Sezioni unite civili; sentenza 10 novembre 1959, n. 3338; Pres. Oggioni P. P., Est. Vistoso, P. M.Pomodoro (concl. conf.); Ferrero (Avv. Menghini, Bodda, Lo Vetere) c. Soc. forniture articolichimici industriali (Avv. Porto, Montel)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 6 (1960), pp. 993/994-995/996Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175086 .
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993 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 994
della decadenza dall'azione di risoluzione, ma è necessario
a tal fine che costituisca univoca manifestazione che lo
acquirente, mediante l'atto, abbia inteso dare il suo benestare
e la sua accettazione al modo di adempimento del contratto.
È stato pertanto escluso che la predetta decadenza sussista
quando gli atti medesimi siano compiuti a fine di evitare
il danno, ovvero la utilizzazione sia necessaria per accertare
la difettosità della cosa.
Orbene, la norma dell'art. 35 della legge inglese, quando
parla di atti incompatibili con la proprietà del venditore,
esprime in sintesi lo stesso concetto della utilizzazione e
della alienazione della cosa, e dà alle stesse un valore di
rinunzia solo se abbiano il medesimo inequivoco carattere
di accettazione della cosa, così come essa è. Pertanto anche
nella applicazione della detta legge deve ritenersi che allorché
risulti accertato, come nella specie è stato insindacabilmente
accertato dalla Corte di merito, che la alienazione e la
utilizzazione siano avvenute unicamente per evitare o ridurre
il danno, non può considerarsi precluso l'esercizio delle
azioni di garanzia per i vizi della cosa venduta.
E non ha importanza il fatto che possa essere stata
utilizzata quasi completamente la fornitura, poiché in tal
caso il danno risulterà sempre più ridotto, nell'interesse
dello stesso venditore.
Con il secondo mezzo del ricorso incidentale, si deduce, fra l'altro, la violazione degli art. 1492 cod. civ. e 25-27
delle disp. prel. del cod. civ., e si sostiene che erroneamente
la Corte di appello ha ritenuto la natura processuale dell'art.
1492 e lo ha pertanto applicato nella specie, statuendo
che la Gk>r Ray non poteva, successivamente alla proposizione della domanda di risoluzione del contratto, chiedere la
riduzione del prezzo. La citata norma, invece, ha carattere
sostanziale ed il principio della irrevocabilità della scelta
tra risoluzione e riduzione, da essa previsto, non esiste
nella legge inglese, applicabile al rapporto sostanziale
de quo, secondo la sentenza non definitiva della Corte di
appello 16 agosto 1955, passata in giudicato. La doglianza è fondata.
Per distinguere se una norma abbia carattere processuale o sostanziale occorre esaminare l'oggetto e le ragioni della
norma stessa, ed accertare se essa sia ispirata da motivi
di diritto processuale e tenga a regolare la forma e l'ordine
delle attività processuali, ovvero sia stabilita per motivi
di diritto sostanziale ed intesa a regolare l'esistenza, i
limiti e l'esercizio di un diritto.
Orbene, alla stregua di tale principio, deve ritenersi
clie la norma in questione abbia carattere sostanziale, in quanto disciplina il diritto del compratore di ottenere la
risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo e non
il modo e la forma processuale dell'azione relativa. Essa
inoltre è ispirata a ragioni di natura esclusivamente sostan
ziale. L'ius variandi è infatti vietato, perchè, mentre esso
consentirebbe al compratore di speculare sui movimenti
contingenti intervenuti successivamente alla proposizione della domanda (a,d es. aumenti o diminuzioni del valore
della cosa), la posizione del venditore verrebbe ingiustamente
aggravata se, confidando nella scelta fatta dall'altra parte con la domanda di risoluzione, avesse già disposto altrimenti
della cosa, ovvero se, facendo affidamento sulla scelta
riduzione, avesse omesso di dare alla cosa una diversa
destinazione.
In conseguenza, poiché si tratta di una norma di diritto
sostanziale che non è prevista dalla legge inglese, e poiché tale legge è stata ritenuta, con giudicato irrevocabile,
applicabile al rapporto de quo, la Corte di merito non poteva dichiarare improponibile la domanda di riduzione del prezzo, in base al divieto dell'ics variandi stabilito dall'art. 1492
cod. civile. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SDPBEMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 10 novembre 1959, n. 3338 ; Pres. Oggioni P. P., Est. Vistoso, P. M. Pomodoro
(conci, conf.) ; Ferrerò (Avv. Menghini, Bodda, Lo
Vetere) c. Soc. forniture articoli chimici industriali
(Avv. Porto, Montel).
(Conferma Cons. Stato, Sez. V, 26 aprile 1958)
Commercio di vendita al pubblico — Esercizio di vendita — Trasferimento in altra zona del comune — Autorizzazione del sindaco — Necessità •—
Procedura — Esercenti della nuova zona — Inte resse legittimo — Sussistenza — Giurisdizione del
Consiglio di Stato (R. d. 1. 16 dicembre 1926 n. 2174,
disciplina del commercio di vendita al pubblico, art. 3).
Per il trasferimento di un esercizio di vendita al pubblico ad altra zona dello stesso comune, occorre una nuova
autorizzazione preceduta da una rivalutazione, da parte
dell'apposita commissione, per quanto riguarda l'ubica
zione, delle condizioni già esaminate al momento del
rilascio della originaria autorizzazione. (1) Di conseguenza, l'esercente della nuova zona ha un interesse
occasionalmente protetto a che non sia indebitamente aumentato il numero degli esercizi in essa esistenti e può, quindi, impugnare davanti al Consiglio di Stato il prov vedimento con il quale il sindaco abbia illegittimamente autorizzato il trasferimento suddetto. (2)
La Corte, ecc. — Sostiene il ricorrente che il Consiglio di Stato, con l'annullare l'atto 29 dicembre 1955, con il
quale il Sindaco di Torino lo aveva autorizzato a trasferire il proprio esercizio da Via Capano a Via Monginevro n. 80, abbia ecceduto dai suoi poteri giurisdizionali ed invaso le
attribuzioni del potere legislativo dello Stato. La giuris dizione generale amministrativa è invece limitata alla materia degli interessi legittimi ; ma perchè questi sussi stano è necessario che trovino indiretta protezione in una norma oggettiva di legge. Or il r. decreto legge 16 dicembre 1926 n. 2174, che subordina l'esercizio del commercio alla
autorizzazione amministrativa, nulla disporrebbe circa il
trasferimento del luogo di esercizio nell'ambito dello stesso comune ; e pertanto il privato, ottenuta la licenza, avrebbe un diritto soggettivo ad esplicare la propria attività com
merciale, illimitatamente nel tempo, nel territorio del
comune, senza necessità di ottenere una nuova autorizza zione nel caso di trasferimento. Conseguentemente, il
Consiglio di Stato, nel configurare una ipotesi non pre
(1-2) La decisione confermata del Cons. Stato, Sez. V, 26
aprile 1958, n. 273, è riassunta in Foro it., Rep. 1958, voce Commercio di vendita al pubblico, n. 49.
Il Cons. Stato, Sez. Y, 12 luglio 1957, n. 542 (id., Rep. 1957, voce cit., n. 56) precisa che il trasferimento di un eser cizio di vendita al pubblico da una località ad un'altra dello stesso comune non è soggetto alle disposizioni dell'art. 3 r. decreto 16 dicembre 1926 n. 2174, soltanto se esso non incida sulla situazione economica valutata dalla commissione comunale, in sede di autorizzazione ; ma deve essere invece autorizzato col procedimento previsto all'art. 3, se, per la distanza dei luoghi e per altre circostanze si possa ritenere che implichi sostanziale modificazione dell'azienda. Nello stesso senso : Sez. V 21 dicembre
1956, n. 1130, id., 1957, III, 85, con nota di richiami. Il Cons. Stato, Ad. gen., 27 giugno 1957, n. 311 (id., Rep.
1957, voce cit., n. 55) ha ritenuto che sussiste la figura del trasfe rimento di esercizio di commercio, quando l'esercizio viene spo stato da un punto all'altro della stessa strada o della stessa zona ; mentre è necessaria la concessione di una nuova licenza, me
diante il procedimento indicato nel r. decreto legge 16 dicembre
1926 il. 2174, quando venga richiesto lo spostamento da una
zona all'altra della città. Sull'eccesso di potere legislativo, che il ricorrente lamenta
sia perpetrato dal Consiglio di Stato, v., da ultimo, Cass.
18 settembre 1959, n. 2592, 24 settembre 1959, n. 2608, 25 feb
braio 1960, n. 396, retro, 579, con ampia nota di richiami,
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995 PARTE PRIMA 996
vista dalla legge e nell'annullare in base ad essa l'autoriz
zazione al trasferimento rilasciata dal Sindaco senza il
previo parere della Commissione comunale per il commercio, avrebbe ecceduto dai suoi poteri giurisdizionali, non poten dosi ravvisare in tale atto amministrativo la lesione di un
interesse legittimo della Società F.a.c.i., avrebbe Violato,
col revocare in sostanza la licenza, al di fuori dei casi
espressamente contemplati dalla legge, un diritto soggettivo del Ferrerò, ed avrebbe, col creare una norma inesistente
e col basare su di essa la sua decisione, invaso la sfera di
attribuzioni propria del potere legislativo dello Stato.
Le esposte censure non hanno fondamento.
Esse partono inverp dal presupposto che, non conte
nendo il decreto legge 16 dicembre 1926 n. 2174 una
esplicita norma sul trasferimento degli esercizi di vendita
nell'ambito dello stesso comune, il titolare di una licenza
di commercio, possa trasferire a piacimento il suo esercizio
da una ad altra zona dello stesso comune, senza una regolare autorizzazione preceduta dal parere della apposita com
missione, di cui all'art. 3 della legge stessa.
Tale presupposto è però erroneo, giacché non é neces
saria una esplicita disposizione quando la regolamentazione d'una particolare situazione, non espressamente contem
plata, discenda direttamente dal sistema della legge e dalle
sue norme.
E, nella specie, non può esser dubbio che, secondo le
finalità del decreto legge n. 2174 del 1926 il regime di auto
rizzazione, cui è assoggettata la vendita al pubblico, miri
ad assicurare il maggior equilibrio possibile tra il numero
degli esercizi e le esigenze del commercio, non soltanto
nell'ambito del comune, ma anche in quello delle singole zone di esso, ove si tenga presente la disposizione dell'art. 3, 4° comma, della legge.
Se, invero, uno degli elementi di cui si deve tener conto
nella determinazione di concessione o di diniego della licenza
è l'ubicazione dell'esercizio, la licenza che, previa valuta
zione di questo elemento, venga concessa, non può inten
dersi che subordinata all'ubicazione dell'esercizio stesso, tenuta presente all'atto della concessione. D'onde la conse
guenza che chi, dopo avere ottenuto la licenza, voglia trasferire il suo esercizio in altra zona, deve necessaria
mente ottenere una nuova autorizzazione, preceduta da
una rivalutazione da parte della apposita commissione,
per quanto almeno riguarda l'ubicazione, delle condizioni
già esaminate al momento del rilascio della originaria autorizzazione.
Diversamente, ove ciò egli potesse fare di suo arbitrio, in qualsiasi tempo, inutile e priva di effetto resterebbe
l'originaria valutazione dell'elemento attinente alla ubica
zione dell'esercizio, elemento che acquista particolare rilevanza nei grandi centri urbani, nei quali maggior mente variabili da zona a zona sono le caratteristiche dei mercati e il rapporto tra la domanda e l'offerta dei prodotti.
Nè è esatto che la disposizione del citato art. 3 abbia
esclusivo riferimento agli esercizi esistenti alla data di entrata in vigore della legge, giacché il contrario risulta
dall'art. 1 della legge stessa, che dichiara soggetti al rila
scio della licenza, non soltanto gli enti privati o le persone che già esercitano il commercio lett. 6), ma anche gli enti
privati o le persone che intendono esercitarlo (lett. a). Se così è, non può porsi in dubbio che la Società F.a.c.i.,
nell'impugnare avanti il Consiglio di Stato il provvedi mento del Sindaco di Torino, con il quale era stato auto
rizzato il trasferimento dell'esercizio del Ferrerò in altra
zona senza l'osservanza della procedura prescritta dal
decreto legge dal 1926 n. 2174 e, in particolare, dell'art. 3
che fa obbligo al sindaco di sentire in merito il parere della
commissione comunale per il commercio, invocasse la
tutela di un suo interesse occasionalmente protetto dalla
legge, e che conseguentemente il Consiglio di Stato fosse
giurisdizionalmente competente a provvedere sul ricorso.
Nè può sostenersi che, nell'interpretare, com'era suo
compito, l'art. 3 decreto legge del 1926 per trarne la conse
guenza che, in virtfi di esso, per il trasferimento da una ad
altra zona di uno stesso comune d'un esercizio commerciale
sia richiesta una nuova autorizzazione amministrativa,
preceduta dalla rivalutazione da parte della commissione comunale per il commercio, e per quanto riguarda l'ubica
zione, delle condizioni già esaminate all'atto del rilascio
della licenza originaria, abbia invaso la sfera di attribu zioni del potere legislativo dello Stato.
Allo stesso modo, non ha fondamento nella realtà
l'appunto, che al Consiglio di Stato si fa, di avere violato il diritto oggettivo del Ferrerò a non vedersi revocata la licenza di commercio fuori dei casi tassativamente contem
plati dall'art. 5 del citato decreto legge, giacché è evidente che all'annullamento del provvedimento illegittimo del
sindaco, riguardante il trasferimento, non consegue la revoca
dell'originaria licenza di commercio, che conserva il suo
vigore finché resti immutata la zona di ubicazione del
l'esercizio, in considerazione della quale la licenza stessa
venne rilasciata.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 28 ottobre 1959, 11. 3138 ; Pres.
Cataldi P., Est. Areas, P. M. Trotta (conci, conf.) ; Arti grafiche it. Torino (A.g.i.t.) (Avv. Sequi, Dos
setto) c. Kivella, Monferini (Avv. Costa, Daviso,
Rossini), Garello.
(Gassa App. Torino 27 giugno 1957)
Gomitato — Comitati elettorali — Natura.
Partiti politici — Natura.
Comitato — Comitati previsti dal codice civile — Na
tura (Cod. civ., art. 39).
I comitati elettorali, costituiti per lo scopo singolare e tran
seunte della campagna elettorale, devono considerarsi
quali organi dei partiti e non sono, quindi, assimilabili
ai comitati previsti dall'art. 39 cod. civile. (1) I partiti politici sono associazioni non riconosciute. (2) I comitati previsti dall'art. 39 cod. civ. hanno natura di
società a scopo altruistico. (3)
La Corte, ecc. — Col primo motivo la ricorrente denuncia
la violazione degli art. 39-41 cod. civ. e l'omessa motiva
zione su un punto decisivo (art. 360, nn. 3, 5, cod. proc.
civ.), e censura la sentenza perchè non lia esaminato il nuovo
profilo prospettato, secondo cui il gruppo, anziché svolgere un'attività secondo il mandato conferitogli dagli iscritti
ad una associazione politica, si proponeva lo scopo di creare
le basi di una nuova associazione politica, attraverso il
successo nella campagna elettorale ; deduce inoltre che,
comunque, i cosiddetti comitati elettorali non sono neces
sariamente organi del partito, a favore del quale agiscono, ma di regola sono organismi autonomi, costituiti per lo
scopo singolare e transeunte della campagna elettorale, e
quindi sono perfettamente assimilabili ai comitati previsti
dagli art. 39 e segg. cod. civile.
Il motivo non è fondato. L'accertamento, secondo cui
(1-2) La sentenza App. Torino 22 giugno 1957, ora cassata, è riassunta in Foro it., Rep. 1958, voce Partiti politici, nn. 3, 6.
Nel senso che i partiti politici sono assoggettati alla disci plina giuridica dettata per le associazioni non riconosciute, oltre la sentenza App. Torino ora riformata, v. Trib. Isernia 26
aprile 1958, ibid., n. 4 ; App. Palermo 24 giugno 1957, ibid., n. 7 ; App. Palermo 14 dicembre 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 5 ; Cass. 24 marzo 1956, n. 846, ibid., n. 3.
In dottrina, cfr. Rescigno, Sindacati e partiti nel diritto privato, in Jus, 1956, 1 ; Allobio, Sulle sezioni dei partiti come associazioni di fatto, in Giur. it., 1956, I, 2, 1084 ; La China, L'organizzazione della giustizia nell'interno dei partiti politici, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1960, 184.
(3) Vedi Cass. 12 marzo 1951, n. 601 (nella motivazione), Foro it., 1951, I, 414 ; 28 gennaio 1958, n. 206, id., 1958, I, 1479 ; e 17 marzo 1959, n. 773, id., 1959, I, 559.
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