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sezioni unite civili; sentenza 10 giugno 2004, n. 11019; Pres. Ianniruberto, Est. Foglia, P.M....

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sezioni unite civili; sentenza 10 giugno 2004, n. 11019; Pres. Ianniruberto, Est. Foglia, P.M. Maccarone (concl. conf.); Borgo e altri (Avv. Sorrentino, Mancusi) c. Camera dei deputati (Avv. dello Stato Di Martino); Palladino (Avv. Esposito, De Rosa) c. Camera dei deputati. Dichiara inammissibili ricorsi avverso Ufficio di presidenza della camera dei deputati, sez. giur., 9 luglio 2002, n. 1/02 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 2 (FEBBRAIO 2005), pp. 477/478-483/484 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200542 . Accessed: 25/06/2014 03:01 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.79 on Wed, 25 Jun 2014 03:01:50 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 10 giugno 2004, n. 11019; Pres. Ianniruberto, Est. Foglia, P.M.Maccarone (concl. conf.); Borgo e altri (Avv. Sorrentino, Mancusi) c. Camera dei deputati (Avv.dello Stato Di Martino); Palladino (Avv. Esposito, De Rosa) c. Camera dei deputati. Dichiarainammissibili ricorsi avverso Ufficio di presidenza della camera dei deputati, sez. giur., 9luglio 2002, n. 1/02Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 2 (FEBBRAIO 2005), pp. 477/478-483/484Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200542 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

quel consenso, o all'estensione dello stesso, nonostante che a

quell'atto l'appellante attribuisse testualmente gli effetti di una

cessione.

La corte d'appello ha accolto il gravame dell'amministrazio

ne, attribuendo alla dichiarazione Aceto l'effetto traslativo del

suolo. Si tratta ora di esaminare se tale effetto possa essere

scongiurato — come pretende la ricorrente — in conseguenza

dell'inadempimento dell'obbligo imposto dalla disponente al

beneficiario della concessione, e avente come contenuto la co

struzione di un manufatto.

Il giudice di merito ha escluso effetto risolutivo alla conces

sione, essendo tale obbligo riconducibile ad un modus piuttosto che a una condizione. Tale statuizione appare immune da censu

re.

È indubbio, in primo luogo, che l'atto unilaterale perfezio nato con la dichiarazione 6 giugno 1980 sia riconducibile ad un

negozio di liberalità — come implicitamente ritiene la corte

d'appello, che vi ritiene associabile una disposizione modale —

siccome privo di corrispettivo causalmente collegato alla pre stazione di pati che ne costituisce il contenuto. L'obbligo impo sto al beneficiario della concessione è stato ragionevolmente

qualificato come disposizione modale, in virtù della considera

zione, svolta dal giudice di merito, per cui esso non appare, nel

l'economia generale della dichiarazione, condizionare l'esplica zione degli effetti, di modo che pare esclusa la risolubilità del

negozio concessivo, del resto neppure prevista nell'atto di di

sposizione. Non è censurabile, a tal proposito, l'interpretazione dell'atto di consenso, da parte del giudice di merito, che attri

buisce a quella clausola non l'efficacia della condizione, bensì

di un onere, posto che la distinzione da condizione e modus è

quaestio facti, incensurabile in sede di legittimità, se immune da

vizi logico-giuridici (Cass. 6 agosto 1953, n. 2672, id., Rep. 1953, voce Successione legittima e testamentaria, n. 167). E in

via generale, è da ritenere ammissibile l'inserimento del modus

come elemento accessorio di un negozio atipico di liberalità, atteso che le specifiche disposizioni codicistiche in cui esso è

disciplinato (art. 648, 793), rappresentano applicazioni — e

tuttavia fonti normative utilizzabili per la regolamentazione di

casi analoghi — che non esauriscono la possibile gamma nego

ziale in cui può estrinsecarsi l'autonomia privata negli atti di li

beralità, attesa l'attitudine del modus a modificare, ampliandolo, il singolo schema negoziale, consentendo la realizzazione di

singole e specifiche finalità estranee alla causa.

La mancata esecuzione del modus, esclusa la risolvibilità del

negozio, obbliga il beneficiario inadempiente a risarcire il dan

no.

La domanda proposta dalla proprietaria non contemplava

pretese contrattuali inerenti il valore del manufatto, oggetto del

modus, non eseguito dal beneficiario inadempiente: nello stesso

atto di costituzione in appello, insistendo per il risarcimento da

occupazione appropriativa, la ricorrente evidentemente dava per

presupposta l'inefficacia dell'atto di concessione, ma non mani

festava pretese consequenziali alla lesione dell'interesse per il

quale a suo tempo all'atto di concessione gratuita fu apposta la

clausola. Né tale domanda può ritenersi implicita, come preten derebbe la ricorrente, nella domanda di risarcimento (extracon

trattuale) per la distruzione dei manufatti esistenti. (Omissis)

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 10

giugno 2004, n. 11019; Pres. Ianniruberto, Est. Foglia, P.M.

Maccarone (conci, conf.); Borgo e altri (Avv. Sorrentino,

Mancusi) c. Camera dei deputati (Avv. dello Stato Di Marti

no); Palladino (Avv. Esposito, De Rosa) c. Camera dei de

putati. Dichiara inammissibili ricorsi avverso Ufficio di pre sidenza della camera dei deputati, sez■ giur., 9 luglio 2002, n.

1/02.

Parlamento — Procedimenti concorsuali di assunzione —

Controversie — Autodichia — Ricorso straordinario per cassazione — Inammissibilità (Cost., art. 24, 64, 102, 108,

111, 113).

Posto che l'ambito di operatività dell'autodichia di cui godono i due rami del parlamento comprende non soltanto le contro

versie concernenti i rapporti dì lavoro già costituiti dei di

pendenti delle camere, ma anche quelle riguardanti i proce dimenti concorsuali di assunzione, è inammissibile il ricorso

straordinario per cassazione avverso i provvedimenti adottati

dall 'amministrazione della camera dei deputati di esclusione

dalle prove orali di un concorso pubblico per l'assunzione di

dipendenti. (1)

Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 25 ottobre

2002 Andrea Borgo ed altri quattro ricorrenti indicati in epigra fe hanno proposto a questa corte ricorso avverso la sentenza del

9 luglio 2002, n. 1 con la quale la sezione giurisdizionale del l'Ufficio di presidenza della camera dei deputati aveva annui

ti) I. - Il ragionamento della corte si snoda attraverso i seguenti pas saggi:

— i regolamenti parlamentari, che fondano la giurisdizione domesti ca delle camere, sono sottratti, oltre che alla disapplicazione del giudice ordinario, anche al sindacato di legittimità costituzionale, giacché pre sidiano l'indipendenza e la sovranità del parlamento;

— il sistema di autodichia non rischia, in conseguenza, d'incappare nel divieto d'istituzione di giurisdizioni speciali stabilito dall'art. 108

Cost., né di vulnerare le garanzie del giusto processo potenziate dalla nuova formulazione dell'art. Ill Cost.;

— la ratio dell'autodichia comporta che il suo ambito di operatività si estende sino a comprendere, oltre alle controversie concernenti i rap porti di lavoro già costituiti dei dipendenti delle camere, anche i proce dimenti concorsuali di assunzione del personale.

Sull'insindacabilità dei regolamenti parlamentari e sul fondamento

dell'autodichia, v., in termini, Cass., sez. un., 27 maggio 1999, n.

317/SU, citata in motivazione, Foro it., 2000, I, 2673, con nota di ri chiami che dà conto anche dei precedenti relativi al principio sunteg giato in massima; da ultimo, v. sez. un. 19 novembre 2002, n. 16267, id., Rep. 2003, voce Parlamento, n. 53.

II. - Sulle condizioni per l'assoggettabilità ai regolamenti parlamen tari dell'attività svolta dai gruppi parlamentari e per la conseguente ap plicabilità dell'autodichia, v. Cass., sez. un., ord. 19 febbraio 2004, n.

3335, id., Mass., 207. III. - Sull'esclusione dal sindacato giurisdizionale, anche in sede di

autodichia, del regolamento di amministrazione e contabilità della ca mera dei deputati, espressione dell'autonomia regolamentare delle ca

mere, v. Consiglio giur. camera deputati 17 novembre 1999, n.

1/99/CG, id., Rep. 2000, voce cit., n. 66. IV. - Per un'ipotesi di esercizio di autodichia, concernente l'applica

zione del contratto collettivo ai dipendenti del senato, cfr. Commiss, contenziosa senato 12 gennaio 2000, n. 140, id., 2000, III, 286.

V. - Per l'esclusione dall'ambito di operatività dell'autodichia delia

previsione di ricorribilità all'Ufficio di presidenza della camera dei de

putati del provvedimento di erogazione dei contributi statali ai partiti politici per le spese delle elezioni politiche, v. Cass., sez. un., 15 marzo

1999, n. 136/SU, id., Rep. 1999, voce Partiti politici, n. 14. VI. - Sull'insindacabilità giurisdizionale degli atti di contenuto tecni

co-sportivo, v. Tar Sicilia, sede Catania, sez. Ili, 13 agosto 2003, n.

1290, id., Rep. 2003, voce Sport, n. 64; Tar Lazio, sez. Ili, 24 settem bre 1998, n. 2394, id., Rep. 1999, voce cit., nn. 41, 45.

VII. - In dottrina, P. Di Muccio, L'autodichia parlamentare sugli

impiegati delle camere, in Dir. società, 1990, 133; F. Basilica, Il punto delle sezioni unite sulla c.d. «giurisdizione domestica» del senato, in

Giust. civ., 2003, I, 2430, e, più in generale, N. Occhiocupo, Autodi

chia, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1998, IV, 1.

Vili. - Sul potere di autoregolamentazione del Consiglio superiore della magistratura, cfr. Cons. sup. magistratura 10 novembre 2004, in

questo fascicolo, III, 122. IX. - In generale, sulle categorie escluse dalla contrattualizzazione

del pubblico impiego, v., da ultimo, A.M. Perrino, Il rapporto di lavo

ro pubblico, Padova, 2004, 28.

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479 PARTE PRIMA 480

lato la sentenza della commissione giurisdizionale per il perso nale della medesima camera la quale, in accoglimento delle do

mande dei ricorrenti, aveva annullato i provvedimenti dell'am

ministrazione della camera dei deputati che li aveva esclusi

dalle prove orali del concorso pubblico per l'assunzione di

centotrenta commessi.

Analogo ricorso è stato proposto, nei confronti della medesi

ma sentenza, da Andrea Palladino, con distinto atto.

Resiste la camera dei deputati con controricorso, eccependo l'inammissibilità, o comunque l'infondatezza di entrambi i ri

corsi.

I ricorrenti hanno depositato — ex art. 378 c.p.c.

— rispettive

memorie illustrative.

Motivi della decisione. — Preliminarmente va disposta, ai

sensi dell'art. 335 c.p.c. la riunione dei due ricorsi aventi ad og

getto la medesima sentenza impugnata. Col primo motivo — deducendo la violazione degli art. 102,

2° comma, 108 e 111 Cost., anche in relazione all'art. 6 della

convenzione europea dei diritti dell'uomo — osservano i ricor

renti che le istanze interne della camera che hanno statuito sulla

controversia in esame non sono state istituite con legge, il che

comporta la violazione dell'art. 108, 1° comma, Cost, secondo

cui «le norme sull'ordinamento giudiziario, e su ogni magistra tura sono stabilite con legge». Vero è che l'ufficio di presidenza della camera dei deputati, che ha come articolazione interna la

sezione giurisdizionale che ha pronunziato la sentenza impu

gnata, è previsto dall'art. 63 Cost., ma è l'art. 12, 6° comma, del

regolamento generale che attribuisce all'ufficio di presidenza l'esercizio di funzioni giurisdizionali, sicché, in forza di tale norma interna esso giudica in via definitiva sui ricorsi di cui alla

lett. f) del 3° comma del medesimo articolo, e cioè sui «ricorsi

nelle materie di cui alla lett. d)» (lo stato giuridico, il tratta

mento economico e di quiescenza e la disciplina dei dipendenti della camera ...) nonché «sui ricorsi e qualsiasi impugnativa

anche presentata da soggetti estranei alla camera — avverso gli altri atti di amministrazione della camera medesima».

Aggiungono i ricorrenti che l'istituzione, la composizione e

le funzioni della sezione giurisdizionale dell'ufficio di presi denza sono previste da un regolamento approvato dall'ufficio di

presidenza il 28 aprile 1988, reso esecutivo con decreto 16

maggio 1988 n. 420 del presidente della camera, vale a dire da

un «regolamento minore», il che contraddice alla riserva di leg

ge di cui all'art. 108, 1° comma, Cost., oltre a contrastare con

l'art. 25, 1° comma, Cost.

Rilevano, infatti, i ricorrenti che l'unica deroga alla norma

che prevede una riserva di legge in materia di istituzione dei

giudici è stabilita esplicitamente dall'art. 66 Cost., ove si stabi

lisce che ciascuna camera giudichi «dei titoli di ammissione dei

suoi componenti e delle cause sopraggiunte d'ineleggibilità e di

incompatibilità». Né —

aggiungono i ricorrenti — può dirsi che la fonte costi tuzionale dell'autonomia parlamentare in materia possa fondarsi

sull'art. 64 Cost., poiché ciò confliggerebbe con la giurispru denza costituzionale più recente (sent. nn. 10 e 11 del 2000, Fo ro it., 2000, I, 331) la quale ha chiaramente circoscritto l'auto nomia delle camere, affermando l'esistenza di una nozione di

funzione parlamentare, desunta dalla stessa Costituzione, nel cui

ambito soltanto si esplica l'autonomia delle camere, e che, per tanto, non consente alle stesse di ricostruire liberamente i confi ni di tale autonomia: l'art. 64 Cost, può coprire soltanto le atti vità giurisdizionali che si collocano all'interno dell'organizza zione della camera, e non può consentire sconfinamenti nella

sfera riservata alla legge formale.

Sotto questo profilo i ricorrenti propongono una questione di

legittimità costituzionale delle citate norme regolamentari, la cui insindacabilità, in base alla sentenza 154/85 della Corte co

stituzionale (id., 1985,1, 2173) non può superare l'ambito inter

no della camera.

Per altro verso i ricorrenti denunciano la violazione: a) del l'art. 108, 2° comma, Cost, (non essendo garantita, nel caso del foro domestico della camera, l'indipendenza dei componenti dei

collegi giudicanti rispetto all'amministrazione dell'organo co

stituzionale); b) dell'art. 102, 2° comma, Cost, (in quanto il si

stema di autodichia in esame comporta l'istituzione di giudici straordinari o speciali; c) dell'art. Ili, 2° comma, Cost, (difet tando i requisiti minimi del «processo giusto» i quali esigono Il Foro Italiano — 2005.

che questo si svolga «... nel contraddittorio tra le parti, in con

dizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale»). Col secondo motivo i ricorrenti censurano la violazione dei

principi propri della stessa giurisdizione domestica, «innatural

mente» estesa alla cognizione delle controversie che riguardano essi stessi, estranei all'amministrazione dell'organo, in quanto

partecipanti ad un concorso per accedere ad un posto all'interno

della camera. In proposito, richiamano varie pronunce di queste sezioni unite (sent. 2979/75, id., 1976, I, 392; 3422/88, id., 1988, I, 3603; 12614/98, id., 1999, I, 854, e 136/SU/99, id., Rep. 1999, voce Partiti politici, n. 14) le quali hanno negato che

l'autodichia possa estendersi ad una serie di rapporti proprio in

virtù dell'estraneità dei soggetti coinvolti rispetto all'ammini

strazione delle camere.

Col terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione della 1.

7 agosto 1990 n. 241 e dell'art. 8 del regolamento interno di

procedura, nonché carenza e contraddittorietà della motivazio

ne, per mancata predeterminazione di criteri di valutazione degli elaborati scritti dei candidati.

Col quarto ed ultimo motivo, i ricorrenti censurano il difetto

di motivazione in ordine al motivo di ricorso riguardante i tempi di correzione degli elaborati la cui eccessiva brevità era stata

invano dedotta in sede di impugnazione alla sezione giurisdi zionale dell'ufficio di presidenza della camera, avverso la sen

tenza della commissione giurisdizionale per il personale della

camera.

Da parte sua, il Palladino, oltre a ribadire gran parte delle

censure esposte nei motivi appena menzionati, eccepisce il di

fetto di giurisdizione di questa corte, sostenendo l'esistenza

della giurisdizione del giudice amministrativo.

Entrambi i ricorsi sono inammissibili.

Prendendo le mosse dal contesto normativo di riferimento, si

rileva che il nuovo art. 12 (nel testo aggiornato il 16 dicembre

1998) del regolamento della camera dei deputati deliberato ai

sensi e secondo le modalità dell'art. 64 Cost., prevede che: «...

L'ufficio di presidenza adotta i regolamenti e le altre norme

concernenti: a) le condizioni e le modalità per l'ammissione de

gli estranei nella sede della camera; ... c) l'ordinamento degli uffici e i compiti ad essi attribuiti, strumentali all'esercizio delle

funzioni parlamentari; d) lo stato giuridico, il trattamento eco

nomico e di quiescenza e la disciplina dei dipendenti, ivi com presi i doveri relativi al segreto d'ufficio ...;/) i ricorsi nelle materie di cui alla lett. d) nonché i ricorsi e qualsiasi impugnati va, anche presentata da soggetti estranei alla camera, avverso gli altri atti di amministrazione della camera medesima ...».

E opportuno chiarire subito — per rispondere alla censura

formulata col secondo motivo di ricorso — che l'ambito di ope ratività dell'autodichia, così come delineata dalla norma rego lamentare appena richiamata (in termini sostanzialmente corri

spondenti a quelli contenuti nel precedente testo del 18 febbraio

1971) comprende non soltanto i rapporti di lavoro dei dipen denti della camera già costituiti, ma anche quelli in fieri e, quin di, anche i procedimenti concorsuali (come nella fattispecie in

esame) diretti all'assunzione dello stesso personale. Sul punto queste sezioni unite hanno già in passato affermato

che sarebbe errato interpretare la norma regolamentare in senso non estensivo e limitarne il campo di applicazione alle contro

versie aventi ad oggetto rapporti già costituiti. Se, infatti, l'au

tonomia del parlamento può essere lesa qualora altri poteri si

ingeriscano nei rapporti che intrattiene con i suoi dipendenti, «... con pari ragione tale lesione può prodursi qualora si am

metta che organi estranei al parlamento giudichino sui rapporti in fieri. La determinazione dei criteri di scelta dei propri dipen denti e le procedure di ammissione sono, infatti, espressione di

quella stessa autonomia riconosciuta ai due rami del parlamento sui rapporti costituiti con i propri dipendenti» (Cass., sez. un., 18 febbraio 1992, n. 1993, id., 1993,1, 1654).

Passando al primo motivo di ricorso, si osserva che proprio in

attuazione dell'indicata disposizione regolamentare, e nell'eser

cizio dei poteri normativi e provvedimentali da essa conferiti, l'ufficio di presidenza ha disciplinato il procedimento attraverso

il quale si perviene alla decisione definitiva dei «ricorsi sullo stato e sulla carriera giuridica ed economica dei dipendenti», istituendo, in particolare, una «commissione giurisdizionale per il personale», le cui decisioni sono impugnabili alla «sezione

giurisdizionale dell'ufficio di presidenza», presieduta dal presi dente della camera e composta da quattro membri nominati al

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

l'inizio di ogni legislatura dall'ufficio di presidenza fra i propri

componenti, su proposta del presidente.

Quest'organismo, competente all'esame del gravame (art. 6

del regolamento per la tutela giurisdizionale) ed avente compo sizione tutta interna all'ufficio suddetto (che, a sua volta è com

posto da membri dell'assemblea di appartenenza, come emerge dall'art. 5 del regolamento della camera dei deputati 18 febbraio

1971) dà piena e puntuale esecuzione alla citata disposizione di

quest'ultimo, sovraordinato regolamento, in quanto riserva ap

punto all'ufficio medesimo la pronuncia conclusiva dei proce dimenti contenziosi aventi ad oggetto lo stato giuridico ed il

trattamento economico del personale. Ciò posto, si osserva che queste sezioni unite hanno a più ri

prese affermato (cfr. sent. 23 aprile 1986, n. 2861, id., 1986, I,

1828, ed altre successive, sino a sent. 27 maggio 1999, n.

317/SU, id., 2000, I, 2673) che l'art. 12 del regolamento della

camera dei deputati del 18 febbraio 1971 (rimasto sostanzial

mente identico nel nuovo testo del 16 dicembre 1998) in quanto

qualificabile quale atto di normazione primaria, non è suscetti

bile di disapplicazione da parte del giudice ordinario, e si sottrae

altresì al sindacato di legittimità costituzionale, come affermato

dalla Corte costituzionale con sentenza n. 154 del 1985, cit.,

proprio sulla base del rilievo dell'indipendenza garantita alle

camere del parlamento da ogni altro potere. Con la conseguenza che le controversie inerenti al rapporto di lavoro del personale di detta camera esulano dalla cognizione sia del giudice ordina

rio che del giudice amministrativo, in quanto spettano all'esclu

siva cognizione della camera medesima e dei suoi organi (v. sent. 23 aprile 1986, n. 2862, cit.; 18 novembre 1988, n. 6241,

id., Rep. 1988, voce Parlamento, n. 32; 18 febbraio 1992, n.

1993, cit.). In effetti, con la citata sentenza n. 154 del 1985, la Corte co

stituzionale, nell'escludere la sindacabilità dei regolamenti, ha,

preliminarmente ed in via generale, rilevato che «la Costituzio

ne repubblicana ha instaurato una democrazia parlamentare», nel senso che — «come dimostra anche la precedenza attribuita

dal testo costituzionale al parlamento nell'ordine espositivo del

l'apparato statuale — ha collocato il parlamento al centro del si

stema, facendone l'istituto caratterizzante l'ordinamento».

Secondo il giudice delle leggi, dunque, «è nella logica di tale

sistema che alle camere spetti — e vada perciò riconosciuta —

un'indipendenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro

potere, cui pertanto deve ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex art. 64, 1° comma, Cost.».

Un siffatto presidio dell'autonomia parlamentare deriva dal

coacervo delle guarentigie poste dall'ordinamento costituzio

nale, dovendo queste essere considerate, non singolarmente, bensì nel loro insieme, poiché, pur potendo specificamente ri

guardare l'uno o l'altro degli aspetti dell'attività parlamentare — come, ad esempio, quelle che fondano l'immunità dei mem

bri delle camere ovvero l'immunità delle rispettive sedi — «è

evidente la loro univocità, mirando esse, pur sempre, ad assicu

rare la piena indipendenza degli organi». Ne è conferma il di

vieto alla forza pubblica ed a qualsiasi persona estranea — sia

pure il presidente della repubblica o il membro di una camera

diversa da quella di appartenenza — di entrare nell'aula, che di

scende dall'art. 64, ultimo comma, Cost., prima ancora che

dalle disposizioni dei regolamenti della camera (e del senato). Di qui la conclusione che il parlamento «in quanto espressio

ne immediata della sovranità popolare, è diretto partecipe di tale

sovranità, ed i regolamenti, in quanto svolgimento diretto della

Costituzione, hanno una 'peculiarità e dimensione', che ne im

pedisce la sindacabilità, se non si vuole negare che la riserva

costituzionale di competenza regolamentare rientra tra le gua

rentigie disposte dalla Costituzione per assicurare l'indipenden za dell'organo sovrano da ogni potere».

In questo contesto queste sezioni unite, anche in passato, non

hanno potuto che prendere atto, da un lato, dell'esistenza di una

specifica norma primaria istitutiva (art. 12 del regolamento, cit.)

dell'autodichia, norma non sindacabile sotto il profilo della sua

conformità ai precetti della Costituzione che concernono l'eser

cizio della funzione giurisdizionale; dall'altro lato, di una valu

tazione legale tipica — che discende dall'inserimento della

norma stessa in una fonte strumentale alla tutela dell'autonomia

e della sovranità dell'assemblea — circa la necessità di configu rare gli atti di esercizio della menzionata prerogativa, vale a dire

i provvedimenti posti in essere dai due rami del parlamento per

Il Foro Italiano — 2005 — Parte 1-9.

la risoluzione delle controversie con i propri dipendenti (anche

quelli in fieri), come inerenti essi stessi strettamente all'orga nizzazione ed al funzionamento delle camere, con uguali con

notati di insindacabilità esterna, non tanto sub specie di privilegi connessi al rispetto, al prestigio ed al decoro dei titolari delle

relative potestà, quanto perché strumentali all'autonomo eserci

zio delle funzioni di questi; sicché, rispetto a siffatti provvedi menti, s'impone in non minore misura l'esigenza che tale eser

cizio non sia in modo alcuno condizionato da interventi di altri

poteri, i quali potrebbero indebolire quell'indipendenza che co

stituisce condizione essenziale per il pieno sviluppo della libera

azione degli organi suddetti: e questa, e non altra, è proprio la

ratio sottesa alla norma regolamentare che riserva alla cogni zione della camera le controversie suddette.

Ed allora, fermo restando il principio della sottrazione di que ste ultime alla giurisdizione (ordinaria o amministrativa), quan d'anche si voglia ritenere che il sistema di autodichia apprestato dal regolamento della camera dei deputati possa ricondursi ad

un concetto di giurisdizione speciale, questo non sarebbe evo

cabile se non in senso lato, vale a dire — come precisato da

Cass. n. 2861 del 1986, cit. — più che per intrinseca natura del

sistema stesso, per la ragione che fra i due contrapposti orien

tamenti interpretativi —

quello che nega ogni giudice e quello che accorda un giudice

— può apparire opportuna la scelta del

secondo, siccome «suscettivo di offendere meno gravemente —

e cioè, eventualmente, soltanto sotto i profili dell'indipendenza — terzietà ed imparzialità, nonché della difesa e del contrad

dittorio — i precetti costituzionali contenuti negli art. 24 e 113

Cost.».

In sintesi, dunque, tutto si ridurrebbe ad un rilievo formula

bile solo in relazione al dato esteriore della procedimentalizza zione del conflitto di interessi e della ricerca della sua soluzio

ne, mentre resta palese che soltanto il carattere «domestico» del

procedimento ne assicura, almeno nella logica dell'incensura

bile provvedimento istitutivo, la rispondenza alla ricordata fun

zione di garanzia dell'indipendenza del parlamento; laddove

l'assoggettamento della statuizione terminativa di codesto pro cedimento al controllo di legittimità ex art. 111 Cost, pur nel

nuovo testo introdotto dalla 1. cost. 23 novembre 1999 n. 2, re

lativo al «giusto processo» (dove si fa riferimento ai tre requisiti indefettibili di ogni processo costituiti dal rispetto del contrad

dittorio, dalla parità delle parti, nonché dalla terzietà ed impar zialità del giudice) finirebbe per riprodurre quel rischio di inter ferenza che proprio l'istituita (con la riferita norma regolamen

tare) sottrazione alla giurisdizione ordinaria ed amministrativa

ha, invece, inteso prevenire. Non sembra, dunque, condivisibile la tesi (che costituisce il

nucleo principale del primo motivo di ricorso) che attribuisce al

nuovo testo dell'art. 111 Cost, un effetto innovativo sul sistema

di «autodichia» sin qui delineato.

È piuttosto preferibile ritenere che il nuovo testo dell'art. Ili

Cost., 2° comma — pur senza estromettere dall'area della «giu

risdizione», l'autodichia — la quale conserva la sua radice le

gittimante nella sovranità parlamentare, ex art. 64 Cost. — non

scalfisce affatto le garanzie d'indipendenza del parlamento, mantenendo pur sempre alcune aree di esenzione o di delimita

zione del sindacato di legittimità proprio della Cassazione (al di

fuori delle ipotesi ivi espressamente previste delle sentenze ed i

provvedimenti sulla libertà personale, pronunziati da organi giu risdizionali ordinari o speciali, per le quali la ricorribilità in

Cassazione è sempre ammessa, con l'unica eccezione delle

sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra). In conclusione, una volta riscontrata l'inammissibilità di una

questione di legittimità costituzionale circa la norma del rego lamento parlamentare che fonda il sistema dell'autodichia, ne

resta per ciò stesso esclusa l'esperibilità del ricorso straordina

rio per cassazione, ex art. 111 Cost., avverso gli atti destinati,

nell'ambito di tale sistema, alla decisione «in via definitiva»

delle controversie di cui trattasi.

D'altra parte questa corte ha sempre negato l'esperibilità del

ricorso ex art. 111 Cost., quante volte ha avuto occasione di

esaminare analoghe questioni (v. sez. un. 12 marzo 1983, Savi

na, id., 1984, II, 209), anche con riguardo a provvedimenti di

natura oggettivamente giurisdizionale resi da organismi politici

costituzionali, la cui azione è istituzionalmente caratterizzata

dalla supremazia e dalla sovranità, che le consentono scelte e

valutazioni non soggette a delimitazione giuridica.

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Page 5: sezioni unite civili; sentenza 10 giugno 2004, n. 11019; Pres. Ianniruberto, Est. Foglia, P.M. Maccarone (concl. conf.); Borgo e altri (Avv. Sorrentino, Mancusi) c. Camera dei deputati

483 . PARTE PRIMA 484

Al riguardo può osservarsi, da un lato, che rispetto ad una

natura siffatta fa agio la posizione soggettiva dell'organo nel si

stema costituzionale, la quale ne giustifica la sottrazione al ge nerale sindacato di legittimità affidato alla Corte di cassazione,

pur senza postularne necessariamente l'estraneità all'ordina

mento giurisdizionale disciplinato nella parte II. titolo IV, della

Carta costituzionale, nel cui esclusivo ambito opera il disposto del citato art. 111: e dall'altro lato, che l'interesse primario di

garantire l'autonomia dei suddetti organismi, prevale rispetto ad

ogni altro interesse, sicché ne resta anche preclusa la possibilità che la «volizione politica», una volta limitata normativamente,

divenga soggetta al successivo controllo giuridico (non politico) di questa corte.

In conclusione, una volta negata l'ammissibilità del ricorso

ex art. 111 Cost., in quanto precluso dal sistema stesso dell'au

todichia, incompatibile — come si è visto — col controllo giuri

sdizionale esterno, diviene inammissibile per irrilevanza anche

la questione di legittimità costituzionale delle norme attraverso

le quali quel sistema risulta concretamente attuato, non potendo il giudice sfornito di giurisdizione sulla proposta impugnazione avere quello di scrutinare possibili profili di illegittimità della

disciplina del provvedimento impugnato. Una volta dichiarata l'inammissibilità del primo motivo di ri

corso. resta precluso l'esame degli altri due motivi del primo ri

corso. attinenti il merito, nonché dell'eccezione di difetto di

giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria sollevata dal

Palladino.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile: sentenza 9 giu gno 2004. n. 10895: Pres. Saggio. Est. Plenteda. P.M. Ab

brutì (conci, diff. ); Soc. Immobiliare Saiva (Avv. Congedo) c. Vannini (Avv. Gialdrow). Cassa App. Roma 22 maggio 2001 e decide nel merito.

Società — Società di capitali — Assemblea — Approvazione

del bilancio — Annullabilità — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 1304: 2364. 2373. 2377. 2486 previgenti).

Non è annullabile la deliberazione di approvazione del bilan

cio, sebbene la relazione ad esso allegata contenga la men

zione di un contratto concluso dall'amministratore in con

flitto di interessi ed essa sia stata assunta con il voto determi

nante dei soci titolari dell'interesse in conflitto con quello della società. ( I !

<1)1. - Ai fini dell'art. 2373 c.c.. la deliberazione assembleare deve essere assunta in una situazione di conflitto fra il socio votante e la so cietà (sulla fattispecie, v. Cass. 21 marzo 2000. n. 3312. Foro it.. 2001, 1, 2329. che ribadisce la necessaria incompatibilità dell'interesse del socio con quello sociale: 23 marzo 1996, n. 2562. id.. 1997. 1, 1933, alla cui nota redazionale adde Cass. 21 dicembre 1994. n. 11017. id..

Rep. 1994. voce Società, n. 524: nonché la nota redazionale a Trib. Catania 30 settembre 1993. id.. 1994. I, 890): ma ciò non può darsi con

riguardo alla deliberazione di approvazione del bilancio, posto che l'interesse del socio deve essere specifico, concreto, attuale, incompa tibile con quello sociale e dalla deliberazione deve derivare un danno

potenziale alla società. Difficilmente tali requisiti sono presenti nella mera approvazione del bilancio, che. come la Cassazione in epigrafe ha

precisato (nello stesso senso, già Cass. 5 giugno 2003. n. 8989, cit., se condo cui la mancata approvazione del bilancio — ma lo stesso può dirsi per il voto positivo — non è idonea a realizzare, neppure sul piano potenziale, una situazione pregiudizievole per la società), vale soltanto a riconoscere la compiutezza delle informazioni rese dall'organo am ministrativo. non la bontà delle scelte dal medesimo operate.

II. - Sulla funzione del bilancio di società, di cui in motivazione, cfr. Cass. 11 dicembre 2000. n. 15592 (Foro il.. 2001. I. 3274), la quale ha ritenuto non abusivo il voto contrario del socio al bilancio, dal medesi

II Foro Italiano — 2005.

Svolgimento del processo. -— Vannini Roberto con atto 28

marzo 1990 convenne dinanzi al Tribunale di Roma la società

immobiliare Saiva s.r.l., di cui era socio insieme a Vannini Sil

vano e a Sainato Antonio, e chiese che fosse dichiarata la nullità

o fosse pronunziato l'annullamento della delibera assunta il 13

febbraio 1990 dall'assemblea dei soci, con cui era stato — in

sua assenza — approvato il bilancio predisposto dall'ammini

stratore unico Vannini Silvano e con esso il contratto con il

quale egli aveva concesso in locazione un terreno in Roma della

mo già redatto, quale componente del consiglio d'amministrazione; sez. un. 21 febbraio 2000, n. 27/SU (id., 2000,1, 1521), che, componendo il

contrasto, ha sancito il principio della nullità della deliberazione appro vativa, anche qualora dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia

possibile desumere l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte; 8 agosto 1997, n. 7398 (id., 1998, I, 539, con nota di R. Rordorf, Osservazioni in tema di bilancio d'esercizio delle società di capitali), secondo la

quale (seguita dalla citata sentenza delle sezioni unite) il fine informa

tivo, interno ed esterno, del bilancio è la funzione essenziale perseguita dal legislatore nel prescrivere i criteri di redazione del medesimo; 25

maggio 1994, n. 5097 (id., Rep. 1995, voce cit., n. 819), antecedente di retto della sentenza in epigrafe, secondo cui i criteri di redazione corri

spondono «all'esigenza che il bilancio assolva alla funzione di informa re compiutamente sulla reale situazione economica e patrimoniale della società a tutela dei soci e dei terzi», onde, nel caso di specie, non co stituiva violazione dei suddetti criteri la scelta degli amministratori di concludere contratti a prezzi non remunerativi, trattandosi dì decisione non attinente al modo di informare e desumibile dall'ammontare (veri

tiero) dei proventi indicati in bilancio; v. pure Cass. 22 aprile 2002, n. 5850 (id., 2003, I, 266, con nota di R. Rordorf, Recesso del socio e li

quidazione della quota nella società di capitali), la quale ha affermato che la controversia concernente la validità della deliberazione di appro vazione del bilancio non dà luogo ad un giudizio cui consegua la statui zione relativa all'esistenza o meno di un credito in capo a chi l'abbia

impugnata. Quanto alla natura del documento, Cass. 5 giugno 2003, n. 8989, id.,

Rep. 2003, voce cit., n. 1056, e Giust. civ., 2004, I, 2104, ha ribadito che il bilancio redatto e presentato dagli amministratori di una società di capitali è un mero progetto, il quale acquista esistenza giuridica sol tanto con l'approvazione assembleare.

In dottrina, attribuiscono al bilancio l'essenziale funzione informativa della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, B.

Quatraro, in G. Lo Cascio (a cura di). La riforma del diritto societario, Milano, 2003, VI, sub art. 2421-2435 bis, 37 ss., spec. 86, 356 ss., ove

pure un'approfondita disamina del diritto all'informazione dei soci e del dovere degli amministratori di rispondere alle domande in sede di di scussione assembleare; G.U. Colombo, Dalla chiarezza e precisione alla

rappresentazione veritiera e corretta, in A. Palma (a cura di), Il bilancio di esercizio, Milano, 2003, 16 ss.; M. Pozzoli-F. Roscini Vitali, Guida

operativa al nuovo diritto societario. Bilancio. Società di capitali. Ope razioni straordinarie. Gruppi, Milano, 2003. Cfr., inoltre, C. Bagnoli, La relazione sulla gestione tra normative e prassi, Milano, 2003.

III. - La deliberazione assembleare di approvazione del bilancio è uno dei supremi atti di governo della società (F. Galgano, Il nuovo di ritto societario, in Trattato dir. comm. e dir. pubbl. economia, Padova, 2003, 600), ma essa consiste soltanto nel riconoscere che il bilancio

rappresenta fedelmente la situazione statica e dinamica dell'ente, men tre resta indifferente rispetto agli atti gestori in esso menzionati. Un contenuto implicito è stato, peraltro, a volte riconosciuto dalla giuris prudenza (così Cass. 29 marzo 2001, n. 4662, Notiziario giurispruden za lav., 2001, 519, e Foro it., Rep. 2001, voce Società, n. 715, ha ravvi sato nelle deliberazioni di approvazione di due successivi bilanci d'esercizio la ratifica assembleare della nomina di un nuovo ammini

stratore, cooptato nelle more dagli altri, ai sensi dell'art. 2386 c.c.; 27 febbraio 2001, n. 2832, id., 2002,1, 880, con nota di M. Bragantini —

cui si rinvia per ulteriori richiami, anche in senso contrario sul punto —

ha affermato che l'approvazione del bilancio vale come ratifica del

compenso percepito dall'amministratore), ma mai con riguardo al di scarico da responsabilità.

IV. - Nella motivazione si fa cenno al principio secondo cui la deli berazione che approva il bilancio non libera l'amministratore dalla re

sponsabilità per mala gestio\ detto principio costituisce applicazione del disposto dell'art. 2434 c.c., inesistente nel codice di commercio, ma rimasto di contenuto identico dopo la riforma (salva l'eliminazione del riferimento all'assemblea, per tener conto del sistema dualistico): la norma si fonda sulla considerazione che la rinuncia all'azione di re

sponsabilità presuppone la piena cognizione della condotta inadem

piente e delle sue conseguenze, ma ciò non si verifica con la semplice sottoposizione ai soci del bilancio, quale mero rendiconto che non dà sufficienti notizie sulla gestione; mentre l'art. 2393, ultimo comma, c.c. si ritiene imponga una deliberazione espressa (cfr., sull'art. 2434 c.c., G. Cabras, La responsabilità per l'amministrazione delle società di

capitali, Torino, 2002, 187 ss.; A. Tina, Insindacabilità nel merito delle

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