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sezioni unite civili; sentenza 10 marzo 1997, n. 2131; Pres. La Torre, Est. Varrone, P.M. Amirante...

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sezioni unite civili; sentenza 10 marzo 1997, n. 2131; Pres. La Torre, Est. Varrone, P.M. Amirante (concl. conf.); Inail (Avv. Tedesco, Varone) c. Maurizi e altra (Avv. Biondo, Isabella Valenzi), Barretta e altri. Conferma Trib. Roma 7 novembre 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1841/1842-1847/1848 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192022 . Accessed: 25/06/2014 00:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.28 on Wed, 25 Jun 2014 00:08:14 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 10 marzo 1997, n. 2131; Pres. La Torre, Est. Varrone, P.M.Amirante (concl. conf.); Inail (Avv. Tedesco, Varone) c. Maurizi e altra (Avv. Biondo, IsabellaValenzi), Barretta e altri. Conferma Trib. Roma 7 novembre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1841/1842-1847/1848Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192022 .

Accessed: 25/06/2014 00:08

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

quenze assegnabili e, comunque, nell'ambito di un intervento

che mostrò di voler estendere (art. 31) — e non mai restringere — le opportunità applicative della sanzione amministrativa deli

neata dalla legge del 1983. In sostanza, se è indubbio che la

tutela delle bande di frequenza riservate alla navigazione aerea

ed alla assistenza al volo ben riguardava — in termini di appli cabilità dei precetti e delle sanzioni — tutti gli esercenti di im pianti di radio-tele comunicazione ai sensi dell'art. 3 1. 110/83; e se è indubbio che tali esercenti (meramente autorizzati alla

proroga di fatto in base all'art. 3 d.l. 807/84 conv. in 1. 10/85)

erano, dunque, già esposti alla repressione amministrativa delle

menzionate violazioni alla vigilia della entrata in vigore della

legge del 1990; non può non rilevarsi come una disposizione

(l'art. 18, 3° comma) la cui finalità palese è quella di estendere

sfere di tutela debbasi interpretare nel senso che, da un canto, estende la sfera dei soggetti tutelati (aggiungendo le bande di

frequenza riservate alla polizia ed «agli altri servizi pubblici es

senziali») e, dall'altro, estende — e non certo restringe — la

sfera dei destinatari della strumentazione preventiva/repressiva

(la 1. 110/83) includendovi i «concessionari privati». E di qui la constatazione per la quale se il legislatore avesse inteso esclu

dere dal sistema sanzionatorio contestualmente richiamato (e con

testualmente esteso a nuovo bande di frequenza) la totalità de

gli esercenti (tutti i richiedenti la concessione dovendosi ritenere

«autorizzati», ai sensi dell'art. 32, 1° comma), ciò avrebbe do

vuto ragionevolmente fare in modo esplicito ed in ragione di

una ben precisa, e ponderata, «incompatibilità» del regime di

autorizzazione temporanea con la estensione della tutela (anche di quella apprestata per le radioemissioni delle forze di poli

zia!). E posto che tal esplicita esclusione è del tutto mancata

e che, di contro, si è in presenza di una previsione letteralmente

e razionalmente inclusiva della categoria dei «concessionari pri vati» (apprestata dalla stessa legge) ne discende, all'evidenza; che appare inconferente — contrariamente all'assunto di Tele

lombardia — che l'art. 18 sia o meno richiamato tra le norme

della 1. 223/90 dichiarate applicabili ai soggetti «autorizzati»,

l'applicazione stessa essendo, al contempo, generale e preesi stente con riguardo alla tutela di cui alla 1. 110/83 e per tutti

gli esercenti privati di impianti e nuove essendo, in forza della

disposizione in discorso, dimensioni e appartenenza delle fre

quenze assunte a tutela, cosiccome nuove sono — in forza delle

disposizioni contenute nei commi 8-9-10-11 dell'art. 31 — le

previsioni sulla «competenza», sul procedimento e sulla sanzio

ne dell'illecito amministrativo del richiamato art. 18.

Peraltro, e venendo all'esame delle altre disposizioni della legge del 1990, l'art. 33, pur intitolato «norme per i soggetti autoriz

zati», alla stregua del suo contenuto — dianzi sintetizzato —

non consente, come già affermato da questa-corte nella ridetta

sentenza 6255/96, di essere interpretato nel senso divisato dalla

ricorrente (ed apparentemente esplicitato dalla titolazione): in

fatti, se nel 1° comma sono indicate alcune disposizioni appli cabili ai soggetti «autorizzati» ed in relazione alle sanzioni di

cui agli art. 30 e 31, nel 2° comma sono elencate disposizioni la cui efficacia temporale è differita anche per i soggetti auto

rizzati, così implicitamente presupponendo, vieppiù in difetto di coordinamento logico con il 1° comma, che anche a questi ultimi siano applicabili le residue disposizioni (la cui estensione

non sia altrimenti, ed espressamente, esclusa). Ma non solo da

tal palese carenza di coordinamento è lecito argomentare nel

senso del modesto significato della mancata menzione dell'art.

18 nel 1° comma dell'art. 33 in esame. Ed invero, l'art. 33

all'atto di indicare i soggetti «autorizzati» ai quali rendere ap

plicabili le (sole) norme elencate al 1° comma, lungi dall'opera re puro e semplice rinvio alla definizione (affatto completa) di

soggetto autorizzato contenuta nel 1° comma del precedente art.

32, si premura di limitarne i contorni statuendo che la ridetta

applicazione sia riferita a quei soggetti di cui all'art. 32 che

eserciscano reti nazionali od emittenti locali quali definite dal

l'art. 3, 11° comma, e dall'art. 21, 3° comma (reti locali con

penetrazione di almeno il 70% del relativo bacino di utenza

e con eventuale diffusione in contemporanea per non oltre sei

ore). E ciò implica, all'evidenza, che il richiamo di specifiche norme correlato al requisito di specifica consistenza della emit

tente (appunto, nazionale o locale di «rilievo»), unitamente al

fatto che tutte le norme richiamate disciplinano oneri compati bili solo con la consistenza rilevante della emittente (l'art. 10

disciplina la regolamentazione dei telegiornali e dell'onere di ret

II Foro Italiano — 1997.

tifica; l'art. 11 regola le iniziative per garentire le pari opportu

nità; l'art. 13 prevede le comunicazioni al garante dei trasferi

menti proprietari; l'art. 14 disciplina la pubblicazione dei bilan ci, ecc.), attesti l'impossibilità di escludere la diretta applicazione delle norme che non presuppongono affatto la gestione di un

impianto, e su bacino, di rilevanti dimensioni. E non par minimamente dubbio il fatto che le norme — vec

chie e nuove — di riserva ai pubblici poteri o alla concessiona

ria pubblica di bande di frequenza e statuenti oneri di «non

interferenza» con le relative emissioni (e comminanti sanzioni

per la inosservanza), non appaiono in alcun modo correlate a

requisiti dimensionali dell'emittente e/o all'ampiezza delle sue

emissioni, trattandosi, esclusivamente, di modulare il proprio

segnale nei limiti assentiti (per i concessionari) o di fatto fruibili (per i c.d. «autorizzati»).

Ditalché, vuoi in base ad una corretta e sistematica lettura

dell'art. 18 della legge del 1990, vuoi in relazione ad una attenta

interpretazione delle disposizioni di cui agli art. 31-32-33 della

stessa legge, può conclusivamente affermarsi che a tutti i sog

getti «autorizzati» di cui all'art. 32 sia interamente applicabile il disposto dell'art. 3 1. 110/83 come novellato dagli art. 18, 3° comma, e 31, commi da 8 a 11, 1. n. 223 del 1990.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 10 mar

zo 1997, n. 2131; Pres. La Torre, Est. Varrone, P.M. Ado

rante (conci, conf.); Inail (Avv. Tedesco, Varone) c. Mau

rizi e altra (Avv. Biondo, Isabella Valenzi), Barretta e altri.

Conferma Trib. Roma 7 novembre 1995.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione — Equo canone — Determinazione — Coefficiente tipologi co — Classamento catastale — Potere di disapplicazione del

giudice ordinario (L. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul con

tenzioso amministrativo, art. 5; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disci

plina delle locazioni di immobili urbani, art. 16).

Nella controversia tra il locatore ed il conduttore per la deter

minazione dell'equo canone, ai sensi degli art. 12 ss. I. 392/78, il giudice ordinario può disapplicare, con effetti limitati al caso concreto e ai soli fini della decisione sulla misura del

canone, l'atto di classamento dell'unità immobiliare operato dall'autorità amministrativa, ove lo ritenga non conforme al

la legge. (1)

(1) La pronunzia ribadisce un principio ormai da tempo consolidato, nel solco di Corte cost. 7 aprile 1983, n. 84 (Foro it., 1983, I, 1826, con nota di richiami di D. Piombo) e Cass., sez., un., 17 novembre

1984, n. 5845 (id., 1985, I, 768, con osservazioni di D. Piombo) e n. 5844 (id., Rep. 1984, voce Locazione, n. 348; annotata, tra gli altri, da R. Preden, in Giust. civ., 1985, I, 1131). Secondo queste ultime, il potere di disapplicazione del giudice ordinario sussiste anche qualora risultino «tutte le circostanze di fatto rilevanti per un diverso classa mento dell'immobile locato, in conseguenza di modificazioni intervenu te in esso e nell'assetto urbanistico, non ancora registrate in catasto...»; ma in realtà, a ben vedere, come ora le stesse sezioni unite puntualizza no con la sentenza in rassegna (e come, del resto, sostanzialmente già si osservava nell'annotare la citata Cass. 5845/84), in tale eventualità

(così come in altre, in cui l'atto amministrativo di classamento non esiste ovvero è il mutamento della destinazione d'uso che fa sorgere l'esigenza di attribuire all'immobile, ai soli effetti della locazione, una

tipologia catastale abitativa), «l'istituto della disapplicazione non ope ra», non potendo parlarsi di non conformità alla legge dell'atto ammi nistrativo di classamento.

In effetti, però, come si può ricavare sia dalla motivazione di Cass.

5845/84, cit., sia da successive pronunzie, il pensiero della corte di le

gittimità sembra nel senso che l'art. 16 1. 392/78 non attribuisca al classamento dell'unità immobiliare da parte dall'autorità amministrati va un valore «tassativo e vincolante» tra le parti del rapporto locativo,

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1843 PARTE PRIMA 1844

Svolgimento del processo. — Con ricorso ex art. 45 1. n. 392

del 1978 notificato il 27 settembre 1991 Maurizi Gabriella ed altri 137 inquilini di appartamenti di proprietà dell'Inail e siti in Roma, via Libero Leonardi n. 130, chiedevano al Pretore

di Roma che, previa disapplicazione del provvedimento ammi

nistrativo con il quale l'Ute aveva attribuito agli alloggi da essi

detenuti in locazione la categoria catastale A/2 (abitazione di

tipo civile), fosse dichiarato il coefficiente A/3 (abitazione di tipo economico) ai fini della determinazione dell'equo canone.

L'istituto si costituiva eccependo preliminarmente la carenza di

giurisdizione del giudice ordinario. Espletata c.t.u., l'adito pretore, con sentenza 3 novembre 1994,

accoglieva la domanda dei ricorrenti, dichiarando che con ri

guardo all'applicazione dell'equo canone, la tipologia catastale

doveva ritenersi A/3 e condannava il convenuto alla rifusione

delle spese giudiziali (ivi comprese le spettanze liquidate al c.t.u.).

Proponeva appello Inail ma nella resistenza dei summenzio

nati conduttori il Tribunale di Roma, con sentenza 7 novembre

1995, lo rigettava, condannando l'appellante alle spese del gra do ed affermando:

— che gli atti amministrativi inetrenti alla classificazione ca

tastale non hanno un valore tassativo e vincolante tra le parti di un rapporto di locazione;

— che nella specie gli inquilini avevano contestato gli atti

di classificazione, chiedendone la disapplicazione, previo accer

tamento incidentale della loro illegittimità; — che il giudice ordinario poteva determinare, in via inci

dentale ed al limitato fine del computo del canone, la categoria catastale da attribuire all'immobile in questione, senza che a

ciò fosse di ostacolo il mancato ricorso alla commissione tri

butaria; — che nella specie l'atto di classificazione catastale era ap

punto illegittimo, dovendo gli appartamenti, per le loro caratte

ristiche, evidenziate dalla consulenza tecnica, essere classificate

nella categoria A/3; — che l'applicabilità di tale categoria andava fatta risalire

fino al momento dell'entrata in vigore della 1. n. 392 del 1978.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l'Inail, affidandolo a sei motivi. Hanno resistito soltanto 86 degi inti

mati, con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione. — Con il primo e quarto motivo, da

esaminare congiuntamente per la stretta connessione delle ri

spettive censure, l'istituto, denunciando la violazione e la falsa

applicazione degli art. 2 e 37 c.p.c. nonché il vizio della motiva

zione su un punto decisivo della controversia, in relazione al

l'art. 360, nn. 3 e 5, del codice di rito, da un lato ribadisce

l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario nella

presente controversia (primo motivo) e, dall'altro, contesta al

giudice dell'appello di avere disapplicato l'atto amministrativo

di accatastamento degli immobili a seguito di un'erronea lettura

delle sentenze delle supreme magistrature e, segnatamente, della

fondamentale sentenza n. 84 del 1983 della Corte costituzionale

(.Foro it., 1983, I, 1826, quarto motivo). La duplice censura non coglie nel segno. Il suddetto giudice,

rigettando l'analogo motivo di gravame, ha confermato la deci

ma soltanto un valore di «presunzione semplice» (suscettibile, quindi, di prova contraria) circa la qualità dell'immobile; il che consente al

giudice di discostarsene, allo specifico fine della determinazione del ca none di locazione, anche quando la mancanza di corrispondenza delle risultanze catastali alla situazione effettiva dell'immobile dipenda non

già da violazioni di legge o errori di apprezzamento della pubblica am

ministrazione, bensì da modificazioni sopravvenute (v. Cass. 7 aprile 1987, n. 3364, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 326; 14 ottobre 1987, n. 7615, id., 1988, I, 1625, con nota di richiami; 15 marzo 1995, n.

3023, id., Rep. 1995, voce cit., n. 303). Con riferimento al caso in cui l'immobile non sia censito, v., nel

senso che il giudice ben può procedere incidenter tantum alla individua zione della sua tipologia catastale, ai fini dell'applicazione della norma tiva sul c.d. equo canone dettata dagli art. 12 ss. 1. 392/78, anche qua lora manchi l'accertamento dell'Ute previsto dall'art. 16, 2° comma, 1. 392/78 (che, come rileva la pronunzia in epigrafe, non ha valenza di atto amministrativo di classamento, come tale, suscettibile di disap plicazione, ma costituisce «atto atipico di classificazione per similari

tà...»), v., da ultimo, Cass. 20 settembre 1996, n. 8370, id., 1997, I, 530, con nota di richiami.

In tema di classamento catastale degli immobili, v. anche, in dottri

na, M. Annecchino, Beni culturali e benefici fiscali (nota a Cass. 19 novembre 1993, n. 11445), id., 1994, I, 3489.

Il Foro Italiano — 1997.

sione del pretore che, pervenuto alla corretta classificazione in

A/3 degli immobili de quibus, aveva accertato incidentalmente

la non conformità alla legge dell'accatastamento in A/2 com

piuto dall'amministrazione finanziaria, prescindendo dall'esisten

za di una controversia sulla legittimità dell'atto amministrativo

o del procedimento a suo tempo seguito dall'amministrazione

medesima; ed ha precisato che a fronte delle contestazioni dei

conduttori rilevatrici della difformità tra i dati catastali e l'ef

fettiva situazione di fatto, l'atto di classamento era stato, nel

caso concreto, disapplicato, in quanto viziato da eccesso di po tere e violazione di legge, rimanendo pero tale pronuncia limi

tata ai soli effetti della determinazione del canone.

Così statuendo il tribunale romano si è perfettamente unifor

mato, indicando con puntualità le più importanti sentenze, ad

un indirizzo giurisprudenziale, ormai pacifico, delle supreme ma

gistrature, che risale alla nota sentenza 7 aprile 1983, n. 84, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, 1° comma,

1. n. 392 del 1978, sollevata sul presupposto che, con riguardo alla tipologia dell'immobile quale coefficiente correttivo per il

calcolo dell'equo canone, la categoria catastale stabilita dall'uf

ficio finanziario sarebbe vincolante e non consentirebbe al con

duttore alcuna tutela giurisdizionale. Negando tale presuppo

sto, la corte ha ribadito il principio che l'accertamento fiscale,

trasferito in un procedimento tra privati avente necessariamente

carattere e contenuto diversi, è soggetto, per quanto concerne

la sua legittimità, all'apprezzamento del giudice al quale spetta la cognizione del diritto controverso (cfr., in particolare, nella

materia locatizia, le sentenze n. 132 del 1972, id., 1972, I, 2721;

n. 255 del 1976, id., 1976, I, 2745, e n. 56 del 1980, id., 1980, I, 2670). Ciò premesso, la corte ha affermato che dalla mancata

previsione, nella norma denunciata, di una specifica tutela giu

risdizionale, non poteva senz'altro dedursi che tale tutela fosse

esclusa, in ispregio del dettato costituzionale, ed indicava al

l'uopo due strumenti: la possibilità, anche da parte del condut

tore, di ricorrere alle commissioni tributarie ai sensi dell'art.

1, ultimo comma, d.p.r. n. 636 del 1972; il potere-dovere, co

munque spettante al giudice ordinario ex art. 5 1. n. 2248 del

1865, ali. E), nelle controversie fra privati, di accertare inciden

talmente la legittimità dell'atto amministrativo da cui deriva il

diritto dedotto in giudizio, legittimità nella cui nozione rientra

no pure le condizioni di fatto richieste dalla legge per l'emana

zione dell'atto nonché i meri accertamenti tecnici; con la conse

guenza che, in caso di accertata illegittimità (sia originaria che

sopravvenuta), l'accertamento catastale nessun effetto può espli care nel rapporto di locazione, ancorché la pronuncia giudiziale

possa valere esclusivamente nei limiti soggettivi ed oggettivi del

caso deciso, ai soli fini della determinazione del canone.

Nel solco di tale dictum le sezioni unite di questa corte hanno

compiuto un'ulteriore opera di chiarificazione e di approfondi

mento, riconoscendo, da un lato, la possibilità di contestare

la classificazione catastale — per evidenti ragioni di simmetria

processuale e costituzionale — anche al locatore; dall'altro, l'im

praticabilità dell'impugnazione, da parte del conduttore, del

l'atto di «classamento» catastale davanti alle commissioni tri

butarie, trattandosi di soggetto estraneo al rapporto tributario

ed essendo attribuita, dalla vigente legislazione, la legittimazio ne ad agire davanti alle suddette commissióni soltanto al pro

prietario o titolare di altro diritto reale. Tuttavia restava salva

la possibilità alle parti del rapporto di locazione di contestare

il tipo, la classe e la categoria dell'unità immobiliare davanti

al giudice competente a provvedere sui diritti soggettivi contro

versi tra le stesse parti, chiedendo a tale giudice la disapplica zione dell'atto amministrativo secondo i principi generali del

l'ordinamento, con effetti limitati al caso concreto dedotto in

giudizio ed ai soli fini della controversia insorta in ordine alla

determinazione dell'equo canone (Cass., sez. un., 17 novembre

1984, n. 5844, id., Rep. 1984, voce Locazione, n. 348). A que sto indirizzo si è uniformata costantentemente la successiva giuris

prudenza di legittimità, precisando che la disapplicazione del

l'atto di classamento illegittimo non trova ostacolo nel mancato

ricorso, ove configurabile, alla commissione tributaria avverso

il classamento stesso (da ultimo, ex plurimis, Cass. 13 maggio

1995, n. 5274, id., Rep. 1995, voce cit., n. 302). Orbene, questo essendo lo stadio attuale dello sviluppo giuris

prudenziale, il discorso può peraltro arricchirsi con due ulterio

ri osservazioni. La prima è che il complesso delle controversie

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

relative alla categoria catastale dell'immobile locato non sempre

può risolversi con lo strumento della disapplicazione dell'atto

amministrativo di classamento. Infatti, accanto all'ipotesi tipica dell'atto compiuto ai fini fiscali e viziato per erronea applica zione delle norme sulla classificazione e/o per erroneo apprez zamento dei presupposti di fatto rilevanti (ipotesi alla quale si

riferisce l'art. 16, 1° comma, 1. n. 392 del 1978, cit.), esistono

altre eventualità per le quali l'istituto della disapplicazione non

opera, vuoi perché non esiste un atto amministrativo (ma quel l'atto atipico di classificazione per similarità effettuato dall'Ute

ai sensi dell'art. 16, 2° comma, 1. cit. per gli immobili non censiti, riguardo al quale la dottrina parla di un'attività di «con

sulenza informale» da parte dell'ufficio), ovvero esiste ma è

conforme a legge, atteso che la valutazione di tale conformità

deve essere compiuta con riferimento alla situazione di diritto

e di fatto esistente al momento in cui l'atto stesso è stato ema

nato (da ultimo, Cons. Stato 29 maggio 1995, n. 381, id., Rep.

1995, voce Giustizia amministrativa, n. 879). Sono le ipotesi di non corrispondenza tra la qualificazione originariamente at

tribuita ai fini fiscali e le attuali caratteristiche dell'immobile, determinate però da modificazioni successive, in meglio od in

peggio, dell'immobile in sé o del contesto urbanistico; ovvero

della necessità di determinare, ai soli effetti locatizi, la tipologia catastale da attribuire ad un immobile classificato correttamen

te come ufficio (A/10), a seguito del consolidamento del muta

mento della destinazione d'uso, da non abitativa ad abitativa, alla stregua del principio generale di cui all'art. 80, 2° comma, 1. n. 392 del 1978.

Chiarito quanto innanzi, è agevole rilevare che, nella specie, ben ha fatto il tribunale romano ad utilizzare lo strumento della

disapplicazione; infatti, trattandosi di costruzioni ultimate nel

biennio 1985/86 ed accatastate nel biennio successivo (1987/1988) — come lo stesso Inail aferma nel ricorso — poiché la c.t.u.

è stata espletata soltanto qualche anno dopo e non risultano

intervenuti mutamenti sostanziali nelle condizioni degli immo

bili (come rilevano già dalla sentenza pretorile, non impugnata sul punto), deve ritenersi (come si vedrà meglio nell'esame del

quinto motivo) che gli atti di classificazione siano dipesi da un'er

ronea valutazione delle caratteristiche delle varie unità; si trat

ta, pertanto, del caso tipico dell'accertamento incidentale del

l'illegittimità dell'atto amministrativo di classamento, al fine della

sua disapplicazione, con la correlata facoltà per il giudice ordi

nario di accertare l'effettiva categoria catastale ai soli fini locatizi.

In secondo luogo è opportuno approfondire i caratteri del

l'atto amministrativo disapplicato. Com'è noto deve trattarsi

di atti amministrativi «non conformi alle leggi» (art 5 1. n. 2248

del 1865, ali. E) e questa formula, dopo un'iniziale limitazione

al vizio della violazione di legge (ormai pacificamente conside

rato un vizio residuale), è stata estesa fino a ricomprendere an

che il vizio di eccesso di potere. Ora l'atto di classificazione illegittimo per un'erronea valuta

zione delle caratteristiche dell'immobile è atto che viola non

tanto norme di legge (gli art. 11 ss. r.d.l. 13 aprile 1939 n.

652, convertito nella 1. 11 agosto 1939 n. 1249. modificata suc cessivamente con d.leg. 8 aprile 1949 n. 514, nonché 61 ss. d.p.r. 1° dicembre 1949 n. 1142 di approvazione del regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano) quanto i crite

ri di massima seguiti per l'attribuzione della categoria e della

classe alle unità immobiliari urbane, quei criteri, cioè, che indi

cano le caratteristiche alla stregua delle quali, nell'ambito della

stessa categoria (abitazione/A) vengono distinte le diverse sot

tocategorie (A/1: tipo signorile; A/2: tipo civile; A/3: tipo eco

nomico; ecc.). Trattasi di norme interne, direttive ed istruzioni

di carattere precettivo dettate dall'amministrazione finanziaria

ai propri uffici (nella specie, all'Ute) contenute in atti di varia denominazione (circolari, ordinanze, istruzioni, ecc.), la cui vio

lazione da parte degli uffici può costituire una tipica figura sin tomatica di quel caratteristico vizio funzionale dell'atto ammi

nistrativo denominato appunto eccesso di potere. E sotto que sto profilo correttamente il giudice del merito, rilevata la

difformità tra le condizioni effettive degli immobili e la loro classificazione catastale, ha provveduto a disapplicare quest'ul

tima, lucidamente prospettando — come sopra ricordato — an

che la configurabilità, nell'atto dell'amministrazione fiscale, del

vizio di eccesso di potere, in quanto difforme dai criteri di rife rimento di massima, contenuti in una circolare interna, alla quale

Il Foro Italiano — 1997.

si attiene l'Ute di Roma nell'assegnazione della categoria ca

tastale.

Concludendo, il primo ed il quarto motivo vanno rigettati. Con il secondo mezzo il ricorrente, denunciando la violazione

e la falsa applicazione degli art. 99 e 102 c.p.c. nonché l'omessa

motivazione sul punto decisivo della controversia attinente al

l'integrità del contraddittorio (il tutto in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, del codice di rito), lamenta che non sia stata ricono

sciuta all'amministrazione finanziaria la qualità di litisconsorte

necessario, con la conseguente necessità di integrare il contrad

dittorio nei suoi confronti. La doglianza non ha pregio. Un volta chiarito che l'accerta

mento incidentale di illegittimità dell'atto amministrativo di clas sificazione effettuato dal giudice ha una portata limitata alle

parti private ed al rapporto di locazione dedotto in giudizio, ne consegue che tale atto rimane pienamente valido ed efficace

nel rapporto tributario fra il proprietario-contribuente e l'am

ministrazione finanziaria che, pertanto, resta estranea alla con

troversia privatistica, alla quale non deve partecipare. Anche il secondo mezzo viene rigettato. Con il terzo motivo l'Inail, denunciando la violazione e la

falsa applicazione dell'art. 11 1. 8 agosto 1992 n. 359 anche

sotto il profilo dell'omessa motivazione su altro punto decisivo

della controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., lamenta che il giudice del gravame non abbia tenuto conto del

l'intervenuta sostanziale modifica della normativa sull'equo ca

none costituita dall'introduzione dei c.d. «patti in deroga» (cioè della possibilità, a certe condizioni e modalità, di stipulare, con tratti di locazione abitativa in deroga alle norme della 1. n. 392

del 1978), nonché della c.d. circolare Cristofori (dal nome del

ministro proponente al consiglio dei ministri del 27 novembre

1992 che l'approvò), volta a disciplinare, nelle locazioni stipula te dagli enti previdenziali, un trapasso meno brusco alla libera

contrattazione. La doglianza è stata esposta più diffusamente

nella memoria, arrivando a chiedere la declaratoria di cessazio

ne della materia del contendere per quegli inquilini (peraltro

neppure indicati) che, sottoscrivendo dei patti in deroga, avreb

bero tacitamente rinunciato alla domanda.

Trattasi di una tematica affatto nuova, non dedotta nei pre cedenti gradi e che, pertanto, deve essere dichiarata inammissi

bile. Non è superfluo aggiungere che l'eventuale stipulazione di nuovi contratti in deroga (dei quali comunque si disconosco

no le parti e le modalità) non potrebbe valere che per l'avveni

re, senza incidere sui rapporti precedenti Con il quinto motivo l'Inail, denunciando la violazione e la

falsa applicazione degli art. 61, 62, 115, 116 e 196 c.p.c. nonché

il vizio della motivazione sul punto decisivo della controversia

relativo alla classificazione degli immobili nella categoria A/3 (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), nella sostanza critica il giudice del

l'appello per avere proceduto, sulla scorta delle risultanze della

c.t.u., a tale dequalificazione, senza adeguata giustificazione e

malgrado il contrario accertamento dell'Ute.

Neppure questa censura coglie nel segno. Essa si infrange con

tro l'apprezzamento del suddetto giudice il quale ha condiviso le conclusioni della consulenza in modo consapevole e critico, con ampia ed argomentata motivazione, rilevando che il c.t.u.

aveva effettuato un accurato esame del complesso del fabbrica

to anche in relazione al quartiere (Cinecittà, posta alla periferia est di Roma), nonché dei singoli alloggi e delle loro caratteristi

che costruttive, evidenziandone le caratteristiche più rilevanti:

numero delle scale, dislocazione degli appartamenti, composi zione e superficie dei medesimi, maiolicatura ed ampiezza dei

servizi, sanitari e rubinetterie di tipo commerciale, pavimenta zione in piastrelle di monocottura, rivestimenti in comune carta

da parati, soffitti tinteggiati a tempera, porte cosiddette da can

tiere, infissi di alluminio anodizzato e modeste dimensioni dei balconi. Tutti elementi, manifestati anche visivamente dall'am

pia documentazione fotografica acquisita, tali da indurre il tri

bunale ad attribuire la classificazione in A/3, trattandosi di co

struzioni, ancorché edificate di recente, che rientrano «nella sfera

dell'edilizia a carattere prettamente intensivo, dove si è badato

principalmente al massimo sfruttamento degli spazi in funzione

di un miglior rendimento sia economico che strutturale». E ad

ulteriore e definitivo conforto di questa conclusione, ha sottoli

neato che lo stesso Ute, autore dell'originaria classificazione in

A/2, rispondendo alla richiesta di valutazione provvisoria avan

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1847 PARTE PRIMA 1848

zata dal c.t.u nel corso delle operazioni peritali, su accordo del

le parti, ha espresso parere per la classificazione in A/3.

Trattasi di motivazione priva di errori giuridici e che, sotto

il profilo logico, raggiunge un grado di completezza e di per suasività da renderla incensurabile in Cassazione.

Il quinto motivo va, pertanto, rigettato. Resta da esaminare il sesto mezzo con il quale l'Inail, denun

ciando la violazione e la falsa applicazione degli art. 112 e 113

c.p.c., contesta anche sotto il profilo motivazionale l'afferma

zione dell'impugnata sentenza secondo la quale l'applicabilità della categoria A/3 va fatta risalire al momento dell'entrata in

vigore della 1. n. 392 del 1978 (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). La censura è inammissibile. Infatti, ancorché la contestata

affermazione sia erronea (in quanto trattasi di edifici ultimati

diversi anni dopo l'entrata in vigore della legge citata e, inoltre,

perché gli effetti della tipologia catastale vanno fatti risalire al

momento della sussistenza delle relative condizioni dell'immo

bile, indipendentemente dalla pronuncia degli organi competen

ti: Cass. 5 luglio 1984, n. 3926, id., 1984, I, 2758), tuttavia essa non ha valore decisivo nella trama argomentativa della sen

tenza dal momento che — come la stessa sentenza comunque

rileva — «la domanda di restituzione delle somme per canoni

corrisposti in misura superiore al dovuto risulta abbandonata

dai ricorrenti nel corso del giudizio pretorile». Pertanto l'Inail

non ha più interesse ad una pronuncia al riguardo. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 7 marzo

1997, n. 2091; Pres. Corda, Est. Macioce, P.M. Buonajuto

(conci, diff.); Comune di Genova (Avv. E. Romanelli, Na

poli) c. Orecchia e altri (Avv. Prosperi, Vigotti). Cassa App. Genova 5 ottobre 1993.

Espropriazione per pubblico interesse — Cessione volontaria del

l'area — Contratto di diritto pubblico — Nullità della clauso

la determinativa del prezzo — Sostituzione automatica con

il vigente parametro legale d'indennizzo (Cod. civ., art. 1419;

1. 25 giugno 1865 n. 2359, espropriazioni per causa di pubbli ca utilità, art. 39; 1. 22 ottobre 1971 n. 865, programmi e

coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica, norme sul

l'espropriazione per pubblica utilità, modifiche ed integrazio ni delle leggi 17 agosto 1942 n. 1150, 18 aprile 1962 n. 167,

29 settembre 1964 n. 847 ed autorizzazione di spesa per inter

venti straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevo lata e convenzionata, art. 12).

Espropriazione per pubblico interesse — Cessione volontaria del

l'area — Parametro legale di fissazione del prezzo — Norma

tiva sopravvenuta — Giudizio avanti alla Corte di cassazione — Applicabilità — Limiti (L. 25 giugno 1865 n. 2359, art. 39; d. 1. 11 luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risana

mento della finanza pubblica, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n.

359, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 11 lu

glio 1992 n. 333, art. 1; 1. 28 dicembre 1995 n. 549, misure

di razionalizzazione della finanza pubblica, art. 1, 65° comma).

L'accordo di cessione volontaria dell'immobile espropriando va

dichiarato parzialmente nullo con sostituzione automatica con

il criterio di ragguaglio ricavato dal vigente parametro legale

d'indennizzo nel caso in cui sia utilizzato un parametro di

fissazione del prezzo già invalidato dalla Corte costitu

zionale. (1)

(1-3) I. - Le due pronunce affrontano, seguendo diversi criteri risolu

tori, un medesimo problema applicativo, dato dalla necessità d'indivi

II Foro Italiano — 1997.

Il nuovo parametro di valutazione dell'indennizzo espropriativo introdotto dall'art. 5 bis /. 359/92, sulla cui base va determi

nato il prezzo di cessione volontaria dell'area espropriando, è applicabile, quale ius superveniens, anche ai giudizi penden ti avanti alla Corte di cassazione, qualora i motivi di ricorso

investano direttamente la legge regolatrice dell'indennizzo. (2)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 gen naio 1997, n. 922; Pres. Senofonte, Est. Proto, P.M. Mac

carone (conci, conf.); Comune di Latina (Avv. Di Maio,

Minà) c. Petrillo e altri (Avv. Tamburini). Conferma App. Roma 3 agosto 1992.

Espropriazione per pubblico interesse — Cessione volontaria del

l'area — Revoca della proposta prima della ricezione dell'ac

cettazione — Ammissibilità (Cod. civ., art. 1328; 1. 22 otto

bre 1971 n. 865, art. 12; d.l. 2 maggio 1974 n. 115, norme

per accelerare i programmi di edilizia residenziale, art. 6; 1.

27 giugno 1974 n. 247, conversione in legge, con modificazio

ni, del d.l. 2 maggio 1974 n. 115; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359, art. 1).

Alla cessione volontaria dell'area espropriando ex art. 12 l.

865/71 sono applicabili i principi civilistici che regolano la conclusione del contratto, in particolare il principio della re

vocabilità della proposta fino alla ricezione dell'accettazione,

a nulla rilevando che ex lege è configurabile un diritto del

privato alla stipulazione, in quanto il trasferimento della pro

prietà del bene opera solo con la formazione del consenso

unanime, e non con la manifestazione della volontà del priva to di addivenire alla cessione. (3)

duare una disciplina giuridica alla cessione volontaria delle aree espro

priande ex art. 12 1. 865/71. Nella prima sentenza, l'inquadramento dell'accordo de quo nella ca

tegoria dei negozi di diritto pubblico fornisce uno strumento logico

giuridico risolutivo, perché consente di qualificare come inderogabili le disposizioni di legge regolatrici e rende pertanto applicabile l'art. 1419

c.c. ogni volta in cui esse risultino violate.

Nella seconda sentenza invece i principi civilistici che regolano la con

clusione del contratto (in particolare quello della revocabilità della pro

posta fino a quando la sua accettazione non sia pervenuta a cognizione del proponente) sono a priori ritenuti applicabili alla cessione de qua,

indipendentemente dall'inquadramento della figura nella categoria dei

contratti di diritto pubblico o in quelli di diritto privato, in considera

zione del fatto che il legislatore ha comunque voluto sostituire all'inter

vento autoritativo uno strumento di carattere negoziale. Si consideri che la giurisprudenza ha escluso l'incidenza della norma

tiva introdotta dalla 1. 241/90 (c.d. legge generale sul procedimento amministrativo) sulla disciplina della cessione volontaria delle aree. Il

problema si è posto con riguardo all'art. 11 1. cit., ove, rchiamando

la possibilità per l'amministrazione procedente di concludere accordi

sostitutivi di provvedimenti, nei casi già previsti dalla legge, si assogget tano questi ultimi ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili, riservando alla giurisdizione ammini strativa del giudice amministrativo le controversie in materia di forma

zione, conclusione ed esecuzione dei medesimi.

Qualificando come accordo sostitutivo, ai sensi del cit. art. 11, anche la cessione volontaria dei beni espropriandi, si sarebbero automatica mente risolti i problemi applicativi affrontati dalle sentenze in epigrafe. Ma la Corte di cassazione (sez. un. 4 novembre 1994, n. 9130, Foro

it., Rep. 1995, voce Espropriazione per p.i., n. 175) ha espressamente

negato l'applicabilità della disposizione cit. alla figura de qua, fondan

do tale decisione sul principio di specialità che regola il settore dell'e

spropriazione: il procedimento espropriativo ha connotati tali, e soddi sfa esigenze tali, da non tollerare commistioni con la disciplina generale sul procedimento amministrativo. La cessione volontaria è considerata come un modo tipico di chiusura del procedimento espropriativo, e non come un accordo sostitutivo del medesimo, in quanto essa è rigorosa mente predeterminata ex lege per modalità e contenuti, mentre i veri accordi sostitutivi son liberi non solo nell'an, ma anche nel quomodo.

II. - Non si rinvengono precedenti editi in ordine alla revocabilità della proposta, ai sensi dell'art. 1328 c.c., nel corso della trattativa per la cessione volontaria delle aree da espropriare. Cfr. però Tar Toscana 22 maggio 1987, n. 437, id., Rep. 1987, voce cit., n. 208, ove la cessio ne de qua viene inserita in un contesto precontrattuale che determina,

per l'amministrazione che vi abbia aderito, l'obbligo di comportarsi se condo buona fede: tale obbligo impedisce di emanare il decreto di espro prio senza aver preventivamente accertato l'effettiva intenzione dei sog

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