sezioni unite civili; ordinanza 30 gennaio 1985, n. 59; Pres. Mirabelli, Rel. Tondo, P. M.Morozzo Della Rocca (concl. diff.); PietroniSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 3 (MARZO 1985), pp. 693/694-695/696Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177426 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di lavoro, ma sul rapporto di gestione e sul principio del
neminem laedere. (Omissis) L'altra azione si basa a sua volta su un asserito incarico
fiduciario di gestione fuori bilancio di somme che dovevano
essere erogate per i fini dell'istituto (e che invece avrebbero
ricevuto una destinazione diversa ed illecita). Ma tale incarico, che la ricorrente definisce simile al mandato,
è stato conferito non a persona estranea, ma al direttore generale dell'istituto e costituisce quindi un'ulteriore mansione attribuita
dal datore di lavoro al proprio dipendente. In sostanza il rapporto di lavoro fra l'Arcaini e l'I.c.c.r.i.
comprendeva non solo le funzioni proprie di un direttore genera le dell'istituto, ma anche quella di gestire somme fuori bilancio
per i fini dell'istituto medesimo.
E i fondi neri, di cui disponeva il dipendente, non erano somme a lui pervenute illegittimamente e all'insaputa del datore
di lavoro per atti fraudolenti da lui commessi, ma eirano sonarne a
lui affidate dall'istituto in esecuzione dell'incarico di gestione per i fini propri dell'istituto e quindi nell'ambito del rapporto di
lavoro.
Se poi il dipendente non ha gestito correttamente tali somme, ne risponderà in sede civile per violazione dell'obbligo di dili
genza a norma dell'art. 2104 c.c. e in sede penale, se tale violazione abbia concretato gli estremi del dolo.
Anche per quest'azione sussiste dunque la competenza del
giudice del lavoro, competenza che la giurisprudenza di questa corte ha ritenuto sussistente non solo quando si stratta di condotta infedele del dipendente (o dell'agente) che costituisca anche illecito penale (vedi Cass. 5 marzo 1979, n. 1390, id., Rep. 1979, voce cit., n. 75), ma anche quando si tratta di veri e propri fatti illeciti (art. 2043 c.c.) addebitati ai dipendenti (o agli agenti) in relazione e in occasione dello svolgimento delle prestazioni di
lavoro (vedi in questo senso Cass. 8 giugno 1983, n. 3916, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 112; 11 febbraio 1980 n. 956, id., Rep. 1980, voce cit., n. 75).
L'istanza di regolamento di competenza va dunque rigettata. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; ordinanza 30
gennaio 1985, n. 59; Pres. Mirabelli, Rei. Tondo, P. M. Mo
rozzo Della Rocca (conci, diff.); Pietroni.
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura — Ricu
sazione di un numero di componenti superiore ai supplenti —
Competenza delle sezioni unite della Cassazione (Cod. proc.
pen., art. 68; 1. 3 gennaio 1981 n. 1, modificazioni alla 1. 24
marzo 1958 n. 195 e al d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, sulla
costituzione ed il funzionamento del Consiglio superiore della
magistratura, art. 1, 2).
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura — Ricu
sazione in massa o di un numero di componenti superiore ai
supplenti — Inammissibilità (Cod. proc. pen., art. 61, 64; 1. 3
gennaio 1981 n. 1, art. 1, 2).
Nell'ipotesi in cui venga ricusato un numero di componenti la
sezione disciplinare del C.S.M. superiore ai componenti sup
plenti (sei), la competenza a giudicare sull'istanza di ricusazione
spetta non alla stessa sezione disciplinare, ai sensi dell'art. 2 l.
3 gennaio 1981 n. 1, ma rivive la generale competenza, di cui
all'art. 68 c.p.p., del giudice dell'impugnazione e quindi, nel
caso, delle sezioni unite della Corte di cassazione. (1) È inammissibile l'istanza di ricusazione in massa dei componenti
la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura o comunque quella di un numero di essi tale da non potere
essere ovviata mediante i sei membri supplenti. (2)
(1-2) Sulla ricusazione di componenti della sezione disciplinare del
Consiglio superiore della magistratura v. Cons. sup. magistratura, sez.
disciplinare, ord. 2 luglio 1982, Foro it., 1982, III, 515, con nota di
richiami. In ordine al fenomeno della ricusazione in massa di un intere
collegio giudicante v., da ultimo, Cass. 16 maggio 1981, Vitalone, id.,
1982, II, 183, con nota di richiami. Con riguardo alla incompatibilità prevista dall'art. 51, n. 4, c.p.c.,
cui si fa cenno nella parte conclusiva della decisione sopra riportata, la
giurisprudenza, ormai costante, ha precisato che deve trattarsi di un
Il Foro Italiano — 1985.
Vista l'ordinanza del 21 settembre 1984, con la quale la sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha rimesso a
queste sezioni unite, ai sensi dell'art. 68 c.p.p., l'istanza di
ricusazione proposta, in sede di giudizio di rinvio, dall'incolpato Romolo Pietroni nei confronti di sette componenti della stessa
sezione disciplinare, che erano concorsi a deliberare la decisione
10 gennaio 1983, annullata per quanto di ragione da queste sezioni unite con sentenza del 2 aprile 1984, n. 2144 (Foro it.,
1984, I, 1207); letta la requisitoria del procuratore generale presso questa corte,
in data 29 novembre 1984, con la quale è stata richiesta la
dichiarazione di non luogo a provvedere, con restituzione degli atti alla sezione disciplinare, competente a provvedere sulla
istanza;
ritenuto, pregiudizialmente, che tale richiesta deve essere disat
tesa, perché se è vero che l'ult. comma dell'art. 6 1. 24 marzo
1958 n. 195, nel testo sostituito dall'art. 2 1. 3 gennaio 1981 n. 1, attribuisce ora alla stessa sezione la competenza a decidere sulla
ricusazione di un proprio componente « previa sostituzione del
componente ricusato con il supplente corrispondente », parimenti certo è che tale competenza viene meno, per difetto della
condizione cui è subordinata, allorché, come nella specie, i sei
componenti supplenti (art. 4 1. n. 195/58 nel testo sostituito
dall'art. 1 1. n. 1/81) non siano sufficienti alla previa, integrale sostituzione dei componenti ricusati, con la conseguenza che, in
tal caso, non può non rivivere la generale competenza, di cui
all'art. 68 c.p.p., del giudice dell'impugnazione e quindi, ai sensi
del 3° comma dell'art. 17 1. n. 195/58, di queste sezioni unite;
considerato, ciò premesso, che i cit. art. 4 e 6 1. n. 195/58, nel
testo rispettivamente sostituito dagli art. 1 e 2 1. n. 1/81, nel
disciplinare organicamente la composizione della sezione discipli nare e le sostituzioni attuabili nell'ambito di essa nei casi di
assenza, impedimento, astensione e ricusazione, prevedono la
sostituzione, mediante i precostituiti supplenti, soltanto di sei
componenti effettivi;
che, inoltre, per i due magistrati di tribunale è prevista la
nomina di un solo supplente, sicché essi non potrebbero mai, se
entrambi ricusati, essere contemporaneamente sostituiti; che, in
fine, la detta normativa non prevede, in stretto ossequio al
principio della precostituzione del giudice, la possibilità di appli cazioni temporanee assimilabili a quella prevista dall'art. Ili r.d.
30 gennaio 1941 n. 12 (ordinamento giudiziario); tutto ciò consi
derato, si deve ritenere che la ricusazione in massa dei compo nenti la sezione o comunque quella di un numero di essi tale da
non poter essere ovviata mediante i sei supplenti, sia inammissibi
le, perché, come queste sezioni unite hanno già statuito (v. sent.
20 dicembre 1972, n. 3627, id., Rep. 1972, voce Astensione e
ricusazione del giudice, n. 3), nei casi in cui non sussista la
possibilità di sostituzione del giudice ricusato o norme che
regolino diversamente tale eventualità (ad es. art. 70, ult. comma,
c.p.p.), l'istituto della ricusazione non può operare gli effetti suoi
propri, in quanto, se applicato, condurrebbe alla paralisi della
funzione giurisdizionale, che è pur sempre essenziale e prioritaria anche rispetto alle giustificate esigenze di una decisione scevra da
sospetti di parzialità o di prevenzione; il che è già sufficiente per concludere che — anche ad ammettere che l'incompatibilità a
partecipare al giudizio di rinvio, prevista dal 1° comma dell'art.
61 c.p.p., sia realmente applicabile nel procedimento disciplinare in esame — essa, tuttavia, non potrebbe mai condurre alla
ricusazione, a norma dell'art. 64, n. 6, dello stesso codice, di tutti
diverso grado e non di una diversa fase, relativa allo stesso grado del
procedimento e, conseguentemente, si è escluso l'obbligo di astensione
per il g.i. nel giudizio sul reclamo contro le sue ordinanze (Cass. 12
luglio 1952, n. 2164, id., Rep. 1952, voce Ricusa del giudice, n. 5), per il presidente o l'istruttore che pronuncia alcuni dei provvedimenti sull'esecuzione provvisoria ex art. 351 c.p.c. nel giudizio d'appello (Cass. 25 febbraio 1949, n. 359, id., Rep. 1949, voce Appello civile, n.
15), per il giudice che ha emesso decreto ingiuntivo, nel giudizio sulla
opposizione (App. Trento 13 marzo 1956, id., Rep. 1956, voce Ricusa del giudice, n. 16), per il giudizio di rinvio (Cass. 20 febbraio 1953, n.
401, id., Rep. 1953, voce Rinvio civile, n. 23) e io quello di
revocazione (Cass. 19 luglio 1965, n. 1624, id., Rep. 1965, voce cit., n.
4), per i giudici che hanno pronunciato la sentenza impugnata con
opposizione di terzo ordinaria, nel giudizio sulla domanda di opposi zione (Cass. 9 giugno 1969, n. 2033, id., 1969, I, 1683), per il giudice che ha emanato un provvedimento provvisorio, ai sensi dell'art. 700
c.p.c. (Trib. Milano, ord. 9 novembre 1981, id., 1981, I, 2997). In tema di ricusazione v., da ultimo, Cass. 14 febbraio 1984, n.
1113, id., 1984, I, 957, con nota di Romboli; ord. 28 gennaio 1984, n.
55, ibid., 978, con nota di richiami; App. Milano, ord. 30 marzo 1983, ibid., 11, 587, con nota di richiami.
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PARTE PRIMA
i componenti del collegio o di un numero di essi tale da rendere
impossibile la loro sostituzione totale (non sarebbe infatti possibi le accedere all'ibrida, inappagante soluzione di riconoscere alla
ricusazione un'efficacia parziale, e cioè nei limiti in cui la
sostituzione è possibile, se non altro per la ragione che difetta
ogni criterio per stabilire, laddove una scelta si imponga, quale dei componenti debba essere escluso e quale debba essere invece
trattenuto); senonché, una volta considerato che la partecipazione alla deliberazione della decisione annullata è normalmente riferi
bile a tutti (o alla gran parte) dei componenti del collegio che
deve poi inevitabilmente, data la unicità dell'organo giurisdiziona le, provvedere in sede di rinvio (cosi da poter essere considerata
un'eventualità fisiologica del sistema), si deve più appropriatamen te ritenere che la disciplina della 1. n. 1/81, prevedendo, ciò
nonostante, la sostituibilità di soli sei componenti e non appre stando poi altro congruo rimedio, implica deroga alle disposizioni dei cit. art. 61, 1° comma, e 64, n. 6, c.p.p., manifestamente con essa incompatibili, avvicinandosi cosi, sotto questo aspetto, al
rito civile, nel quale è ammesso — essendo l'incompatibilità di cui all'art. 51, n. 4, c.p.c. esclusivamente correlata alle esigenze
proprie della pluralità dei gradi di giurisdizione, non già a quelle delle diverse fasi di uno stesso grado — che il magistrato che ha
partecipato alla deliberazione della sentenza cassata possa far
parte del collegio in sede di rinvio (v. in generale sent. 20
febbraio 1953, n. 401, id., Rep. 1953, voce Rinvio civile, n. 23; e, con riferimento alla particolare ipotesi della cassazione con rinvio alla stessa sezione specializzata agraria, v. sent. 23 febbraio
1983, n. 1405, id., Rep. 1983, voce Contratti agrari, n. 502). Per questi motivi, la corte, pronunciando a sezioni unite,
dichiara inammissibile l'istanza di ricusazione ed ordina la resti tuzione degli atti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura per l'ulteriore corso del procedimento.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 gen naio 1985, n. 422; Pres. Pennacchia, Est. Farinaro, P.M.
La Valva (conci, conf.); I.n.p.s. (Avv. Cerritelli, Giordano) c. Soc. calzaturificio MarelLi. Cassa Trib. Varese 24 settem
bre 1979.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Cassa inte
grazione guadagni — Anticipazione ai lavoratori delle integra zioni salariali — Richiesta di rimborso del datore di lavoro —
Termine perentorio — Inosservanza — Decadenza dal diritto al
rimborso (Cod. proc. civ., art. 443; disp. att. cod. proc. civ., art.
148; d.l.c.p.s. 12 agosto 1947 n. 869, nuove disposizioni sulle
integrazioni salariali, art. 9; 1. 11 agosto 1973 n. 533, disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in
materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, art. 8; 1. 20
maggio 1975 n. 164, provvedimenti per la garanzia del salario, art. 16).
Decade dal diritto al rimborso delle integrazioni salariali antici
pate ai dipendenti il datore di lavoro che non ne proponga la
richiesta entro il prescritto termine perentorio (sei mesi dal
periodo di paga in corso alla data di scadenza della concessio
ne), che, avendo natura sostanziale, esula dalle previsioni dell'art. 148 disp. att. c.p.c. e dell'art. 8 l. n. 533/73. (1)
(1) La sentenza in epigrafe applica — alla richiesta di rim borso delle integrazioni salariali anticipata dal datore di lavoro ai
propri dipendenti — il consolidato principio di diritto (sul quale vedi Cass. 23 febbraio 1984, n. 1280, 15 maggio 1984, n. 2954, Foro it., 1984, I, 1888 e 2208, con note di richiami, cui adde Cass. 21 gennaio 1984, n.
531, id., Mass., 108, e, per esteso, in Giust. civ., 1984, I, 496; 20 aprile 1984, n. 2608, 9 maggio 1984, n. 2841, 1° giugno 1984, n. 3334, 21 giu gno 1984, n. 3684, 12 luglio 1984, n. 4078, Foro it., Mass., 515, 572, 680, 748, 824), secondo cui né l'art. 148 disp. att. c.p.c., che abroga espressamente le disposizioni che subordinino la proponibilità (e non
già soltanto la procedibilità, ai sensi dell'art. 443 c.p.c.) dell'azione
giudiziaria al previo esperimento di procedure amministrative con
tenziose, né l'art. 8 1. n. 533/73, che vieta di tener conto nelle medesime procedure di vizi, preclusioni e decadenze, estendono il loro ambito di applicazione alla richiesta iniziale, rivolta all'istituto
previdenziale, per far valere un diritto sostanziale nei suoi confronti, dai lavoratori, nelle fattispecie che hanno formato oggetto dei menzio
nati precedenti, o dei datori di lavoro, nel corso considerato dalla
sentenza in epigrafe. Conferma implicita di tale principio giurisprudenziale è desumibile
(secondo Cass. n. 531/84, cit.) dalla disposizione dell'art. 2 quater della
Il Foro Italiano — 1985.
Motivi della decisione. — L'eccezione d'inammissibilità per tardività del ricorso è palesemente infondata, decorrendo i termini
dal deposito della sentenza e non dalla pronuncia del dispositivo. Col primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
dell'art. 9 d.l.c.p.s. 12 agosto 1947 n. 869, modif. dall'art. 16 1. n.
164/75, in riferimento all'art. 8 1. n. 533/73, nonché difetto di
motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) e si deduce che il
tribunale, dopo di aver esattamente ritenuto la natura perentoria del termine di cui all'art. 9 d.l.c.p.s. n. 869/47, avrebbe erronea
mente da una parte rilevato, inconcludentemente, che l'art. 16 1. n.
164, modificando l'art. 9 suddetto, in ordine alla durata del
termine, non ne avrebbe confermato la natura perentoria (ma
neanche escluso) e ritenuto, dall'altra, che il termine stesso in
quanto attinente al procedimento amministrativo per realizzare il
conguaglio ricadrebbe nella previsione dell'art. 8 1. n. 533/73,
secondo cui si deve tener conto dei vizi, delle preclusioni e delle
decadenze previsti nelle procedure riguardanti le controversie
previdenziali ed assistenziali, senza considerare che nella specie si
trattava del datore di lavoro e non dell'assicurato, al quale esclusivamente si riferisce la norma di cui all'art. 8 del diritto al
conguaglio delle anticipazioni, diritto già sorto, di cui non si
discuteva l'esistenza.
Col secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1203 c.c., in relazione al disposto degli art. 9 d.l.c.p.s. n.
869/47 e 16 1. n. 164/75, nonché insufficiente e contraddittoria
motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) e si deduce che il
tribunale avrebbe erroneamente, al fine di corroborare la tesi
della sostanziale equiparazione della posizione del datore di
lavoro in ordine alla pretesa di conguaglio delle anticipazioni a
quella dell'assicurato creditore dell'I.n.p.s., richiamato l'art. 1203
c.c., relativo alla surrogazione legale di colui che, tenuto per altri
al pagamento di un debito, paga senza considerare che nella
specie non ne ricorrevano i presupposti, essendo la fattispecie
dell'obbligo del datore alle anticipazioni delle prestazioni ai
dipendenti in cassa regolata interamente dall'art. 12, 2° comma,
d.l.lgt. 9 novembre 1945 n. 788.
I due motivi palesemente connessi possono essere esaminati
congiuntamente. Essi sono fondati.
Anzitutto, deve rilevarsi, contrariamente a quanto ritenuto dal
tribunale, che la natura perentoria del termine previsto dall'art. 9
d.l.c.p.s. 12 agosto 1947 n. 869, ratificato con 1. 21 maggio 1951 n.
498, secondo cui « la richiesta di rimborso delle integrazioni
corrisposte ai lavoratori non è ammessa dopo trascorsi tre mesi
dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine
di durata della concessione », non risulta snaturata dalla modifica
sopravvenuta a norma dell'art. 16 1. n. 164/75, la quale si limita a
disporre che il termine suddetto « è elevato a sei mesi », lasciando
nel resto intatta la formulazione della previsione dell'art. 9
ripetuto, nella sua ratio e nella sua funzione di assoggettare a un
termine perentorio l'esercizio del diritto di rimborso.
Né, d'altra parte, può condividersi la tesi del tribunale secondo
cui il termine decadenziale (di sei mesi) benché di natura
sostanziale, sarebbe stato abolito dall'art. 8 1. n. 533/73, in quanto attinente al procedimento amministrativo previdenziale.
Invero, ogni diritto si estingue quando il titolare non lo esercita
per il tempo determinato dalla legge, astenendosi, a seconda dei
casi, dal compiere tempestivamente l'atto relativo al suo esercizio
nei confronti dell'obbligo (prescrizione o decadenza) o facendo
trascorrere il termine previsto per proporre la relativa domanda
giudiziale (preclusione dell'azione). In relazione a quest'ultima ipotesi, nella soggetta materia,
essendo l'azione giudiziaria preceduta dall'esperimento della pro cedura amministrativa, il cui esaurimento influisce sul termine per proporre l'azione giudiziaria stessa, che d'altra parte deve essere
pienamente libera (art. 24 Cost.), il legislatore, revisionando il
rapporto tra azione giudiziaria e procedimento amministrativo, ha
1. n. 114 del 1974, che supponendone la vigenza abroga espressamente la previsione normativa della decadenza in tema di domanda per la
pensione di reversibilità. La disposizione stessa, poi, sembra offrire supporto ulteriore alla
sentenza in epigrafe, laddove esclude che, limitandosi a prolungare (da tre a sei mesi) il termine per proporre la richiesta di rimborso delle
integrazioni salariali anticipate, l'art. 16 della 1. n. 164/75 possa avere escluso la natura perentoria del termine, che è sancita espressamente dalla previsione normativa originaria (art. 9 d.l.c.p.s. n. 869/47, ratificato dalla 1. n. 498/51).
Sulle anticipazioni ai lavoratori delle integrazioni salariali, che della richiesta di rimborso del datore di lavoro ora in esame costitui scono indefettibile presupposto, v. Cass. 16 maggio 1984, n. 3005, id., 1984, I, 2790 con nota di richiami ed osservazioni di Silvestri.
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