sezioni unite civili; sentenza 10 giugno 2004, n. 11019; Pres. Ianniruberto, Est. Foglia, P.M.Maccarone (concl. conf.); Borgo e altri (Avv. Sorrentino, Mancusi) c. Camera dei deputati (Avv.dello Stato Di Martino); Palladino (Avv. Esposito, De Rosa) c. Camera dei deputati. Dichiarainammissibili ricorsi avverso Ufficio di presidenza della camera dei deputati, sez. giur., 9luglio 2002, n. 1/02Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 2 (FEBBRAIO 2005), pp. 477/478-483/484Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200542 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
quel consenso, o all'estensione dello stesso, nonostante che a
quell'atto l'appellante attribuisse testualmente gli effetti di una
cessione.
La corte d'appello ha accolto il gravame dell'amministrazio
ne, attribuendo alla dichiarazione Aceto l'effetto traslativo del
suolo. Si tratta ora di esaminare se tale effetto possa essere
scongiurato — come pretende la ricorrente — in conseguenza
dell'inadempimento dell'obbligo imposto dalla disponente al
beneficiario della concessione, e avente come contenuto la co
struzione di un manufatto.
Il giudice di merito ha escluso effetto risolutivo alla conces
sione, essendo tale obbligo riconducibile ad un modus piuttosto che a una condizione. Tale statuizione appare immune da censu
re.
È indubbio, in primo luogo, che l'atto unilaterale perfezio nato con la dichiarazione 6 giugno 1980 sia riconducibile ad un
negozio di liberalità — come implicitamente ritiene la corte
d'appello, che vi ritiene associabile una disposizione modale —
siccome privo di corrispettivo causalmente collegato alla pre stazione di pati che ne costituisce il contenuto. L'obbligo impo sto al beneficiario della concessione è stato ragionevolmente
qualificato come disposizione modale, in virtù della considera
zione, svolta dal giudice di merito, per cui esso non appare, nel
l'economia generale della dichiarazione, condizionare l'esplica zione degli effetti, di modo che pare esclusa la risolubilità del
negozio concessivo, del resto neppure prevista nell'atto di di
sposizione. Non è censurabile, a tal proposito, l'interpretazione dell'atto di consenso, da parte del giudice di merito, che attri
buisce a quella clausola non l'efficacia della condizione, bensì
di un onere, posto che la distinzione da condizione e modus è
quaestio facti, incensurabile in sede di legittimità, se immune da
vizi logico-giuridici (Cass. 6 agosto 1953, n. 2672, id., Rep. 1953, voce Successione legittima e testamentaria, n. 167). E in
via generale, è da ritenere ammissibile l'inserimento del modus
come elemento accessorio di un negozio atipico di liberalità, atteso che le specifiche disposizioni codicistiche in cui esso è
disciplinato (art. 648, 793), rappresentano applicazioni — e
tuttavia fonti normative utilizzabili per la regolamentazione di
casi analoghi — che non esauriscono la possibile gamma nego
ziale in cui può estrinsecarsi l'autonomia privata negli atti di li
beralità, attesa l'attitudine del modus a modificare, ampliandolo, il singolo schema negoziale, consentendo la realizzazione di
singole e specifiche finalità estranee alla causa.
La mancata esecuzione del modus, esclusa la risolvibilità del
negozio, obbliga il beneficiario inadempiente a risarcire il dan
no.
La domanda proposta dalla proprietaria non contemplava
pretese contrattuali inerenti il valore del manufatto, oggetto del
modus, non eseguito dal beneficiario inadempiente: nello stesso
atto di costituzione in appello, insistendo per il risarcimento da
occupazione appropriativa, la ricorrente evidentemente dava per
presupposta l'inefficacia dell'atto di concessione, ma non mani
festava pretese consequenziali alla lesione dell'interesse per il
quale a suo tempo all'atto di concessione gratuita fu apposta la
clausola. Né tale domanda può ritenersi implicita, come preten derebbe la ricorrente, nella domanda di risarcimento (extracon
trattuale) per la distruzione dei manufatti esistenti. (Omissis)
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 10
giugno 2004, n. 11019; Pres. Ianniruberto, Est. Foglia, P.M.
Maccarone (conci, conf.); Borgo e altri (Avv. Sorrentino,
Mancusi) c. Camera dei deputati (Avv. dello Stato Di Marti
no); Palladino (Avv. Esposito, De Rosa) c. Camera dei de
putati. Dichiara inammissibili ricorsi avverso Ufficio di pre sidenza della camera dei deputati, sez■ giur., 9 luglio 2002, n.
1/02.
Parlamento — Procedimenti concorsuali di assunzione —
Controversie — Autodichia — Ricorso straordinario per cassazione — Inammissibilità (Cost., art. 24, 64, 102, 108,
111, 113).
Posto che l'ambito di operatività dell'autodichia di cui godono i due rami del parlamento comprende non soltanto le contro
versie concernenti i rapporti dì lavoro già costituiti dei di
pendenti delle camere, ma anche quelle riguardanti i proce dimenti concorsuali di assunzione, è inammissibile il ricorso
straordinario per cassazione avverso i provvedimenti adottati
dall 'amministrazione della camera dei deputati di esclusione
dalle prove orali di un concorso pubblico per l'assunzione di
dipendenti. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 25 ottobre
2002 Andrea Borgo ed altri quattro ricorrenti indicati in epigra fe hanno proposto a questa corte ricorso avverso la sentenza del
9 luglio 2002, n. 1 con la quale la sezione giurisdizionale del l'Ufficio di presidenza della camera dei deputati aveva annui
ti) I. - Il ragionamento della corte si snoda attraverso i seguenti pas saggi:
— i regolamenti parlamentari, che fondano la giurisdizione domesti ca delle camere, sono sottratti, oltre che alla disapplicazione del giudice ordinario, anche al sindacato di legittimità costituzionale, giacché pre sidiano l'indipendenza e la sovranità del parlamento;
— il sistema di autodichia non rischia, in conseguenza, d'incappare nel divieto d'istituzione di giurisdizioni speciali stabilito dall'art. 108
Cost., né di vulnerare le garanzie del giusto processo potenziate dalla nuova formulazione dell'art. Ill Cost.;
— la ratio dell'autodichia comporta che il suo ambito di operatività si estende sino a comprendere, oltre alle controversie concernenti i rap porti di lavoro già costituiti dei dipendenti delle camere, anche i proce dimenti concorsuali di assunzione del personale.
Sull'insindacabilità dei regolamenti parlamentari e sul fondamento
dell'autodichia, v., in termini, Cass., sez. un., 27 maggio 1999, n.
317/SU, citata in motivazione, Foro it., 2000, I, 2673, con nota di ri chiami che dà conto anche dei precedenti relativi al principio sunteg giato in massima; da ultimo, v. sez. un. 19 novembre 2002, n. 16267, id., Rep. 2003, voce Parlamento, n. 53.
II. - Sulle condizioni per l'assoggettabilità ai regolamenti parlamen tari dell'attività svolta dai gruppi parlamentari e per la conseguente ap plicabilità dell'autodichia, v. Cass., sez. un., ord. 19 febbraio 2004, n.
3335, id., Mass., 207. III. - Sull'esclusione dal sindacato giurisdizionale, anche in sede di
autodichia, del regolamento di amministrazione e contabilità della ca mera dei deputati, espressione dell'autonomia regolamentare delle ca
mere, v. Consiglio giur. camera deputati 17 novembre 1999, n.
1/99/CG, id., Rep. 2000, voce cit., n. 66. IV. - Per un'ipotesi di esercizio di autodichia, concernente l'applica
zione del contratto collettivo ai dipendenti del senato, cfr. Commiss, contenziosa senato 12 gennaio 2000, n. 140, id., 2000, III, 286.
V. - Per l'esclusione dall'ambito di operatività dell'autodichia delia
previsione di ricorribilità all'Ufficio di presidenza della camera dei de
putati del provvedimento di erogazione dei contributi statali ai partiti politici per le spese delle elezioni politiche, v. Cass., sez. un., 15 marzo
1999, n. 136/SU, id., Rep. 1999, voce Partiti politici, n. 14. VI. - Sull'insindacabilità giurisdizionale degli atti di contenuto tecni
co-sportivo, v. Tar Sicilia, sede Catania, sez. Ili, 13 agosto 2003, n.
1290, id., Rep. 2003, voce Sport, n. 64; Tar Lazio, sez. Ili, 24 settem bre 1998, n. 2394, id., Rep. 1999, voce cit., nn. 41, 45.
VII. - In dottrina, P. Di Muccio, L'autodichia parlamentare sugli
impiegati delle camere, in Dir. società, 1990, 133; F. Basilica, Il punto delle sezioni unite sulla c.d. «giurisdizione domestica» del senato, in
Giust. civ., 2003, I, 2430, e, più in generale, N. Occhiocupo, Autodi
chia, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1998, IV, 1.
Vili. - Sul potere di autoregolamentazione del Consiglio superiore della magistratura, cfr. Cons. sup. magistratura 10 novembre 2004, in
questo fascicolo, III, 122. IX. - In generale, sulle categorie escluse dalla contrattualizzazione
del pubblico impiego, v., da ultimo, A.M. Perrino, Il rapporto di lavo
ro pubblico, Padova, 2004, 28.
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479 PARTE PRIMA 480
lato la sentenza della commissione giurisdizionale per il perso nale della medesima camera la quale, in accoglimento delle do
mande dei ricorrenti, aveva annullato i provvedimenti dell'am
ministrazione della camera dei deputati che li aveva esclusi
dalle prove orali del concorso pubblico per l'assunzione di
centotrenta commessi.
Analogo ricorso è stato proposto, nei confronti della medesi
ma sentenza, da Andrea Palladino, con distinto atto.
Resiste la camera dei deputati con controricorso, eccependo l'inammissibilità, o comunque l'infondatezza di entrambi i ri
corsi.
I ricorrenti hanno depositato — ex art. 378 c.p.c.
— rispettive
memorie illustrative.
Motivi della decisione. — Preliminarmente va disposta, ai
sensi dell'art. 335 c.p.c. la riunione dei due ricorsi aventi ad og
getto la medesima sentenza impugnata. Col primo motivo — deducendo la violazione degli art. 102,
2° comma, 108 e 111 Cost., anche in relazione all'art. 6 della
convenzione europea dei diritti dell'uomo — osservano i ricor
renti che le istanze interne della camera che hanno statuito sulla
controversia in esame non sono state istituite con legge, il che
comporta la violazione dell'art. 108, 1° comma, Cost, secondo
cui «le norme sull'ordinamento giudiziario, e su ogni magistra tura sono stabilite con legge». Vero è che l'ufficio di presidenza della camera dei deputati, che ha come articolazione interna la
sezione giurisdizionale che ha pronunziato la sentenza impu
gnata, è previsto dall'art. 63 Cost., ma è l'art. 12, 6° comma, del
regolamento generale che attribuisce all'ufficio di presidenza l'esercizio di funzioni giurisdizionali, sicché, in forza di tale norma interna esso giudica in via definitiva sui ricorsi di cui alla
lett. f) del 3° comma del medesimo articolo, e cioè sui «ricorsi
nelle materie di cui alla lett. d)» (lo stato giuridico, il tratta
mento economico e di quiescenza e la disciplina dei dipendenti della camera ...) nonché «sui ricorsi e qualsiasi impugnativa
—
anche presentata da soggetti estranei alla camera — avverso gli altri atti di amministrazione della camera medesima».
Aggiungono i ricorrenti che l'istituzione, la composizione e
le funzioni della sezione giurisdizionale dell'ufficio di presi denza sono previste da un regolamento approvato dall'ufficio di
presidenza il 28 aprile 1988, reso esecutivo con decreto 16
maggio 1988 n. 420 del presidente della camera, vale a dire da
un «regolamento minore», il che contraddice alla riserva di leg
ge di cui all'art. 108, 1° comma, Cost., oltre a contrastare con
l'art. 25, 1° comma, Cost.
Rilevano, infatti, i ricorrenti che l'unica deroga alla norma
che prevede una riserva di legge in materia di istituzione dei
giudici è stabilita esplicitamente dall'art. 66 Cost., ove si stabi
lisce che ciascuna camera giudichi «dei titoli di ammissione dei
suoi componenti e delle cause sopraggiunte d'ineleggibilità e di
incompatibilità». Né —
aggiungono i ricorrenti — può dirsi che la fonte costi tuzionale dell'autonomia parlamentare in materia possa fondarsi
sull'art. 64 Cost., poiché ciò confliggerebbe con la giurispru denza costituzionale più recente (sent. nn. 10 e 11 del 2000, Fo ro it., 2000, I, 331) la quale ha chiaramente circoscritto l'auto nomia delle camere, affermando l'esistenza di una nozione di
funzione parlamentare, desunta dalla stessa Costituzione, nel cui
ambito soltanto si esplica l'autonomia delle camere, e che, per tanto, non consente alle stesse di ricostruire liberamente i confi ni di tale autonomia: l'art. 64 Cost, può coprire soltanto le atti vità giurisdizionali che si collocano all'interno dell'organizza zione della camera, e non può consentire sconfinamenti nella
sfera riservata alla legge formale.
Sotto questo profilo i ricorrenti propongono una questione di
legittimità costituzionale delle citate norme regolamentari, la cui insindacabilità, in base alla sentenza 154/85 della Corte co
stituzionale (id., 1985,1, 2173) non può superare l'ambito inter
no della camera.
Per altro verso i ricorrenti denunciano la violazione: a) del l'art. 108, 2° comma, Cost, (non essendo garantita, nel caso del foro domestico della camera, l'indipendenza dei componenti dei
collegi giudicanti rispetto all'amministrazione dell'organo co
stituzionale); b) dell'art. 102, 2° comma, Cost, (in quanto il si
stema di autodichia in esame comporta l'istituzione di giudici straordinari o speciali; c) dell'art. Ili, 2° comma, Cost, (difet tando i requisiti minimi del «processo giusto» i quali esigono Il Foro Italiano — 2005.
che questo si svolga «... nel contraddittorio tra le parti, in con
dizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale»). Col secondo motivo i ricorrenti censurano la violazione dei
principi propri della stessa giurisdizione domestica, «innatural
mente» estesa alla cognizione delle controversie che riguardano essi stessi, estranei all'amministrazione dell'organo, in quanto
partecipanti ad un concorso per accedere ad un posto all'interno
della camera. In proposito, richiamano varie pronunce di queste sezioni unite (sent. 2979/75, id., 1976, I, 392; 3422/88, id., 1988, I, 3603; 12614/98, id., 1999, I, 854, e 136/SU/99, id., Rep. 1999, voce Partiti politici, n. 14) le quali hanno negato che
l'autodichia possa estendersi ad una serie di rapporti proprio in
virtù dell'estraneità dei soggetti coinvolti rispetto all'ammini
strazione delle camere.
Col terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione della 1.
7 agosto 1990 n. 241 e dell'art. 8 del regolamento interno di
procedura, nonché carenza e contraddittorietà della motivazio
ne, per mancata predeterminazione di criteri di valutazione degli elaborati scritti dei candidati.
Col quarto ed ultimo motivo, i ricorrenti censurano il difetto
di motivazione in ordine al motivo di ricorso riguardante i tempi di correzione degli elaborati la cui eccessiva brevità era stata
invano dedotta in sede di impugnazione alla sezione giurisdi zionale dell'ufficio di presidenza della camera, avverso la sen
tenza della commissione giurisdizionale per il personale della
camera.
Da parte sua, il Palladino, oltre a ribadire gran parte delle
censure esposte nei motivi appena menzionati, eccepisce il di
fetto di giurisdizione di questa corte, sostenendo l'esistenza
della giurisdizione del giudice amministrativo.
Entrambi i ricorsi sono inammissibili.
Prendendo le mosse dal contesto normativo di riferimento, si
rileva che il nuovo art. 12 (nel testo aggiornato il 16 dicembre
1998) del regolamento della camera dei deputati deliberato ai
sensi e secondo le modalità dell'art. 64 Cost., prevede che: «...
L'ufficio di presidenza adotta i regolamenti e le altre norme
concernenti: a) le condizioni e le modalità per l'ammissione de
gli estranei nella sede della camera; ... c) l'ordinamento degli uffici e i compiti ad essi attribuiti, strumentali all'esercizio delle
funzioni parlamentari; d) lo stato giuridico, il trattamento eco
nomico e di quiescenza e la disciplina dei dipendenti, ivi com presi i doveri relativi al segreto d'ufficio ...;/) i ricorsi nelle materie di cui alla lett. d) nonché i ricorsi e qualsiasi impugnati va, anche presentata da soggetti estranei alla camera, avverso gli altri atti di amministrazione della camera medesima ...».
E opportuno chiarire subito — per rispondere alla censura
formulata col secondo motivo di ricorso — che l'ambito di ope ratività dell'autodichia, così come delineata dalla norma rego lamentare appena richiamata (in termini sostanzialmente corri
spondenti a quelli contenuti nel precedente testo del 18 febbraio
1971) comprende non soltanto i rapporti di lavoro dei dipen denti della camera già costituiti, ma anche quelli in fieri e, quin di, anche i procedimenti concorsuali (come nella fattispecie in
esame) diretti all'assunzione dello stesso personale. Sul punto queste sezioni unite hanno già in passato affermato
che sarebbe errato interpretare la norma regolamentare in senso non estensivo e limitarne il campo di applicazione alle contro
versie aventi ad oggetto rapporti già costituiti. Se, infatti, l'au
tonomia del parlamento può essere lesa qualora altri poteri si
ingeriscano nei rapporti che intrattiene con i suoi dipendenti, «... con pari ragione tale lesione può prodursi qualora si am
metta che organi estranei al parlamento giudichino sui rapporti in fieri. La determinazione dei criteri di scelta dei propri dipen denti e le procedure di ammissione sono, infatti, espressione di
quella stessa autonomia riconosciuta ai due rami del parlamento sui rapporti costituiti con i propri dipendenti» (Cass., sez. un., 18 febbraio 1992, n. 1993, id., 1993,1, 1654).
Passando al primo motivo di ricorso, si osserva che proprio in
attuazione dell'indicata disposizione regolamentare, e nell'eser
cizio dei poteri normativi e provvedimentali da essa conferiti, l'ufficio di presidenza ha disciplinato il procedimento attraverso
il quale si perviene alla decisione definitiva dei «ricorsi sullo stato e sulla carriera giuridica ed economica dei dipendenti», istituendo, in particolare, una «commissione giurisdizionale per il personale», le cui decisioni sono impugnabili alla «sezione
giurisdizionale dell'ufficio di presidenza», presieduta dal presi dente della camera e composta da quattro membri nominati al
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
l'inizio di ogni legislatura dall'ufficio di presidenza fra i propri
componenti, su proposta del presidente.
Quest'organismo, competente all'esame del gravame (art. 6
del regolamento per la tutela giurisdizionale) ed avente compo sizione tutta interna all'ufficio suddetto (che, a sua volta è com
posto da membri dell'assemblea di appartenenza, come emerge dall'art. 5 del regolamento della camera dei deputati 18 febbraio
1971) dà piena e puntuale esecuzione alla citata disposizione di
quest'ultimo, sovraordinato regolamento, in quanto riserva ap
punto all'ufficio medesimo la pronuncia conclusiva dei proce dimenti contenziosi aventi ad oggetto lo stato giuridico ed il
trattamento economico del personale. Ciò posto, si osserva che queste sezioni unite hanno a più ri
prese affermato (cfr. sent. 23 aprile 1986, n. 2861, id., 1986, I,
1828, ed altre successive, sino a sent. 27 maggio 1999, n.
317/SU, id., 2000, I, 2673) che l'art. 12 del regolamento della
camera dei deputati del 18 febbraio 1971 (rimasto sostanzial
mente identico nel nuovo testo del 16 dicembre 1998) in quanto
qualificabile quale atto di normazione primaria, non è suscetti
bile di disapplicazione da parte del giudice ordinario, e si sottrae
altresì al sindacato di legittimità costituzionale, come affermato
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 154 del 1985, cit.,
proprio sulla base del rilievo dell'indipendenza garantita alle
camere del parlamento da ogni altro potere. Con la conseguenza che le controversie inerenti al rapporto di lavoro del personale di detta camera esulano dalla cognizione sia del giudice ordina
rio che del giudice amministrativo, in quanto spettano all'esclu
siva cognizione della camera medesima e dei suoi organi (v. sent. 23 aprile 1986, n. 2862, cit.; 18 novembre 1988, n. 6241,
id., Rep. 1988, voce Parlamento, n. 32; 18 febbraio 1992, n.
1993, cit.). In effetti, con la citata sentenza n. 154 del 1985, la Corte co
stituzionale, nell'escludere la sindacabilità dei regolamenti, ha,
preliminarmente ed in via generale, rilevato che «la Costituzio
ne repubblicana ha instaurato una democrazia parlamentare», nel senso che — «come dimostra anche la precedenza attribuita
dal testo costituzionale al parlamento nell'ordine espositivo del
l'apparato statuale — ha collocato il parlamento al centro del si
stema, facendone l'istituto caratterizzante l'ordinamento».
Secondo il giudice delle leggi, dunque, «è nella logica di tale
sistema che alle camere spetti — e vada perciò riconosciuta —
un'indipendenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro
potere, cui pertanto deve ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex art. 64, 1° comma, Cost.».
Un siffatto presidio dell'autonomia parlamentare deriva dal
coacervo delle guarentigie poste dall'ordinamento costituzio
nale, dovendo queste essere considerate, non singolarmente, bensì nel loro insieme, poiché, pur potendo specificamente ri
guardare l'uno o l'altro degli aspetti dell'attività parlamentare — come, ad esempio, quelle che fondano l'immunità dei mem
bri delle camere ovvero l'immunità delle rispettive sedi — «è
evidente la loro univocità, mirando esse, pur sempre, ad assicu
rare la piena indipendenza degli organi». Ne è conferma il di
vieto alla forza pubblica ed a qualsiasi persona estranea — sia
pure il presidente della repubblica o il membro di una camera
diversa da quella di appartenenza — di entrare nell'aula, che di
scende dall'art. 64, ultimo comma, Cost., prima ancora che
dalle disposizioni dei regolamenti della camera (e del senato). Di qui la conclusione che il parlamento «in quanto espressio
ne immediata della sovranità popolare, è diretto partecipe di tale
sovranità, ed i regolamenti, in quanto svolgimento diretto della
Costituzione, hanno una 'peculiarità e dimensione', che ne im
pedisce la sindacabilità, se non si vuole negare che la riserva
costituzionale di competenza regolamentare rientra tra le gua
rentigie disposte dalla Costituzione per assicurare l'indipenden za dell'organo sovrano da ogni potere».
In questo contesto queste sezioni unite, anche in passato, non
hanno potuto che prendere atto, da un lato, dell'esistenza di una
specifica norma primaria istitutiva (art. 12 del regolamento, cit.)
dell'autodichia, norma non sindacabile sotto il profilo della sua
conformità ai precetti della Costituzione che concernono l'eser
cizio della funzione giurisdizionale; dall'altro lato, di una valu
tazione legale tipica — che discende dall'inserimento della
norma stessa in una fonte strumentale alla tutela dell'autonomia
e della sovranità dell'assemblea — circa la necessità di configu rare gli atti di esercizio della menzionata prerogativa, vale a dire
i provvedimenti posti in essere dai due rami del parlamento per
Il Foro Italiano — 2005 — Parte 1-9.
la risoluzione delle controversie con i propri dipendenti (anche
quelli in fieri), come inerenti essi stessi strettamente all'orga nizzazione ed al funzionamento delle camere, con uguali con
notati di insindacabilità esterna, non tanto sub specie di privilegi connessi al rispetto, al prestigio ed al decoro dei titolari delle
relative potestà, quanto perché strumentali all'autonomo eserci
zio delle funzioni di questi; sicché, rispetto a siffatti provvedi menti, s'impone in non minore misura l'esigenza che tale eser
cizio non sia in modo alcuno condizionato da interventi di altri
poteri, i quali potrebbero indebolire quell'indipendenza che co
stituisce condizione essenziale per il pieno sviluppo della libera
azione degli organi suddetti: e questa, e non altra, è proprio la
ratio sottesa alla norma regolamentare che riserva alla cogni zione della camera le controversie suddette.
Ed allora, fermo restando il principio della sottrazione di que ste ultime alla giurisdizione (ordinaria o amministrativa), quan d'anche si voglia ritenere che il sistema di autodichia apprestato dal regolamento della camera dei deputati possa ricondursi ad
un concetto di giurisdizione speciale, questo non sarebbe evo
cabile se non in senso lato, vale a dire — come precisato da
Cass. n. 2861 del 1986, cit. — più che per intrinseca natura del
sistema stesso, per la ragione che fra i due contrapposti orien
tamenti interpretativi —
quello che nega ogni giudice e quello che accorda un giudice
— può apparire opportuna la scelta del
secondo, siccome «suscettivo di offendere meno gravemente —
e cioè, eventualmente, soltanto sotto i profili dell'indipendenza — terzietà ed imparzialità, nonché della difesa e del contrad
dittorio — i precetti costituzionali contenuti negli art. 24 e 113
Cost.».
In sintesi, dunque, tutto si ridurrebbe ad un rilievo formula
bile solo in relazione al dato esteriore della procedimentalizza zione del conflitto di interessi e della ricerca della sua soluzio
ne, mentre resta palese che soltanto il carattere «domestico» del
procedimento ne assicura, almeno nella logica dell'incensura
bile provvedimento istitutivo, la rispondenza alla ricordata fun
zione di garanzia dell'indipendenza del parlamento; laddove
l'assoggettamento della statuizione terminativa di codesto pro cedimento al controllo di legittimità ex art. 111 Cost, pur nel
nuovo testo introdotto dalla 1. cost. 23 novembre 1999 n. 2, re
lativo al «giusto processo» (dove si fa riferimento ai tre requisiti indefettibili di ogni processo costituiti dal rispetto del contrad
dittorio, dalla parità delle parti, nonché dalla terzietà ed impar zialità del giudice) finirebbe per riprodurre quel rischio di inter ferenza che proprio l'istituita (con la riferita norma regolamen
tare) sottrazione alla giurisdizione ordinaria ed amministrativa
ha, invece, inteso prevenire. Non sembra, dunque, condivisibile la tesi (che costituisce il
nucleo principale del primo motivo di ricorso) che attribuisce al
nuovo testo dell'art. 111 Cost, un effetto innovativo sul sistema
di «autodichia» sin qui delineato.
È piuttosto preferibile ritenere che il nuovo testo dell'art. Ili
Cost., 2° comma — pur senza estromettere dall'area della «giu
risdizione», l'autodichia — la quale conserva la sua radice le
gittimante nella sovranità parlamentare, ex art. 64 Cost. — non
scalfisce affatto le garanzie d'indipendenza del parlamento, mantenendo pur sempre alcune aree di esenzione o di delimita
zione del sindacato di legittimità proprio della Cassazione (al di
fuori delle ipotesi ivi espressamente previste delle sentenze ed i
provvedimenti sulla libertà personale, pronunziati da organi giu risdizionali ordinari o speciali, per le quali la ricorribilità in
Cassazione è sempre ammessa, con l'unica eccezione delle
sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra). In conclusione, una volta riscontrata l'inammissibilità di una
questione di legittimità costituzionale circa la norma del rego lamento parlamentare che fonda il sistema dell'autodichia, ne
resta per ciò stesso esclusa l'esperibilità del ricorso straordina
rio per cassazione, ex art. 111 Cost., avverso gli atti destinati,
nell'ambito di tale sistema, alla decisione «in via definitiva»
delle controversie di cui trattasi.
D'altra parte questa corte ha sempre negato l'esperibilità del
ricorso ex art. 111 Cost., quante volte ha avuto occasione di
esaminare analoghe questioni (v. sez. un. 12 marzo 1983, Savi
na, id., 1984, II, 209), anche con riguardo a provvedimenti di
natura oggettivamente giurisdizionale resi da organismi politici
costituzionali, la cui azione è istituzionalmente caratterizzata
dalla supremazia e dalla sovranità, che le consentono scelte e
valutazioni non soggette a delimitazione giuridica.
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483 . PARTE PRIMA 484
Al riguardo può osservarsi, da un lato, che rispetto ad una
natura siffatta fa agio la posizione soggettiva dell'organo nel si
stema costituzionale, la quale ne giustifica la sottrazione al ge nerale sindacato di legittimità affidato alla Corte di cassazione,
pur senza postularne necessariamente l'estraneità all'ordina
mento giurisdizionale disciplinato nella parte II. titolo IV, della
Carta costituzionale, nel cui esclusivo ambito opera il disposto del citato art. 111: e dall'altro lato, che l'interesse primario di
garantire l'autonomia dei suddetti organismi, prevale rispetto ad
ogni altro interesse, sicché ne resta anche preclusa la possibilità che la «volizione politica», una volta limitata normativamente,
divenga soggetta al successivo controllo giuridico (non politico) di questa corte.
In conclusione, una volta negata l'ammissibilità del ricorso
ex art. 111 Cost., in quanto precluso dal sistema stesso dell'au
todichia, incompatibile — come si è visto — col controllo giuri
sdizionale esterno, diviene inammissibile per irrilevanza anche
la questione di legittimità costituzionale delle norme attraverso
le quali quel sistema risulta concretamente attuato, non potendo il giudice sfornito di giurisdizione sulla proposta impugnazione avere quello di scrutinare possibili profili di illegittimità della
disciplina del provvedimento impugnato. Una volta dichiarata l'inammissibilità del primo motivo di ri
corso. resta precluso l'esame degli altri due motivi del primo ri
corso. attinenti il merito, nonché dell'eccezione di difetto di
giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria sollevata dal
Palladino.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile: sentenza 9 giu gno 2004. n. 10895: Pres. Saggio. Est. Plenteda. P.M. Ab
brutì (conci, diff. ); Soc. Immobiliare Saiva (Avv. Congedo) c. Vannini (Avv. Gialdrow). Cassa App. Roma 22 maggio 2001 e decide nel merito.
Società — Società di capitali — Assemblea — Approvazione
del bilancio — Annullabilità — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 1304: 2364. 2373. 2377. 2486 previgenti).
Non è annullabile la deliberazione di approvazione del bilan
cio, sebbene la relazione ad esso allegata contenga la men
zione di un contratto concluso dall'amministratore in con
flitto di interessi ed essa sia stata assunta con il voto determi
nante dei soci titolari dell'interesse in conflitto con quello della società. ( I !
<1)1. - Ai fini dell'art. 2373 c.c.. la deliberazione assembleare deve essere assunta in una situazione di conflitto fra il socio votante e la so cietà (sulla fattispecie, v. Cass. 21 marzo 2000. n. 3312. Foro it.. 2001, 1, 2329. che ribadisce la necessaria incompatibilità dell'interesse del socio con quello sociale: 23 marzo 1996, n. 2562. id.. 1997. 1, 1933, alla cui nota redazionale adde Cass. 21 dicembre 1994. n. 11017. id..
Rep. 1994. voce Società, n. 524: nonché la nota redazionale a Trib. Catania 30 settembre 1993. id.. 1994. I, 890): ma ciò non può darsi con
riguardo alla deliberazione di approvazione del bilancio, posto che l'interesse del socio deve essere specifico, concreto, attuale, incompa tibile con quello sociale e dalla deliberazione deve derivare un danno
potenziale alla società. Difficilmente tali requisiti sono presenti nella mera approvazione del bilancio, che. come la Cassazione in epigrafe ha
precisato (nello stesso senso, già Cass. 5 giugno 2003. n. 8989, cit., se condo cui la mancata approvazione del bilancio — ma lo stesso può dirsi per il voto positivo — non è idonea a realizzare, neppure sul piano potenziale, una situazione pregiudizievole per la società), vale soltanto a riconoscere la compiutezza delle informazioni rese dall'organo am ministrativo. non la bontà delle scelte dal medesimo operate.
II. - Sulla funzione del bilancio di società, di cui in motivazione, cfr. Cass. 11 dicembre 2000. n. 15592 (Foro il.. 2001. I. 3274), la quale ha ritenuto non abusivo il voto contrario del socio al bilancio, dal medesi
II Foro Italiano — 2005.
Svolgimento del processo. -— Vannini Roberto con atto 28
marzo 1990 convenne dinanzi al Tribunale di Roma la società
immobiliare Saiva s.r.l., di cui era socio insieme a Vannini Sil
vano e a Sainato Antonio, e chiese che fosse dichiarata la nullità
o fosse pronunziato l'annullamento della delibera assunta il 13
febbraio 1990 dall'assemblea dei soci, con cui era stato — in
sua assenza — approvato il bilancio predisposto dall'ammini
stratore unico Vannini Silvano e con esso il contratto con il
quale egli aveva concesso in locazione un terreno in Roma della
mo già redatto, quale componente del consiglio d'amministrazione; sez. un. 21 febbraio 2000, n. 27/SU (id., 2000,1, 1521), che, componendo il
contrasto, ha sancito il principio della nullità della deliberazione appro vativa, anche qualora dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia
possibile desumere l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte; 8 agosto 1997, n. 7398 (id., 1998, I, 539, con nota di R. Rordorf, Osservazioni in tema di bilancio d'esercizio delle società di capitali), secondo la
quale (seguita dalla citata sentenza delle sezioni unite) il fine informa
tivo, interno ed esterno, del bilancio è la funzione essenziale perseguita dal legislatore nel prescrivere i criteri di redazione del medesimo; 25
maggio 1994, n. 5097 (id., Rep. 1995, voce cit., n. 819), antecedente di retto della sentenza in epigrafe, secondo cui i criteri di redazione corri
spondono «all'esigenza che il bilancio assolva alla funzione di informa re compiutamente sulla reale situazione economica e patrimoniale della società a tutela dei soci e dei terzi», onde, nel caso di specie, non co stituiva violazione dei suddetti criteri la scelta degli amministratori di concludere contratti a prezzi non remunerativi, trattandosi dì decisione non attinente al modo di informare e desumibile dall'ammontare (veri
tiero) dei proventi indicati in bilancio; v. pure Cass. 22 aprile 2002, n. 5850 (id., 2003, I, 266, con nota di R. Rordorf, Recesso del socio e li
quidazione della quota nella società di capitali), la quale ha affermato che la controversia concernente la validità della deliberazione di appro vazione del bilancio non dà luogo ad un giudizio cui consegua la statui zione relativa all'esistenza o meno di un credito in capo a chi l'abbia
impugnata. Quanto alla natura del documento, Cass. 5 giugno 2003, n. 8989, id.,
Rep. 2003, voce cit., n. 1056, e Giust. civ., 2004, I, 2104, ha ribadito che il bilancio redatto e presentato dagli amministratori di una società di capitali è un mero progetto, il quale acquista esistenza giuridica sol tanto con l'approvazione assembleare.
In dottrina, attribuiscono al bilancio l'essenziale funzione informativa della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, B.
Quatraro, in G. Lo Cascio (a cura di). La riforma del diritto societario, Milano, 2003, VI, sub art. 2421-2435 bis, 37 ss., spec. 86, 356 ss., ove
pure un'approfondita disamina del diritto all'informazione dei soci e del dovere degli amministratori di rispondere alle domande in sede di di scussione assembleare; G.U. Colombo, Dalla chiarezza e precisione alla
rappresentazione veritiera e corretta, in A. Palma (a cura di), Il bilancio di esercizio, Milano, 2003, 16 ss.; M. Pozzoli-F. Roscini Vitali, Guida
operativa al nuovo diritto societario. Bilancio. Società di capitali. Ope razioni straordinarie. Gruppi, Milano, 2003. Cfr., inoltre, C. Bagnoli, La relazione sulla gestione tra normative e prassi, Milano, 2003.
III. - La deliberazione assembleare di approvazione del bilancio è uno dei supremi atti di governo della società (F. Galgano, Il nuovo di ritto societario, in Trattato dir. comm. e dir. pubbl. economia, Padova, 2003, 600), ma essa consiste soltanto nel riconoscere che il bilancio
rappresenta fedelmente la situazione statica e dinamica dell'ente, men tre resta indifferente rispetto agli atti gestori in esso menzionati. Un contenuto implicito è stato, peraltro, a volte riconosciuto dalla giuris prudenza (così Cass. 29 marzo 2001, n. 4662, Notiziario giurispruden za lav., 2001, 519, e Foro it., Rep. 2001, voce Società, n. 715, ha ravvi sato nelle deliberazioni di approvazione di due successivi bilanci d'esercizio la ratifica assembleare della nomina di un nuovo ammini
stratore, cooptato nelle more dagli altri, ai sensi dell'art. 2386 c.c.; 27 febbraio 2001, n. 2832, id., 2002,1, 880, con nota di M. Bragantini —
cui si rinvia per ulteriori richiami, anche in senso contrario sul punto —
ha affermato che l'approvazione del bilancio vale come ratifica del
compenso percepito dall'amministratore), ma mai con riguardo al di scarico da responsabilità.
IV. - Nella motivazione si fa cenno al principio secondo cui la deli berazione che approva il bilancio non libera l'amministratore dalla re
sponsabilità per mala gestio\ detto principio costituisce applicazione del disposto dell'art. 2434 c.c., inesistente nel codice di commercio, ma rimasto di contenuto identico dopo la riforma (salva l'eliminazione del riferimento all'assemblea, per tener conto del sistema dualistico): la norma si fonda sulla considerazione che la rinuncia all'azione di re
sponsabilità presuppone la piena cognizione della condotta inadem
piente e delle sue conseguenze, ma ciò non si verifica con la semplice sottoposizione ai soci del bilancio, quale mero rendiconto che non dà sufficienti notizie sulla gestione; mentre l'art. 2393, ultimo comma, c.c. si ritiene imponga una deliberazione espressa (cfr., sull'art. 2434 c.c., G. Cabras, La responsabilità per l'amministrazione delle società di
capitali, Torino, 2002, 187 ss.; A. Tina, Insindacabilità nel merito delle
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