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sezioni unite civili; sentenza 10 aprile 1999, n. 238/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M....

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sezioni unite civili; sentenza 10 aprile 1999, n. 238/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M. Carnevali (concl. conf.); Cherry (Avv. Rinaldi) c. Ivan (Avv. Cevolotto, Ronfino). Dichiara inammissibile ricorso avverso Cass. 12 settembre 1997, n. 9033 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 7/8 (luglio-agosto 1999), pp. 2235/2236-2243/2244 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194987 . Accessed: 28/06/2014 08:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.46 on Sat, 28 Jun 2014 08:36:22 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 10 aprile 1999, n. 238/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M.Carnevali (concl. conf.); Cherry (Avv. Rinaldi) c. Ivan (Avv. Cevolotto, Ronfino). Dichiarainammissibile ricorso avverso Cass. 12 settembre 1997, n. 9033Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 7/8 (luglio-agosto 1999), pp. 2235/2236-2243/2244Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194987 .

Accessed: 28/06/2014 08:36

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2235 PARTE PRIMA 2236

tà dei consegnatari ivi previsti, senza ulteriori restrizioni che

il tessuto normativo non giustifica. La tesi minoritaria, infatti pur ammettendo l'indicazione al

ternativa tra casa o ufficio, sicché l'ufficiale giudiziario è libero

di effettuare la ricerca in una delle due sedi abituali, quali casa

o ufficio, interpreta la norma nel senso che la consegna alla

persona di famiglia può avvenire solo se rinvenuta nella casa

di abitazione del destinatario dell'atto e non anche ove sia ritro

vata nell'ufficio di questo, oppure dove lo stesso eserciti l'indu

stria o il commercio.

Questa ulteriore lettura additiva contrasta con l'interpretazio ne letterale, logica e sistematica dell'intero art. 139 c.p.c. Sotto

il profilo letterale, infatti, la norma non offre addentellati di

sorta: il suo nucleo essenziale considera, infatti, pienamente fun

gibili sia le sedi abituali del destinatario, ove effettuare la ricer

ca, sia i consegnatari che possono essere, in entrambi i luoghi, sia le persone di famiglia, sia gli addetti all'ufficio o all'azien da. In altri termini, è ben possibile che presso la casa familiare

adibita anche ad ufficio o studio, la consegna dell'atto da noti

ficare avvenga nelle mani di persona di famiglia o di persona estranea alla famiglia, ma addetta all'ufficio o allo studio. E

viceversa nel caso di infruttuosa ricerca del destinatario nell'a

zienda o nell'ufficio, la consegna dell'atto può avvenire sia nel

le mani di persone addette all'azienda o all'ufficio, sia di com

ponenti il nucleo familiare del destinatario in senso stretto co

me anche anagraficamente individuato, che si trovino nell'ufficio

o nell'azienda.

Dall'analisi letterale del dato normativo emerge che l'ordina

mento non si preoccupa di creare una scala di gerarchia di valo

ri tra addetti alla casa o all'ufficio, ma di accomunarli, renden

doli fungibili o intercambiabili, sottolineandone il comune de

nominatore che è dato dal rapporto di fiducia che lega il

consegnatario al destinatario in modo da far presumere che si

prendano cura di consegnargli l'atto notificato.

Sotto il profilo della ratio della norma, si può rilevare come

il modus operandi indicato tende a realizzare un meccanismo,

per quanto possibile, idoneo a garantire l'effettiva consegna fi

nale dell'atto al destinatario. Ciò spiega il ricorso alla figura della «persona di famiglia», che identifica un ambito di persone

ritenute, in ragione della loro connotazione soggettiva di astret

te al vincolo di parentela e della connotazione oggettiva della

«convivenza» — presumendosi la convivenza del familiare fino

a prova contraria (Cass. 22 gennaio 1998, n. 599, id., Mass.,

64; 11 aprile 1996, n. 3403, cit.) — particolarmente idonee ad

assicurare, secondo il quod plerumque accidit, la consegna del

l'atto in caso di assenza del destinatario. In questa prospettiva, non acquista rilievo discriminante la circostanza che la conse

gna dell'atto abbia, in. concreto, a verificarsi presso la casa di

abitazione, piuttosto che presso i luoghi in cui il destinatario

abbia la sua azienda o eserciti la sua attività di lavoro o com

merciale. In entrambi i luoghi elettivi per la ricerca del destina

tario, il rapporto di parentela tra consegnatario e destinatario è identico, così come la fiducia che l'atto consegnato in casa

o in ufficio sia effettivamente portato a conoscenza del desti

natario.

Nell'ambito della ricostruita ratio, non vi è, pertanto, ragio ne per ritenere che, con l'espressione «persona di famiglia», il legislatore abbia inteso identificare i familiari «conviventi»

con il destinatario della notifica, come idonei a ricevere, soltan

to le notifiche effettuate presso l'abitazione del destinatario del

la notifica e non anche presso i luoghi in cui il destinatario

abbia la sua azienda o eserciti la sua attività di lavoro o com

merciale.

Infine, sotto il profilo sistematico non si può non osservare

come la tesi che vorrebbe limitare il ruolo delle persone di fami

glia come consegnatane delle notifiche effettuate solo presso la casa di abitazione impedirebbe di far funzionare il rapporto di fiducia basato sul vincolo di parentela, nell'altro luogo eletti vo che è l'ufficio, il negozio o l'azienda. Con l'ulteriore conse

guenza di costringere l'ufficiale giudiziario, in assenza di addet ti all'ufficio, a rivolgersi al portiere dello stabile, ove si trova

l'azienda, con l'aggravante dell'ulteriore avviso da spedire al

destinatario, oltre che della violazione della successione prefe renziale delle persone, cui la copia può essere consegnata, con siderata dall'ordinamento tassativa e vincolante. Non è chi non

veda, sotto il profilo sistematico, che rispetto alla notifica al

portiere dell'ufficio, l'ordinamento non può non privilegiare,

Il Foro Italiano — 1999.

per il rapporto di fiducia, la consegna a mano di persona di

famiglia rinvenuta nello stesso ufficio. Non senza aggiungere

che, ove la persona di famiglia trovata dall'ufficiale giudiziario nella casa di abitazione del destinatario accetti l'atto senza ri

serve, la validità della notificazione può essere esclusa solo se

il notificando, che assume di non avere ricevuto l'atto, dia la

dimostrazione che la presenza del familiare in casa era del tutto

occasionale e momentanea (così già Cass. 1° aprile 1992, n.

3936, id., Rep. 1992, voce cit., n. 8).

L'accoglimento del primo motivo importa l'assorbimento de

gli altri dedotti in via gradata. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata ed il giudice

di rinvio, che si designa nella Commissione tributaria regionale della Basilicata si atterrà al seguente principio di diritto, formu

lato ai sensi dell'art. 143 disp. att. c.p.c.: in assenza del destina

tario, la notificazione o presso l'abitazione del destinatario, o

presso l'ufficio (o il luogo di esercizio dell'industria o del com

mercio), in base all'art. 139, 2° comma, c.p.c., può avvenire

mediante consegna della copia dell'atto a persona di famiglia convivente che si trovi in uno dei luoghi indicati dalla citata

norma, anche se non addetta all'ufficio o all'azienda, in quanto

l'appartenenza di essa al nucleo familiare del destinatario, rive

lata dal rapporto di convivenza, e l'accettazione a ricevere la

copia dell'atto la rendono idonea a curarne la sollecita conse

gna al destinatario in base ad un rapporto di fiducia, basato

sulla solidarietà connessa a questi vincoli familiari e sul dovere

giuridico conseguente all'avvenuta accettazione della notifica.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 10 aprile

1999, n. 238/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M.

Carnevali (conci, conf.); Cherry (Aw. Rinaldi) c. Ivan (Aw.

Cevolotto, Ronfino). Dichiara inammissibile ricorso avver

so Cass. 12 settembre 1997, n. 9033.

Opposizione di terzo — Sentenza di cassazione — Inammissibi

lità (Cod. proc. civ., art. 102, 331, 404).

È inammissibile il ricorso in opposizione di terzo ordinaria pro

posto avverso una sentenza della Corte di cassazione dal litis

consorte necessario pretermesso nel giudizio conclusosi con

la sentenza oggetto dell'opposizione (in motivazione si è tut

tavia precisato che eccezione deve essere fatta per il caso, non

ricorrente nella fattispecie, di cassazione c.d. sostitutiva, con

sentita ai sensi dell'ultima parte del 10 comma dell'art. 384

c.p.c. nel testo novellato). (1)

(1) I. - La Suprema corte viene per la prima volta chiamata a pro nunciarsi sulla proponibilità dell'opposizione di terzo ordinaria nei con fronti di una sentenza da essa emanata (la decisione impugnata, 12 set tembre 1997, n. 9033, si legge in Foro it., 1998, I, 2526, con nota di

richiami). L'esperibilità del mezzo d'impugnazione viene esclusa dalle sezioni

unite in considerazione non solo (e non tanto) del tenore letterale delle

disposizioni degli art. 404 ss. c.p.c. ma anche (e soprattutto) del ruolo attribuito dall'ordinamento vigente alla Corte di cassazione, ed oggetto di un dibattito di rinnovata attualità (v., da ultimo, le considerazioni del suo primo presidente, Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, nell'inter vento all'assemblea generale della corte tenutasi il 23 aprile 1999, id., 1999, V, 161, nonché di A. Proto Pisani, Cassazione civile e riforme costituzionali, id., 1998, V, 167, ivi altri riferimenti).

La legittimazione del litisconsorte necessario pretermesso all'esperibi lità del suddetto mezzo di impugnazione è riconosciuta dalla giurispru denza ormai consolidata: v., in tal senso, Cass. 18 maggio 1994, n. 4878, id., Rep. 1995, voce Impugnazioni civili, n. 18 (e Giur. it., 1995, I, 1, 445), nonché, ricordate in motivazione, 10 maggio 1985, n. 2918, Foro it., Rep. 1985, voce Opposizione di terzo, n. 4, e 16 luglio 1983,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Tribunale di Tre

viso, Barbara Ivan chiedeva che fosse dichiarata l'ammissibilità

dell'azione di paternità naturale che intendeva proporre per es

sere riconosciuta figlia di Cherry Richard Antony. Essendo quest'ultimo deceduto il 4 giugno 1972 ed essendo

venuti a mancare anche i genitori del presunto padre naturale, De Toffoli Maria, in data 20 ottobre 1977, e Cherry John Eve

lin, in data 11 aprile 1983, in mancanza di eredi diretti del me

desimo presunto padre, il ricorso veniva notificato alle sorelle

viventi ed eredi del nominato Cherry John Evelin: Cherry Joan

ne Margaret in Hacket, Cherry Lorna Mary in Wilson, Cherry Patricia Adrienne, vedova Adams.

Il tribunale, con decreto del 19 aprile 1995, dichiarava l'am

missibilità dell'azione ed il provvedimento veniva notificato alle

tre sorelle Cherry il 19 giugno 1995, nessuna delle quali propo neva reclamo. Tale rimedio veniva, invece, sperimentato da Mi

nuto Rizzo Alessandro e Minuto Rizzo Emanuela, quali eredi

del presunto padre. La Corte d'appello di Venezia, con decreto del 20 giugno

1996, dichiarava inammissibile il reclamo; e, contro questo prov

vedimento, ricorrevano per cassazione ex art. Ill Cost., i Mi

nuto Rizzo, lamentando di non essere stati parti nel giudizio di ammissibilità dell'azione, nonostante la loro qualità di litis

consorti necessari.

Con sentenza n. 9033 del 1997 (Foro it., 1998, I, 2526), que sta corte cassava con rinvio al Tribunale di Treviso la decisione

della corte di appello, riconoscendo sussistente la lamentata pre

ri. 4896, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 1, 2, secondo cui «in tema di

opposizione di terzo, ex art. 404 c.p.c., il pregiudizio del litisconsorte

necessario pretermesso non scaturisce esclusivamente dall'obiettiva in

giustizia della decisione di merito e dall'incompatibilità del diritto van

tato con quello deciso inter alios, ma è costituito anzitutto dalla manca

ta partecipazione ad un giudizio che non avrebbe potuto svolgersi senza

il suo intervento conclusosi con una sentenza che, data la natura del

rapporto che ne ha formato oggetto, pregiudica la sua posizione di di

ritto sostanziale; conseguentemente, l'opposizione è ammissibile anche

se il litisconsorte necessario pretermesso non formuli richieste sul meri

to della controversia» (tale pronuncia ha precisato che, mentre nel caso

di opposizione di terzo proposta da litisconsorte necessario pretermesso contro una sentenza di primo grado le due fasi, rescindente e rescisso

ria, si svolgono innanzi allo stesso giudice il quale può, con un'unica

decisione, annullare la sentenza opposta ed emettere la pronuncia sosti

tutiva, oppure pronunciare una prima sentenza di annullamento e quin di, all'esito dell'espletamento dei mezzi di prova ritenuti necessari, pro nunciare sul merito, nella ipotesi di opposizione contro una sentenza

di secondo grado, il giudice dell'appello deve limitarsi ad eliminare la

sentenza opposta ed a rimettere gli atti al giudice di primo grado, sia

per il rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione, sia per

l'applicabilità dell'art. 354 c.p.c.). Nello stesso senso, v. anche Cass. 11 gennaio 1988, n. 19, id., 1988,

I, 2534; 17 dicembre 1983, n. 7458, id., Rep. 1983, voce Intervento

in causa e litisconsorzio, n. 34 (sia pure con riferimento al caso di litis

consorzio necessario di ordine sostanziale); 26 ottobre 1979, n. 5618,

id., 1980, I, 364, con osservazioni di A. Proto Pisani; 7 dicembre 1976, n. 4555, id., Rep. 1976, voce cit., n. 5; 9 giugno 1969, n. 2033, id., 1969, I, 1683, con nota di richiami di dottrina e di giurisprudenza; 22 novembre 1962, n. 3164, id., 1963, I, 43.

Anche la dottrina processualcivilistica ammette all'opposizione di ter

zo ordinaria il litisconsorte necessario pretermesso, salvo poi esprimere valutazioni radicalmente diverse in ordine al carattere esclusivo di tale

legittimazione (per indicazioni, nonché per una panoramica sulle varie

opinioni, v., da ultimo, Olivieri, Opposizione di terzo, voce del Dige sto civ., Torino, 1995, XIII, 104 ss., e Luiso, Opposizione di terzo, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXI).

Nel senso invece di riconoscere a tale soggetto la legittimazione (an

che) alle impugnazioni ordinarie, v. l'isolata Cass. 18 novembre 1993, n. 11366, Foro it., Rep. 1994, voce Impugnazioni civili, n. 26 (e Giur.

it., 1994,1, 1, 390, con nota di Besso), la quale ha argomentato dal fatto

che «è contrario ad ogni principio di economia processuale ritenere che

il difetto di integrità del contraddittorio, mentre non è ancora passata in giudicato la sentenza, possa essere fatto valere dai litisconsorti presen ti nel processo e non da quelli rimasti esclusi, legittimati solamente in

un momento successivo all'opposizione di terzo ex art. 404, 1° comma,

c.p.c. (o all'esercizio dell 'actio nullitatis)» (nello stesso senso, in dottri

na, Tomei, in Riv. dir. proc., 1980, 708 ss.; Id., Legittimazione ad agire, voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1974, XXIV, 91).

II. - A ben vedere, l'inammissibilità dell'opposizione di terzo avverso

le sentenze di legittimità sembra derivare piuttosto dal fatto che — di

regola — nelle stesse non è dato rinvenire «una statuizione conformati

va degli interessi sostanziali in conflitto, e quindi una possibilità di coin

II Foro Italiano — 1999.

termissione dei ricorrenti, ma rigettando l'eccezione d'impropo nibilità del giudizio di riconoscimento della paternità, da questi ultimi sollevata in base ad asserita carenza di legittimati passivi.

Con ricorso notificato il 13 gennaio 1998, una delle tre sorel

le Cherry, ed esattamente la sig. Cherry Joanne Margaret in

Hacket, adducendo la sua mancata partecipazione ai giudizi di

appello e di cassazione promossi dai sig. Minuti Rizzo, ha pro

posto opposizione di terzo ordinaria, ex art. 404, 1° comma,

c.p.c., avverso la sentenza da ultimo indicata. La sig. Barbara

Ivan ha proposto controricorso. Gli altri intimati non si sono

costituiti, pur avendo ricevuto rituale notificazione del ricorso.

Motivi della decisione. — La ricorrente, premessa la deduzio

ne della sua qualità di litisconsorte pretermessa nel giudizio con

clusosi con la sentenza oggetto dell'opposizione, individua il pre

giudizio arrecatole nella ritenuta ammissibilità dell'azione per il riconoscimento di paternità naturale anche nel caso in cui

manchino eredi diretti del presunto genitore defunto. Sollecita,

quindi, in via principale, una pronuncia di segno opposto, nella

risoluzione del problema ermeneutico posto dall'art. 276 c.p.c., nella parte in cui questa norma identifica gli eredi del presunto

genitore come legittimati passivi rispetto all'azione suddetta. Chie

de, in subordine, la cassazione senza rinvio del decreto di am

missibilità della stessa azione, pronunciato dal Tribunale di Tre

viso il 10 aprile 1995, esulando la relativa domanda dalla giuris dizione del giudice italiano, siccome proposta anteriormente

all'entrata in vigore della 1. 31 maggio 1995 n. 218. In ulteriore

subordine, solleva la questione di legittimità costituzionale, in

volgimento pregiudizievole della sfera giuridica del terzo» tale da inte

grare il presupposto dell'opposizione ex art. 404 c.p.c. (e cioè una deci sione di merito).

Cfr. già in tal senso, in dottrina, con riferimento al codice previgen te, Mortara, Procedura civile, Milano, 1916, IV, 531, il quale osserva va che «è abbastanza strano che si sia potuto discutere del pregiudizio che può arrecare al terzo una sentenza della Corte di cassazione senza riflettere che: primo in ogni modo tale sentenza non può pregiudicare un diritto non contenendo veruna deliberazione sul merito e secondo che ammettere il terzo all'opposizione vorrebbe dire consentirgli di chie dere alla corte che rigetti il ricorso già accolto o che accolga quello già rigettato», nonché D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, Torino, 1951, I, 519, e Micheli, Corso di diritto processuale civile, Milano, 1960, II, 339, e, implicitamente, Andrioli, Diritto pro cessuale civile, Napoli, 1979, 946. Da ultimo, Luiso, op. cit., 8 (il quale tuttavia aggiunge che «se chi si oppone è un litisconsorte necessario

pretermesso, niente dovrebbe impedire — quando si tratti di cassazione senza rinvio — l'utilizzazione dell'opposizione di terzo»).

Il problema sorge con riferimento a quelle ipotesi nelle quali un ac

certamento di merito, destinato ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale, invece vi sia. Nonostante che la questione avesse motivo di porsi anche con riferimento al sistema previgente (si pensi alle sen

tenze di cassazione senza rinvio ex art. 382, 3° comma, per difetto as

soluto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione ovvero di improponibilità assoluta della domanda per inesistenza di una situazione giuridicamente tutelata), essa ha indubbia

mente acquistato rilevanza pratica a seguito della introdotta possibilità

per la corte di decidere la causa nel merito in caso di accoglimento del ricorso per violazione o falsa applicazione di legge «qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto» (art. 384, 1° comma,

novellato, e su cui v., per tutti, da ultimo, Caponi, La decisione della

causa nel merito da parte della Corte di cassazione italiana e del Bunde

sgerichtshof tedesco, in Dir. e giur., 1996, 236; Id., nota a Cass., ord.

158/98, sent. 12465/97, e decr. 11 luglio 1997, in Foro it., 1998, I, 1076). Ciò in conseguenza del silenzio mantenuto in proposito dalla 1. 353/90,

a differenza di quanto si è verificato in materia di revocazione con

l'introduzione dell'art. 391 bis c.p.c., sulla base di quanto affermato

dalla Corte costituzionale con le sentenze 30 gennaio 1986, n. 17 (id.,

1986, I, 313, con nota di A. Proto Pisani), e 31 gennaio 1991, n.

36 (id., 1991, I, 1033), ricordate anche in motivazione dalla sentenza

in epigrafe. Rilevato che «il problema non andava risolto necessariamente nel senso

di estendere la nuova disposizione dell'art. 391 bis, ma andava risolto,

pena il sorgere di un grosso problema di legittimità costituzionale con

riferimento sia all'art. 3 sia all'art. 24, 2° comma, Cost.», si è osserva

to in dottrina che «sul piano dell'opportunità sarebbe stato da prevede re che la revocazione ex art. 395 e 397 e l'opposizione di terzo ex art.

404, 1° e 2° comma, fossero da proporsi davanti ad un giudice di meri

to (e cioè quello che aveva pronunciato la sentenza sostituita dalla pro nuncia di merito della Cassazione); e ciò non solo perché spesso la re

vocazione ex art. 395 e 397 e l'opposizione di terzo ex art. 404, 1°

e 2° comma, richiedono lo svolgimento di accertamenti di fatto sia nel

la fase rescindente che in quella rescissoria, ma anche perché in tal

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2239 PARTE PRIMA 2240

relazione agli art. 24, 2° comma, 30, ultimo comma, e 42, ulti

mo comma, Cost., dell'art. 276, 1° comma, c.c., nell'interpre tazione datane dalla sentenza opposta, circa la suddetta que stione di proponibilità dell'azione.

Il ricorso è inammissibile. È, invero, avviso della corte che le sentenze di cassazione non

siano suscettibili del rimedio dell'opposizione di terzo.

Ciò si desume sia dal tenore letterale delle disposizioni che

regolano l'istituto, sia, e massimamente, da considerazioni di

tipo sistematico.

Sotto il primo aspetto, si osserva che l'art. 405, 2° comma,

c.p.c., assegnando all'atto introduttivo del giudizio di opposi zione la forma della citazione, somministra un primo indizio

della presupposta impossibilità di adire la Corte di cassazione, il cui controllo è, invece, sollecitarle col ricorso.

La rilevanza del dato testuale non è inficiata dalla sussistenza

di procedimenti speciali che iniziano con ricorso, ma si conclu

dono con sentenze certamente suscettibili di opposizione, come, ad esempio, quelle pronunciate secondo il rito del lavoro, in

quanto la menzione della citazione rimane pur sempre sintoma

tica di una voluntas legis riferita, nel contesto storico della sua

formulazione, alla forma ordinaria del giudizio di merito.

Del resto, ad una tale volontà corrisponde l'art. 325, il quale sia nel teso originario che in quello sostituito, dapprima dal

l'art. 47 1. 26 novembre 1990 n. 353 e poi dall'art. 32 1. 21

novembre 1991 n. 374, nello stabilire i termini per le impugna

zioni, ha riguardo esclusivamente al caso dell'opposizione di terzo

avverso sentenze di merito e non anche avverso quelle di legitti

modo si sarebbe evitato di sovraccaricare la Corte di cassazione di com

piti ulteriori rispetto a quello principale ed istituzionale di assicurare l'uniforme interpretazione della legge» (A. Proto Pisani, La nuova di

sciplina del processo civile, Napoli, 1991, 275). Sostanzialmente nello stesso senso, Consolo, Luiso, Sassani, La ri

forma del processo civile, Milano, 1991, 355, nonostante le rilevate dif ficoltà (derivanti dall'inidoneità della Corte di cassazione a svolgere l'i struzione e gli accertamenti sui fatti e tali da suggerire piuttosto la pro posizione del ricorso ex art. 404 avanti al giudice di primo grado competente a conoscere il diritto asseritamente pregiudicato) in quanto «la soluzione che negasse l'esperibilità dell'opposizione di terzo nei ri

guardi delle sentenze di merito della Suprema corte si esporrebbe ad una verosimile violazione dell'art. 3, piuttosto e prima ancora dell'art. 24 Cost, anche se non si ritenga l'opposizione ordinaria, a differenza di quella revocatoria, un rimedio necessario ed esclusivo».

Nel senso che attualmente la conclusione dell'inammissibilità del ri medio dell'opposizione di terzo avverso le sentenze rese dalla Corte di cassazione non è più sostenibile in assoluto, v. Olivieri, op. cit., 122. In senso dubitativo, Mazzarella, Cassazione (dir. proc. civ.), voce del

l'Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, V, 29, per il quale l'op posizione di terzo sembrerebbe avere «natura di mezzo non strettamen te necessario, attesa la normale proponibilità in primo grado di un'a zione da parte del terzo».

Secondo Tarzla, Lineamenti del nuovo processo civile di cognizione, Milano, 1991, 285, il problema è da risolversi in senso decisamente po sitivo già in iure condito, di fronte alla formula di legge che ammette

l'opposizione ordinaria contro la sentenza passata in giudicato o co

munque esecutiva e quella revocatoria contro la sentenza (con l'ulterio re precisazione che quando il pregiudizio sorga dalla pronuncia della

Cassazione, il procedimento si svolgerà dinanzi alla stessa Suprema cor

te, nelle forme per esso prescritte). Esclude l'applicabilità dell'art. 404 alle sentenze di legittimità invece

Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 210

s., in considerazione del fatto che «si tratta di un rimedio che richiede normalmente una fase istruttoria relativamente ai presupposti di fatto che il terzo opponente pone a fondamento della domanda mentre, an che sulla base della previsione contenuta nel citato art. 384, si deve ritenere che si sia voluto escludere che la corte proceda in generale ad accertamenti di fatto». Negata l'applicabilità del rimedio, ne consegue tuttavia anche il contrasto con le disposizioni di cui agli art. 3 e 24

Cost., «considerando che la disciplina dettata dagli art. 404 ss. c.p.c. assicura all'opponente una tutela più articolata e piena di quella che il terzo può conseguire instaurando nei confronti delle parti un autono mo processo di accertamento».

Conferma alle tesi favorevoli alla proponibilità della opposizione di terzo ordinaria avverso le decisioni rese dalla Corte di cassazione a nor ma del 1° comma dell'art. 384 c.p.c. novellato sembra adesso venire dall'affermazione — sia pure in obiter — della sentenza in epigrafe per cui «eccezione (al principio enunciato) deve essere fatta per il diver so caso, non ricorrente nella fattispecie, di cassazione c.d. sostitutiva, consentita ai sensi dell'ultima parte del 1° comma dell'art. 384 c.p.c. nel testo novellato». [M. Iozzo]

Il Foro Italiano — 1999.

mità: ben vero si tratta dell'opposizione di cui al 2° comma

dell'art. 404 c.p.c., ma non è men vero che la differenza fra

questo tipo di impugnazione e quello di cui al 1° comma della

medesima norma, mentre rileva sotto il profilo dei requisiti tem

porali di utilizzazione del mezzo (poiché, ove esso si ricolleghi ad una denuncia di dolo o collusione, è coerente con i principi

generali che governano il sistema dei gravami, l'imposizione di

un termine di decadenza decorrente dall'acquisita cognizione del

presupposto legittimante), postula, invece, un'uguale idoneità

alla rimozione della situazione antigiuridica lamentata dell'op

ponente, tale, quindi da non poterne desumere un diverso at

teggiarsi rispetto alla provenienza delle sentenze impugnabili, nel senso che solo per l'uno e non per l'altro possano ritenersi

sottratte al novero di queste ultime le sentenze di cassazione.

Lo stesso art. 408 c.p.c., nel graduare la misura della pena

pecuniaria, per il caso di opposizione inammissibile o rigettata ed in relazione ai diversi giudici dai quali può provenire la sen

tenza opposta, non reca alcuna menzione della Corte di cas

sazione.

Sul piano sistematico, occorre, poi, rilevare che l'art. 404, 1° comma, c.p.c., ricollega all'esecutività della sentenza il pre

giudizio dei diritti del terzo, quale situazione che legittima al

l'opposizione. Il caso della sentenza «passata in giudicato», essendo equipa

rato all'altro, in cui questa sia «comunque esecutiva», lascia,

infatti, chiaramente intendere che la situazione pregiudizievole che accomuna le due ipotesi non nasce dall'attinta definitività

dell'accertamento, ma dall'idoneità del medesimo a determina

re modificazioni che coinvolgono la posizione giuridica del ter

zo, ovvero, come è stato osservato da autorevole dottrina, dalla

sua esecutività intrinseca, rimanendo, quindi, le ipotesi stesse

differenziate soltanto dal fatto che nel secondo il legislatore in

tende alludere all'idoneità della sentenza a costituire titolo per l'esecuzione forzata, anche prima del suo passaggio in giudica

to, vale a dire alla sua estrinseca esecutività.

Dovendo siffatte modificazioni pregiudizievoli essere variabili

nei confronti di un soggetto che, per definizione, è rimasto estra

neo al processo conclusosi con la sentenza opponibile, se ne

desume la loro necessaria attinenza a situazioni giuridiche so

stanziali, in rapporto di incompatibilità o interferenza con quel le dedotte in giudizio dalle parti e, quindi, anche la necessità

della loro causale imputazione ad un regolamento concreto de

gli interessi che derivi dalle statuizioni contenute nella sentenza

medesima. Il che non è riferibile alla sentenza di legittimità, fatta eccezione per il caso di cassazione sostitutiva, consentita

ai sensi dell'ultima parte del 1° comma dell'art. 384 c.p.c., nel

testo novellato dall'art. 66 1. 26 novembre 1990 n. 353: ipotesi,

peraltro, non ricorrente nella specie, sicché su di essa la corte

non è chiamata a pronunciarsi.

Se, invero, la sentenza di legittimità è di rigetto del ricorso, l'esecutività pregiudizievole al terzo non può che derivare dal

contenuto della decisione di merito confermata, in essa rinve

nendosi quel regolamento di interessi che impinge su situazioni

giuridiche proprie di soggetto che pur non ha assunto qualità di parte; se, invece, è di cassazione con o senza rinvio, viene

meno qualsivoglia statuizione conformativa degli interessi so

stanziali in conflitto e perciò anche qualsiasi possibilità di coin

volgimento pregiudizievole della sfera giuridica del terzo, po

tendo, semmai, riprendere attualità la lesione di un suo diritto

solo a seguito della sentenza del giudice di rinvio.

Si tratta di necessarie implicazioni della particolare posizione riservata al giudizio della Suprema corte, non solo dall'ordina

mento giudiziario, ma anche da quello costituzionale, sì da non

renderla riconducibile puramente e semplicemente alla funzione

di un giudice che sia deputato, ancorché in ultima istanza, alla

realizzazione dello ius litigatoris. Il vigente sistema processuale risulta, cioè, tuttora ispirato

ad un modello di ricorribilità dei provvedimenti a fini di con trollo da parte di un organismo di vertice che: a) compie il

proprio esame a seguito di un ricorso configurabile come una

querela nullitatis, anche quando il motivo di doglianza è un

vizio di ingiustizia, e, quindi, più che come mezzo di gravame

(inteso per tale quello che consente alla parte soccombente in

un'istanza inferiore a provocare il riesame immediato della con

troversia in una fase processuale al fine di mettere capo ad una

nuova sentenza in sostituzione di quella precedente), come mez

zo di impugnazione, diretto al riconoscimento della sussistenza

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Page 5: sezioni unite civili; sentenza 10 aprile 1999, n. 238/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M. Carnevali (concl. conf.); Cherry (Avv. Rinaldi) c. Ivan (Avv. Cevolotto, Ronfino).

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

del vizio che è titolo per l'annullamento della sentenza (judi cium rescindens), mentre solo in un secondo momento, ove l'an

nullamento sia avvenuto, e quindi sia stato rimosso l'ostacolo

che si frapponeva all'esame della controversia originaria, que sto riesame (judicium rescissorium) può avvenire, ad opera di

altro giudice, nei limiti in cui ha operato l'annullamento ed in

cui si è prodotta, pertanto, la necessità di porre una nuova sen

tenza nel vuoto lasciato da quella annullata; b) esplica la fun

zione positiva di unificare e disciplinare l'interpretazione giudi ziaria del diritto.

L'essersi la Costituzione repubblicana ispirata a tale modello, se non implica che l'ordinamento giudiziario emanando in base

alla VII disposizione transitoria risulti vincolato ad adottare nel

dettaglio regole con quello coerenti, né che la specifica discipli na processuale del giudizio di cassazione debba necessariamente

sovrapporsi a quella dettata dai codici di rito in vigore prima della legge fondamentale dello Stato (cfr., in tal senso, Corte

cost. n. 184 del 1974, id., 1974, I, 1957), secondo cui, in parti

colare, non è precluso al legislatore ordinario affidare alla Cas

sazione compiti ulteriori rispetto a quelli che tradizionalmente

e necessariamente la caratterizzano, esigendo l'ordinamento co

stituzionale che il controllo di legittimità dei provvedimenti giu diziari risulti sempre possibile, senza comportare impedimento

all'ampliamento del sindacato della corte), certamente impone che la tradizione sottesa al detto modello costituisca, quanto meno nelle sue linee fondamentali, una chiave di lettura della

disciplina della materia, con effetto preclusivo di soluzioni del

tutto alternative, come quelle che conducessero a disconoscere

al ricorso per cassazione il valore di mezzo di impugnazione limitato e lo equiparassero ad un comune mezzo di gravame; o che apparissero di problematica armonizzazione con quelle

peculiarità di «corte regolatrice» che alla Cassazione derivano

dalla sua posizione di vertice dell'ordinamento giudiziario, co

me emerge, in particolare dall'art. Ill Cost., allorché impone la regola dell'indeclinabilità del massimo giudice e, quindi, del

la sua «autorità» (il che, come è stato affermato dalla Corte

costituzionale, risponde non tanto all'interesse individuale della

parte soccombente, quanto a quello generale a che risulti garan tita e controllata la retta attuazione della legge: cfr. Corte cost,

n. 117 del 1973, id., 1973, I, 2682, e n. 62 del 1981, id., 1981, I, 1497).

I superiori rilievi sull'incompatibilità fra sentenza di legittimi tà ed opposizione di terzo sono agevolmente riscontrabili con

riguardo alla tradizionale configurazione di quest'ultimo istitu

to, come rimedio concesso ai titolari di diritti autonomi, incom

patibili e prevalenti, in presenza del pregiudizio individuato nel

così detto danno da esecuzione.

Occorre nondimeno osservare che, per ormai costante orien

tamento della giurisprudenza di questa corte, uguale rimedio

possono sperimentare quei soggetti che, come i litisconsorti ne

cessari pretermessi, facciano valere un vizio del procedimento che abbia inciso sul contraddittorio e quindi sul proprio diritto

di difesa: in tal caso l'opponente non fa valere, almeno imme

diatamente, un proprio diritto sostanziale, ma lamenta la viola

zione di un proprio diritto processuale, sicché non ha bisogno né di allegare l'ingiustizia della pronuncia opposta (Cass. 10

maggio 1985, n. 2918, id., Rep. 1985, voce Opposizione di ter

zo, n. 4), né di formulare richieste di merito (Cass. 16 luglio

1983, n. 4896, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 1, 2), essendo suffi

ciente constatare la violazione delle norme sull'integrità del con

traddittorio perché ne consegua la dichiarazione di nullità della

sentenza impugnata. Ma neanche con riguardo ad ipotesi siffatte di legittimazione

è configurabile l'opponibilità delle sentenze di cassazione, per

ché, a meno di un'inammissibile cancellazione in via ermeneuti

ca di una specifica prescrizione della norma di previsione (art.

404, 1° comma, c.p.c.), non può ignorarsi che la lesione di un

tipico diritto strumentale come quello della difesa in giudizio,

per essere rilevante ai fini della proposizione dell'opposizione, deve pur sempre risultare riferibile ad una sentenza dotata di

esecutività (intrinseca o estrinseca), intesa nel senso, sopra espo

sto, di imposizione di un determinato regolamento degli interes

si sostanziali in conflitto. Ben può, allora, affermarsi che la pretermissione del litiscon

sorte necessario e la conseguente lesione del diritto di difesa

integrano violazioni formali, le quali legittimano ex se all'oppo

sizione; ma solo in quanto fondano una presunzione, in presen

II Foro Italiano — 1999.

za di una sentenza dotata dei suddetti requisiti, di assoggetta mento del caso controverso ad una regola materiale di contenu

to pregiudizievole per quel terzo; non anche che una tale

presenza, nell'ipotesi in esame, non concorra al perfezionamen to della fattispecie costitutiva della legittimazione all'opposizione.

E, dunque, per le già esposte ragioni non può, ancora una

volta, non ritenersi contemplato, dalla norma suddetta, il solo

caso delle sentenze di merito, con esclusione di quelle di legitti

mità; la denuncia della propria pretermissione è lo strumento

col quale il terzo si afferma nell'opposizione come parte per

promuovere una sentenza che è resa sostanzialmente contro di

lui, cioè disponendosi di una sua posizione giuridica, nonostan

te la sua assenza: e questa disposizione non è riferibile che alla

sentenza confermata in Cassazione o a quella pronunciata dal

giudice di rinvio. Né può, infine, sottacersi che all'assunto dell'inammissibilità

dell'opposizione offre non secondario riscontro il principio —

che trova, a sua volta fondamento costituzionale — dell'inop

pugnabilità delle sentenze di cassazione.

Nella giurisprudenza della Corte costituzionale (seppur con

enunciazioni riguardanti essenzialmente il processo penale, ma

logicamente riferibili anche al processo civile) è stato più volte

affermato il principio della definitività delle sentenze suddette, che preclude l'ulteriore riesame di ogni questione di merito o

di rito. È, infatti, connaturale al sistema delle impugnazioni ordina

rie che vi sia una pronuncia terminale — identificabile positiva mente in quella della Corte di cassazione «per il ruolo di supre mo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costitu

zione (art. Ili, 2° comma)» (sent. n. 21 del 1982, id., 1982,

I, 626) — che definisca, nei limiti del giudicato, ogni questione dedotta o deducibile al fine di dare certezza ai rapporti giuridici controversi e che quindi non sia suscettibile di ulteriore sindaca

to (sent. n. 21 del 1982, cit.): certezza che costituisce un valore

costituzionalmente protetto in quanto direttamente ricollegabile al diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), la cui effetti

vità risulterebbe gravemente compromessa se fosse sempre (ed

indefinitamente) possibile controvertere della legittimità delle pro nunce di cassazione.

In quest'ordine di idee, già in passato, la Corte costituzionale

aveva posto in evidenza «l'irrevocabilità e l'incensurabilità da

parte di ogni altro giudice delle decisioni della Corte di cassa

zione» (sentenza n. 51 del 1970, id., 1970, I, 1301); ciò perché

«esigenze di certezza delle situazioni giuridiche» richiedono che

«ad un certo momento il processo si concluda irretrattabilmen

te, restando assorbiti nella definitività delle decisioni eventuali

vizi in procedendo o in indicando» (sentenza n. 136 del 1972,

id., 1972, I, 3006). Anche più recentemente è stata ribadita la regola dell'inoppu

gnabilità delle sentenze della Corte di cassazione (sentenza n.

247 del 1995, id., 1997, I, 2022), che comporta la sanatoria

di tutte le nullità pregresse, anche assolute, «al fine di evitare

la perpetuazione dei giudizi e di conseguire un accertamento

definitivo» (sentenza n. 294 del 1995, id., Rep. 1995, voce Cas

sazione penale, n. 54). Né la costante univocità di questa linea giurisprudenziale può

dirsi intaccata dalla estensione del rimedio della revocazione al

le sentenze della Corte di cassazione, prima conseguente a pro nunce del giudice delle leggi (sent. n. 17 del 1986, id., 1986,

I, 313, e n. 36 del 1991, id., 1991, I, 1033), e poi introdotta

dal legislatore (art. 391 bis c.p.c.), come è confermato dalla cir

costanza che il principio della irrevocabilità ed incensurabilità

delle sentenze della Corte di cassazione è stato, anche successi

vamente, da quel giudice riaffermato (sentenze nn. 247 e 294

del 1995, cit.). E, quel che massimamente rileva ai fini della presente decisio

ne, deve osservarsi come la giurisprudenza costituzionale, con

la sentenza n. 245 del 1996 [sic] ha avuto precipuo riguardo al

caso di sentenze di cassazione eventualmente viziate da violazio

ne del principio del contraddittorio — al cui ambito concettuale

è riconducibile, in sostanza anche la pretermissione di un liti

sconsorte necessario — ed ha ritenuto che non possa non pren dersi atto che lo strumento adeguato per porre rimedio ad un

siffatto «vizio — ove non causato da un errore revocatorio che

già attualmente dà ingresso al rimedio della revocazione ex art.

391 bis c.p.c. — potrebbe essere costituito soltanto dalla previ sione di un mezzo straordinario d'impugnazione»; laddove «l'in

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2243 PARTE PRIMA 2244

troduzione di un tale rimedio straordinario e la sua disciplina,

quanto ai presupposti e alle modalità di esperimento dello stes

so, non possono che rientrare nella discrezionalità del legislatore».

Questa prospettazione, a sua volta non è nuova nella giuris

prudenza della Corte costituzionale che si era già in tal senso

espressa nella citata sentenza n. 294 del 1995, con la quale, in

riferimento ad eventuali errori contenuti nelle pronunce della

Corte di cassazione, aveva affermato che l'introduzione nel si

stema processuale di un mezzo straordinario d'impugnazione per ovviare a tali errori comporta innovazioni che, per la loro am

piezza e per la pluralità di soluzioni e modalità attuative, non

possono che discendere da scelte riservate al legislatore nell'e

sercizio della sua sfera di discrezionalità; nonché nella sentenza

n. 21 del 1982, cit., con la quale, in relazione, ancora una volta,

ad un caso di dedotta violazione del principio del contradditto

rio, aveva ritenuto che, pur trattandosi di una situazione «di

indubbia gravità», solo il legislatore potrebbe porvi rimedio in

troducendo un mezzo straordinario d'impugnazione.

Deve, dunque, ribadirsi, anche alla luce di queste ultime con

siderazioni, il rilievo d'inammissibilità del ricorso.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 9 aprile

1999, n. 3462; Pres. Losavio, Est. Panebianco, P.M. Mac

carone (conci, conf.); Fall. soc. Casearia sarda export (Avv.

Contaldi, Parodi) c. Min. finanze. Conferma App. Genova

11 aprile 1995.

Fallimento — Azione revocatoria fallimentare — Ipoteca legale

per debiti tributari — Equiparazione all'ipoteca giudiziale —

Revocabilità — Esclusione — Limiti (Cod. civ., art. 2818; 1. 7 gennaio 1929 n. 4, norme generali per la repressione delle

violazioni delle leggi finanziarie, art. 26; r.d. 16 marzo 1942

n. 267, disciplina del fallimento, art. 67).

L'ipoteca c.d. legale a favore dell'amministrazione finanziaria concessa a garanzia di crediti tributari, ancorché presuppon

ga l'autorizzazione del presidente del tribunale, non può esse

re equiparata all'ipoteca giudiziale e non è quindi assoggetta bile a revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67, 1 ° com

ma, nn. 3 e 4, I. fall. (1)

(1) Nulla in termini a livello di giurisprudenza di legittimità; fra le corti di merito si segnalano due decisioni entrambe del Tribunale di

Genova; secondo la più recente Trib. Genova 17 novembre 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 415, l'ipoteca legale iscritta in favo re dell'amministrazione finanziaria per violazione delle leggi tributarie, ai sensi dell'art. 26 1. 7 gennaio 1929 n. 4, è assoggettabile all'azione revocatoria fallimentare prevista dall'art. 67, 1° comma, n. 4, 1. fall.; secondo la meno recente 14 marzo 1990, id., Rep. 1990, voce cit., n.

384, l'ipotesi di revocatoria fallimentare prevista dall'art. 67, 1° com

ma, nn. 3 e 4, 1. fall, non è applicabile alle ipoteche legali e, nella

specie, all'ipoteca legale iscritta dall'amministrazione finanziaria ai sen si dell'art. 26 1. 7 gennaio 1929 n. 4, pur se è viceversa applicabile l'azione revocatoria di cui all'art. 67, cpv., 1. fall.; così anche App. Ancona 22 marzo 1968, id., Rep. 1969, voce cit., n. 379. Con riferi mento ad altro tipo di ipoteca legale, la non revocabilità era stata affer mata da Cass. 14 luglio 1952, n. 2184, id., 1952, I, 1359.

La soluzione adottata stando alla lettura dell'art. 67 1. fall, sembra

ineccepibile atteso che tale disposizione ai nn. 3 e 4 richiama i casi dei crediti scaduti e non ancora scaduti, mentre l'ipoteca legale poten dosi iscrivere in base a processo verbale di constatazione della violazio ne di una norma, per la quale sia stabilita una pena pecuniaria, costi tuisce una deroga al principio secondo il quale l'ipoteca tutela un dirit to di credito esistente, potendo tale garanzia iscriversi in un momento antecedente alla stessa formazione del titolo del credito dell'ammini strazione finanziaria, sulla sola base del fumus boni iuris e del pericu

II Foro Italiano — 1999.

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 23

ottobre 1992 il fallimento Casearia sarda export s.r.l., in perso na del curatore, conveniva in giudizio avanti al Tribunale di

Genova l'amministrazione finanziaria dello Stato, chiedendo la

revoca dell'ipoteca legale iscritta ai sensi dell'art. 26 1. 7 gen naio 1929 n. 4 in data 17 novembre 1990 sui beni immobili

della società, fino alla concorrenza di lire 2.269.547.000, a se

guito di autorizzazione del presidente del Tribunale di Genova

del 17 ottobre 1990, dopo che con processo verbale del 10 luglio 1990 era stata accertata un'evasione d'imposta, oggetto succes

sivamente di un avviso di rettifica notificato il 12 novembre

1990. La richiesta veniva proposta alternativamente sotto i pro fili di cui ai nn. 3 e 4 dell'art. 67, 1° comma, 1. fall, relativi

alle ipoteche volontarie e giudiziale ovvero, gradatamente, ai

sensi del successivo 2° comma.

Si costituiva l'amministrazione finanziaria che chiedeva il ri

getto della domanda, sottolineando, per quanto riguarda le ipo tesi di cui ai nn. 3 e 4 del 1° comma, l'impossibilità di ricono

scere nell'ipoteca prevista dall'art. 26 1. n. 4 del 1929 i caratteri

propri dell'ipoteca volontaria o di quella giudiziale, e, per quanto

riguarda l'ipotesi di cui al 2° comma, la mancanza della prova sulla scientia decoctionis.

La causa veniva riunita al giudizio di insinuazione tardiva

per imposte e pene pecuniarie.

lum in mora (Cass. 22 novembre 1991, n. 12589, id., 1992, I, 1178). In dottrina, sostengono la tesi dell'irrevocabilità, G. Ragusa Maggio

re, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Le

procedure concorsuali. Il fallimento, in Trattato diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino, 1997, II, 232; G. Lo Cascio, Il falli mento e le altre procedure concorsuali, Milano, 1995, 237; B. Quatraro A. Fumagalli, La revocatoria ordinaria e fallimentare, Milano, 1994, 183; A. Bonsignori, Il fallimento, in Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ. diretto da F. Galgano, Padova, 1986, IX, 493; G. Rossi, La revocatoria fallimentare delle ipoteche, in Riv. dir. civ., 1963, I, 535; F. Semiani Bignardi, La ritenzione nell'esecuzione singolare e nel falli mento, Padova, 1960, 392; contra, P. Pajardi, Manuale di diritto falli mentare, Milano, 1986, 233, e, ma solo ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall., S. Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, 236.

Certo è che se davvero l'iscrizione dell'ipoteca legale sui beni del tra

sgressore che — in base al processo verbale di constatazione della viola zione di una norma per la quale sia stabilita una pena pecuniaria e

quando vi sia pericolo nel ritardo — l'intendente di finanza chiede al

presidente del tribunale competente, ai sensi dell'art. 26 1. 7 gennaio 1929 n. 4 ha natura di provvedimento cautelare (Cass. 24 aprile 1996, n. 3883, Foro it., Rep. 1996, voce Tributi in genere, n. 1875; 27 luglio 1994, n. 7029, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1808; 22 novembre 1991, n. 12589, cit.; 29 novembre 1983, n. 7162, id., 1984, I, 440), la conse

guenza in ambiente concorsuale dovrebbe essere non già la revocabilità derivante dalla inefficacia sostanziale di cui all'art. 67 1. fall., quanto piuttosto l'inefficacia processuale ex art. 5 1. fall, (per un chiaro con fronto con altra normativa amministrativa, cfr. Cass. 16 aprile 1996, n. 3595, id., Rep. 1997, voce Fallimento, n. 386, per la quale il seque stro amministrativo ex art. 3, 3° comma, r.d.l. 12 maggio 1938 n. 794, effettuato in relazione ad infrazioni valutarie a garanzia del pagamento delle pene pecuniarie di cui all'art. 2 r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, è inopponibile al fallimento del responsabile dell'infrazione valutaria, atteso che il divieto di azioni esecutive individuali, posto dall'art. 51 1. fall., si estende anche alle azioni cautelari, tra cui rientra il suddetto

sequestro amministrativo; più in generale, sull'effetto caducatorio del fallimento sui sequestri conservativi anteriormente concessi, Cass. 18

agosto 1997, n. 7659, ibid., n. 390; 18 gennaio 1995, n. 520, id., Rep. 1995, voce cit., n. 368; 26 febbraio 1992, n. 2346, id., Rep. 1992, voce

cit., n. 352; 21 maggio 1983, n. 3518, id., Rep. 1983, voce cit., n.

277; in dottrina, G. de Ferra, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1998, 123; T. Manferoce, Effetti per i creditori, in AA.VV., Diritto

fallimentare, Milano, 1996, 560; F. Vassalli, Diritto fallimentare, To

rino, 1994, I, 321; F. Ferrara, Il fallimento, Milano, 1989, 461; B.

Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, in Commentario Scialoja Branca, Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1988, 24; U. Belviso, Se

questro e fallimento, Milano, 1978, 62; A. Bonsignori, Il fallimento, cit., 357; S. Satta, Diritto fallimentare, cit., 167).

Il giudice di legittimità nel percorso argomentativo tracciato fa men zione dell'origine storica della norma che mirava a colmare la lacuna dell'assenza di misure cautelari su beni immobili; ora che le misure cau telari sui beni immobili esistono, si è posto il problema della compatibi lità del sequestro conservativo con l'ipoteca legale come si ricava dalla interlocutoria Corte cost. 22 luglio 1998, n. 312, Foro it., 1998, I, 3053, con nota di E. Fabiani; su tale questione, C. Consolo, Ipoteca, seque stro fiscale e processo cautelare «civilizzato», in Giur. it., 1997, I, 1, 1183. [M. Fabiani]

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