Sezioni unite civili; sentenza 1° ottobre 1980, n. 5337; Pres. T. Novelli, Est. V. Sgroi, P. M. Saja(concl. conf.); Leonardi (Avv. Fazio, Lazzara) c. Min. tesoro (Avv. dello Stato Carafa). Dichiarainammissibile ricorso avverso Corte conti 22 aprile 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 4 (APRILE 1981), pp. 1145/1146-1147/1148Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172863 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
stipulato il 24 settembre 1923, relativo alle clausole di arbitrato in
materia commerciale, e nella convenzione di Ginevra del 26
settembre 1927, relativa all'esecuzione delle sentenze arbitrali
straniere, non essendo configurabile un attuale concorso di norme
riflettenti la stessa materia.
Ciò è anche confermato dall'intento di accentuare, con la
convenzione di New York, quella condizione di favore per l'arbitrato, che ispira tutte le convenzioni internazionali in materia
e che si era già manifestata con la convenzione di Ginevra del
1927 rispetto al protocollo del 1923. Basta considerare in proposi to che il protocollo, mentre assicurava la validità dei compromes si e delle clausole compromissorie per arbitrato estero, garantiva l'esecuzione nel territorio di ciascuno Stato contraente delle sen
tenze rese nel rispettivo territorio, ma non anche il riconoscimen
to delle sentenze rese nel territorio dell'altro Stato contraente (art.
1), mentre la convenzione di Ginevra colmò tale lacuna estenden
do il riconoscimento alle sentenze rese in uno qualsiasi degli Stati
contraenti, purché emessa in base a compromesso o clausola
compromissoria valida secondo la legge loro applicabile (art. 1, lett. a). La convenzione di New York, superando anche tale
condizione, obbliga ciascuno Stato contraente a riconoscere le
sentenze arbitrali rese in base a convenzione scritta, con cui le
parti si obblighino a rimettere ad un arbitrato le controversie
suscettibili di essere regolate in via arbitrale (art. II, n. 1), intendendo per « convenzione scritta » una clausola compromis soria inserita in un contratto o un compromesso, sottoscritti dalle
parti o contenuti in uno scambio di lettere o di telegrammi (art.
II, n. 2). Se la convenzione di New York costituisce la fonte regolatrice
in via generale degli arbitrati riguardanti i cittadini degli Stati
aderenti, salva l'efficacia degli accordi multilaterali o bilaterali
conclusi fra gli Stati medesimi, tale eccezione, indipendentemente dal dubbio se la convenzione particolare prevalga in ogni caso o
soltanto nella ipotesi di sua compatibilità con la disciplina genera le e indipendentemente dal significato da attribuire a tale com
patibilità, sicuramente non opera allorché la convenzione partico lare sia espressamente esclusa dalle disposizioni della convenzione
di New York e, inoltre, rimane priva di pratica portata nel caso
in cui essa non detti una disciplina difforme da quella della
convenzione di New York o, addirittura, quest'ultima debba
intendersi richiamata nell'accordo bilaterale o multilaterale tra
Stati aderenti.
Orbene, la convenzione italo-germanica del 9 marzo 1936,
all'art. 8, stabilisce che, per quanto riguarda il riconoscimento e
l'esecutività delle sentenze arbitrali, la convenzione di Ginevra del
1927 regola i rapporti fra i due Stati per ciascuna delle sentenze,
nell'intesa che si applica a tutte le sentenze arbitrali pronunziate in ciascuno dei due Stati senza riguardo alle restrizioni poste dall'art. 1, 1° comma, in tema di competenza. La norma in esame,
come si vede, non contiene un rinvio materiale ad una determina
ta norma della convenzione di Ginevra che regoli i requisiti di
validità formale e sostanziale del compromesso o della clausola
compromissoria, in modo che tale disciplina entri, cosi com'è, a
far parte integrante della norma operante il rinvio, a prescindere dalla conservazione del suo vigore nel tempo; ma opera un rinvio
meramente formale, limitatamente al procedimento da osservare
per il riconoscimento e l'esecutività delle sentenze arbitrali, alla
fonte di tale disciplina, qual essa è al momento in cui la norma
deve ricevere applicazione. In conseguenza, per quanto riguarda la disciplina sostanziale
del compromesso o della clausola compromissoria in ordine ai
loro requisiti di validità e di efficacia, la convenzione di New
York trova applicazione per gli arbitrati pronunziati fra cittadini
italiani e cittadini tedeschi per un duplice ordine di ragioni e
cioè, sia perché l'art. 8 della convenzione italo-germanica del 1936
rinvia alle norme della convenzione di Ginevra relativamente alla
disciplina strumentale al risconoscimento ed alla esecutività delle
sentenze arbitrali e non anche al regolamento negoziale del
compromesso o della clausola compromissoria, sia perché trattasi
di rinvio formale per cui, sostituita alla convenzione di Ginevra
quella di New York, quale fonte regolatrice del riconoscimento e
dell'esecutività delle sentenze arbitrali straniere, è quest'ultima,
che, in definitiva, deve trovare applicazione, non rinvenendosi
nell'accordo italo-germanico una norma che sia in contrasto con
essa e dovendosi, anzi, intendere formalmente richiamata dall'art.
8 dell'accordo stesso.
Si perviene, cosi', all'esame del secondo motivo, con il quale i
ricorrenti, denunziando la violazione della legge 19 gennaio 1968
n. 62 (art. II, nn. 1 e 2, della convenzione di New York), in
relazione agli art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., deducono che la
clausola deve ritenersi invalida anche ai sensi della convenzione
di New York, la quale richiede espressamente che le parti
abbiano stipulato una convenzione scritta contenente la chiara
volontà d'investire un arbitro per ogni eventuale controversia
insorgente in relazione al contratto. Ciò, secondo i ricorrenti,
può ritenersi soltanto se la clausola risulti approvata nei modi
previsti dall'art. 1341 cod. civ. o, quanto meno, esprima chiara
mente la volontà delle parti di deferire ad un arbitro le contro
versie relative al contratto, il che non poteva ritenersi, nel caso
concreto, in cui la lettera-contratto del 15 gennaio 1974, redatta
nella lingua tedesca sconosciuta ai Casillo, conteneva le sole
parole «arbitrage: Amburg», senza alcuna specificazione del
l'autorità decidente e del regolamento posto a base del processo arbitrale.
Anche tale censura è infondata. L'art. II della convenzione di
New York, nello stabilire che ciascuno Stato contraente riconosce
la convenzione scritta mediante la quale le parti s'obbligano a
sottoporre ad un arbitrato le controversie sorte o che possono
sorgere in relazione a qualsiasi rapporto, contrattuale o non
contrattuale, implicante una questione che possa essere regolata in
via arbitrale, precisa che per « convenzione scritta » s'intende
una clausola compromissoria inserita in un contratto o un com
promesso, sottoscritto dalle parti o contenuti in uno scambio di lettere o di telegrammi.
Questa corte ha riconosciuto che, ai sensi della norma citata, è sufficiente che la clausola compromissoria per arbitrato estero risulti da una convenzione scritta firmata dalle parti o costituita da uno scambio di lettere o di telegrammi, secondo requisiti formali da accertare in base alle disposizioni dell'art. 26 delle
preleggi, che forniscono i criteri per l'individuazione della forma
degli atti (sentenza a sezioni unite n. 4082/76, Foro it., 1977, I,
2756); ma non è necessario che la clausola compromissoria sia
specificamente approvata per iscritto ai sensi dell'art. 1341 cod.
civ. (sentenze a sezioni unite n. 2392/78, id., 1979, I, 158, e
4746/79, id., Rep. 1979, voce Arbitrato, n. 35). Come ha esattamente osservato nella sentenza impugnata la
corte di merito, la clausola contrattuale sottoscritta da un cittadi
no italiano, in un contratto con una società avente sede all'estero, costituisce inequivoca manifestazione della comune volontà di
deferire ad un arbitrato estero le controversie sorte dal contratto, ai sensi dell'art. II, n. 2, della convenzione di New York che, come legge speciale, deroga al principio generale dell'art. 2 cod.
proc. civ. ed ai principi, posti sempre in via generale, degli art.
1341 e 1342 cod. civ. le cui norme, pur essendo, per loro natura,
cogenti, non contengono un principio di ordine pubblico interna
zionale e, pertanto, possono essere derogate dalle convenzioni
internazionali.
I ricorrenti deducono che, comunque, la lettera contratto, invia
ta dalla società resistente (avente la data del 15 gennaio 1974) e
da loro letta, confermata e sottoscritta in Foggia il 21 gennaio 1974, non esprimeva chiaramente la volontà delle parti di deferire
al giudizio arbitrale le controversie relative al contratto. Trattasi,
palesemente, di una censura di merito che contrasta con l'insinda
cabile valutazione operata dalla corte d'appello, la quale ha
accertato che il documento prodotto in causa conteneva il deferi
mento di tutte le controversie ad un collegio arbitrale e fu
sottoscritto senza riserve dagli attuali ricorrenti, i quali evidente
mente non ne posero in discussione il carattere vincolante ed
accettarono il riferimento al « tribunale arbitrale del venditore »
ed alle « condizioni unitarie del commercio di granaglie tede
sco ». (Omissis)
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 1° ot
tobre 1980, n. 5337; Pres. T. Novelli, Est. V. Sgroi, P. M.
Saja (conci, conf.); Leonardi (Aw. Fazio, Lazzara) c. Min.
tesoro (Aw. dello Stato Carafa). Dichiara inammissibile ri
corso avverso Corte conti 22 aprile 1977.
Corte dei conti — Decisione — Ricorso per cassazione — Ter
mine annuale di decadenza — Applicabilità (Cost., art. Ili;
cod. proc. civ., art. 327).
Il ricorso in Cassazione avverso le decisioni della Corte dei
conti è inammissibile se proposto oltre un anno dopo la pub blicazione della decisione. (1)
(1) La sentenza fa applicazione del principio affermato, innovati
vamente, da Cass. 26 gennaio 1978, n. 351, Foro it., 1978, I, 576, con nota di richiami, in relazione al ricorso in Cassazione avverso
decisioni del Consiglio di Stato e del Consiglio di giustizia ammini
strativa per la regione siciliana, ribadito da Cass. 19 gennaio 1979, n.
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1147 PARTE PRIMA [ 1148
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Valerio Leo
nardi, infortunato civile di guerra per lesioni riportate a tre
dici anni, il 20 novembre 1944, a causa di un duello di arti
glieria nella zona di Forli e titolare di pensione di prima ca
tegoria con superinvalidità, decedeva poco dopo la mezzanotte
del 17 maggio 1960, mentre per rincasare stava percorrendo a
piedi la rotabile Faenza-Forlì.
Il padre, Neo Leonardi, presentava al ministero del tesoro
domanda con la quale, previo riconoscimento della dipendenza del decesso da causa bellica, chiedeva la pensione di riversibi
lità; ma la domanda veniva rigettata con decreto ministeriale del 15 maggio 1965.
Il ricorso proposto dal Leonardi contro tale decreto veniva
respinto dalla Corte dei conti con sentenza depositata il 22 apri le 1977. Dopo aver negato che le pronunzie emesse in sede penale (vale a dire il provvedimento di archiviazione, nei confronti di Giulio Mosconi, investitore di Valerio Leonardi) e in sede civile
(vale a dire la sentenza che respingeva la domanda di risarci mento del danno proposto da Neo Leonardi contro il Mosconi)
potesse fare stato nel giudizio pensionistico, la Corte dei conti riteneva di doversi discostare dalle conclusioni della perizia di
sposta dal giudice penale sia perché contraddetta dalla scheda
necroscopica (sottoscritta dallo stesso sanitario) sia perché fon
data su incerti presupposti di fatto, e concludeva nel senso della mancanza di qualsiasi dimostrazione che il decesso fosse avve nuto a causa dell'infermità dovuta a fatto bellico, e cioè che Valerio Leonardi, al momento dell'incidente automobilistico, fos se in preda ad attacco epilettico conseguente alle lesioni ri
portate il 20 novembre 1944, mentre sussisteva la ragionevole certezza che egli fosse morto per i traumi provocati dall'inci dente.
Contro questa sentenza Neo Leonardi ha proposto ricorso per cassazione. Resiste con controricorso il ministero del tesoro, ec
cependo preliminarmente la tardività del ricorso, in quanto pro posto oltre due anni dopo il deposito della sentenza impugnata.
Motivi della decisione. — Il ministero del tesoro ha eccepito in via preliminare l'inammissibilità del ricorso per essere da
tempo scaduto, al momento della sua proposizione, il termine di un anno dal deposito della sentenza impugnata, fissato dal l'art. 327 cod. proc. civile.
L'eccezione è fondata. A partire dalla sentenza 26 gennaio 1978, n. 351 (Foro it., 1978, I, 576), che ha segnato sulla que stione un radicale mutamento di indirizzo, questa Suprema cor te ha affermato che il ricorso per cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato e del Consiglio di giustizia amministra tiva per la regione siciliana non è più proponibile allorché sia scaduto il termine lungo per l'impugnazione di cui all'art. 327.
Questo principio — che è stato ripetutamente confermato da successive decisioni (cfr. Cass. 19 gennaio 1979, n. 391, id., Rep. 1979, voce Giustizia amministrativa, n. 387; 17 febbraio 1979, n. 1040, ibid., voce Impugnazioni civ., n. 45) — si fonda sia sulle modalità di pubblicazione e di conservazione delle sen tenze emesse dai predetti giudici speciali (modalità che sono state giudicate idonee a soddisfare l'esigenza di conoscibilità delle sentenze stesse in armonia col fondamento razionale del
391, id., Rep. 1979, voce Giustìzia amministrativa, n. 378, e da Cass. 17 febbraio 1979, n. 1040, ibid., voce Impugnazioni civili, n. 45, citate in motivazione, nonché da Cass. 19 novembre 1979, n. 6024, ibid., voce Giustizia amministrativa, n. 386. L'orientamento della Cassa zione riguarda l'impugnazione di tutte le sentenze e decisioni di giu dici speciali, salva espressa deroga: l'applicabilità del termine annuale è stata affermata anche per i ricorsi avverso le decisioni della Com missione tributaria centrale: cfr., fra le altre, Cass. 29 luglio 1980, n. 4874, id., 1981, I, 106, con nota di richiami; da ultimo, Cass. 24 gennaio 1981, n. 541 e 24 gennaio 1981, n. 624, inedite. Del resto, va ricordato come il Consiglio di Stato, modificando il suo precedente orientamento, abbia ritenuto applicabile il termine an nuale anche all'interno del sistema della giustizia amministrativa, sia per ciò che concerne l'appello all'adunanza plenaria avverso le decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, Cons. Stato, Ad. plen., 8 giugno 1979, n. 20 e 23 marzo 1979, n. 17, id., 1979, III, 502 e 368, con nota di richiami, sia per ciò che concerne l'appello avverso le sentenze dei T.A.R., Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 1979, n. 613, id., Rep. 1979, voce Giustizia amministrativa, n. 382; 12 maggio 1978, n. 621, id., Rep. 1978, voce cit., n. 470; Sez. V 17 marzo 1978, n. 348, ibid., n. 474; 1° aprile 1977, n. 270, id., 1977, III, 560, con nota di richiami.
Per quanto riguarda il giudizio avanti la Corte dei conti, invece, già in precedenza era riconosciuta l'applicabilità del termine annuale di cui all'art. 327 nelle varie ipotesi di appello all'interno dei gradi della giurisdizione speciale: Corte conti, Sez. riun., 23 ottobre 1968, n. 80, id., Rep. 1969, voce Corte dei conti, n. 35; 25 giugno 1964, n. 33, id., Rep. 1964, voce cit., n. 58; Cass., 10 novembre 1961, n. 2624, id., 1962, I, 482, con nota di richiami.
l'art. 327) sia sulla portata generale di questa norma che è de
stinata ad operare in via diretta nella materia del ricorso per cassazione, in mancanza di una deroga espressa o tacita ovvero
di una disciplina incompatibile, proprio perché codifica una re
gola posta a presidio della certezza e della stabilità dei rapporti
giuridici, sui quali incidono le pronunzie giudiziali e che, nel
caso in cui l'interessato non assuma l'iniziativa della notifica
zione, non possono soggiacere alle eventualità di una potenziale
pendenza in perpetuo dei processi. Questo principio — che è stato applicato dalla Suprema corte
anche in tema di impugnazioni contro le decisioni della Com
missione tributaria centrale (cfr. Cass. 21 luglio 1979, n. 4373,
id., Rep. 1979, voce Tributi in genere, n. 963; 11 ottobre 1979, n. 5285, ibid., voce Impugnazioni civ., n. 46; 7 gennaio 1980, n.
75, id., Mass., 18) — deve estendersi al ricorso proposto avverso
le sentenze della Corte dei conti, in relazione alle quali l'art. 23, 1° comma, r. d. 13 agosto 1933 n. 1038 (regolamento di procedura nei giudizi innanzi alla Corte dei conti) prevede il deposito in se
greteria, una volta che il documento sia stato sottoscritto, mentre
la pubblicazione è eseguita mediante lettura del dispositivo, da
parte del segretario, in una delle udienze successive al deposito,
analogamente a quanto stabilito in ordine alle modalità di pubblica zione delle sentenze del Consiglio di Stato (art. 67 r. d. 17 ago sto 1907 n. 642). II 2° comma dell'art. 23 citato stabilisce poi che della avvenuta pubblicazione si fa constare mediante di
chiarazione del segretario in calce all'originale della decisione,
in sostanziale aderenza alla prima parte del disposto dell'art.
133, capov., cod. proc. civile.
Si deve, dunque, ritenere che — al di fuori del caso di noti
ficazione della decisione impugnata, in relazione al quale vige il
termine fissato per il ricorso per cassazione dall'art. 71 r. d. 12
luglio 1934 n. 1214 (t. u. delle leggi sull'ordinamento della Cor
te dei conti) — l'assenza, che si registra nel sistema normativo
concernente la Corte dei conti, di una espressa previsione del
l'ipotesi di mancata notificazione della sentenza deve indurre
l'interprete non già a postulare il principio dell'inesistenza di
qualsiasi termine, ma ad affermare l'applicabilità dell'art. 327
cod. proc. civ., come riflesso del raccordo di tale specifico si
stema con quello generale processuale, che trova essenzialmente
posto nel codice di procedura civile, anche in ossequio alla di
rettiva che lo stesso regolamento n. 1038 del 1933 impartisce al
l'interprete, allorché nell'art. 26, con norma di chiusura, dispo ne che « nei procedimenti contenziosi di competenza della Cor
te dei conti si osservano le norme e i termini della procedura civile in quanto siano applicabili e non siano modificati dalle
disposizioni » dello stesso regolamento. Il ricorso deve essere dichiarato, pertanto, inammissibile, con
siderato che la sentenza è stata depositata il 22 aprile 1977 e
il ricorso proposto il 14 maggio 1979; ma la novità del principio
giurisprudenziale giustifica la compensazione delle spese del giu dizio di cassazione.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 20 agosto 1980, n. 4959; Pres. Dondona, Est. Mollica, P. M. Ferraiuolo
(conci, diff.); E.n.el. (Avv. Persiani, Bortoluzzi) c. Passarmi
(Avv. Giandomenici). Cassa Trib. Bassano del Grappa 3 mag
gio 1976.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Sentenza non definitiva di condanna generica — Ammissibilità (Cod.
proc. civ., art. 278, 420).
È ammissibile nel processo del lavoro la pronuncia di una sentenza non definitiva di condanna generica. (1)
(1) È la prima volta che la Corte di cassazione affronta principaliter il problema dell'ammissibilità nel rito del lavoro della sentenza di condanna generica, prevista dall'art. 278, 1° comma, cod. proc. civile. In due precedenti decisioni (5 febbraio 1980, n. 827, Foro it., Mass., 158; 18 marzo 1977, n. 1079, id., Rep. 1977, voce Sentenza civile, n. 272) la corte ne aveva riconosciuto l'ammissibilità, ma implicitamente, affer mando che avverso una sentenza non definitiva di condanna generica il soccombente può proporre o riserva ai sensi dell'art. 340 cod. proc. civ. o impugnazione immediata nei termini di cui agli art. 325 o 327 cod. proc. civile. È il caso di sottolineare che nella sentenza in epigrafe la Corte di cassazione ha motivato la sua decisione affermando che il legislatore non può non aver ricompreso nel 4° comma dell'art. 420, oltre le sentenze sulla giurisdizione, sulla competenza e sulle altre questioni pregiudiziali, anche quelle che risolvono questioni preliminari di merito. Ed ha inquadrato cosi la sentenza di condanna generica (che è sentenza di merito perché decide — almeno secondo una interpreta
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