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sezioni unite civili; ordinanza 28 marzo 2006, n. 7036; Pres. Carbone, Rel. Amatucci, P.M.Martone (concl. conf.); Associazione movimento consumatori (Avv. Fiorio) c. Soc. Educationscuola e lavoro. Regolamento di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 6 (GIUGNO 2006), pp. 1713/1714-1717/1718Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23203416 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; ordinanza 28 marzo 2006, n. 7036; Pres. Carbone, Rei. Amatucci, P.M.
Martone (conci, conf.); Associazione movimento consuma
tori (Avv. Fiorio) c. Soc. Education scuola e lavoro. Regola mento di giurisdizione.
CORTE DI CASSAZIONE;
Consumatori e utenti — Pubblicità ingannevole — Associa
zione rappresentativa di consumatori — Azione inibitoria — Azione risarcitoria — Giurisdizione ordinaria (Direttiva 10 settembre 1984 n. 84/450/Cee del consiglio, relativa al
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole, art. 4, 7; d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74, attuazio
ne della direttiva 84/450/Cee, come modificata dalla direttiva
97/55/Ce, in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, art. 7; 1. 30 luglio 1998 n. 281, disciplina dei diritti dei con sumatori e degli utenti, art. 1, 3, 5; d.leg. 25 febbraio 2000 n.
67, attuazione della direttiva 97/55/Ce, che modifica la diret tiva 84/450/Cee, in materia di pubblicità ingannevole e com parativa, art. 5; d.leg. 23 aprile 2001 n. 224, attuazione della
direttiva 98/27/Ce relativa a provvedimenti inibitori a tutela
degli interessi dei consumatori, art. 1).
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla
controversia con cui un'associazione rappresentativa di con
sumatori, lamentando il carattere ingannevole di alcuni mes
saggi pubblicitari, chieda di inibire il loro utilizzo, di ordina
re l'adozione dì idonee misure correttive e di condannare
l'impresa che li diffonde al risarcimento del danno derivante
dalla lesione degli interessi collettivi dei consumatori. (1)
(1) I. - In relazione ad una campagna pubblicitaria, che conteneva informazioni non veritiere ed ometteva l'indicazione di talune caratteri stiche essenziali del servizio reclamizzato, Trib. Roma 30 gennaio 2004, Foro it., Rep. 2004, voce Consumatori e utenti, n. 27 (e Danno e
resp., 2004, 873, con nota di R. Conti, Inibitoria collettiva, pubblicità ingannevole e ritardi del vettore aereo; Resp. comunicazione impresa, 2004, 3, con nota di G. Martini, Tutela collettiva dei consumatori e
degli utenti e inibitoria alla diffusione di comunicazione pubblicitaria ingannevole ai sensi delia I. 30 luglio 1998 n. 281) ha ritenuto ammis sibile l'emanazione di una pronuncia inibitoria da parte del giudice or dinario investito di un'azione ex art. 3 1. 281/98 (cui oggi corrisponde l'art. 140 cod. consumo), ancorché tale campagna pubblicitaria fosse
già stata sospesa dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato
(Agcm) e sanzionata dal comitato di controllo previsto dal codice di
autoregolamentazione pubblicitaria. La sussistenza, in capo ad un'associazione di consumatori, della le
gittimazione ad impugnare un provvedimento dell'Agcm, che abbia ri
tenuto non ingannevole un messaggio pubblicitario, è stata riconosciuta da Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2005, n. 280, Foro it., 2005, III, 403. con osservazioni di A. Palmieri.
Nel senso che le associazioni dei consumatori e degli utenti sono le
gittimate ad intervenire nel giudizio instaurato da un consumatore avanti al giudice di pace per il recupero delle somme versate quale ca none per il servizio di depurazione delle acque reflue, a causa dell'ine sistenza del servizio, v. Cass. 23 luglio 2005, n. 15535, id., Mass., 1011
(nella fattispecie, anteriore all'entrata in vigore del d.l. 18/03, si era formato il giudicato in ordine all'affermata giurisdizione del giudice ordinario, in luogo di quella delle commissioni tributarie).
II. - Sull'ambito della tutela conseguibile con l'azione inibitoria ex art. 3 1. 281/98 dinanzi al giudice ordinario, v. App. Torino 1° marzo 2005 (Contratti, 2005, 1121, con nota di L. Nivarra, La tutela colletti va dei consumatori e l'anatocismo bancario), secondo cui non è con sentito in tale sede adottare pronunce di accertamento dell'illegittimità di determinate condotte, come aveva fatto il giudice di prime cure, a
proposito di una banca che rifiutava di riconoscere il diritto dei clienti al rimborso degli interessi addebitati in virtù di pattuizioni anatocisti che (Trib. Torino 19 febbraio 2003, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n.
29. ove è indicata con la data di decisione del 17 dicembre 2002); sulla
medesima problematica è intervenuto anche il tribunale ambrosiano, che ha inibito alla banca convenuta di opporre, alle richieste di restitu zione delle somme a detto titolo indebitamente percepite, un rifiuto che
si fondi sulla legittimità delle menzionate clausole (Trib. Milano 15
settembre 2004, id., 2004, I, 3481, con nota di A. Palmieri, Il retaggio dell'anatocismo «vecchia maniera» e la dimensione collettiva del ri
scatto per i clienti (consumatori) delle banche). Cfr., altresì, in materia di trasporto aereo, Trib. Palermo 15 luglio
2003, id., Rep. 2004, voce cit., n. 29 (e Dir. trasporti, 2004, 211, con
nota di B. Fiore, Ritardo nel trasporto aereo di persone: violazione del diritto dei consumatori alla qualità del servizio; Danno e resp., 2004,
875, con la citata nota di Conti); e, sui rapporti con l'azione inibitoria
li. Foro Italiano — 2006.
Ritenuto in fatto. — 1. - Con atto di citazione notificato il 29
ottobre del 2003 l'Associazione movimento consumatori con
venne innanzi al Tribunale di Torino la Education scuola e la
voro s.a.s. di Passerone Franco chiedendo che fosse dichiarato
che «i messaggi pubblicitari diffusi dalla convenuta e prodotti in
atti costituiscono pubblicità ingannevole ai sensi e per gli effetti
dell'art. 1 ss. d.leg. 74/92», che fosse inibito «ai sensi dell'art.
3, lett. a), 1. 281/98 l'utilizzo dei messaggi pubblicitari di cui in atti», che la convenuta fosse condannata «ai sensi dell'art. 3,
di cui all'art. 1469 sexies c.c. (oggi art. 37 cod. consumo), Trib. Roma 11 agosto 2003, Foro it.. Rep. 2004, voce Contratto in genere, n. 395.
Per l'inibitoria di clausole abusive contenute nelle condizioni gene rali di contratto, v. Trib. Bolzano 11 aprile 2005, id.. 2005, I, 3245, concernente la clausola con cui una banca obbligava i clienti a corri
spondere una somma a titolo di commissione per la richiesta di estin zione del conto, anche nell'ipotesi in cui questi ultimi esercitassero il diritto di recesso, a seguito della comunicazione da parte dell'istituto di credito della unilaterale modificazione dei tassi, dei prezzi e altre con
dizioni, e senza che la somma richiesta risultasse corrispondere a spese effettivamente sostenute da parte della banca e adeguatamente motiva te.
III. - Circa la tutela inibitoria esperibile dalle associazioni dei con sumatori dinanzi al giudice amministrativo, v. Cons. Stato, sez. V, 15 ottobre 2003, n. 6318, id.. Rep. 2004, voce Consumatori e utenti, n. 22, dove si riconosce a tali soggetti la possibilità di agire in sede giurisdi zionale quante volte l'amministrazione intimata si limiti a modificare le
proprie precedenti e contestate statuizioni, senza rimuovere o, comun
que, paralizzare i propri atti e comportamenti ritenuti, nel loro insieme, lesivi degli interessi dell'utenza.
L'art. 3 1. 281/98 risulta altresì evocato da Tar Lombardia, sez. I, 29 settembre 2004, n. 4195, ibid., voce Giustizia amministrativa, n. 621, ove si afferma la legittimazione di un'associazione di consumatori a ri correre contro le scelte compiute dall'ente locale che, nell'esercizio del
proprio potere organizzatorio, abbia privatizzato le farmacie comunali; Tar Toscana, sez. II, 22 dicembre 2003, n. 6233, ibid., n. 622, ove si af ferma la legittimazione di un'associazione dì consumatori a proporre domanda di accesso e ad agire in giudizio nei confronti del ministero della salute, al fine di ottenere l'ostensione di provvedimenti relativi alle revisioni dei foglietti illustrativi dei farmaci posti all'interno delle confezioni di medicinali.
Che un messaggio propagandistico non conforme alle prescrizioni legislative in materia di pubblicità (perché decettivo, menzognero, ope rante un confronto con modalità non ammissibili, foriero di pericoli per la salute dei consumatori, e così via) sia censurabile dinanzi al giudice ordinario non costituisce certo una novità. Lo si desume, del resto, dalla stessa disciplina legislativa, laddove in un sistema di tutela imperniato sul circuito «Agcm-giudice amministrativo», fa salva in alcuni casi la
giurisdizione ordinaria (v., attualmente, l'ultimo comma dell'art. 26 cod. consumo). Al di là delle ipotesi riferite esclusivamente alla pubbli cità comparativa (concernenti il diritto d'autore e le privative), il gri maldello è quello della concorrenza sleale. Se la reclame integra gli estremi della slealtà commerciale (anche per violazione dei parametri della correttezza professionale), si dischiudono le porte dei tribunali ordinari.
Sennonché, così inquadrata, un'azione di questo genere non poteva che essere intentata da un imprenditore o da un'associazione impren ditoriale, unici soggetti legittimati a far valere l'illecito concorrenziale. E ciò è accaduto più di una volta, specie al fine di bloccare in via d'ur
genza le campagne promozionali avviate da un concorrente (v., da ul
timo, Trib. Venezia, ord. 20 maggio 2005, Foro it., 2005, I, 3225, con
ampia nota di richiami di G. Casaburi, che in sede di reclamo ha con fermato il provvedimento cautelare con cui era stata inibita la diffusio ne di messaggi volti ad indurre i consumatori a ritenere che con le nuo ve lenti a contatto immesse sul mercato l'occhio si ossigenasse cinque volte di più rispetto alle «normali lenti», ciò sia a mezzo di espressioni atecniche e generiche, sia richiamando un «esperimento» che raffronta va tali lenti con altre di concorrenti, «illustrato» però senza alcun rigore scientifico).
Tuttavia, l'avvento della legislazione consumeristica aveva già allar
gato la platea, attribuendo una legittimazione autonoma anche alle as
sociazioni rappresentative di consumatori. Le sezioni unite avallano
tale scelta, che trova fondamento sulla normativa vigente all'epoca del
l'introduzione del giudizio (in particolare, art. 7, 14° comma, d.leg. 74/92 e art. 1, comma 2 bis, 1. 281/98), ma è del pari sostenibile anche
alla luce dell'odierna risistemazione delle materie coinvolte in seno al
codice del consumo (ivi sono, infatti, confluite le disposizioni sulla
pubblicità ingannevole e, dal canto proprio, l'art. 139 espressamente abilita dette associazioni «ad agire nelle ipotesi di violazione degli inte
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PARTE PRIMA
lett. b), 1. 281/98 ad adottare le misure idonee a correggere od
eliminare gli effetti dannosi delle violazioni de quibus secondo
le modalità accertande e determinande», che fosse ordinata la
pubblicazione per estratto della sentenza ai sensi dell'art. 3, lett.
c), 1. 281/98 e che, infine la Education fosse condannata al ri
sarcimento del danno, in favore dell'attrice, derivante dalla le
sione degli interessi collettivi dei consumatori.
Con ricorso del 4 novembre 2003 l'associazione attrice ri
chiese in corso di causa la tutela cautelare ai sensi degli art. 3, 6° comma, 1. 281/98 e 669 bis ss. c.p.c.
Con ordinanza depositata il 22 dicembre 2003 il giudice sin
golo del tribunale rigettò le istanze cautelari per essere il giudi ce ordinario carente di giurisdizione in ordine alle domande
proposte. Osservò che, vertendosi in ipotesi di pubblicità ingan nevole, i provvedimenti richiesti avrebbero potuto essere adot
tati solo dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
L'associazione ricorrente propose reclamo ex art. 669 terde
cies c.p.c. ed il tribunale in composizione collegiale lo ha riget tato con ordinanza 23-30 gennaio 2004, confermando il provve dimento impugnato.
2. - Ha rilevato il tribunale che l'art. 7 d.leg. 74/92 riserva la
tutela in materia di pubblicità ingannevole all'Agcm (avverso le
cui decisioni è ammesso solo il ricorso al giudice amministrati
vo) e che è ininfluente che il 14° comma dello stesso articolo
(introdotto dall'art. 5 d.leg. 67/00) richiami, per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti, l'art. 3 1.
281/98. Ciò in quanto l'art. 3 cit., prevedendo che le associazio
ni dei consumatori e degli utenti sono legittimate ad agire in
nanzi al «giudice competente», non precisa tuttavia di quale
giudice si tratti; sicché occorre pur sempre aver riguardo, per individuarlo, al 13° comma dell'art. 7 d.leg. 74/92, che fa salva
la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di con correnza sleale e, quanto alla pubblicità comparativa, per gli atti
compiuti in violazione della legge sul diritto d'autore, del mar
chio d'impresa, di denominazioni di origine riconosciute e pro tette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi
concorrenti. Il richiamo all'art. 3 1. 281/98 avrebbe dunque il
solo significato dell'attribuzione anche alle associazioni dei
consumatori e degli utenti della legittimazione ad agire innanzi
al giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale (an che in deroga all'art. 2601 c.c.) e negli altri casi sopra indicati;
mentre, in tema di pubblicità ingannevole, le associazioni dei
consumatori potrebbero comunque rivolgersi esclusivamente al
l'autorità garante e, in seconda battuta, al Tar.
Se si ragionasse diversamente — continua il tribunale — si
determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra le
associazioni dei consumatori da una parte, e tutti gli altri sog
getti (singoli consumatori, imprenditori, ecc.) dall'altra. Solo i
primi, infatti, potrebbero scegliere se domandare la tutela al
giudice ordinario o all'autorità, mentre tutti gli altri sarebbero
«tenuti a seguire la regola della ripartizione tra le due giurisdi zioni in base all'oggetto del contendere».
3. - Rinviata la causa all'udienza del 7 aprile 2004 per gli in
combenti di cui all'art. 183 c.p.c., l'Associazione movimento
consumatori ha proposto regolamento preventivo di giurisdizio ne con ricorso notificato il 6 aprile 2004, illustrato anche da
memoria.
La società intimata non ha svolto attività difensiva.
Il pubblico ministero, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto
che sia affermata la giurisdizione del giudice ordinario sui rilie
ressi collettivi dei consumatori nelle materie disciplinate dal presente codice»). D'altronde, a voler ritenere insussistente la giurisdizione or dinaria, ne sarebbe derivata un'impossibilità di esercitare l'azione ini bitoria collettiva in sede giurisdizionale. A parte l'ipotesi peculiare di contestazione della legittimità di provvedimenti amministrativi che ab biano dato un assenso preventivo alla pubblicità (art. 26, 13° comma, cod. consumo), il Tar può essere adito solo in seconda battuta per im
pugnare le delibere dell'Agcm (anche se favorevoli all'operatore pub blicitario, come ha chiarito Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2005, n. 280, cit.). Naturalmente, le associazioni potranno comunque ritenere
opportuno sollecitare l'intervento dell'Agcm, onde attivarne i poteri istruttori (in grado di supplire ad eventuali lacune del materiale offerto a sostegno della richiesta, anche grazie al peculiare regime probatorio che caratterizza il procedimento) e contare sulla capacità afflittiva della sanzione amministrativa irrogata in caso di accertamento della viola zione. [A. Palmieri]
Il Foro Italiano — 2006.
vi che l'art. 7 d.leg. n. 74 del 1992, come sostituito dall'art. 5
d.leg. n. 67 del 2000 (poi modificato con legge successiva al
l'introduzione del giudizio, dunque ininfluente ex art. 5 c.p.c.),
prevede espressamente che per la tutela degli interessi collettivi
dei consumatori e degli utenti si applichi l'art. 3 1. 30 luglio 1998 n. 281; che tale articolo a sua volta prevede che le associa
zioni iscritte nell'elenco di cui all'art. 5 possono agire diretta
mente davanti al «giudice competente»; che tale giudice non
può essere che quello ordinario in relazione alla natura di diritto
soggettivo dell'interesse tutelato; che a tale conclusione non
osta l'eventuale (in relazione alla previsione di cui all'ultimo
comma dell'art. 3 1. n. 281 del 1998) diversità di trattamento tra
le associazioni ed i singoli, quale prospettata dal tribunale nella
decisione sul reclamo, in quanto la natura collettiva dell'interes
se tutelato può, sul piano della ragionevolezza, giustificare la
scelta del legislatore. Considerato in diritto. — 1. - Va pregiudizialmente rilevato
che il regolamento è ammissibile in quanto, come costantemente
affermato da queste sezioni unite (ex multis, 14070/03, Foro it.,
Rep. 2003, voce Giurisdizione civile, n. 200; 17078/03, ibid., n. 201; 8212/05, id., Mass., 483; 16603/05, ibid., 1145), la propo sizione del regolamento preventivo di giurisdizione non è pre clusa dalla circostanza che il giudice adito per il merito abbia
provveduto su una richiesta di provvedimento cautelare, pur se
ai fini della pronuncia abbia risolto in senso negativo una que stione attinente alla giurisdizione, ovvero sia intervenuta pro nunzia sul reclamo avverso il provvedimento cautelare, in
quanto il provvedimento reso sull'istanza cautelare non costitui
sce sentenza e la pronunzia sul reclamo mantiene il carattere di
provvisorietà proprio del provvedimento cautelare.
2. - Deve poi osservarsi preliminarmente che, alla stregua del
principio posto dall'art. 5 c.p.c., secondo il quale la giurisdizio ne e la competenza si determinano con riguardo alla legge vi
gente al momento della proposizione della domanda, non assu
me rilievo che tutte le norme che vengono in considerazione
non siano più vigenti dall'entrata in vigore del d.leg. 6 settem
bre 2005 n. 206 (recante «codice del consumo, a norma dell'art.
7 1. 29 luglio 2003 n. 229»), il cui art. 146 ha abrogato il d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74, la 1. 30 luglio 1998 n. 281 ed il d.leg. 25 febbraio 2000 n. 67; ed i cui art. 139 e 140 prevedono, peraltro, la legittimazione delle associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell'elenco di cui all'art. 137 di agire innanzi al
tribunale per la tutela degli interessi collettivi.
3. - La questione posta col regolamento va risolta nel senso
della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario a co
noscere della domanda, con la quale l'associazione dei consu
matori attrice, inserita nell'elenco di cui all'art. 5 1. n. 281 del
1998, aveva domandato l'inibizione degli atti di pubblicità in gannevole e la condanna della società che li aveva posti in esse
re al risarcimento del danno.
L'art. 7 d.leg. n. 74 del 1992 (recante «attuazione della diret
tiva 84/450/Cee in materia di pubblicità ingannevole. Ecolo
gia»), come sostituito dall'art. 5 d.leg. n. 67 del 2000 (recante «attuazione della direttiva 97/55/Ce, che modifica la direttiva
84/450/Cee, in materia di pubblicità ingannevole e comparativa.
Ecologia»), sotto la rubrica «tutela amministrativa e giurisdizio nale» prevede, al 14° comma (introdotto con d.leg. 67/00 e che
non compariva nel testo originario), che «per la tutela degli inte
ressi collettivi dei consumatori e degli utenti derivanti dalle di
sposizioni del presente decreto si applica l'art. 3 1. 30 luglio 1998 n. 281» (recante «disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti. Ecologia»).
Tale disposizione stabilisce, al 1° comma, che le associazioni
dei consumatori e degli utenti inserite nell'elenco di cui all'art.
5 sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi ri
chiedendo al giudice competente tutto quanto nella specie do
mandato dall'associazione attrice.
Ora, che per «giudice competente» non possa intendersi
l'Autorità garante della concorrenza e del mercato direttamente
discende dal rilievo che l'autorità istituita dall'art. 10 1. 10 otto
bre 1990 n. 287 non è un giudice, com'è stato in ogni sede cor
rettamente ritenuto (Corte giust. 31 maggio 2005, causa C
53/03, id., 2005, IV, 440; Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, id., 2002, III, 482), ma un'amministrazione dello Stato
ad ordinamento autonomo (Cons. Stato, sez. I, 25 ottobre 2000, n. 260/99, id., Rep. 2001, voce Amministrazione dello Stato, n.
178).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Né un'interpretazione della norma che si risolva nel ricono
scimento alle associazioni dei consumatori della possibilità di
chiedere la tutela inibitoria all'autorità ovvero al «giudice com
petente» appare in contrasto con le norme comunitarie in mate
ria di pubblicità ingannevole. La citata direttiva 84/450/Cee
prevede infatti, all'art. 4, 1° comma, che i mezzi da apprestare dagli Stati membri «per combattere la pubblicità ingannevole e
garantire l'osservanza delle disposizioni in materia di pubblicità
comparativa nell'interesse sia dei consumatori che dei concor
renti e del pubblico in generale» possono comportare la possi bilità, per persone od organizzazioni aventi un legittimo interes
se di «a) promuovere un'azione giudiziaria contro tale pubbli cità e/o b) sottoporre tale pubblicità al giudizio di un'autorità
amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi...».
Agli Stati membri era dunque data la possibilità di prevedere forme di tutela affidate sia in via esclusiva all'autorità ammini
strativa, sia in via esclusiva all'autorità giudiziaria, sia all'una
«e» all'altra.
Conclusione questa ulteriormente avallata dal disposto del
l'art. 7 della stessa direttiva, il quale prevede che essa non si
oppone al mantenimento o all'adozione da parte degli Stati
membri di disposizioni che abbiano lo scopo di garantire una
più ampia tutela, in materia di pubblicità ingannevole, dei con
sumatori, delle persone che esercitano un'attività commerciale,
industriale, artigianale o professionale, nonché del pubblico in
generale. E va soggiunto che l'art. 1, comma 2 bis, 1. 281/98
(nel testo aggiunto dall'art. 1 d.leg. 23 aprile 2001 n. 224) pre vede che la legge si applichi nelle ipotesi di violazioni degli in teressi collettivi dei consumatori contemplati nelle direttive eu
ropee di cui all'allegato; allegato che, fra le tante, menziona an
zitutto la direttiva cui si sta facendo riferimento, attuata con
d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74.
4. - Non appare poi dubitabile che il «giudice competente» cui si riferisce l'art. 3 1. n. 281 del 1998 debba essere indivi
duato, in mancanza di diversa disciplina, in quello ordinario, in
relazione alla natura di diritto soggettivo (sia pure collettivo) dell'interesse tutelato, non essendo configurabili ipotesi di su
bordinazione di tale interesse a quello generale, con conse
guente qualificazione della situazione giuridica tutelata come
interesse legittimo. La stessa 1. 30 luglio 1988 n. 281 qualifica del resto come
fondamentale il diritto dei consumatori e degli utenti «ad
un'adeguata informazione e ad una corretta pubblicità» (art. 1, 2° comma, lett. c).
5. - Va infine osservato che non appare irragionevole — co
me ritenuto dal tribunale — la diversità di trattamento tra il sin
golo consumatore, che può rivolgersi solo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato per richiedere l'inibizione degli atti di pubblicità ingannevole (ex art. 7 d.leg. 74/92, come so
stituito dall'art. 5 d.leg. 67/00), e le associazioni dei consumato
ri e degli utenti iscritte nell'elenco di cui s'è detto, che per la
tutela inibitoria degli interessi collettivi possono rivolgersi sia
alla predetta autorità (ai sensi dell'art. 7 cit.) che al giudice or
dinario (ex art. 3 1. 281/98). Per un verso, invero, è stato chiarito che gli interessi diffusi
(in quanto pertinenti alla sfera soggettiva di più individui in re lazione alla loro qualificazione o in quanto considerati nella loro
particolare dimensione) sono «adespoti» e possono essere tute
lati in sede giudiziale solo in quanto il legislatore attribuisca ad
un ente esponenziale la tutela degli interessi dei singoli compo nenti una collettività, che così appunto assurgono al rango di
interessi «collettivi».
Per altro verso, l'esclusione dell'accesso dei singoli alla tu
tela giudiziale appare giustificata dall'esigenza di evitare che
una pluralità indefinita di interessi identici sia richiesta con un
numero indeterminato di iniziative individuali seriali miranti
agli stessi effetti, con inutile aggravio del sistema giudiziario e
conseguente dispersione di una risorsa pubblica; e con frustra
zione, inoltre, dell'effetto di incentivazione dell'aggregazione
spontanea di più individui in un gruppo esponenziale. Il che, so
prattutto in sistemi cui è ignota la tutela dei diritti individuali
omogenei da parte di singoli (invece tipica delle class actions, nelle quali il costo del processo non è però sopportato in proprio
dall'attore), vale anche ad equilibrare l'entità delle risorse che
ciascuna parte ha interesse ad investire nella controversia.
li. Foro Italiano — 2006.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 28 marzo 2006, n. 7028; Pres. Carbone, Est. Morelli, P.M.
Iannelli (conci, conf.); Traviso (Avv. Spagnolo, Ferrari) c.
Fall. Galizia (Avv. Stramaglia). Conferma App. Bari 2 lu
glio 2002.
Fallimento — Revocatoria fallimentare — Danno — Pre
giudizio patrimoniale — Esclusione — Alterazione della
«par condicio creditorum» (Cod. civ., art. 2901; r.d. 16
marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 67).
L'azione revocatoria fallimentare di una vendita eseguita dal
fallito nell'anno anteriore alla dichiarazione del fallimento non presuppone la dimostrazione di un danno patrimoniale, essendo sufficiente che per effetto dell'atto oggetto di revoca
sia alterata la par condicio creditorum ricollegabile, per pre sunzione legale ed assoluta, all'uscita del bene dalla massa
conseguente all'atto di disposizione; pertanto, ove il curatore
provi la conoscenza dello stato d'insolvenza da parte del
l'acquirente, è irrilevante la circostanza che il prezzo rica
vato dalla vendita sia stato utilizzato dall'imprenditore, poi
fallito, per pagare un suo creditore privilegiato. (1)
(1) La prima sezione civile della corte, con ordinanza 5 gennaio 2005, n. 193, Giur. it., 2005, 739, e Guida al dir., 2005, fase. 6, 46, ha rimesso all'esame delle sezioni unite la questione relativa alla esatta individuazione della funzione dell'azione revocatoria fallimentare, fa cendo emergere, in particolare, due dissonanti indirizzi interpretativi: secondo quello più risalente l'azione revocatoria fallimentare avrebbe natura indennitaria mirando a restaurare il pregiudizio sofferto dal pa trimonio dell'impresa insolvente (da ultimo, Cass. 4 maggio 1983, n.
3050, Foro it., 1983, I, 2481; vi sono ulteriori pronunce nelle quali pur dichiarandosi adesione alla tesi della natura indennitaria, in realtà si fa riferimento al danno alla par condicio e non al patrimonio dell'im
presa: cfr. Cass. 4 aprile 1997, n. 2936, id., Rep. 1998, voce Falli
mento, n. 532; 10 novembre 1992, n. 12091, id.. Rep. 1992, voce cit., n.
456); secondo quello più recente, la revocatoria avrebbe natura anti-in dennitaria mirando soltanto a ridistribuire fra tutti i creditori le risorse
dell'impresa, raccogliendole anche fra coloro che sarebbero stati soddi sfatti prima dell'apertura del concorso (Cass. 1° settembre 2004. n.
17524, id., Rep. 2004, voce cit.. n. 381; 14 novembre 2003, n. 17189, id., Rep. 2003, voce cit., n. 412; 11 novembre 2003, n. 16915, id., 2004, I, 410; in tale ultima decisione si era precisato che «nell'azione revocatoria fallimentare, che concerne atti posti in essere quando già sussisteva lo stato d'insolvenza, il carattere pregiudizievole dell'atto non può essere valutato in relazione alla sufficienza dell'attivo falli mentare al pagamento del passivo, poiché detta circostanza non esclude
l'insolvenza, e va invece valutato in riferimento all'aggravamento del
l'insolvenza, potendo consistere nella lesione della par condicio credi
torum, ossia nella violazione delle regole di collocazione dei crediti,
implicando inoltre le ipotesi di revocatoria fallimentare una presun zione di danno, cosicché grava sul convenuto in revocatoria l'onere di dimostrarne l'insussistenza»; 6 novembre 1999, n. 12358, id., 2000, I, 102, con nota di richiami).
A ben vedere il contrasto era più apparente che reale, nel senso che l'abbandono della tesi indennitaria nella sua radice più profonda, risale ormai alla metà degli anni ottanta.
Diverso è invece il discorso per ciò che attiene alla dottrina nella qua le alla tesi anti-indennitaria (sviluppata da Maffei Alberti, II danno nel la revocatoria, Padova, 1970, 241; D'Alessandro, La revoca dei pa gamenti nel fallimento, Milano, 1972; più di recente, M. Fabiani, Revo catoria fallimentare: attualità dell'istituto e degli aspetti processuali, in
Fallimento, 1996, 107) si è contrapposta la tesi volta a recuperare la no zione del pregiudizio come elemento caratterizzante l'azione, in sintonia con quanto previsto per la revocatoria ordinaria (per restare agli autori che hanno affrontato il tema di recente anche con uno sguardo verso la
riforma. Terranova, Le procedure concorsuali. Problemi d'una ri
forma, Milano, 2004. 120; Costa, La revocatoria fallimentare ed il pro getto di riforma, in Dir. fallim., 2004, I, 139; Pacchi, La revocatoria
concorsuale, in Genesi e futuri sviluppi della riforma delle procedure concorsuali, in Fallimento, 2004, suppl. al n. 12; Corsi, L'azione revo catoria: dalla natura indennitaria alla tipologia dei pagamenti, id., 2004. 1181 ; Bertacchini, La revocatoria fallimentare nelle prospettive di
riforma: tra esigenze di stabilità e ragioni di efficienza, in Giur. it., 2002, 885; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2001, 345; Bregoli, Effetti e natura della revocatoria, Milano, 2001, 76).
La Suprema corte nel risolvere il conflitto, prende decisamente posi zione a favore della tesi anti-indennitaria, ribadendo con chiarezza che ai fini della revocatoria non rileva ciò che entra nel patrimonio del fal lito ma soltanto ciò che fuoriesce (significativa è la precisazione per la
quale interessa «il recupero, comunque, di ciò che, uscendo dal patri monio del debitore nell'attualità di una situazione di insolvenza, sot
tragga il beneficiario alla posizione di creditore concorrente»). Ma con la decisione in rassegna i giudici di legittimità non solo con
dividono con poche titubanze l'orientamento più recente, ma si premu
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