Sezioni unite civili; sentenza 10 ottobre 1980, n. 5332; Pres. T. Novelli, Est. Sandulli, P. M.Silocchi (concl. conf.); Regione Friuli-Venezia Giulia (Avv. Pacia) c. Min. finanze (Avv. delloStato Mataloni). Conferma App. Trieste 20 maggio 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 2021/2022-2025/2026Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172602 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della cosa giudicata), nonché la violazione e falsa applicazione
degli art. 1362 segg. cod. civ. e la carenza e contraddittorietà di
motivazione con travisamento dei fatti su un punto essenziale della
controversia (secondo motivo); la violazione e falsa applicazione dell'art. 429, 3° comma, cod. proc. civ., nonché la carenza e
contraddittorietà di motivazione su un punto essenziale della
controversia per aver il tribunale sostanzialmente disapplicato la
norma invocata in tema di, rivalutazione- dei crediti retributivi del
lavoratore, determinando la misura della valutazione in modo
arbitrario e solo apparentemente equitativo sul mero ed inconsi
stente presupposto delle difficoltà dell'illustrato procedimento (ter zo motivo).
Con riferimento al primo motivo del ricorso osserva la corte
che non può dubitarsi che l'annotazione sul ruolo di udienza
inviata alla Cassazione significhi che, sia pure in forma non
corretta, fu preso un provvedimento formale di sospensione del
giudizio in conseguenza del fatto che pendeva un processo dinan
zi alla Corte di cassazione, avente per oggetto la sospensione
dell'eseguibilità della sentenza del Pretore di Brindisi. Il tribunale
di tale città, se non fosse stato questo il suo pensiero, avrebbe
certamente disposto che a cura della cancelleria fosse richiesta la
restituzione del fascicolo erroneamente inviato alla Corte di cassa
zione, fissando un'udienza di rinvio o avrebbe disposto che la
cancelleria comunicasse alle parti che era stata decisa la richiesta
del fascicolo alla Corte suprema e che l'ulteriore trattazione della
controversia era « stata rinviata a data da stabilire ».
Né potrebbe giungersi a diversa conclusione rilevando che il
cancelliere non redasse alcun processo verbale di udienza, come
ne aveva l'obbligo (cfr. l'art. 57 cod. proc. civ.); un inadempi mento non può giustificare un errore giuridico.
È, poi, manifesto che non può affermarsi con la curatela
fallimentare che la corretta soluzione della fattispecie « risulti »
dalla puntuale applicazione del combinato disposto degli art. 115
e 82 disp. att. cod. proc. civ.: le citate fonti legislative, infatti,
presuppongono che l'udienza non abbia avuto luogo e stabiliscono
che in tal caso l'udienza stessa deve essere rinviata d'ufficio alla
prima udienza immediatamente successiva (di prima comparizione se si tratta di udienza del giudice istruttore, di discussione se si
tratta di udienza del collegio).
Per le esposte ragioni deve ritenersi che il giudizio d'appello avrebbe dovuto essere riassunto entro il termine perentorio di sei
mesi, di cui all'art. 133 bis disp. att. cod. proc. civ., termine
decorrente dalla comunicazione della sentenza di rigetto della
Corte di cassazione.
La mancata applicazione del citato art. 133 bis determina
l'intervenuta estinzione del giudizio d'appello e tale estinzione
questa corte deve, quindi, dichiarare senza che sia necessario
porre in evidenza che dalla conferma della decisione al riguardo
del tribunale deriverebbe che sia ammissibile la stasi sine die di
un processo d'appello durante la pendenza di un ricorso per
cassazione e dopo la sentenza del Supremo collegio senza che si
verifichi alcuna conseguenza sulla permanenza in vita del processo.
L'accoglimento del primo motivo del ricorso in ordine alla
dedotta violazione dell'art. 133 bis cod. proc. pen. rende ovvia
mente inutile l'esame degli altri argomenti dedotti col motivo
stesso, nonché l'esame del secondo motivo del ricorso che resta
assorbito. Il terzo motivo del ricorso è, d'altra parte, inammissibile, non
avendo formato oggetto dell'atto d'appello. Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 10
ottobre 1980, n. 5332; Pres. T. Novelli, Est. Sandulli, P. M.
Silocchi (conci, conf.); Regione Friuli-Venezia Giulia (Avv.
Pacia) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Mataloni). Conferma
App. Trieste 20 maggio >1977.
Friuli-Venezia Giulia — Alloggi popolari — Appartenenza al pa trimonio indisponibile dello Stato — Controversia fra Stato e
regione — Conflitto di attribuzioni — Insussistenza — Giu
risdizione ordinaria (Cost., art. 134; legge 11 marzo 1953 n.
87, norme sulla costituzione ed il funzionamento della Corte
costituzionale, art. 39). Friuli-Venezia Giulia — Alloggi popolari — Appartenenza al
patrimonio indisponibile dello Stato — Intrasferibilità alla re
gione (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, art.
56; cod. civ., art. 826; d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401, norme
di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia
Giulia per il trasferimento alla regione di beni immobili pa
trimoniali disponibili, art. 1).
La domanda della regione Friuli-Venezia Giulia, diretta ad ottene
re, in contrasto con l'amministrazione statale, la declaratoria
dell'appartenenza di alloggi economici e popolari al patrimonio disponibile dello Stato, al fine della loro acquisizione alla
regione in applicazione dell'art. 56 statuto regionale, non con
figura un conflitto di attribuzioni tra Stato e regione e rientra,
pertanto, nella giurisdizione del giudice ordinario. (1) Gli alloggi economici e popolari appartengono al patrimonio
indisponibile dello Stato anche quando siano assegnati in godi mento con la prevista possibilità di cessione in proprietà a
determinate categorie di cittadini, e non sono quindi soggetti a
trasferimento nel patrimonio della regione Friuli-Venezia Giulia
in applicazione dell'art. 56 dello statuto regionale. (2)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto di
citazione del 19 agosto 1972, la regione Friuli-Venezia Giulia
(1) La decisione conferma la giurisprudenza della Corte costituzio nale, costante, fin dalla sentenza 17 aprile 1957, n. 11 (Foro it., 1957, I, 1901, con nota di richiami), nel ritenere necessaria, ai fini del l'ammissibilità di un conflitto di attribuzioni tra Stato e regione, una « sia pure non formale, ma chiara, univoca determinazione di volontà dell'amministrazione » che invada « direttamente » e « immediatamen te » l'altrui sfera di competenza. Applicando questi principi, da ulti
mo, Corte cost. 10 ottobre 1979, n. 120, id., 1979, I, 2820, con nota di richiami e osservazioni di G. Volpe, ha dichiarato inammissibile, per inidoneità dell'atto ad integrare un conflitto di attribuzioni, il ricorso del presidente della regione Lazio avverso la circolare del ministro dell'agricoltura e foreste con la quale si fornivano chiari
menti interpretativi in ordine alla natura ed all'esercizio delle fun zioni amministrative statali trasferite alle regioni in base al d. pres. 615/1977. Nello stesso senso v. anche Cons. Stato, Sez. IV, 6 luglio 1979, n. 571, id., Rep. 1979, voce Regione, n. 231.
Sulla questione dell'ammissibilità di ricorsi confermativi di atti non
tempestivamente impugnati, Corte cost. 24 maggio 1979, n. 28, id., 1979, I, 1957, con nota di richiami e osservazioni di G. Volpe, dallo stesso commentata in Le regioni, 1979, n. 5.
Sulla inammissibilità di ricorsi aventi ad oggetto pretese dal con
tenuto meramente patrimoniale, Corte cost. 4 luglio 1979, n. 61, Foro it., 1979, 1, 2988, con nota di richiami.
In dottrina, sul problema dei vizi deducibili nel ricorso per con
flitto di attribuzione tra Stato e regione, Dimora, in Giur. costit.,
1975, 652; Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, 1978, 195 ss.;
Pizzorusso, Conflitto, voce del Novissimo digesto, appendice, 1979, n. 6.
T.A.R. Abruzzo 28 febbraio 1979, n. 84, Foro it., 1979, III, 612, con
nota di richiami e osservazioni di G. Volpe, ha ritenuto proponibile il
ricorso avanti al giudice amministrativo anche quando l'atto impugna to sia tale da consentire alla regione tutela diretta dinanzi alla Corte
costituzionale mediante la proposizione di conflitto di attribuzione.
Cons. Stato, Sez. IV, 10 gennaio 1978, n. 3, id., 1978, III, 509, con no
ta di C. E. Gallo, in contrasto con la precedente giurisprudenza am
ministrativa, ha ritenuto che ogni qual volta la regione impugni un
atto negativo di controllo della commissione statale di controllo sor
ge un conflitto di attribuzione che sfugge alla giurisdizione del giu dice amministrativo.
Ha ritenuto sussistere la giurisdizione ordinaria in ordine a con
testazioni della demanialità (o indisponibilità) di un bene, attesa la
natura meramente ricognitiva del provvedimento, T.A.R. Campania 10 ottobre 1978, n. 936, id., Rep. 1979, voce Demanio, n. 12.
(2) La Cassazione, nel dichiarare appartenenti al patrimonio indi
sponibile dello Stato gli alloggi economici e popolari, anche quando siano assegnati in godimento o in proprietà a privati, sul presupposto che l'attività svolta dallo Stato in materia di edilizia popolare integra un vero e proprio servizio pubblico, accoglie la testi sostenuta, in
dottrina, da M. Nigro, L'edilizia popolare come servizio pubblico, in
Riv. trim. dir. pubbl, 1957, 118, il quale, facendo riferimento al fine
(soddisfazione del bisogno di alloggio inteso quale interesse collettivo), al contenuto (prestazione di alloggio), al regime giuridico dell'attività
(integralmente pubblicistico), conclude che l'edilizia popolare debba
essere qualificata come servizio pubblico di protezione sociale (v., nello
stesso senso, Perini, Edilizia economica e popolare, voce del Novissimo
digesto, 1960, II, 388; Roehrssen, Edilizia popolare ed economica,
voce deW'Enciclopedia del diritto, 1965, XIV, 316, che, nel dubbio se
questa forma di protezione sociale debba essere inquadrata tra i servizi
di previdenza o di assistenza sociale, propende per questa seconda
soluzione; Bucceri, Il servizio pubblico degli alloggi popolari, in Avv.
enti pubblici, 1977, 265). Tale tesi è stata accettata, sia pure incidentalmente, da Corte cost.
14 luglio 1958, n. 50, Foro it., 1958, I, 1225, con nota di richiami,
nell'escludere che l'edilizia popolare ed economica possa rientrare
nell'ambito della materia « edilizia e urbanistica ».
Nello stesso senso della decisione in esame, T.A.R. Lazio, Sez. II, 17
maggio 1978, id., Rep. 1978, voce Demanio, n. 7, per il quale gli alloggi
concessi in uso agli impiegati appartengono alla categoria dei beni
indisponibili della pubblica amministrazione, svolgendo, in tal modo, la
stessa pubblica amministrazione, sia pure in via strumentale, un servizio
pubblico essenziale; cfr. pure Cass. 11 giugno 1973, n. 1675, id., Rep.
1974, voce Edilizia popolare ed economica, n. 70, secondo cui l'edilizia
economica e popolare è preordinata a fini di interesse pubblico.
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2023 PARTE PRIMA 2024
chiamava in giudizio, innanzi al Tribunale di Trieste, l'ammini
strazione delle finanze dello Stato e — premesso che alcuni
alloggi, siti nel territorio della regione ed intestati al demanio
dello Stato, rientrando, alla data del 16 febbraio 1963, nel
patrimonio disponibile dello Stato, dovevano, in applicazione dell'art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401, esserle trasferiti, con
effetto dal 1° gennaio 1965 — chiedeva che fosse dichiarato che
tali alloggi appartenevano, alla data del 16 febbraio 1963. al
patrimonio disponibile dello Stato.
Instauratosi il contraddittorio, l'amministrazione finanziaria so
steneva che gli alloggi, costruiti con denaro dello Stato e dati in
godimento a dipendenti statali, erano destinati ad un servizio
pubblico, onde rientravano nel patrimonio indisponibile dello Stato.
Con sentenza del 23 dicembre 1974, il tribunale adito accoglie va la domanda considerando che gli alloggi, concessi in abitazio ne ai dipendenti statali, non erano destinati ad un servizio
pubblico, anche se il fine perseguito era di pubblico interesse e,
quindi, non rientravano nel patrimonio indisponibile dello Stato alla data del 16 febbraio 1963.
Su gravame dell'amministrazione, la quale eccepiva, in via
pregiudiziale, il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria
ordinaria, sostenendo che, trattandosi di un conflitto di attribu
zione tra Stato e regione, competente a decidere la controversia
era la Corte costituzionale, a norma degli art. 134 Cost, e 39
legge 11 marzo 1953 n. 87, la Corte d'appello di Trieste con la
denunciata sentenza 20 maggio 1977, in riforma della decisione
di primo grado, rigettava la domanda.
Riteneva la corte del merito: che era infondata l'eccezione di
difetto di giurisdizione del giudice ordinario, non trovando la
stessa riscontro negli art. 134 Cost, e 39 legge 11 marzo 1953 n.
87, i quali non avevano alcun riferimento con la materia in
oggetto; e, in ordine al merito, che l'edilizia economica e
popolare, assolvendo al compito primario dello Stato di fornire la
casa ai cittadini meno abbienti, svolgeva un servizio pubblico; che gli immobili destinati alla realizzazione di tale servizio
dovevano considerarsi, ai sensi dell'art. 826 cod. civ., beni patrimo niali indisponibili; che non era condivisibile la tesi, secondo cui gli
alloggi, essendo cedibili in proprietà agli assegnatari e, quindi,
alienabili, non rientravano nel patrimonio indisponibile dello Sta
to, in quanto i beni indisponibili potevano formare oggetto di
alienazione quando veniva conservata la loro destinazione; e che
gli alloggi richiesti, essendo destinati a soddisfare il bisogno della
casa dei cittadini, non rientravano nel patrimonio disponibile
dello Stato alla data del 16 febbraio 1963 e, quindi, non andava
no trasferiti alla regione a norma del coordinato disposto degli
art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401 e 56 legge cost. 31 gennaio 1963 n. 1 (statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia).
Avverso tale sentenza la regione Friuli-Venezia Giulia ha pro
posto ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo, illustra
to da memoria.
Ha resistito con controricorso l'amministrazione finanziaria del
lo Stato, la quale ha riproposto l'eccezione di difetto di giurisdi zione del giudice ordinario.
Motivi della decisione. — In via pregiudiziale, va esaminata
l'eccezione di difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordi
naria, sollevata dall'amministrazione finanziaria dello Stato.
Secondo la tesi della resistente, la regione — tendendo ad
ottenere ex art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401 il trasferimento
degli alloggi economici e popolari rimasti nella potestà dello Stato
(diversi da quelli degli istituti autonomi per le case popolari già trasferiti alle regioni) e vantando la proprietà su di essi, in
quanto appartenenti (alla data del 16 febbraio 1963) al patrimo nio disponibile dello Stato — pretenderebbe esercitare su detti
immobili la potestà amministrativa (amministrazione di alloggi
assegnati e cessione in proprietà agli assegnatari) che lo Stato
pretenderebbe di aver conservato.
In base a tale profilo, si sostiene che ricorra un conflitto di
attribuzione tra i poteri dello Stato e della regione che dovrebbe
essere regolato dalla Corte costituzionale.
L'eccezione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario è
infondata. A norma degli art. 134 Cost, e 39-41 legge 11 marzo 1953 n. 87
(norme sulla costituzione e funzionamento della Corte costituzio
nale), il conflitto di attribuzione tra Stato e regione si verifica
quando uno dei soggetti costituzionali assuma che un atto dell'al
tro ente abbia invaso la propria sfera di competenza costituzio nalmente garantita, facendo sorgere in concreto l'interesse 'a ricor rere « per il regolamento di competenza » (cfr., in tal senso, Corte cost. 6 maggio 1976, n. Ili, Foro >it., 1976, I, 1780).
Oggetto della decisione che dirime il conflitto costituzionale di
attribuzione — sia che si contesti l'appartenenza del potere sia
che si contesti l'esercizio di esso, in quanto lesivo della sfera di
attribuzione del soggetto ricorrente (in tali limiti è inteso, secondo
la giurisprudenza della Corte costituzionale, l'ambito del conflitto
di attribuzione) — è sempre l'accertamento della spettanza di una
competenza, con il conseguente (eventuale) annullamento dell'atto
adottato dal soggetto costituzionale ritenuto privo del potere o
riconosciuto responsabile dell'invasione (o menomazione) della
sfera di competenza dell'altro.
Contenuto essenziale e principale della decisione del conflitto
costituzionale di attribuzione è, quindi, una declaratoria di com
petenza. Nel caso di specie — poiché la regione non prospetta una
invasione della sua sfera di competenza, né chiede una dichiara
zione o delimitazione delle sue attribuzioni costituzionalmente
garantite, ma invoca esclusivamente l'accertamento dell'apparte nenza ad essa di determinati immobili urbani, che assume essere
stati trasferiti, in virtù del disposto dell'art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401, al suo patrimonio disponibile ed essere stati indebi
tamente trattenuti dallo Stato — deve ritenersi che, formando
oggetto della pretesa un'effettiva e diretta vindìcatio rerum, la
controversia non possa, per i suoi caratteri formali e sostanziali, sussumersi nello schema paradigmatico del regolamento del con
flitto costituzionale di attribuzione previsto dagli art. 134 Cost, e 39 legge n. 87 del 1953.
Invero, nella contestazione oggetto di causa non riesce possibile identificare alcun atto dello Stato invasivo o lesivo della sfera di
competenza della regione, non risultando nel dibattito giudiziale alcuna manifestazione di volontà dello Stato, tesa ad invadere o a limitare l'area di competenza della regione.
E ciò in quanto — stabilendo l'art. 56 legge cost. 31 gennaio 1963 n. 1 (statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) che « sono trasferiti alla regione i beni immobili patrimoniali dello Stato che si trovano nel territorio dellà regione, disponibili alla data di entrata in vigore dello statuto » (16 febbraio 1963) ed il successivo art. 57 che « con norme di attuazione del presente statuto saranno determinati i beni indicati negli art. 55 e 56 e le modalità per la loro consegna alla regione » e precisando l'art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401 (emanato, in attuazione di tali
previsioni costituzionali, a norma dell'art. 65 dello statuto) che « sono trasferiti alla regione Friuli-Venezia Giulia, con effetto dal 1° gennaio 1965, e vanno a far parte del suo patrimonio disponi bile (con i beni immobili patrimoniali dello Stato indicati nell'e
lenco annesso al decreto) gli immobili situati nel territorio regio nale, la cui appartenenza al patrimonio disponibile dello Stato
(con riferimento alla data del 16 febbraio 1963) sia accertata con
provvedimento giurisdizionale ovvero con provvedimento dell'au
torità amministrativa a norma dell'art. 829 cod. civ. » — la regio ne — al fine di vedersi attribuita la proprietà degli immobili appar
tenenti, alla data del 16 febbraio 1963, al patrimonio disponibile dello Stato — si è limitata nell'adire il giudice ordinario — in
mancanza di una declaratoria dell'autorità amministrativa (nelle forme e nei modi previsti dall'art. 829 cod. civ.) — a chiedere
l'accertamento che gli alloggi economici e popolari, siti nel terri
torio regionale e rimasti nella potestà dello Stato, appartenevano, alla data su indicata, al patrimonio disponibile dello Stato.
Per modo che, in base ai rilievi che precedono — non risultan
do nel dibattito giudiziale alcun atto dello Stato che abbia invaso
o leso la sfera di competenza della regione e dovendo questa
rivolgersi — in mancanza della individuazione dei beni apparte
nenti al patrimonio disponibile dello Stato da parte dell'autorità
amministrativa — al giudice ordinario, in base al precetto dell'art.
1, 1° comma, del decreto legislativo di attuazione statutaria (d.
pres. 31 ottobre 1967 n. 1401), per ottenere la declaratoria
dell'appartenenza degli alloggi al patrimonio disponibile dello
Stato alla data del 16 febbraio 1963 — deve escludersi che la
contestazione oggetto di causa possa configurarsi come un conflit
to costituzionale di attribuzione e che la stessa esuli dalla giuris dizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, per essere devoluta alla
cognizione esclusiva della Corte costituzionale.
L'ececzione di difetto di giurisdizione sollevata dall'amministra
zione dello Stato è, quindi, da disattendere.
Può, pertanto, passarsi all'esame del merito.
Con l'unico motivo, la ricorrente — denunciata la falsa appli cazione dell'art. 826 cod. civ. e dei principi in materia di edilizia
residenziale pubblica e la violazione degli art. 56 legge cost. 31
gennaio 1963 n. 1 ed 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401, in
relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. — si duole che la corte
del merito abbia ritenuto che gli alloggi economici e popolari rima
sti nella potestà dello Stato, essendo destinati ad assolvere il pub blico servizio di fornire una casa ai cittadini meno abbienti, rien
trassero nel patrimonio indisponibile dello Stato e non dovessero,
quindi, essere trasferiti alla regione a norma del cit. art. 56,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sostenendo che essi — essendo destinati alla cessione in proprietà
agli assegnatari — costituissero, alla data del 16 febbraio 1963, beni patrimoniali disponibili dello Stato, soggetti al trasferimento
alla regione. Il motivo è infondato.
La questione proposta è se — ai fini del trasferimento dal
patrimonio dello Stato a quello della regione Friuli-Venezia Giulia
ex art. 56 legge cost. 31 gennaio 1963 n. 1 (statuto della regione) — gli alloggi costruiti con denaro dello Stato, assegnati a pubblici
dipendenti e rivestiti delle caratteristiche prescritte dagli art. 48 e
49 t. u. sull'edilizia economica e popolare rientrassero, alla data
del 16 febbraio 1963, nel patrimonio disponibile dello Stato, si da
dover essere trasferiti alla regione, con effetto dal 1° gennaio 1965, ai sensi dell'art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401.
L'attività di edilizia popolare — consistente nella costruzione di
alloggi, operata, direttamente o indirettamente, dallo Stato al fine di soddisfare le esigenze dei ceti meno agiati — rientra nella cosiddetta attività sociale dello Stato, nella quale va ricompresa anche l'attività di costruzione degli alloggi destinati ai dipendenti pubblici.
La dottrina più autorevole ritiene che l'attività svolta dallo
Stato in materia di edilizia popolare integri un vero e proprio
servizio pubblico sia per quanto riguarda il fine (mirando a
soddisfare un interesse collettivo), sia in ordine al contenuto
(prestazione dell'alloggio a determinate categorie di cittadini meno
provvedute), sia relativamente al regime giuridico (pubblicistico
nella fase della provvista dei mezzi ed in quella di attuazione),
sia per quanto attiene al profilo soggettivo (affidamento dell'attivi
tà ad un complesso strutturale pubblico). L'edilizia popolare è ritenuta, pertanto, un servizio pubblico di
protezione sociale.
Queste sezioni unite giudicano corretta tale configurazione giu
ridica, alla quale ritengono di aderire.
E conseguente implicazione di tale posizione è che gli alloggi di
tipo economico e popolare — essendo destinati ad un servizio
pubblico — devono considerarsi beni patrimoniali indisponibili, in
quanto — riguardando il concetto di « destinazione » i beni di
cui l'amministrazione si avvale per soddisfare le esigenze di
pubblico interesse cui essa provvede — deve ritenersi che, in
materia di edilizia popolare, la destinazione si attui attraverso
l'assegnazione degli alloggi alle categorie di cittadini meno abbien
ti, meritevoli di agevolazioni e di aiuti sociali.
Gli alloggi economici e popolari devono, quindi, ritenersi beni
patrimoniali indisponibili anche quando siano assegnati in godi
mento a determinate categorie di cittadini.
Né vale a fare escludere tale natura la circostanza che gli
alloggi possano essere ceduti in proprietà agli assegnatari, in
quanto il line dell'edilizia economica e popolare è di soddisfare
l'esigenza che ogni famiglia possa disporre di un alloggio, si che
non solo nella fase dell'assegnazione ma anche in quella della
cessione in proprietà la concessione dell'alloggio risponde ad una
causa pubblicistica. Per modo che il procedimento che conduce alla cessione in
proprietà, lungi dall'essere di ostacolo alla considerazione del
bene nell'ambito del patrimonio indisponibile, costituisce la fase
terminale dell'esercizio del pubblico servizio.
Pertanto, in base alle svolte considerazioni, deve concludersi
che la corte del merito abbia correttamente ritenuto che gli
alloggi richiesti dalla regione rientrassero nel patrimonio indispo nibile dello Stato alla data del 16 febbraio 1963 e che, quindi, non dovessero essere trasferiti al patrimonio disponibile della
regione. L'unico motivo è, quindi, da disattendere.
In definitiva, il ricorso va rigettato. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 5 maggio
1980, n. 2935; Pres. Vigorita, Est. Caturani, P. M. Del
Grosso (conci, conf.); Agostinelli (Avv. De Ferrari) c. Ghi
gliazza e Ricciardi (Avv. Tornabuoni, Rapallini). Conferma
App. Genova 24 maggio 1977.
Società — Società in nome collettivo irregolare — Acquisto di
beni mobili da parte del socio amministratore — Mancanza
della « contemplatio domini » — Riferibilità dell'acquisto alla
società (Cod. civ., art. 1706, 2257, 2260, 2297).
L'acquisto di beni mobili (nella specie, un'azienda mobiliare) da
parte del socio amministratore di una società in nome collettivo
irregolare, che abbia agito nell'interesse della società ma senza
palesare all'esterno la sua qualità di socio, va riferito alla
società a norma dell'art. 1706, 1° comma, cod. civ., che con
templa gli acquisti mobiliari del mandatario. (1)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con citazione
del 23 agosto 1973 Anna Maria Agostinelli convenne in giudizio innanzi al Tribunale di La Spezia il dott. Paolo Ghigliazza e la
madre di costui Altea Ricciardi per sentir dichiarare che nessun
rapporto societario erasi perfezionato fra essa istante ed alcuno
dei convenuti e che era pronta a restituire le somme percepite; in
subordine, qualora uno dei due convenuti fosse ritenuto socio, dichiararlo escluso dalla società con diritto alla liquidazione della
quota.
Espose l'attrice che aveva acquistato in data 10 aprile 1973 da
Wanda Orsi, per scrittura privata, un'azienda di vendita al minu
to di profumeria, bigiotteria e cosmetici sita in San Terenzo di
Lerici, via Mantegazza, iniziando quindi a gestirla; che essendo il
negozio ubicato accanto alla farmacia dei convenuti essa aveva
preso contatto con i medesimi per l'eventuale costituzione di una
società avente ad oggetto l'esercizio della suddetta profumeria, senza che, peraltro, le trattative si fossero mai tradotte in conven
zioni scritte o verbali, non sapendosi ancora quale componente della famiglia Ghigliazza sarebbe diventato socio; che nello spiri to di siffatta trattativa i Ghigliazza avevano versato, dopo l'ac
quisto dell'esercizio, in più riprese, somme per un totale di lire
2.530.000 e agli stessi era stato costantemente mostrato il libro
contabile di prima nota; che le trattative non giunsero a buon
fine perché nella bozza di scrittura predisposta dal Ghigliazza era
prevista la gestione congiunta dell'azienda anziché la conduzione
della stessa ad opera esclusiva di essa Agostinelli, secondo le
condizioni da lei originariamente poste e confermate; che, infine,
il 13 agosto 1973 il Ghigliazza, richiesto di concorrere al paga
mento dell'effetto cambiario di lire 2.500.000 in corrispettivo della
merce venduta, con l'azienda, dalla Orsi, si era rifiutato di
adempiere. Da parte sua il Ghigliazza con ricorso 6 settembre 1973 chiese
ed ottenne dal presidente del Tribunale di La Spezia il sequestro
giudiziario dell'azienda, assumendo che egli aveva concluso con
l'Agostinelli un contratto societario in virtù del quale essi si
sarebbero resi acquirenti in parti eguali dell'azienda, essendosi
convenuto che l'Agostinelli l'avrebbe acquistata a proprio nome e
nell'interesse del Ghigliozzi, onde il medesimo aveva corrisposto il
prezzo nella giusta metà (lire 1.575.000) e l'azienda era stata
esercitata in comune dai due soci.
(1) Nello stesso senso cfr. Cass. 24 febbraio 1975, n. 691, Foro it.,
1976, I, 206, citata in motivazione: in quel caso la corte ebbe ad
occuparsi dell'acquisto di un bene immobile da parte di un socio di
una società semplice, che si era obbligato ad acquistare per conto della
società ma in nome proprio, e la norma applicata fu quella dell'art.
1706, 2° comma, cod. civ., secondo cui il mandatario che ha acquistato in nome proprio beni immobili o beni mobili registrati è obbligato a
ritrasferirli al mandante. Sul punto, un riferimento in via problematica può leggersi in
Cottino, Diritto commerciale, 1976, I, 439.
La sentenza qui riportata, pur confermando la decisione dei giudici
di merito, ne ha parzialmente corretto la motivazione. La corte
d'appello, infatti, aveva sostenuto — per quanto attiene ai rapporti interni fra i soci — la riferibilità immediata alla società dell'acquisto
fatto dal socio amministratore in nome proprio, ma per conto della
società stessa, sulla base della sua qualità di amministratore; la
Cassazione, invece, ha affermato che il socio amministratore ha qualità
di mandatario ex lege e che pertanto trova applicazione la norma di
cui all'art. 1706, 1° comma, sul mandato ad acquistare cose mobili.
Il richiamo all'art. 1706, 1° comma, in ogni caso, si fonda sull'art.
2260, 1° comma, che rinvia espressamente alle norme sul mandato per
la determinazione dei diritti e degli obblighi degli amministratori delle
società di persone, ma la qualificazione giuridica dell'amministratore
come mandatario, da cui la Cassazione ha voluto ricavare sostegno,
contrasta con l'opinione prevalente in dottrina: cfr. Greco, Le società
nel sistema legislativo italiano. Lineamenti generali, Torino, 1959,
275-277 e 314; Id., Corso di diritto commerciale, Milano, 1948, 330;
Galgano, Il contratto di società. Le società di persone, Bologna, 1971,
80; Bolaffi, La società semplice, Milano, rist. 1975, 448 ss. Diversa
mente orientato appare G. Ferri, Delle società, in Commentario, a
cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1968, 139 ss.; Id., Le so
cietà, Torino, 1971, 179 ss.
Sull'acquisto di beni mobili non registrati da parte del mandatario
che ha agito in nome proprio, cfr. Minervini, Il mandato, la
commissione, la spedizione, Torino, 1957, 102-104; Campagna, La
posizione del mandatario nel mandato ad acquistare beni mobili, in
Riv. dir. civ., 1974, I, 7 ss., ove un ampio esame della dottrina e della
giurisprudenza; G. Giordano, Mandato-Commissione-Spedizione, Torino,
1969, 157-158; Molla, Il mandato nella giurisprudenza, Padova, 1977,
113 ss. M. Lovecchio M. Lovecchio
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