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Sezioni unite civili; sentenza 10 ottobre 1980, n. 5332; Pres. T. Novelli, Est. Sandulli, P. M....

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Sezioni unite civili; sentenza 10 ottobre 1980, n. 5332; Pres. T. Novelli, Est. Sandulli, P. M. Silocchi (concl. conf.); Regione Friuli-Venezia Giulia (Avv. Pacia) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Mataloni). Conferma App. Trieste 20 maggio 1977 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 2021/2022-2025/2026 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172602 . Accessed: 25/06/2014 10:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.73.86 on Wed, 25 Jun 2014 10:17:17 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 10 ottobre 1980, n. 5332; Pres. T. Novelli, Est. Sandulli, P. M.Silocchi (concl. conf.); Regione Friuli-Venezia Giulia (Avv. Pacia) c. Min. finanze (Avv. delloStato Mataloni). Conferma App. Trieste 20 maggio 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 2021/2022-2025/2026Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172602 .

Accessed: 25/06/2014 10:17

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

della cosa giudicata), nonché la violazione e falsa applicazione

degli art. 1362 segg. cod. civ. e la carenza e contraddittorietà di

motivazione con travisamento dei fatti su un punto essenziale della

controversia (secondo motivo); la violazione e falsa applicazione dell'art. 429, 3° comma, cod. proc. civ., nonché la carenza e

contraddittorietà di motivazione su un punto essenziale della

controversia per aver il tribunale sostanzialmente disapplicato la

norma invocata in tema di, rivalutazione- dei crediti retributivi del

lavoratore, determinando la misura della valutazione in modo

arbitrario e solo apparentemente equitativo sul mero ed inconsi

stente presupposto delle difficoltà dell'illustrato procedimento (ter zo motivo).

Con riferimento al primo motivo del ricorso osserva la corte

che non può dubitarsi che l'annotazione sul ruolo di udienza

inviata alla Cassazione significhi che, sia pure in forma non

corretta, fu preso un provvedimento formale di sospensione del

giudizio in conseguenza del fatto che pendeva un processo dinan

zi alla Corte di cassazione, avente per oggetto la sospensione

dell'eseguibilità della sentenza del Pretore di Brindisi. Il tribunale

di tale città, se non fosse stato questo il suo pensiero, avrebbe

certamente disposto che a cura della cancelleria fosse richiesta la

restituzione del fascicolo erroneamente inviato alla Corte di cassa

zione, fissando un'udienza di rinvio o avrebbe disposto che la

cancelleria comunicasse alle parti che era stata decisa la richiesta

del fascicolo alla Corte suprema e che l'ulteriore trattazione della

controversia era « stata rinviata a data da stabilire ».

Né potrebbe giungersi a diversa conclusione rilevando che il

cancelliere non redasse alcun processo verbale di udienza, come

ne aveva l'obbligo (cfr. l'art. 57 cod. proc. civ.); un inadempi mento non può giustificare un errore giuridico.

È, poi, manifesto che non può affermarsi con la curatela

fallimentare che la corretta soluzione della fattispecie « risulti »

dalla puntuale applicazione del combinato disposto degli art. 115

e 82 disp. att. cod. proc. civ.: le citate fonti legislative, infatti,

presuppongono che l'udienza non abbia avuto luogo e stabiliscono

che in tal caso l'udienza stessa deve essere rinviata d'ufficio alla

prima udienza immediatamente successiva (di prima comparizione se si tratta di udienza del giudice istruttore, di discussione se si

tratta di udienza del collegio).

Per le esposte ragioni deve ritenersi che il giudizio d'appello avrebbe dovuto essere riassunto entro il termine perentorio di sei

mesi, di cui all'art. 133 bis disp. att. cod. proc. civ., termine

decorrente dalla comunicazione della sentenza di rigetto della

Corte di cassazione.

La mancata applicazione del citato art. 133 bis determina

l'intervenuta estinzione del giudizio d'appello e tale estinzione

questa corte deve, quindi, dichiarare senza che sia necessario

porre in evidenza che dalla conferma della decisione al riguardo

del tribunale deriverebbe che sia ammissibile la stasi sine die di

un processo d'appello durante la pendenza di un ricorso per

cassazione e dopo la sentenza del Supremo collegio senza che si

verifichi alcuna conseguenza sulla permanenza in vita del processo.

L'accoglimento del primo motivo del ricorso in ordine alla

dedotta violazione dell'art. 133 bis cod. proc. pen. rende ovvia

mente inutile l'esame degli altri argomenti dedotti col motivo

stesso, nonché l'esame del secondo motivo del ricorso che resta

assorbito. Il terzo motivo del ricorso è, d'altra parte, inammissibile, non

avendo formato oggetto dell'atto d'appello. Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 10

ottobre 1980, n. 5332; Pres. T. Novelli, Est. Sandulli, P. M.

Silocchi (conci, conf.); Regione Friuli-Venezia Giulia (Avv.

Pacia) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Mataloni). Conferma

App. Trieste 20 maggio >1977.

Friuli-Venezia Giulia — Alloggi popolari — Appartenenza al pa trimonio indisponibile dello Stato — Controversia fra Stato e

regione — Conflitto di attribuzioni — Insussistenza — Giu

risdizione ordinaria (Cost., art. 134; legge 11 marzo 1953 n.

87, norme sulla costituzione ed il funzionamento della Corte

costituzionale, art. 39). Friuli-Venezia Giulia — Alloggi popolari — Appartenenza al

patrimonio indisponibile dello Stato — Intrasferibilità alla re

gione (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, art.

56; cod. civ., art. 826; d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401, norme

di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia

Giulia per il trasferimento alla regione di beni immobili pa

trimoniali disponibili, art. 1).

La domanda della regione Friuli-Venezia Giulia, diretta ad ottene

re, in contrasto con l'amministrazione statale, la declaratoria

dell'appartenenza di alloggi economici e popolari al patrimonio disponibile dello Stato, al fine della loro acquisizione alla

regione in applicazione dell'art. 56 statuto regionale, non con

figura un conflitto di attribuzioni tra Stato e regione e rientra,

pertanto, nella giurisdizione del giudice ordinario. (1) Gli alloggi economici e popolari appartengono al patrimonio

indisponibile dello Stato anche quando siano assegnati in godi mento con la prevista possibilità di cessione in proprietà a

determinate categorie di cittadini, e non sono quindi soggetti a

trasferimento nel patrimonio della regione Friuli-Venezia Giulia

in applicazione dell'art. 56 dello statuto regionale. (2)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto di

citazione del 19 agosto 1972, la regione Friuli-Venezia Giulia

(1) La decisione conferma la giurisprudenza della Corte costituzio nale, costante, fin dalla sentenza 17 aprile 1957, n. 11 (Foro it., 1957, I, 1901, con nota di richiami), nel ritenere necessaria, ai fini del l'ammissibilità di un conflitto di attribuzioni tra Stato e regione, una « sia pure non formale, ma chiara, univoca determinazione di volontà dell'amministrazione » che invada « direttamente » e « immediatamen te » l'altrui sfera di competenza. Applicando questi principi, da ulti

mo, Corte cost. 10 ottobre 1979, n. 120, id., 1979, I, 2820, con nota di richiami e osservazioni di G. Volpe, ha dichiarato inammissibile, per inidoneità dell'atto ad integrare un conflitto di attribuzioni, il ricorso del presidente della regione Lazio avverso la circolare del ministro dell'agricoltura e foreste con la quale si fornivano chiari

menti interpretativi in ordine alla natura ed all'esercizio delle fun zioni amministrative statali trasferite alle regioni in base al d. pres. 615/1977. Nello stesso senso v. anche Cons. Stato, Sez. IV, 6 luglio 1979, n. 571, id., Rep. 1979, voce Regione, n. 231.

Sulla questione dell'ammissibilità di ricorsi confermativi di atti non

tempestivamente impugnati, Corte cost. 24 maggio 1979, n. 28, id., 1979, I, 1957, con nota di richiami e osservazioni di G. Volpe, dallo stesso commentata in Le regioni, 1979, n. 5.

Sulla inammissibilità di ricorsi aventi ad oggetto pretese dal con

tenuto meramente patrimoniale, Corte cost. 4 luglio 1979, n. 61, Foro it., 1979, 1, 2988, con nota di richiami.

In dottrina, sul problema dei vizi deducibili nel ricorso per con

flitto di attribuzione tra Stato e regione, Dimora, in Giur. costit.,

1975, 652; Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, 1978, 195 ss.;

Pizzorusso, Conflitto, voce del Novissimo digesto, appendice, 1979, n. 6.

T.A.R. Abruzzo 28 febbraio 1979, n. 84, Foro it., 1979, III, 612, con

nota di richiami e osservazioni di G. Volpe, ha ritenuto proponibile il

ricorso avanti al giudice amministrativo anche quando l'atto impugna to sia tale da consentire alla regione tutela diretta dinanzi alla Corte

costituzionale mediante la proposizione di conflitto di attribuzione.

Cons. Stato, Sez. IV, 10 gennaio 1978, n. 3, id., 1978, III, 509, con no

ta di C. E. Gallo, in contrasto con la precedente giurisprudenza am

ministrativa, ha ritenuto che ogni qual volta la regione impugni un

atto negativo di controllo della commissione statale di controllo sor

ge un conflitto di attribuzione che sfugge alla giurisdizione del giu dice amministrativo.

Ha ritenuto sussistere la giurisdizione ordinaria in ordine a con

testazioni della demanialità (o indisponibilità) di un bene, attesa la

natura meramente ricognitiva del provvedimento, T.A.R. Campania 10 ottobre 1978, n. 936, id., Rep. 1979, voce Demanio, n. 12.

(2) La Cassazione, nel dichiarare appartenenti al patrimonio indi

sponibile dello Stato gli alloggi economici e popolari, anche quando siano assegnati in godimento o in proprietà a privati, sul presupposto che l'attività svolta dallo Stato in materia di edilizia popolare integra un vero e proprio servizio pubblico, accoglie la testi sostenuta, in

dottrina, da M. Nigro, L'edilizia popolare come servizio pubblico, in

Riv. trim. dir. pubbl, 1957, 118, il quale, facendo riferimento al fine

(soddisfazione del bisogno di alloggio inteso quale interesse collettivo), al contenuto (prestazione di alloggio), al regime giuridico dell'attività

(integralmente pubblicistico), conclude che l'edilizia popolare debba

essere qualificata come servizio pubblico di protezione sociale (v., nello

stesso senso, Perini, Edilizia economica e popolare, voce del Novissimo

digesto, 1960, II, 388; Roehrssen, Edilizia popolare ed economica,

voce deW'Enciclopedia del diritto, 1965, XIV, 316, che, nel dubbio se

questa forma di protezione sociale debba essere inquadrata tra i servizi

di previdenza o di assistenza sociale, propende per questa seconda

soluzione; Bucceri, Il servizio pubblico degli alloggi popolari, in Avv.

enti pubblici, 1977, 265). Tale tesi è stata accettata, sia pure incidentalmente, da Corte cost.

14 luglio 1958, n. 50, Foro it., 1958, I, 1225, con nota di richiami,

nell'escludere che l'edilizia popolare ed economica possa rientrare

nell'ambito della materia « edilizia e urbanistica ».

Nello stesso senso della decisione in esame, T.A.R. Lazio, Sez. II, 17

maggio 1978, id., Rep. 1978, voce Demanio, n. 7, per il quale gli alloggi

concessi in uso agli impiegati appartengono alla categoria dei beni

indisponibili della pubblica amministrazione, svolgendo, in tal modo, la

stessa pubblica amministrazione, sia pure in via strumentale, un servizio

pubblico essenziale; cfr. pure Cass. 11 giugno 1973, n. 1675, id., Rep.

1974, voce Edilizia popolare ed economica, n. 70, secondo cui l'edilizia

economica e popolare è preordinata a fini di interesse pubblico.

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2023 PARTE PRIMA 2024

chiamava in giudizio, innanzi al Tribunale di Trieste, l'ammini

strazione delle finanze dello Stato e — premesso che alcuni

alloggi, siti nel territorio della regione ed intestati al demanio

dello Stato, rientrando, alla data del 16 febbraio 1963, nel

patrimonio disponibile dello Stato, dovevano, in applicazione dell'art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401, esserle trasferiti, con

effetto dal 1° gennaio 1965 — chiedeva che fosse dichiarato che

tali alloggi appartenevano, alla data del 16 febbraio 1963. al

patrimonio disponibile dello Stato.

Instauratosi il contraddittorio, l'amministrazione finanziaria so

steneva che gli alloggi, costruiti con denaro dello Stato e dati in

godimento a dipendenti statali, erano destinati ad un servizio

pubblico, onde rientravano nel patrimonio indisponibile dello Stato.

Con sentenza del 23 dicembre 1974, il tribunale adito accoglie va la domanda considerando che gli alloggi, concessi in abitazio ne ai dipendenti statali, non erano destinati ad un servizio

pubblico, anche se il fine perseguito era di pubblico interesse e,

quindi, non rientravano nel patrimonio indisponibile dello Stato alla data del 16 febbraio 1963.

Su gravame dell'amministrazione, la quale eccepiva, in via

pregiudiziale, il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria

ordinaria, sostenendo che, trattandosi di un conflitto di attribu

zione tra Stato e regione, competente a decidere la controversia

era la Corte costituzionale, a norma degli art. 134 Cost, e 39

legge 11 marzo 1953 n. 87, la Corte d'appello di Trieste con la

denunciata sentenza 20 maggio 1977, in riforma della decisione

di primo grado, rigettava la domanda.

Riteneva la corte del merito: che era infondata l'eccezione di

difetto di giurisdizione del giudice ordinario, non trovando la

stessa riscontro negli art. 134 Cost, e 39 legge 11 marzo 1953 n.

87, i quali non avevano alcun riferimento con la materia in

oggetto; e, in ordine al merito, che l'edilizia economica e

popolare, assolvendo al compito primario dello Stato di fornire la

casa ai cittadini meno abbienti, svolgeva un servizio pubblico; che gli immobili destinati alla realizzazione di tale servizio

dovevano considerarsi, ai sensi dell'art. 826 cod. civ., beni patrimo niali indisponibili; che non era condivisibile la tesi, secondo cui gli

alloggi, essendo cedibili in proprietà agli assegnatari e, quindi,

alienabili, non rientravano nel patrimonio indisponibile dello Sta

to, in quanto i beni indisponibili potevano formare oggetto di

alienazione quando veniva conservata la loro destinazione; e che

gli alloggi richiesti, essendo destinati a soddisfare il bisogno della

casa dei cittadini, non rientravano nel patrimonio disponibile

dello Stato alla data del 16 febbraio 1963 e, quindi, non andava

no trasferiti alla regione a norma del coordinato disposto degli

art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401 e 56 legge cost. 31 gennaio 1963 n. 1 (statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia).

Avverso tale sentenza la regione Friuli-Venezia Giulia ha pro

posto ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo, illustra

to da memoria.

Ha resistito con controricorso l'amministrazione finanziaria del

lo Stato, la quale ha riproposto l'eccezione di difetto di giurisdi zione del giudice ordinario.

Motivi della decisione. — In via pregiudiziale, va esaminata

l'eccezione di difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordi

naria, sollevata dall'amministrazione finanziaria dello Stato.

Secondo la tesi della resistente, la regione — tendendo ad

ottenere ex art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401 il trasferimento

degli alloggi economici e popolari rimasti nella potestà dello Stato

(diversi da quelli degli istituti autonomi per le case popolari già trasferiti alle regioni) e vantando la proprietà su di essi, in

quanto appartenenti (alla data del 16 febbraio 1963) al patrimo nio disponibile dello Stato — pretenderebbe esercitare su detti

immobili la potestà amministrativa (amministrazione di alloggi

assegnati e cessione in proprietà agli assegnatari) che lo Stato

pretenderebbe di aver conservato.

In base a tale profilo, si sostiene che ricorra un conflitto di

attribuzione tra i poteri dello Stato e della regione che dovrebbe

essere regolato dalla Corte costituzionale.

L'eccezione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario è

infondata. A norma degli art. 134 Cost, e 39-41 legge 11 marzo 1953 n. 87

(norme sulla costituzione e funzionamento della Corte costituzio

nale), il conflitto di attribuzione tra Stato e regione si verifica

quando uno dei soggetti costituzionali assuma che un atto dell'al

tro ente abbia invaso la propria sfera di competenza costituzio nalmente garantita, facendo sorgere in concreto l'interesse 'a ricor rere « per il regolamento di competenza » (cfr., in tal senso, Corte cost. 6 maggio 1976, n. Ili, Foro >it., 1976, I, 1780).

Oggetto della decisione che dirime il conflitto costituzionale di

attribuzione — sia che si contesti l'appartenenza del potere sia

che si contesti l'esercizio di esso, in quanto lesivo della sfera di

attribuzione del soggetto ricorrente (in tali limiti è inteso, secondo

la giurisprudenza della Corte costituzionale, l'ambito del conflitto

di attribuzione) — è sempre l'accertamento della spettanza di una

competenza, con il conseguente (eventuale) annullamento dell'atto

adottato dal soggetto costituzionale ritenuto privo del potere o

riconosciuto responsabile dell'invasione (o menomazione) della

sfera di competenza dell'altro.

Contenuto essenziale e principale della decisione del conflitto

costituzionale di attribuzione è, quindi, una declaratoria di com

petenza. Nel caso di specie — poiché la regione non prospetta una

invasione della sua sfera di competenza, né chiede una dichiara

zione o delimitazione delle sue attribuzioni costituzionalmente

garantite, ma invoca esclusivamente l'accertamento dell'apparte nenza ad essa di determinati immobili urbani, che assume essere

stati trasferiti, in virtù del disposto dell'art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401, al suo patrimonio disponibile ed essere stati indebi

tamente trattenuti dallo Stato — deve ritenersi che, formando

oggetto della pretesa un'effettiva e diretta vindìcatio rerum, la

controversia non possa, per i suoi caratteri formali e sostanziali, sussumersi nello schema paradigmatico del regolamento del con

flitto costituzionale di attribuzione previsto dagli art. 134 Cost, e 39 legge n. 87 del 1953.

Invero, nella contestazione oggetto di causa non riesce possibile identificare alcun atto dello Stato invasivo o lesivo della sfera di

competenza della regione, non risultando nel dibattito giudiziale alcuna manifestazione di volontà dello Stato, tesa ad invadere o a limitare l'area di competenza della regione.

E ciò in quanto — stabilendo l'art. 56 legge cost. 31 gennaio 1963 n. 1 (statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) che « sono trasferiti alla regione i beni immobili patrimoniali dello Stato che si trovano nel territorio dellà regione, disponibili alla data di entrata in vigore dello statuto » (16 febbraio 1963) ed il successivo art. 57 che « con norme di attuazione del presente statuto saranno determinati i beni indicati negli art. 55 e 56 e le modalità per la loro consegna alla regione » e precisando l'art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401 (emanato, in attuazione di tali

previsioni costituzionali, a norma dell'art. 65 dello statuto) che « sono trasferiti alla regione Friuli-Venezia Giulia, con effetto dal 1° gennaio 1965, e vanno a far parte del suo patrimonio disponi bile (con i beni immobili patrimoniali dello Stato indicati nell'e

lenco annesso al decreto) gli immobili situati nel territorio regio nale, la cui appartenenza al patrimonio disponibile dello Stato

(con riferimento alla data del 16 febbraio 1963) sia accertata con

provvedimento giurisdizionale ovvero con provvedimento dell'au

torità amministrativa a norma dell'art. 829 cod. civ. » — la regio ne — al fine di vedersi attribuita la proprietà degli immobili appar

tenenti, alla data del 16 febbraio 1963, al patrimonio disponibile dello Stato — si è limitata nell'adire il giudice ordinario — in

mancanza di una declaratoria dell'autorità amministrativa (nelle forme e nei modi previsti dall'art. 829 cod. civ.) — a chiedere

l'accertamento che gli alloggi economici e popolari, siti nel terri

torio regionale e rimasti nella potestà dello Stato, appartenevano, alla data su indicata, al patrimonio disponibile dello Stato.

Per modo che, in base ai rilievi che precedono — non risultan

do nel dibattito giudiziale alcun atto dello Stato che abbia invaso

o leso la sfera di competenza della regione e dovendo questa

rivolgersi — in mancanza della individuazione dei beni apparte

nenti al patrimonio disponibile dello Stato da parte dell'autorità

amministrativa — al giudice ordinario, in base al precetto dell'art.

1, 1° comma, del decreto legislativo di attuazione statutaria (d.

pres. 31 ottobre 1967 n. 1401), per ottenere la declaratoria

dell'appartenenza degli alloggi al patrimonio disponibile dello

Stato alla data del 16 febbraio 1963 — deve escludersi che la

contestazione oggetto di causa possa configurarsi come un conflit

to costituzionale di attribuzione e che la stessa esuli dalla giuris dizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, per essere devoluta alla

cognizione esclusiva della Corte costituzionale.

L'ececzione di difetto di giurisdizione sollevata dall'amministra

zione dello Stato è, quindi, da disattendere.

Può, pertanto, passarsi all'esame del merito.

Con l'unico motivo, la ricorrente — denunciata la falsa appli cazione dell'art. 826 cod. civ. e dei principi in materia di edilizia

residenziale pubblica e la violazione degli art. 56 legge cost. 31

gennaio 1963 n. 1 ed 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401, in

relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. — si duole che la corte

del merito abbia ritenuto che gli alloggi economici e popolari rima

sti nella potestà dello Stato, essendo destinati ad assolvere il pub blico servizio di fornire una casa ai cittadini meno abbienti, rien

trassero nel patrimonio indisponibile dello Stato e non dovessero,

quindi, essere trasferiti alla regione a norma del cit. art. 56,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sostenendo che essi — essendo destinati alla cessione in proprietà

agli assegnatari — costituissero, alla data del 16 febbraio 1963, beni patrimoniali disponibili dello Stato, soggetti al trasferimento

alla regione. Il motivo è infondato.

La questione proposta è se — ai fini del trasferimento dal

patrimonio dello Stato a quello della regione Friuli-Venezia Giulia

ex art. 56 legge cost. 31 gennaio 1963 n. 1 (statuto della regione) — gli alloggi costruiti con denaro dello Stato, assegnati a pubblici

dipendenti e rivestiti delle caratteristiche prescritte dagli art. 48 e

49 t. u. sull'edilizia economica e popolare rientrassero, alla data

del 16 febbraio 1963, nel patrimonio disponibile dello Stato, si da

dover essere trasferiti alla regione, con effetto dal 1° gennaio 1965, ai sensi dell'art. 1 d. pres. 31 ottobre 1967 n. 1401.

L'attività di edilizia popolare — consistente nella costruzione di

alloggi, operata, direttamente o indirettamente, dallo Stato al fine di soddisfare le esigenze dei ceti meno agiati — rientra nella cosiddetta attività sociale dello Stato, nella quale va ricompresa anche l'attività di costruzione degli alloggi destinati ai dipendenti pubblici.

La dottrina più autorevole ritiene che l'attività svolta dallo

Stato in materia di edilizia popolare integri un vero e proprio

servizio pubblico sia per quanto riguarda il fine (mirando a

soddisfare un interesse collettivo), sia in ordine al contenuto

(prestazione dell'alloggio a determinate categorie di cittadini meno

provvedute), sia relativamente al regime giuridico (pubblicistico

nella fase della provvista dei mezzi ed in quella di attuazione),

sia per quanto attiene al profilo soggettivo (affidamento dell'attivi

tà ad un complesso strutturale pubblico). L'edilizia popolare è ritenuta, pertanto, un servizio pubblico di

protezione sociale.

Queste sezioni unite giudicano corretta tale configurazione giu

ridica, alla quale ritengono di aderire.

E conseguente implicazione di tale posizione è che gli alloggi di

tipo economico e popolare — essendo destinati ad un servizio

pubblico — devono considerarsi beni patrimoniali indisponibili, in

quanto — riguardando il concetto di « destinazione » i beni di

cui l'amministrazione si avvale per soddisfare le esigenze di

pubblico interesse cui essa provvede — deve ritenersi che, in

materia di edilizia popolare, la destinazione si attui attraverso

l'assegnazione degli alloggi alle categorie di cittadini meno abbien

ti, meritevoli di agevolazioni e di aiuti sociali.

Gli alloggi economici e popolari devono, quindi, ritenersi beni

patrimoniali indisponibili anche quando siano assegnati in godi

mento a determinate categorie di cittadini.

Né vale a fare escludere tale natura la circostanza che gli

alloggi possano essere ceduti in proprietà agli assegnatari, in

quanto il line dell'edilizia economica e popolare è di soddisfare

l'esigenza che ogni famiglia possa disporre di un alloggio, si che

non solo nella fase dell'assegnazione ma anche in quella della

cessione in proprietà la concessione dell'alloggio risponde ad una

causa pubblicistica. Per modo che il procedimento che conduce alla cessione in

proprietà, lungi dall'essere di ostacolo alla considerazione del

bene nell'ambito del patrimonio indisponibile, costituisce la fase

terminale dell'esercizio del pubblico servizio.

Pertanto, in base alle svolte considerazioni, deve concludersi

che la corte del merito abbia correttamente ritenuto che gli

alloggi richiesti dalla regione rientrassero nel patrimonio indispo nibile dello Stato alla data del 16 febbraio 1963 e che, quindi, non dovessero essere trasferiti al patrimonio disponibile della

regione. L'unico motivo è, quindi, da disattendere.

In definitiva, il ricorso va rigettato. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 5 maggio

1980, n. 2935; Pres. Vigorita, Est. Caturani, P. M. Del

Grosso (conci, conf.); Agostinelli (Avv. De Ferrari) c. Ghi

gliazza e Ricciardi (Avv. Tornabuoni, Rapallini). Conferma

App. Genova 24 maggio 1977.

Società — Società in nome collettivo irregolare — Acquisto di

beni mobili da parte del socio amministratore — Mancanza

della « contemplatio domini » — Riferibilità dell'acquisto alla

società (Cod. civ., art. 1706, 2257, 2260, 2297).

L'acquisto di beni mobili (nella specie, un'azienda mobiliare) da

parte del socio amministratore di una società in nome collettivo

irregolare, che abbia agito nell'interesse della società ma senza

palesare all'esterno la sua qualità di socio, va riferito alla

società a norma dell'art. 1706, 1° comma, cod. civ., che con

templa gli acquisti mobiliari del mandatario. (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con citazione

del 23 agosto 1973 Anna Maria Agostinelli convenne in giudizio innanzi al Tribunale di La Spezia il dott. Paolo Ghigliazza e la

madre di costui Altea Ricciardi per sentir dichiarare che nessun

rapporto societario erasi perfezionato fra essa istante ed alcuno

dei convenuti e che era pronta a restituire le somme percepite; in

subordine, qualora uno dei due convenuti fosse ritenuto socio, dichiararlo escluso dalla società con diritto alla liquidazione della

quota.

Espose l'attrice che aveva acquistato in data 10 aprile 1973 da

Wanda Orsi, per scrittura privata, un'azienda di vendita al minu

to di profumeria, bigiotteria e cosmetici sita in San Terenzo di

Lerici, via Mantegazza, iniziando quindi a gestirla; che essendo il

negozio ubicato accanto alla farmacia dei convenuti essa aveva

preso contatto con i medesimi per l'eventuale costituzione di una

società avente ad oggetto l'esercizio della suddetta profumeria, senza che, peraltro, le trattative si fossero mai tradotte in conven

zioni scritte o verbali, non sapendosi ancora quale componente della famiglia Ghigliazza sarebbe diventato socio; che nello spiri to di siffatta trattativa i Ghigliazza avevano versato, dopo l'ac

quisto dell'esercizio, in più riprese, somme per un totale di lire

2.530.000 e agli stessi era stato costantemente mostrato il libro

contabile di prima nota; che le trattative non giunsero a buon

fine perché nella bozza di scrittura predisposta dal Ghigliazza era

prevista la gestione congiunta dell'azienda anziché la conduzione

della stessa ad opera esclusiva di essa Agostinelli, secondo le

condizioni da lei originariamente poste e confermate; che, infine,

il 13 agosto 1973 il Ghigliazza, richiesto di concorrere al paga

mento dell'effetto cambiario di lire 2.500.000 in corrispettivo della

merce venduta, con l'azienda, dalla Orsi, si era rifiutato di

adempiere. Da parte sua il Ghigliazza con ricorso 6 settembre 1973 chiese

ed ottenne dal presidente del Tribunale di La Spezia il sequestro

giudiziario dell'azienda, assumendo che egli aveva concluso con

l'Agostinelli un contratto societario in virtù del quale essi si

sarebbero resi acquirenti in parti eguali dell'azienda, essendosi

convenuto che l'Agostinelli l'avrebbe acquistata a proprio nome e

nell'interesse del Ghigliozzi, onde il medesimo aveva corrisposto il

prezzo nella giusta metà (lire 1.575.000) e l'azienda era stata

esercitata in comune dai due soci.

(1) Nello stesso senso cfr. Cass. 24 febbraio 1975, n. 691, Foro it.,

1976, I, 206, citata in motivazione: in quel caso la corte ebbe ad

occuparsi dell'acquisto di un bene immobile da parte di un socio di

una società semplice, che si era obbligato ad acquistare per conto della

società ma in nome proprio, e la norma applicata fu quella dell'art.

1706, 2° comma, cod. civ., secondo cui il mandatario che ha acquistato in nome proprio beni immobili o beni mobili registrati è obbligato a

ritrasferirli al mandante. Sul punto, un riferimento in via problematica può leggersi in

Cottino, Diritto commerciale, 1976, I, 439.

La sentenza qui riportata, pur confermando la decisione dei giudici

di merito, ne ha parzialmente corretto la motivazione. La corte

d'appello, infatti, aveva sostenuto — per quanto attiene ai rapporti interni fra i soci — la riferibilità immediata alla società dell'acquisto

fatto dal socio amministratore in nome proprio, ma per conto della

società stessa, sulla base della sua qualità di amministratore; la

Cassazione, invece, ha affermato che il socio amministratore ha qualità

di mandatario ex lege e che pertanto trova applicazione la norma di

cui all'art. 1706, 1° comma, sul mandato ad acquistare cose mobili.

Il richiamo all'art. 1706, 1° comma, in ogni caso, si fonda sull'art.

2260, 1° comma, che rinvia espressamente alle norme sul mandato per

la determinazione dei diritti e degli obblighi degli amministratori delle

società di persone, ma la qualificazione giuridica dell'amministratore

come mandatario, da cui la Cassazione ha voluto ricavare sostegno,

contrasta con l'opinione prevalente in dottrina: cfr. Greco, Le società

nel sistema legislativo italiano. Lineamenti generali, Torino, 1959,

275-277 e 314; Id., Corso di diritto commerciale, Milano, 1948, 330;

Galgano, Il contratto di società. Le società di persone, Bologna, 1971,

80; Bolaffi, La società semplice, Milano, rist. 1975, 448 ss. Diversa

mente orientato appare G. Ferri, Delle società, in Commentario, a

cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1968, 139 ss.; Id., Le so

cietà, Torino, 1971, 179 ss.

Sull'acquisto di beni mobili non registrati da parte del mandatario

che ha agito in nome proprio, cfr. Minervini, Il mandato, la

commissione, la spedizione, Torino, 1957, 102-104; Campagna, La

posizione del mandatario nel mandato ad acquistare beni mobili, in

Riv. dir. civ., 1974, I, 7 ss., ove un ampio esame della dottrina e della

giurisprudenza; G. Giordano, Mandato-Commissione-Spedizione, Torino,

1969, 157-158; Molla, Il mandato nella giurisprudenza, Padova, 1977,

113 ss. M. Lovecchio M. Lovecchio

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