sezioni unite civili; sentenza 10 aprile 1999, n. 238/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M.Carnevali (concl. conf.); Cherry (Avv. Rinaldi) c. Ivan (Avv. Cevolotto, Ronfino). Dichiarainammissibile ricorso avverso Cass. 12 settembre 1997, n. 9033Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 7/8 (luglio-agosto 1999), pp. 2235/2236-2243/2244Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194987 .
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2235 PARTE PRIMA 2236
tà dei consegnatari ivi previsti, senza ulteriori restrizioni che
il tessuto normativo non giustifica. La tesi minoritaria, infatti pur ammettendo l'indicazione al
ternativa tra casa o ufficio, sicché l'ufficiale giudiziario è libero
di effettuare la ricerca in una delle due sedi abituali, quali casa
o ufficio, interpreta la norma nel senso che la consegna alla
persona di famiglia può avvenire solo se rinvenuta nella casa
di abitazione del destinatario dell'atto e non anche ove sia ritro
vata nell'ufficio di questo, oppure dove lo stesso eserciti l'indu
stria o il commercio.
Questa ulteriore lettura additiva contrasta con l'interpretazio ne letterale, logica e sistematica dell'intero art. 139 c.p.c. Sotto
il profilo letterale, infatti, la norma non offre addentellati di
sorta: il suo nucleo essenziale considera, infatti, pienamente fun
gibili sia le sedi abituali del destinatario, ove effettuare la ricer
ca, sia i consegnatari che possono essere, in entrambi i luoghi, sia le persone di famiglia, sia gli addetti all'ufficio o all'azien da. In altri termini, è ben possibile che presso la casa familiare
adibita anche ad ufficio o studio, la consegna dell'atto da noti
ficare avvenga nelle mani di persona di famiglia o di persona estranea alla famiglia, ma addetta all'ufficio o allo studio. E
viceversa nel caso di infruttuosa ricerca del destinatario nell'a
zienda o nell'ufficio, la consegna dell'atto può avvenire sia nel
le mani di persone addette all'azienda o all'ufficio, sia di com
ponenti il nucleo familiare del destinatario in senso stretto co
me anche anagraficamente individuato, che si trovino nell'ufficio
o nell'azienda.
Dall'analisi letterale del dato normativo emerge che l'ordina
mento non si preoccupa di creare una scala di gerarchia di valo
ri tra addetti alla casa o all'ufficio, ma di accomunarli, renden
doli fungibili o intercambiabili, sottolineandone il comune de
nominatore che è dato dal rapporto di fiducia che lega il
consegnatario al destinatario in modo da far presumere che si
prendano cura di consegnargli l'atto notificato.
Sotto il profilo della ratio della norma, si può rilevare come
il modus operandi indicato tende a realizzare un meccanismo,
per quanto possibile, idoneo a garantire l'effettiva consegna fi
nale dell'atto al destinatario. Ciò spiega il ricorso alla figura della «persona di famiglia», che identifica un ambito di persone
ritenute, in ragione della loro connotazione soggettiva di astret
te al vincolo di parentela e della connotazione oggettiva della
«convivenza» — presumendosi la convivenza del familiare fino
a prova contraria (Cass. 22 gennaio 1998, n. 599, id., Mass.,
64; 11 aprile 1996, n. 3403, cit.) — particolarmente idonee ad
assicurare, secondo il quod plerumque accidit, la consegna del
l'atto in caso di assenza del destinatario. In questa prospettiva, non acquista rilievo discriminante la circostanza che la conse
gna dell'atto abbia, in. concreto, a verificarsi presso la casa di
abitazione, piuttosto che presso i luoghi in cui il destinatario
abbia la sua azienda o eserciti la sua attività di lavoro o com
merciale. In entrambi i luoghi elettivi per la ricerca del destina
tario, il rapporto di parentela tra consegnatario e destinatario è identico, così come la fiducia che l'atto consegnato in casa
o in ufficio sia effettivamente portato a conoscenza del desti
natario.
Nell'ambito della ricostruita ratio, non vi è, pertanto, ragio ne per ritenere che, con l'espressione «persona di famiglia», il legislatore abbia inteso identificare i familiari «conviventi»
con il destinatario della notifica, come idonei a ricevere, soltan
to le notifiche effettuate presso l'abitazione del destinatario del
la notifica e non anche presso i luoghi in cui il destinatario
abbia la sua azienda o eserciti la sua attività di lavoro o com
merciale.
Infine, sotto il profilo sistematico non si può non osservare
come la tesi che vorrebbe limitare il ruolo delle persone di fami
glia come consegnatane delle notifiche effettuate solo presso la casa di abitazione impedirebbe di far funzionare il rapporto di fiducia basato sul vincolo di parentela, nell'altro luogo eletti vo che è l'ufficio, il negozio o l'azienda. Con l'ulteriore conse
guenza di costringere l'ufficiale giudiziario, in assenza di addet ti all'ufficio, a rivolgersi al portiere dello stabile, ove si trova
l'azienda, con l'aggravante dell'ulteriore avviso da spedire al
destinatario, oltre che della violazione della successione prefe renziale delle persone, cui la copia può essere consegnata, con siderata dall'ordinamento tassativa e vincolante. Non è chi non
veda, sotto il profilo sistematico, che rispetto alla notifica al
portiere dell'ufficio, l'ordinamento non può non privilegiare,
Il Foro Italiano — 1999.
per il rapporto di fiducia, la consegna a mano di persona di
famiglia rinvenuta nello stesso ufficio. Non senza aggiungere
che, ove la persona di famiglia trovata dall'ufficiale giudiziario nella casa di abitazione del destinatario accetti l'atto senza ri
serve, la validità della notificazione può essere esclusa solo se
il notificando, che assume di non avere ricevuto l'atto, dia la
dimostrazione che la presenza del familiare in casa era del tutto
occasionale e momentanea (così già Cass. 1° aprile 1992, n.
3936, id., Rep. 1992, voce cit., n. 8).
L'accoglimento del primo motivo importa l'assorbimento de
gli altri dedotti in via gradata. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata ed il giudice
di rinvio, che si designa nella Commissione tributaria regionale della Basilicata si atterrà al seguente principio di diritto, formu
lato ai sensi dell'art. 143 disp. att. c.p.c.: in assenza del destina
tario, la notificazione o presso l'abitazione del destinatario, o
presso l'ufficio (o il luogo di esercizio dell'industria o del com
mercio), in base all'art. 139, 2° comma, c.p.c., può avvenire
mediante consegna della copia dell'atto a persona di famiglia convivente che si trovi in uno dei luoghi indicati dalla citata
norma, anche se non addetta all'ufficio o all'azienda, in quanto
l'appartenenza di essa al nucleo familiare del destinatario, rive
lata dal rapporto di convivenza, e l'accettazione a ricevere la
copia dell'atto la rendono idonea a curarne la sollecita conse
gna al destinatario in base ad un rapporto di fiducia, basato
sulla solidarietà connessa a questi vincoli familiari e sul dovere
giuridico conseguente all'avvenuta accettazione della notifica.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 10 aprile
1999, n. 238/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M.
Carnevali (conci, conf.); Cherry (Aw. Rinaldi) c. Ivan (Aw.
Cevolotto, Ronfino). Dichiara inammissibile ricorso avver
so Cass. 12 settembre 1997, n. 9033.
Opposizione di terzo — Sentenza di cassazione — Inammissibi
lità (Cod. proc. civ., art. 102, 331, 404).
È inammissibile il ricorso in opposizione di terzo ordinaria pro
posto avverso una sentenza della Corte di cassazione dal litis
consorte necessario pretermesso nel giudizio conclusosi con
la sentenza oggetto dell'opposizione (in motivazione si è tut
tavia precisato che eccezione deve essere fatta per il caso, non
ricorrente nella fattispecie, di cassazione c.d. sostitutiva, con
sentita ai sensi dell'ultima parte del 10 comma dell'art. 384
c.p.c. nel testo novellato). (1)
(1) I. - La Suprema corte viene per la prima volta chiamata a pro nunciarsi sulla proponibilità dell'opposizione di terzo ordinaria nei con fronti di una sentenza da essa emanata (la decisione impugnata, 12 set tembre 1997, n. 9033, si legge in Foro it., 1998, I, 2526, con nota di
richiami). L'esperibilità del mezzo d'impugnazione viene esclusa dalle sezioni
unite in considerazione non solo (e non tanto) del tenore letterale delle
disposizioni degli art. 404 ss. c.p.c. ma anche (e soprattutto) del ruolo attribuito dall'ordinamento vigente alla Corte di cassazione, ed oggetto di un dibattito di rinnovata attualità (v., da ultimo, le considerazioni del suo primo presidente, Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, nell'inter vento all'assemblea generale della corte tenutasi il 23 aprile 1999, id., 1999, V, 161, nonché di A. Proto Pisani, Cassazione civile e riforme costituzionali, id., 1998, V, 167, ivi altri riferimenti).
La legittimazione del litisconsorte necessario pretermesso all'esperibi lità del suddetto mezzo di impugnazione è riconosciuta dalla giurispru denza ormai consolidata: v., in tal senso, Cass. 18 maggio 1994, n. 4878, id., Rep. 1995, voce Impugnazioni civili, n. 18 (e Giur. it., 1995, I, 1, 445), nonché, ricordate in motivazione, 10 maggio 1985, n. 2918, Foro it., Rep. 1985, voce Opposizione di terzo, n. 4, e 16 luglio 1983,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Tribunale di Tre
viso, Barbara Ivan chiedeva che fosse dichiarata l'ammissibilità
dell'azione di paternità naturale che intendeva proporre per es
sere riconosciuta figlia di Cherry Richard Antony. Essendo quest'ultimo deceduto il 4 giugno 1972 ed essendo
venuti a mancare anche i genitori del presunto padre naturale, De Toffoli Maria, in data 20 ottobre 1977, e Cherry John Eve
lin, in data 11 aprile 1983, in mancanza di eredi diretti del me
desimo presunto padre, il ricorso veniva notificato alle sorelle
viventi ed eredi del nominato Cherry John Evelin: Cherry Joan
ne Margaret in Hacket, Cherry Lorna Mary in Wilson, Cherry Patricia Adrienne, vedova Adams.
Il tribunale, con decreto del 19 aprile 1995, dichiarava l'am
missibilità dell'azione ed il provvedimento veniva notificato alle
tre sorelle Cherry il 19 giugno 1995, nessuna delle quali propo neva reclamo. Tale rimedio veniva, invece, sperimentato da Mi
nuto Rizzo Alessandro e Minuto Rizzo Emanuela, quali eredi
del presunto padre. La Corte d'appello di Venezia, con decreto del 20 giugno
1996, dichiarava inammissibile il reclamo; e, contro questo prov
vedimento, ricorrevano per cassazione ex art. Ill Cost., i Mi
nuto Rizzo, lamentando di non essere stati parti nel giudizio di ammissibilità dell'azione, nonostante la loro qualità di litis
consorti necessari.
Con sentenza n. 9033 del 1997 (Foro it., 1998, I, 2526), que sta corte cassava con rinvio al Tribunale di Treviso la decisione
della corte di appello, riconoscendo sussistente la lamentata pre
ri. 4896, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 1, 2, secondo cui «in tema di
opposizione di terzo, ex art. 404 c.p.c., il pregiudizio del litisconsorte
necessario pretermesso non scaturisce esclusivamente dall'obiettiva in
giustizia della decisione di merito e dall'incompatibilità del diritto van
tato con quello deciso inter alios, ma è costituito anzitutto dalla manca
ta partecipazione ad un giudizio che non avrebbe potuto svolgersi senza
il suo intervento conclusosi con una sentenza che, data la natura del
rapporto che ne ha formato oggetto, pregiudica la sua posizione di di
ritto sostanziale; conseguentemente, l'opposizione è ammissibile anche
se il litisconsorte necessario pretermesso non formuli richieste sul meri
to della controversia» (tale pronuncia ha precisato che, mentre nel caso
di opposizione di terzo proposta da litisconsorte necessario pretermesso contro una sentenza di primo grado le due fasi, rescindente e rescisso
ria, si svolgono innanzi allo stesso giudice il quale può, con un'unica
decisione, annullare la sentenza opposta ed emettere la pronuncia sosti
tutiva, oppure pronunciare una prima sentenza di annullamento e quin di, all'esito dell'espletamento dei mezzi di prova ritenuti necessari, pro nunciare sul merito, nella ipotesi di opposizione contro una sentenza
di secondo grado, il giudice dell'appello deve limitarsi ad eliminare la
sentenza opposta ed a rimettere gli atti al giudice di primo grado, sia
per il rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione, sia per
l'applicabilità dell'art. 354 c.p.c.). Nello stesso senso, v. anche Cass. 11 gennaio 1988, n. 19, id., 1988,
I, 2534; 17 dicembre 1983, n. 7458, id., Rep. 1983, voce Intervento
in causa e litisconsorzio, n. 34 (sia pure con riferimento al caso di litis
consorzio necessario di ordine sostanziale); 26 ottobre 1979, n. 5618,
id., 1980, I, 364, con osservazioni di A. Proto Pisani; 7 dicembre 1976, n. 4555, id., Rep. 1976, voce cit., n. 5; 9 giugno 1969, n. 2033, id., 1969, I, 1683, con nota di richiami di dottrina e di giurisprudenza; 22 novembre 1962, n. 3164, id., 1963, I, 43.
Anche la dottrina processualcivilistica ammette all'opposizione di ter
zo ordinaria il litisconsorte necessario pretermesso, salvo poi esprimere valutazioni radicalmente diverse in ordine al carattere esclusivo di tale
legittimazione (per indicazioni, nonché per una panoramica sulle varie
opinioni, v., da ultimo, Olivieri, Opposizione di terzo, voce del Dige sto civ., Torino, 1995, XIII, 104 ss., e Luiso, Opposizione di terzo, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXI).
Nel senso invece di riconoscere a tale soggetto la legittimazione (an
che) alle impugnazioni ordinarie, v. l'isolata Cass. 18 novembre 1993, n. 11366, Foro it., Rep. 1994, voce Impugnazioni civili, n. 26 (e Giur.
it., 1994,1, 1, 390, con nota di Besso), la quale ha argomentato dal fatto
che «è contrario ad ogni principio di economia processuale ritenere che
il difetto di integrità del contraddittorio, mentre non è ancora passata in giudicato la sentenza, possa essere fatto valere dai litisconsorti presen ti nel processo e non da quelli rimasti esclusi, legittimati solamente in
un momento successivo all'opposizione di terzo ex art. 404, 1° comma,
c.p.c. (o all'esercizio dell 'actio nullitatis)» (nello stesso senso, in dottri
na, Tomei, in Riv. dir. proc., 1980, 708 ss.; Id., Legittimazione ad agire, voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1974, XXIV, 91).
II. - A ben vedere, l'inammissibilità dell'opposizione di terzo avverso
le sentenze di legittimità sembra derivare piuttosto dal fatto che — di
regola — nelle stesse non è dato rinvenire «una statuizione conformati
va degli interessi sostanziali in conflitto, e quindi una possibilità di coin
II Foro Italiano — 1999.
termissione dei ricorrenti, ma rigettando l'eccezione d'impropo nibilità del giudizio di riconoscimento della paternità, da questi ultimi sollevata in base ad asserita carenza di legittimati passivi.
Con ricorso notificato il 13 gennaio 1998, una delle tre sorel
le Cherry, ed esattamente la sig. Cherry Joanne Margaret in
Hacket, adducendo la sua mancata partecipazione ai giudizi di
appello e di cassazione promossi dai sig. Minuti Rizzo, ha pro
posto opposizione di terzo ordinaria, ex art. 404, 1° comma,
c.p.c., avverso la sentenza da ultimo indicata. La sig. Barbara
Ivan ha proposto controricorso. Gli altri intimati non si sono
costituiti, pur avendo ricevuto rituale notificazione del ricorso.
Motivi della decisione. — La ricorrente, premessa la deduzio
ne della sua qualità di litisconsorte pretermessa nel giudizio con
clusosi con la sentenza oggetto dell'opposizione, individua il pre
giudizio arrecatole nella ritenuta ammissibilità dell'azione per il riconoscimento di paternità naturale anche nel caso in cui
manchino eredi diretti del presunto genitore defunto. Sollecita,
quindi, in via principale, una pronuncia di segno opposto, nella
risoluzione del problema ermeneutico posto dall'art. 276 c.p.c., nella parte in cui questa norma identifica gli eredi del presunto
genitore come legittimati passivi rispetto all'azione suddetta. Chie
de, in subordine, la cassazione senza rinvio del decreto di am
missibilità della stessa azione, pronunciato dal Tribunale di Tre
viso il 10 aprile 1995, esulando la relativa domanda dalla giuris dizione del giudice italiano, siccome proposta anteriormente
all'entrata in vigore della 1. 31 maggio 1995 n. 218. In ulteriore
subordine, solleva la questione di legittimità costituzionale, in
volgimento pregiudizievole della sfera giuridica del terzo» tale da inte
grare il presupposto dell'opposizione ex art. 404 c.p.c. (e cioè una deci sione di merito).
Cfr. già in tal senso, in dottrina, con riferimento al codice previgen te, Mortara, Procedura civile, Milano, 1916, IV, 531, il quale osserva va che «è abbastanza strano che si sia potuto discutere del pregiudizio che può arrecare al terzo una sentenza della Corte di cassazione senza riflettere che: primo in ogni modo tale sentenza non può pregiudicare un diritto non contenendo veruna deliberazione sul merito e secondo che ammettere il terzo all'opposizione vorrebbe dire consentirgli di chie dere alla corte che rigetti il ricorso già accolto o che accolga quello già rigettato», nonché D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, Torino, 1951, I, 519, e Micheli, Corso di diritto processuale civile, Milano, 1960, II, 339, e, implicitamente, Andrioli, Diritto pro cessuale civile, Napoli, 1979, 946. Da ultimo, Luiso, op. cit., 8 (il quale tuttavia aggiunge che «se chi si oppone è un litisconsorte necessario
pretermesso, niente dovrebbe impedire — quando si tratti di cassazione senza rinvio — l'utilizzazione dell'opposizione di terzo»).
Il problema sorge con riferimento a quelle ipotesi nelle quali un ac
certamento di merito, destinato ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale, invece vi sia. Nonostante che la questione avesse motivo di porsi anche con riferimento al sistema previgente (si pensi alle sen
tenze di cassazione senza rinvio ex art. 382, 3° comma, per difetto as
soluto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione ovvero di improponibilità assoluta della domanda per inesistenza di una situazione giuridicamente tutelata), essa ha indubbia
mente acquistato rilevanza pratica a seguito della introdotta possibilità
per la corte di decidere la causa nel merito in caso di accoglimento del ricorso per violazione o falsa applicazione di legge «qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto» (art. 384, 1° comma,
novellato, e su cui v., per tutti, da ultimo, Caponi, La decisione della
causa nel merito da parte della Corte di cassazione italiana e del Bunde
sgerichtshof tedesco, in Dir. e giur., 1996, 236; Id., nota a Cass., ord.
158/98, sent. 12465/97, e decr. 11 luglio 1997, in Foro it., 1998, I, 1076). Ciò in conseguenza del silenzio mantenuto in proposito dalla 1. 353/90,
a differenza di quanto si è verificato in materia di revocazione con
l'introduzione dell'art. 391 bis c.p.c., sulla base di quanto affermato
dalla Corte costituzionale con le sentenze 30 gennaio 1986, n. 17 (id.,
1986, I, 313, con nota di A. Proto Pisani), e 31 gennaio 1991, n.
36 (id., 1991, I, 1033), ricordate anche in motivazione dalla sentenza
in epigrafe. Rilevato che «il problema non andava risolto necessariamente nel senso
di estendere la nuova disposizione dell'art. 391 bis, ma andava risolto,
pena il sorgere di un grosso problema di legittimità costituzionale con
riferimento sia all'art. 3 sia all'art. 24, 2° comma, Cost.», si è osserva
to in dottrina che «sul piano dell'opportunità sarebbe stato da prevede re che la revocazione ex art. 395 e 397 e l'opposizione di terzo ex art.
404, 1° e 2° comma, fossero da proporsi davanti ad un giudice di meri
to (e cioè quello che aveva pronunciato la sentenza sostituita dalla pro nuncia di merito della Cassazione); e ciò non solo perché spesso la re
vocazione ex art. 395 e 397 e l'opposizione di terzo ex art. 404, 1°
e 2° comma, richiedono lo svolgimento di accertamenti di fatto sia nel
la fase rescindente che in quella rescissoria, ma anche perché in tal
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2239 PARTE PRIMA 2240
relazione agli art. 24, 2° comma, 30, ultimo comma, e 42, ulti
mo comma, Cost., dell'art. 276, 1° comma, c.c., nell'interpre tazione datane dalla sentenza opposta, circa la suddetta que stione di proponibilità dell'azione.
Il ricorso è inammissibile. È, invero, avviso della corte che le sentenze di cassazione non
siano suscettibili del rimedio dell'opposizione di terzo.
Ciò si desume sia dal tenore letterale delle disposizioni che
regolano l'istituto, sia, e massimamente, da considerazioni di
tipo sistematico.
Sotto il primo aspetto, si osserva che l'art. 405, 2° comma,
c.p.c., assegnando all'atto introduttivo del giudizio di opposi zione la forma della citazione, somministra un primo indizio
della presupposta impossibilità di adire la Corte di cassazione, il cui controllo è, invece, sollecitarle col ricorso.
La rilevanza del dato testuale non è inficiata dalla sussistenza
di procedimenti speciali che iniziano con ricorso, ma si conclu
dono con sentenze certamente suscettibili di opposizione, come, ad esempio, quelle pronunciate secondo il rito del lavoro, in
quanto la menzione della citazione rimane pur sempre sintoma
tica di una voluntas legis riferita, nel contesto storico della sua
formulazione, alla forma ordinaria del giudizio di merito.
Del resto, ad una tale volontà corrisponde l'art. 325, il quale sia nel teso originario che in quello sostituito, dapprima dal
l'art. 47 1. 26 novembre 1990 n. 353 e poi dall'art. 32 1. 21
novembre 1991 n. 374, nello stabilire i termini per le impugna
zioni, ha riguardo esclusivamente al caso dell'opposizione di terzo
avverso sentenze di merito e non anche avverso quelle di legitti
modo si sarebbe evitato di sovraccaricare la Corte di cassazione di com
piti ulteriori rispetto a quello principale ed istituzionale di assicurare l'uniforme interpretazione della legge» (A. Proto Pisani, La nuova di
sciplina del processo civile, Napoli, 1991, 275). Sostanzialmente nello stesso senso, Consolo, Luiso, Sassani, La ri
forma del processo civile, Milano, 1991, 355, nonostante le rilevate dif ficoltà (derivanti dall'inidoneità della Corte di cassazione a svolgere l'i struzione e gli accertamenti sui fatti e tali da suggerire piuttosto la pro posizione del ricorso ex art. 404 avanti al giudice di primo grado competente a conoscere il diritto asseritamente pregiudicato) in quanto «la soluzione che negasse l'esperibilità dell'opposizione di terzo nei ri
guardi delle sentenze di merito della Suprema corte si esporrebbe ad una verosimile violazione dell'art. 3, piuttosto e prima ancora dell'art. 24 Cost, anche se non si ritenga l'opposizione ordinaria, a differenza di quella revocatoria, un rimedio necessario ed esclusivo».
Nel senso che attualmente la conclusione dell'inammissibilità del ri medio dell'opposizione di terzo avverso le sentenze rese dalla Corte di cassazione non è più sostenibile in assoluto, v. Olivieri, op. cit., 122. In senso dubitativo, Mazzarella, Cassazione (dir. proc. civ.), voce del
l'Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, V, 29, per il quale l'op posizione di terzo sembrerebbe avere «natura di mezzo non strettamen te necessario, attesa la normale proponibilità in primo grado di un'a zione da parte del terzo».
Secondo Tarzla, Lineamenti del nuovo processo civile di cognizione, Milano, 1991, 285, il problema è da risolversi in senso decisamente po sitivo già in iure condito, di fronte alla formula di legge che ammette
l'opposizione ordinaria contro la sentenza passata in giudicato o co
munque esecutiva e quella revocatoria contro la sentenza (con l'ulterio re precisazione che quando il pregiudizio sorga dalla pronuncia della
Cassazione, il procedimento si svolgerà dinanzi alla stessa Suprema cor
te, nelle forme per esso prescritte). Esclude l'applicabilità dell'art. 404 alle sentenze di legittimità invece
Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 210
s., in considerazione del fatto che «si tratta di un rimedio che richiede normalmente una fase istruttoria relativamente ai presupposti di fatto che il terzo opponente pone a fondamento della domanda mentre, an che sulla base della previsione contenuta nel citato art. 384, si deve ritenere che si sia voluto escludere che la corte proceda in generale ad accertamenti di fatto». Negata l'applicabilità del rimedio, ne consegue tuttavia anche il contrasto con le disposizioni di cui agli art. 3 e 24
Cost., «considerando che la disciplina dettata dagli art. 404 ss. c.p.c. assicura all'opponente una tutela più articolata e piena di quella che il terzo può conseguire instaurando nei confronti delle parti un autono mo processo di accertamento».
Conferma alle tesi favorevoli alla proponibilità della opposizione di terzo ordinaria avverso le decisioni rese dalla Corte di cassazione a nor ma del 1° comma dell'art. 384 c.p.c. novellato sembra adesso venire dall'affermazione — sia pure in obiter — della sentenza in epigrafe per cui «eccezione (al principio enunciato) deve essere fatta per il diver so caso, non ricorrente nella fattispecie, di cassazione c.d. sostitutiva, consentita ai sensi dell'ultima parte del 1° comma dell'art. 384 c.p.c. nel testo novellato». [M. Iozzo]
Il Foro Italiano — 1999.
mità: ben vero si tratta dell'opposizione di cui al 2° comma
dell'art. 404 c.p.c., ma non è men vero che la differenza fra
questo tipo di impugnazione e quello di cui al 1° comma della
medesima norma, mentre rileva sotto il profilo dei requisiti tem
porali di utilizzazione del mezzo (poiché, ove esso si ricolleghi ad una denuncia di dolo o collusione, è coerente con i principi
generali che governano il sistema dei gravami, l'imposizione di
un termine di decadenza decorrente dall'acquisita cognizione del
presupposto legittimante), postula, invece, un'uguale idoneità
alla rimozione della situazione antigiuridica lamentata dell'op
ponente, tale, quindi da non poterne desumere un diverso at
teggiarsi rispetto alla provenienza delle sentenze impugnabili, nel senso che solo per l'uno e non per l'altro possano ritenersi
sottratte al novero di queste ultime le sentenze di cassazione.
Lo stesso art. 408 c.p.c., nel graduare la misura della pena
pecuniaria, per il caso di opposizione inammissibile o rigettata ed in relazione ai diversi giudici dai quali può provenire la sen
tenza opposta, non reca alcuna menzione della Corte di cas
sazione.
Sul piano sistematico, occorre, poi, rilevare che l'art. 404, 1° comma, c.p.c., ricollega all'esecutività della sentenza il pre
giudizio dei diritti del terzo, quale situazione che legittima al
l'opposizione. Il caso della sentenza «passata in giudicato», essendo equipa
rato all'altro, in cui questa sia «comunque esecutiva», lascia,
infatti, chiaramente intendere che la situazione pregiudizievole che accomuna le due ipotesi non nasce dall'attinta definitività
dell'accertamento, ma dall'idoneità del medesimo a determina
re modificazioni che coinvolgono la posizione giuridica del ter
zo, ovvero, come è stato osservato da autorevole dottrina, dalla
sua esecutività intrinseca, rimanendo, quindi, le ipotesi stesse
differenziate soltanto dal fatto che nel secondo il legislatore in
tende alludere all'idoneità della sentenza a costituire titolo per l'esecuzione forzata, anche prima del suo passaggio in giudica
to, vale a dire alla sua estrinseca esecutività.
Dovendo siffatte modificazioni pregiudizievoli essere variabili
nei confronti di un soggetto che, per definizione, è rimasto estra
neo al processo conclusosi con la sentenza opponibile, se ne
desume la loro necessaria attinenza a situazioni giuridiche so
stanziali, in rapporto di incompatibilità o interferenza con quel le dedotte in giudizio dalle parti e, quindi, anche la necessità
della loro causale imputazione ad un regolamento concreto de
gli interessi che derivi dalle statuizioni contenute nella sentenza
medesima. Il che non è riferibile alla sentenza di legittimità, fatta eccezione per il caso di cassazione sostitutiva, consentita
ai sensi dell'ultima parte del 1° comma dell'art. 384 c.p.c., nel
testo novellato dall'art. 66 1. 26 novembre 1990 n. 353: ipotesi,
peraltro, non ricorrente nella specie, sicché su di essa la corte
non è chiamata a pronunciarsi.
Se, invero, la sentenza di legittimità è di rigetto del ricorso, l'esecutività pregiudizievole al terzo non può che derivare dal
contenuto della decisione di merito confermata, in essa rinve
nendosi quel regolamento di interessi che impinge su situazioni
giuridiche proprie di soggetto che pur non ha assunto qualità di parte; se, invece, è di cassazione con o senza rinvio, viene
meno qualsivoglia statuizione conformativa degli interessi so
stanziali in conflitto e perciò anche qualsiasi possibilità di coin
volgimento pregiudizievole della sfera giuridica del terzo, po
tendo, semmai, riprendere attualità la lesione di un suo diritto
solo a seguito della sentenza del giudice di rinvio.
Si tratta di necessarie implicazioni della particolare posizione riservata al giudizio della Suprema corte, non solo dall'ordina
mento giudiziario, ma anche da quello costituzionale, sì da non
renderla riconducibile puramente e semplicemente alla funzione
di un giudice che sia deputato, ancorché in ultima istanza, alla
realizzazione dello ius litigatoris. Il vigente sistema processuale risulta, cioè, tuttora ispirato
ad un modello di ricorribilità dei provvedimenti a fini di con trollo da parte di un organismo di vertice che: a) compie il
proprio esame a seguito di un ricorso configurabile come una
querela nullitatis, anche quando il motivo di doglianza è un
vizio di ingiustizia, e, quindi, più che come mezzo di gravame
(inteso per tale quello che consente alla parte soccombente in
un'istanza inferiore a provocare il riesame immediato della con
troversia in una fase processuale al fine di mettere capo ad una
nuova sentenza in sostituzione di quella precedente), come mez
zo di impugnazione, diretto al riconoscimento della sussistenza
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
del vizio che è titolo per l'annullamento della sentenza (judi cium rescindens), mentre solo in un secondo momento, ove l'an
nullamento sia avvenuto, e quindi sia stato rimosso l'ostacolo
che si frapponeva all'esame della controversia originaria, que sto riesame (judicium rescissorium) può avvenire, ad opera di
altro giudice, nei limiti in cui ha operato l'annullamento ed in
cui si è prodotta, pertanto, la necessità di porre una nuova sen
tenza nel vuoto lasciato da quella annullata; b) esplica la fun
zione positiva di unificare e disciplinare l'interpretazione giudi ziaria del diritto.
L'essersi la Costituzione repubblicana ispirata a tale modello, se non implica che l'ordinamento giudiziario emanando in base
alla VII disposizione transitoria risulti vincolato ad adottare nel
dettaglio regole con quello coerenti, né che la specifica discipli na processuale del giudizio di cassazione debba necessariamente
sovrapporsi a quella dettata dai codici di rito in vigore prima della legge fondamentale dello Stato (cfr., in tal senso, Corte
cost. n. 184 del 1974, id., 1974, I, 1957), secondo cui, in parti
colare, non è precluso al legislatore ordinario affidare alla Cas
sazione compiti ulteriori rispetto a quelli che tradizionalmente
e necessariamente la caratterizzano, esigendo l'ordinamento co
stituzionale che il controllo di legittimità dei provvedimenti giu diziari risulti sempre possibile, senza comportare impedimento
all'ampliamento del sindacato della corte), certamente impone che la tradizione sottesa al detto modello costituisca, quanto meno nelle sue linee fondamentali, una chiave di lettura della
disciplina della materia, con effetto preclusivo di soluzioni del
tutto alternative, come quelle che conducessero a disconoscere
al ricorso per cassazione il valore di mezzo di impugnazione limitato e lo equiparassero ad un comune mezzo di gravame; o che apparissero di problematica armonizzazione con quelle
peculiarità di «corte regolatrice» che alla Cassazione derivano
dalla sua posizione di vertice dell'ordinamento giudiziario, co
me emerge, in particolare dall'art. Ill Cost., allorché impone la regola dell'indeclinabilità del massimo giudice e, quindi, del
la sua «autorità» (il che, come è stato affermato dalla Corte
costituzionale, risponde non tanto all'interesse individuale della
parte soccombente, quanto a quello generale a che risulti garan tita e controllata la retta attuazione della legge: cfr. Corte cost,
n. 117 del 1973, id., 1973, I, 2682, e n. 62 del 1981, id., 1981, I, 1497).
I superiori rilievi sull'incompatibilità fra sentenza di legittimi tà ed opposizione di terzo sono agevolmente riscontrabili con
riguardo alla tradizionale configurazione di quest'ultimo istitu
to, come rimedio concesso ai titolari di diritti autonomi, incom
patibili e prevalenti, in presenza del pregiudizio individuato nel
così detto danno da esecuzione.
Occorre nondimeno osservare che, per ormai costante orien
tamento della giurisprudenza di questa corte, uguale rimedio
possono sperimentare quei soggetti che, come i litisconsorti ne
cessari pretermessi, facciano valere un vizio del procedimento che abbia inciso sul contraddittorio e quindi sul proprio diritto
di difesa: in tal caso l'opponente non fa valere, almeno imme
diatamente, un proprio diritto sostanziale, ma lamenta la viola
zione di un proprio diritto processuale, sicché non ha bisogno né di allegare l'ingiustizia della pronuncia opposta (Cass. 10
maggio 1985, n. 2918, id., Rep. 1985, voce Opposizione di ter
zo, n. 4), né di formulare richieste di merito (Cass. 16 luglio
1983, n. 4896, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 1, 2), essendo suffi
ciente constatare la violazione delle norme sull'integrità del con
traddittorio perché ne consegua la dichiarazione di nullità della
sentenza impugnata. Ma neanche con riguardo ad ipotesi siffatte di legittimazione
è configurabile l'opponibilità delle sentenze di cassazione, per
ché, a meno di un'inammissibile cancellazione in via ermeneuti
ca di una specifica prescrizione della norma di previsione (art.
404, 1° comma, c.p.c.), non può ignorarsi che la lesione di un
tipico diritto strumentale come quello della difesa in giudizio,
per essere rilevante ai fini della proposizione dell'opposizione, deve pur sempre risultare riferibile ad una sentenza dotata di
esecutività (intrinseca o estrinseca), intesa nel senso, sopra espo
sto, di imposizione di un determinato regolamento degli interes
si sostanziali in conflitto. Ben può, allora, affermarsi che la pretermissione del litiscon
sorte necessario e la conseguente lesione del diritto di difesa
integrano violazioni formali, le quali legittimano ex se all'oppo
sizione; ma solo in quanto fondano una presunzione, in presen
II Foro Italiano — 1999.
za di una sentenza dotata dei suddetti requisiti, di assoggetta mento del caso controverso ad una regola materiale di contenu
to pregiudizievole per quel terzo; non anche che una tale
presenza, nell'ipotesi in esame, non concorra al perfezionamen to della fattispecie costitutiva della legittimazione all'opposizione.
E, dunque, per le già esposte ragioni non può, ancora una
volta, non ritenersi contemplato, dalla norma suddetta, il solo
caso delle sentenze di merito, con esclusione di quelle di legitti
mità; la denuncia della propria pretermissione è lo strumento
col quale il terzo si afferma nell'opposizione come parte per
promuovere una sentenza che è resa sostanzialmente contro di
lui, cioè disponendosi di una sua posizione giuridica, nonostan
te la sua assenza: e questa disposizione non è riferibile che alla
sentenza confermata in Cassazione o a quella pronunciata dal
giudice di rinvio. Né può, infine, sottacersi che all'assunto dell'inammissibilità
dell'opposizione offre non secondario riscontro il principio —
che trova, a sua volta fondamento costituzionale — dell'inop
pugnabilità delle sentenze di cassazione.
Nella giurisprudenza della Corte costituzionale (seppur con
enunciazioni riguardanti essenzialmente il processo penale, ma
logicamente riferibili anche al processo civile) è stato più volte
affermato il principio della definitività delle sentenze suddette, che preclude l'ulteriore riesame di ogni questione di merito o
di rito. È, infatti, connaturale al sistema delle impugnazioni ordina
rie che vi sia una pronuncia terminale — identificabile positiva mente in quella della Corte di cassazione «per il ruolo di supre mo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costitu
zione (art. Ili, 2° comma)» (sent. n. 21 del 1982, id., 1982,
I, 626) — che definisca, nei limiti del giudicato, ogni questione dedotta o deducibile al fine di dare certezza ai rapporti giuridici controversi e che quindi non sia suscettibile di ulteriore sindaca
to (sent. n. 21 del 1982, cit.): certezza che costituisce un valore
costituzionalmente protetto in quanto direttamente ricollegabile al diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), la cui effetti
vità risulterebbe gravemente compromessa se fosse sempre (ed
indefinitamente) possibile controvertere della legittimità delle pro nunce di cassazione.
In quest'ordine di idee, già in passato, la Corte costituzionale
aveva posto in evidenza «l'irrevocabilità e l'incensurabilità da
parte di ogni altro giudice delle decisioni della Corte di cassa
zione» (sentenza n. 51 del 1970, id., 1970, I, 1301); ciò perché
«esigenze di certezza delle situazioni giuridiche» richiedono che
«ad un certo momento il processo si concluda irretrattabilmen
te, restando assorbiti nella definitività delle decisioni eventuali
vizi in procedendo o in indicando» (sentenza n. 136 del 1972,
id., 1972, I, 3006). Anche più recentemente è stata ribadita la regola dell'inoppu
gnabilità delle sentenze della Corte di cassazione (sentenza n.
247 del 1995, id., 1997, I, 2022), che comporta la sanatoria
di tutte le nullità pregresse, anche assolute, «al fine di evitare
la perpetuazione dei giudizi e di conseguire un accertamento
definitivo» (sentenza n. 294 del 1995, id., Rep. 1995, voce Cas
sazione penale, n. 54). Né la costante univocità di questa linea giurisprudenziale può
dirsi intaccata dalla estensione del rimedio della revocazione al
le sentenze della Corte di cassazione, prima conseguente a pro nunce del giudice delle leggi (sent. n. 17 del 1986, id., 1986,
I, 313, e n. 36 del 1991, id., 1991, I, 1033), e poi introdotta
dal legislatore (art. 391 bis c.p.c.), come è confermato dalla cir
costanza che il principio della irrevocabilità ed incensurabilità
delle sentenze della Corte di cassazione è stato, anche successi
vamente, da quel giudice riaffermato (sentenze nn. 247 e 294
del 1995, cit.). E, quel che massimamente rileva ai fini della presente decisio
ne, deve osservarsi come la giurisprudenza costituzionale, con
la sentenza n. 245 del 1996 [sic] ha avuto precipuo riguardo al
caso di sentenze di cassazione eventualmente viziate da violazio
ne del principio del contraddittorio — al cui ambito concettuale
è riconducibile, in sostanza anche la pretermissione di un liti
sconsorte necessario — ed ha ritenuto che non possa non pren dersi atto che lo strumento adeguato per porre rimedio ad un
siffatto «vizio — ove non causato da un errore revocatorio che
già attualmente dà ingresso al rimedio della revocazione ex art.
391 bis c.p.c. — potrebbe essere costituito soltanto dalla previ sione di un mezzo straordinario d'impugnazione»; laddove «l'in
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2243 PARTE PRIMA 2244
troduzione di un tale rimedio straordinario e la sua disciplina,
quanto ai presupposti e alle modalità di esperimento dello stes
so, non possono che rientrare nella discrezionalità del legislatore».
Questa prospettazione, a sua volta non è nuova nella giuris
prudenza della Corte costituzionale che si era già in tal senso
espressa nella citata sentenza n. 294 del 1995, con la quale, in
riferimento ad eventuali errori contenuti nelle pronunce della
Corte di cassazione, aveva affermato che l'introduzione nel si
stema processuale di un mezzo straordinario d'impugnazione per ovviare a tali errori comporta innovazioni che, per la loro am
piezza e per la pluralità di soluzioni e modalità attuative, non
possono che discendere da scelte riservate al legislatore nell'e
sercizio della sua sfera di discrezionalità; nonché nella sentenza
n. 21 del 1982, cit., con la quale, in relazione, ancora una volta,
ad un caso di dedotta violazione del principio del contradditto
rio, aveva ritenuto che, pur trattandosi di una situazione «di
indubbia gravità», solo il legislatore potrebbe porvi rimedio in
troducendo un mezzo straordinario d'impugnazione.
Deve, dunque, ribadirsi, anche alla luce di queste ultime con
siderazioni, il rilievo d'inammissibilità del ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 9 aprile
1999, n. 3462; Pres. Losavio, Est. Panebianco, P.M. Mac
carone (conci, conf.); Fall. soc. Casearia sarda export (Avv.
Contaldi, Parodi) c. Min. finanze. Conferma App. Genova
11 aprile 1995.
Fallimento — Azione revocatoria fallimentare — Ipoteca legale
per debiti tributari — Equiparazione all'ipoteca giudiziale —
Revocabilità — Esclusione — Limiti (Cod. civ., art. 2818; 1. 7 gennaio 1929 n. 4, norme generali per la repressione delle
violazioni delle leggi finanziarie, art. 26; r.d. 16 marzo 1942
n. 267, disciplina del fallimento, art. 67).
L'ipoteca c.d. legale a favore dell'amministrazione finanziaria concessa a garanzia di crediti tributari, ancorché presuppon
ga l'autorizzazione del presidente del tribunale, non può esse
re equiparata all'ipoteca giudiziale e non è quindi assoggetta bile a revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67, 1 ° com
ma, nn. 3 e 4, I. fall. (1)
(1) Nulla in termini a livello di giurisprudenza di legittimità; fra le corti di merito si segnalano due decisioni entrambe del Tribunale di
Genova; secondo la più recente Trib. Genova 17 novembre 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 415, l'ipoteca legale iscritta in favo re dell'amministrazione finanziaria per violazione delle leggi tributarie, ai sensi dell'art. 26 1. 7 gennaio 1929 n. 4, è assoggettabile all'azione revocatoria fallimentare prevista dall'art. 67, 1° comma, n. 4, 1. fall.; secondo la meno recente 14 marzo 1990, id., Rep. 1990, voce cit., n.
384, l'ipotesi di revocatoria fallimentare prevista dall'art. 67, 1° com
ma, nn. 3 e 4, 1. fall, non è applicabile alle ipoteche legali e, nella
specie, all'ipoteca legale iscritta dall'amministrazione finanziaria ai sen si dell'art. 26 1. 7 gennaio 1929 n. 4, pur se è viceversa applicabile l'azione revocatoria di cui all'art. 67, cpv., 1. fall.; così anche App. Ancona 22 marzo 1968, id., Rep. 1969, voce cit., n. 379. Con riferi mento ad altro tipo di ipoteca legale, la non revocabilità era stata affer mata da Cass. 14 luglio 1952, n. 2184, id., 1952, I, 1359.
La soluzione adottata stando alla lettura dell'art. 67 1. fall, sembra
ineccepibile atteso che tale disposizione ai nn. 3 e 4 richiama i casi dei crediti scaduti e non ancora scaduti, mentre l'ipoteca legale poten dosi iscrivere in base a processo verbale di constatazione della violazio ne di una norma, per la quale sia stabilita una pena pecuniaria, costi tuisce una deroga al principio secondo il quale l'ipoteca tutela un dirit to di credito esistente, potendo tale garanzia iscriversi in un momento antecedente alla stessa formazione del titolo del credito dell'ammini strazione finanziaria, sulla sola base del fumus boni iuris e del pericu
II Foro Italiano — 1999.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 23
ottobre 1992 il fallimento Casearia sarda export s.r.l., in perso na del curatore, conveniva in giudizio avanti al Tribunale di
Genova l'amministrazione finanziaria dello Stato, chiedendo la
revoca dell'ipoteca legale iscritta ai sensi dell'art. 26 1. 7 gen naio 1929 n. 4 in data 17 novembre 1990 sui beni immobili
della società, fino alla concorrenza di lire 2.269.547.000, a se
guito di autorizzazione del presidente del Tribunale di Genova
del 17 ottobre 1990, dopo che con processo verbale del 10 luglio 1990 era stata accertata un'evasione d'imposta, oggetto succes
sivamente di un avviso di rettifica notificato il 12 novembre
1990. La richiesta veniva proposta alternativamente sotto i pro fili di cui ai nn. 3 e 4 dell'art. 67, 1° comma, 1. fall, relativi
alle ipoteche volontarie e giudiziale ovvero, gradatamente, ai
sensi del successivo 2° comma.
Si costituiva l'amministrazione finanziaria che chiedeva il ri
getto della domanda, sottolineando, per quanto riguarda le ipo tesi di cui ai nn. 3 e 4 del 1° comma, l'impossibilità di ricono
scere nell'ipoteca prevista dall'art. 26 1. n. 4 del 1929 i caratteri
propri dell'ipoteca volontaria o di quella giudiziale, e, per quanto
riguarda l'ipotesi di cui al 2° comma, la mancanza della prova sulla scientia decoctionis.
La causa veniva riunita al giudizio di insinuazione tardiva
per imposte e pene pecuniarie.
lum in mora (Cass. 22 novembre 1991, n. 12589, id., 1992, I, 1178). In dottrina, sostengono la tesi dell'irrevocabilità, G. Ragusa Maggio
re, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Le
procedure concorsuali. Il fallimento, in Trattato diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino, 1997, II, 232; G. Lo Cascio, Il falli mento e le altre procedure concorsuali, Milano, 1995, 237; B. Quatraro A. Fumagalli, La revocatoria ordinaria e fallimentare, Milano, 1994, 183; A. Bonsignori, Il fallimento, in Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ. diretto da F. Galgano, Padova, 1986, IX, 493; G. Rossi, La revocatoria fallimentare delle ipoteche, in Riv. dir. civ., 1963, I, 535; F. Semiani Bignardi, La ritenzione nell'esecuzione singolare e nel falli mento, Padova, 1960, 392; contra, P. Pajardi, Manuale di diritto falli mentare, Milano, 1986, 233, e, ma solo ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall., S. Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, 236.
Certo è che se davvero l'iscrizione dell'ipoteca legale sui beni del tra
sgressore che — in base al processo verbale di constatazione della viola zione di una norma per la quale sia stabilita una pena pecuniaria e
quando vi sia pericolo nel ritardo — l'intendente di finanza chiede al
presidente del tribunale competente, ai sensi dell'art. 26 1. 7 gennaio 1929 n. 4 ha natura di provvedimento cautelare (Cass. 24 aprile 1996, n. 3883, Foro it., Rep. 1996, voce Tributi in genere, n. 1875; 27 luglio 1994, n. 7029, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1808; 22 novembre 1991, n. 12589, cit.; 29 novembre 1983, n. 7162, id., 1984, I, 440), la conse
guenza in ambiente concorsuale dovrebbe essere non già la revocabilità derivante dalla inefficacia sostanziale di cui all'art. 67 1. fall., quanto piuttosto l'inefficacia processuale ex art. 5 1. fall, (per un chiaro con fronto con altra normativa amministrativa, cfr. Cass. 16 aprile 1996, n. 3595, id., Rep. 1997, voce Fallimento, n. 386, per la quale il seque stro amministrativo ex art. 3, 3° comma, r.d.l. 12 maggio 1938 n. 794, effettuato in relazione ad infrazioni valutarie a garanzia del pagamento delle pene pecuniarie di cui all'art. 2 r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, è inopponibile al fallimento del responsabile dell'infrazione valutaria, atteso che il divieto di azioni esecutive individuali, posto dall'art. 51 1. fall., si estende anche alle azioni cautelari, tra cui rientra il suddetto
sequestro amministrativo; più in generale, sull'effetto caducatorio del fallimento sui sequestri conservativi anteriormente concessi, Cass. 18
agosto 1997, n. 7659, ibid., n. 390; 18 gennaio 1995, n. 520, id., Rep. 1995, voce cit., n. 368; 26 febbraio 1992, n. 2346, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 352; 21 maggio 1983, n. 3518, id., Rep. 1983, voce cit., n.
277; in dottrina, G. de Ferra, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1998, 123; T. Manferoce, Effetti per i creditori, in AA.VV., Diritto
fallimentare, Milano, 1996, 560; F. Vassalli, Diritto fallimentare, To
rino, 1994, I, 321; F. Ferrara, Il fallimento, Milano, 1989, 461; B.
Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, in Commentario Scialoja Branca, Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1988, 24; U. Belviso, Se
questro e fallimento, Milano, 1978, 62; A. Bonsignori, Il fallimento, cit., 357; S. Satta, Diritto fallimentare, cit., 167).
Il giudice di legittimità nel percorso argomentativo tracciato fa men zione dell'origine storica della norma che mirava a colmare la lacuna dell'assenza di misure cautelari su beni immobili; ora che le misure cau telari sui beni immobili esistono, si è posto il problema della compatibi lità del sequestro conservativo con l'ipoteca legale come si ricava dalla interlocutoria Corte cost. 22 luglio 1998, n. 312, Foro it., 1998, I, 3053, con nota di E. Fabiani; su tale questione, C. Consolo, Ipoteca, seque stro fiscale e processo cautelare «civilizzato», in Giur. it., 1997, I, 1, 1183. [M. Fabiani]
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