., 1983, I, 1524), è da ritenersi ormai definitivamente abbandonata.

Consegue che la responsabilità di cui trattasi altro « non è che una comune responsabilità patrimoniale fondata sugli elementi

precipui della colpa e del danno ». È ben vero che il giudice costituzionale ha reso la menzionata

pronuncia con riferimento all'art. 252 t.u.l.c.p. n. 383/34. Ma il discorso non varia se riferito ad altra normativa, giacché, in

sostanza, estendendo l'indagine all'intera materia della contabilità

pubblica, si deve concludere che la giurisdizione contabile è

giurisdizione risarcitoria e non sanzionatoria (fatta eccezione della

sola ipotesi prevista dall'art. 46 t.u. delle leggi sulla Corte dei conti approvato con r.d. 12 luglio 1934 n. 1214).

Una responsabilità patrimoniale, dunque, quella perseguibile davanti al magistrato contabile, la quale postula che gli elementi

della colpa e del danno siano intesi in senso civilistico, ancorché

di lavoro, in Lavoro e previdenza oggi, 1980, 2187; per alcuni profili pubblicistici dell'anzianità di servizio, v. N. Cinti, La valutazione dell'anzianità di servizio ai fini della concessione degli aumenti periodici di stipendio con riflesso sulla liquidazione della pensione e dell'indennità di anzianità o buonuscita, in Trib. amm. reg., 1982, II, 109.

per l'affermazione in concreto della loro sussistenza, sia l'una che

l'altro, non possano sottrarsi alla valutazione di fattori di indub bia connotazione pubblicistica, pubblica essendo l'organizzazione dell'ente e pubblici essendo i fini da conseguire e i mezzi per realizzarli.

È chiaro che nel suddetto contesto normativo ricade anche l'onere della prova il quale, relativamente alla pretesa risarcitoria, incombe interamente all'attore (art. 2697 c.c.).

5. - In particolare, per quanto riguarda il danno e i criteri per la sua quantificazione va affermato il principio che esso, sia sotto il profilo della perdita subita che sotto quello del mancato

guadagno (art. 1223 c.c.), deve consistere in un effettivo nocumen

to patrimoniale.

Applicando il principio all'ipotesi che qui interessa, e cioè

dell'illegittimo mantenimento in servizio di un pubblico dipenden te, va osservato che non sempre il danno patrimoniale si verifica in dipendenza della erogazione della spesa né, quando si verifica, esso è pari all'importo della spesa erogata.

Spesa e danno, in altri termini, sono concetti giuridici distinti.

La spesa è l'esborso di denaro finalizzato al soddisfacimento di

un interesse, cioè all'acquisizione di una utilità (bene o servizio). Le spese sono, o no, necessarie, utili, ordinarie, straordinarie,

urgenti, voluttuarie, ecc.: sono varie e variamente classificabili a

seconda dell'angolo visuale sotto il quale vengono considerate. Il

danno patrimoniale, invece, è sempre un ingiusto pregiudizio economico, perché è sempre collegato ad un atto o fatto illecito.

Risponde, quindi, ad un unico concetto che è quello del nocu

mento, dell'aggravio, dello svantaggio. Può essere in rapporto di

dipendenza dalla spesa, ma non sempre. Posto ciò, e riportando i concetti su esposti all'ipotesi in esame,

va chiarito che, per giudicare se all'illegittimo trattenimento in

servizio del dipendente corrisponda o no un danno patrimoniale dell'ente, occorre di volta in volta verificare se nel raffronto tra

due utilità, e cioè tra la utilità del denaro erogato (bene patrimo

niale) e la utilità del lavoro reso dal dipendente (bene economi

camente valutabile), l'ente abbia tratto o no una disutilità, e

nell'affermativa in quale misura.

In siffatta operazione comparativa è ovvio che mentre l'utilità

del bene pecuniario erogato è agevolmente determinabile, in

quanto ragguagliabile all'importo della spesa sostenuta, l'utilità

del lavoro prestato dal dipendente è valutabile in base non

soltanto agli emolumenti corrisposti ma anche ad altri elementi,

non facilmente quantificabili in misura certa perché, appunto,

legati alla valutazione di interessi di natura pubblicistica.

Conseguentemente la disutilità, id est il danno risarcibile,

eventualmente emergente dal su indicato raffronto, non può

essere diversamente determinata se non facendo ricorso alla

liquidazione equitativa del danno a mente dell'art. 1226 c.c.

6. - Nella fattispecie i primi giudici hanno assolto i convenuti

per insussistenza di danno. Essi hanno motivato l'assoluzione non

soltanto in base alla circostanza che durante il periodo successivo

alla sentenza penale di condanna il Di Forti continuò a prestare servizio svolgendo le stesse mansioni di perito agrario, ma anche — scendendo nel dettaglio — con la valutazione della maggiore utilità delle prestazioni del Di Forti (data la sua anzianità di

servizio) rispetto a quella ricavabile dalle prestazioni di un

giovane perito agrario eventualmente da assumersi in luogo del

Di Forti ove questi fosse stato tempestivamente licenziato.

Tale valutazione di elementi di fatto e di diritto appare immune da censure ed è in linea con i principi giuridici sopra evidenziati. Di conseguenza l'appello va dichiarato infondato e va

respinto. (Omissis)

CORTE DEI CONTI; Sezione controllo; deliberazione 20

dicembre 1983, n. 1406; Pres. Terranova, Rei. Corazzini; Min.

finanze.

Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici — Transazione — Sentenza passata in giudicato — Illegittimità.

È illegittimo il decreto col quale il ministro delle finanze approva una transazione stipulata dall'amministrazione sulla base di una

sentenza civile, quando questa era già passata in giudicato. (1)

(1) In termini Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 1977, n. 403, Foro it., 1978, III, 112, con nota di richiami, che ha ritenuto illegittima la

transazione riguardante la data di decorrenza della promozione di

impiegato pubblico, anche perché la pretesa era stata fatta inutilmente

valere da questi in giudizio conclusosi con sentenza di irricevibilità del

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