sezioni unite civili; sentenza 11 febbraio 1987, n. 1463; Pres. Brancaccio, Est. Amirante, P. M.Caristo (concl. conf.); Verzellesi (Avv. Minucci) c. Soc. Sorain Cecchini; Soc. Sorain Cecchini(Avv. Giornelli, Magrini) c. Verzellesi. Cassa Trib. Roma 28 gennaio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1047/1048-1051/1052Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179876 .
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1047 PARTE PRIMA 1048
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 11 feb
braio 1987, n. 1463; Pres. Brancaccio, Est. Amirante, P. M.
Caristo (conci, conf.); Verzellesi (Aw. Minucci) c. Soc. So
rain Cecchini; Soc. Sorain Cecchini (Avv. Giornelli, Magri
ni) c. Verzellesi. Cassa Trib. Roma 28 gennaio 1982.
Lavoro (rapporto) — Dirigenti industriali — Licenziamento —
Collegio arbitrale — Compiti — Fattispecie.
Il collegio arbitrale previsto dal contratto collettivo nazionale di
lavoro 4 aprile 1975 per i dirigenti industriali non ha il compito di integrarne il licenziamento, di per sé idoneo a risolvere il
rapporto, ma quello di qualificarlo eventualmente come illecito
ai fini del diritto dei medesimi dirigenti alla indennità (supple mentare) di carattere risarcitorio. (1)
Svolgimento del processo. — Ermanno Verzellesi, deducendo
la natura subordinata del rapporto intercorso con la società So
rain Cecchini e rivendicando la qualifica di dirigente, con ricorso
al Pretore di Roma, chiedeva la condanna della datrice di lavoro
al pagamento di una serie di indennità, nonché, lamentando che
il suo licenziamento era ingiustificato, chiedeva la condanna della
società al pagamento dell'indennità suppletiva prevista dall'art.
17 del c.c.n.l. 4 aprile 1975 per i dirigenti di aziende industriali.
Instauratosi il contraddittorio, la convenuta, per quanto anco
ra interessa, sosteneva che con il Verzellesi era intercorso un rap
porto autonomo di consulenza, chiedeva quindi il rigetto delle
domande.
Il pretore, definito subordinato il rapporto, e dopo aver accer
tato che al Verzellesi spettava la qualifica di dirigente, accoglieva tutte le domande ad eccezione di quella inerente al licenziamento
ingiustificato, avendo ritenuto, riguardo a quest'ultima, che, non
avendo avuto luogo la procedura arbitrale prevista dalla normati
va contrattuale collettiva, il giudice non potesse sostituirsi agli arbitri. Affermava, tuttavia che il Verzellesi aveva diritto al risar
cimento del danno in quanto la società aveva colposamente impe dito lo svolgimento della detta procedura arbitrale.
Entrambe le parti proponevano appello, principale la società
Sorain Cecchini, incidentale il Verzellesi. Il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento dell'appello principale, rigettava la do
manda relativa all'indennità supplementare e dichiarava non do
vuto il risarcimento del danno.
Il tribunale osservava, riguardo alla subordinazione, che il con
tratto pur definito di prestazione d'opera, prevedeva che il Ver
zellesi avrebbe messo a disposizione della società tutte le sue
capacità tecniche professionali in ordine alla costruzione e com
mercializzazione di spazzatrici meccaniche prestando la propria attività presso l'officina e con i tecnici della società. Rilevava,
(1) Con l'affermazione riassunta in massima, enucleata da una conge rie di rilievi ultronei e inconferenti, le sezioni unite — pur astenendosi dal formulare la relativa specifica enunciazione, verosimilmente reputata incompatibile con la riconosciuta impossibilità per il giudice di legittimità di interpretare le clausole dei contratti collettivi — hanno inteso dire che il rimedio messo a disposizione del dirigente industriale licenziato dagli art. 17 e 20 del c.c.n.l. 4 aprile 1975 non è riconducibile all'arbitraggio (cosi come già ritenuto, esplicitamente, da Cass. 24 marzo 1982, n. 1869, Foro it., 1982, I, 3037, con osservazioni di C. M. Barone; cui adde, più di recente, dello stesso a. (V. Andrioli, G. Pezzano, A. Proto Pisa
ni), Le controversie in materia dì lavoro, 1987, 225; nonché R. Flammia, Arbitrato e conciliazione in materia di lavoro, voce della Enciclopedia giuridica Treccani, in corso di pubblicazione).
Le implicazioni di questa, a tratti prolissa, pronuncia sono però al
quanto modeste se si considera, da un lato, che la giurisprudenza della
corte, quali che siano i limiti del suo potere qualificatorio, è da tempo consolidata nel ritenere irrituale l'arbitrato previsto nei vari c.c.n.l. per i dirigenti industriali (da ultimo, con motivazione sobria e lineare, sez. lav. 14 gennaio 1987, n. 214, Foro it., 1987, I, 790) e si riflette, dall'altro
lato, che, in presenza dell'art. 5 1. n. 533 del 1973, la riconosciuta irritua lità dell'arbitrato in discussione impone di collocarlo comunque fra gli strumenti facoltativi e alternativi all'azione giudiziaria (cit. sent. n. 214 del 1987; Flammia, cit. n. 3). Se si aggiunge, poi, che le tre pronunzie (in ogni caso non esaustive dell'orientamento della corte sull'arbitrato di che trattasi: Le controversie, cit.), prese in considerazione, non esibi vano né esibiscono, come percepito dalla stessa sentenza in rassegna, con trasti suscettibili di composizione da parte delle sezioni unite, perfino le
ragioni dell'intervento di queste ultime appaiono difficilmente comprensibili. Insomma, tanto rumore per nulla! [C. M. Barone]
Il Foro Italiano — 1987.
inoltre, che il contratto stabiliva l'inquadramento del Verzellesi
alle dipendenze della Sorain Cecchini nella qualifica di dirigente ed argomentava che la pattuizione dimostrava la volontà concor
de delle parti d'inserire il Verzellesi nell'organizzazione aziendale.
Affermava il tribunale che siffatto espresso riconoscimento era
conforme alle mansioni attribuite all'attuale ricorrente principa
le, consistenti non nel compimento di una o più opere determina
te e quindi nel raggiungimento di un risultato, quanto piuttosto nello svolgimento di una serie di prestazioni ed attività, il cui
alto livello professionale, mentre assicurava al Verzellesi una po sizione di preminenza nell'ambito aziendale, giustificava l'attri
buzione della qualifica dirigenziale. La natura subordinata del
rapporto, concludeva sul punto il tribunale, era confermata dal
tipo di corrispettivo convenuto, consistente in una retribuzione
fissa mensile ed in un compenso a percentuale soltanto per la
commercializzazione delle macchine.
In ordine alla indennità suppletiva, il tribunale premetteva che
l'art. 20 del citato contratto collettivo si limitava a prevedere che
il dirigente, qualora avesse ritenuto non giustificata la motivazio
ne del recesso dell'azienda, ovvero nel caso in cui tale motivazio
ne non fosse stata fornita avrebbe potuto ricorrere al collegio arbitrale previsto dal precedente art. 17, il quale, a sua volta, stabiliva che ove il collegio, con motivato giudizio, avesse ricono
sciuto ingiustificato il licenziamento avrebbe disposto a carico del
l'azienda il pagamento di un'indennità supplementare delle
spettanze contrattuali di fine rapporto, da determinare in concre
to, tra un minimo ed un massimo prefissati, a seconda delle cir
costanze del caso. Affermava il tribunale che siffatta normativa
contrattuale non aveva introdotto alcuna disciplina limitatrice del
licenziamento dei dirigenti, a cui favore non prevedeva alcun di
ritto soggettivo sostanziale, ma aveva solo stabilito la potestà di
ricorrere agli arbitri, la cui attività non era ricognitiva di un dirit
to già esistente, bensì costitutiva del diritto all'indennità. Nè il
convincimento adottato contrastava, ad avviso del tribunale con
la norma dell'art. 54 1. 11 agosto 1973 n. 533, la quale, nel con
sentire la previsione da parte dei contratti collettivi dell'arbitrato
irrituale (quale doveva qualificarsi quello in esame) imponeva che
tale previsione non pregiudicasse la facoltà delle parti di adire
l'autorità giudiziaria, in quanto tale norma si riferiva ad arbitrati
aventi ad oggetto posizioni soggettive già garantite da norme in
derogabili di legge o di contratto collettivo, e non arbitrati, come
quello in questione, il quale aveva ad oggetto il licenziamento
del dirigente, atto legittimo, consentito sia dalla legge che dalla
contrattazione collettiva e quindi non sindacabile dal giudice or
dinario.
Il Verzellesi propone ricorso, affidato a due mezzi di annulla
mento; resiste la società Sorain Cecchini, con controricorso, e
propone ricorso incidentale con un motivo, cui il Verzellesi resi
ste con controricorso. La società Sorain Cecchini ha presentato memoria.
Motivi della decisione. — (Omissis). I due motivi del ricorso
principale essendo connessi devono essere congiuntamente trattati.
Essi propongono all'esame della corte la questione del licenzia
mento dei dirigenti dipendenti da aziende industriali, questione sulla quale nel corso degli anni sono state pronunciate sentenze
che, pur non affermando in sostanza principi di diritto tra di
loro inconciliabili — e si vedrà in seguito perché ciò non sia nep
pure astrattamente possibile — sono, tuttavia, motivate con ra
gioni non coincidenti. Siffatta dissomiglianza delle motivazioni
costituisce la ragione dell'assegnazione della presente controver
sia alle sezioni unite. (Omissis). Tanto premesso in via generale, va ricordato, con specifico ri
ferimento ai rapporti di lavoro che le norme ad essi applicabili in materia sono quelle degli art. 4 e 5 1. 11 agosto 1973 n. 533,
regolanti rispettivamente l'arbitrato rituale a quello irrituale.
Precetti comuni ad entrambi gli istituti sono: a) la possibilità di devolvere agli arbitri controversie di lavoro (art. 409 c.p.c.) soltanto se ciò sia previsto da contratti e accordi collettivi; b) il
divieto che l'attribuzione delle controversie agli arbitri pregiudi chi la facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria (divieto dell'arbitrato obbligatorio), comminato a pena di nullità.
Il regime dell'arbitrato rituale è completato dalla previsione della
nullità delle clausole che attribuiscono agli arbitri il potere di de
cidere secondo equità e della impugnabilità del lodo, oltre che
per le nullità previste dall'art. 829 c.p.c., anche per violazione
e falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi; quello del
l'arbitrato irrituale, della sua impugnabilità soltanto per violazio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ne di disposizioni inderogabili di legge ovvero di contratti o ac
cordi collettivi e dalla norma che impone di osservare le disposi zioni del 2° e 3° comma dell'art. 2113 c.c., come modificato
dall'art. 6 della stessa 1. n. 533/73.
Il diverso regime delle impugnazioni ha indotto autorevole dot
trina, seguita talvolta da questa corte (Cass. 28 agosto 1979, n.
4701, Foro it., Rep. 1980, voce Lavoro (rapporto), n. 1314, in
motivazione), ad affermare che l'arbitrato irrituale avente ad og
getto rapporti di lavoro si distingue da quello rituale per la mag
giore resistenza della decisione e quindi per il maggior grado di
stabilità del regolamento del rapporto fissato dalla decisione de
gli arbitri. In questo ordine d'idee, si è detto che, in mancanza
di un'espressa definizione ad opera delle parti dell'arbitrato come
rituale o irrituale, bisogna far riferimento, per accertare se si è
voluto ricorrere all'uno o all'altro istituto, al minore o maggior
grado di stabilità che i contraenti hanno inteso dare alla statui
zione arbitrale.
Venendo ora alle precedenti decisioni di questa corte riguar danti controversie disciplinate da contratti collettivi per i dirigen ti di aziende industriali, come è il caso del presente giudizio, o
commerciali, contenenti, pur se applicabili a categorie diverse,
pattuizioni analoghe a quelle che qui vengono in discussione, è
opportuno sintetizzare i modi in cui la questione si pose, dal mo
mento che le decisioni della corte incontrarono il diaframma del
le motivazioni dei giudici del merito sulla definizione della
fattispecie prevista dalle clausole contrattuali.
Le decisioni contenenti le più diffuse motivazioni sono da un
lato la sentenza 28 agosto 1979, n. 4701 (avente ad oggetto il
licenziamento di un dirigente di azienda commerciale), dall'altro
le sentenze 11 dicembre 1979, n. 6454 (id., 1979, I, 2828) e 24
marzo 1982, n. 1869 (id., 1982, I, 3037), entrambe queste ultime
riguardanti i licenziamenti di dirigenti di aziende industriali. Nel primo caso (Cass. n. 4701 del 1979) era stato pronunciato
il lodo, dichiarato esecutivo dal pretore, il quale era stato impu
gnato per nullità dalla datrice. Il Tribunale di Roma ritenne l'i
nammissibilità della impugnazione definendo irrituale l'arbitrato
dopo aver rilevato che le clausole contrattuali, prevedendo la pos sibilità di adire il collegio arbitrale e di conciliazione in caso di
recesso immotivato o ingiustificato ed attribuendo agli arbitri il
potere di disporre a favore del dirigente un'indennità supplemen
tare, non avevano stabilito una disciplina sostanziale del licenzia
mento, in ordine alla quale fosse possibile una controversia avente
ad oggetto diritti soggettivi, ma avevano posto in essere un con
gegno negoziale per la composizione del conflitto di interessi de
terminatosi con il recesso dell'azienda, del quale il procedimento arbitrale costituiva il necessario elemento strumentale.
Questa corte ritenne congrua e immune da errori giuridici la
motivazione del giudice del merito e rigettò il ricorso della datrice.
Nel caso deciso con la già ricordata sentenza n. 6454 del 1979, il dirigente licenziato aveva adito direttamente il giudice chieden
do, tra l'altro, l'indennità supplementare per recesso ingiustificato. Il giudice del merito, con una motivazione analoga a quella
resa nella decisione qui impugnata, aveva rigettato la suindicata
domanda rilevando che le parti collettive avevano predisposto un
congegno negoziale per la determinazione dell'indennità; che, in
mancanza di detta determinazione da parte del collegio arbitrale, il dirigente non aveva azione davanti al giudice in quanto la nor
mativa contrattuale non conteneva una disciplina sostanziale del
recesso del datore.
Questa corte cassò sul punto la sentenza della Corte d'appello di Roma, rilevando che questa aveva qualificato la fattispecie co
me arbitrato obbligatorio, escludendo la possibilità di ricorso al
giudice in violazione del precetto costituzionale (art. 24 Cost.) e degli art. 4 e 5 1. n. 533 del 1973, e censurando la motivazione
della sentenza impugnata per non aver tenuto conto del fatto,
che pur, in difetto dell'espressa previsione contrattuale della fa
coltà di adire il giudice, siffatta facoltà doveva essere dedotta
dalle norme citate.
Infine, nel giudizio deciso con la sentenza n. 1869 del 1982,
il dirigente aveva adito sia il collegio arbitrale che il pretore ed
il primo aveva pronunziato il lodo in pendenza del giudizio da
vanti al giudice; lodo che era stato poi impugnato dalla datrice.
Il giudice del merito, dopo aver riunito il procedimento d'im
pugnazione del lodo a quello davanti a lui già pendente, aveva
rilevato l'inammissibilità dell'azione di nullità ancora per la ra
gione che la fattispecie non configurava un vero e proprio arbi
trato ricadente nella previsione degli art. 4 e 5 1. n. 533 del 1973,
Il Foro Italiano — 1987 — Parte 1-69.
bensì, in assenza di una disciplina sostanziale sul recesso, uno
strumento negoziale. In quella occasione, la corte procedette ad un più penetrante
esame della fattispecie, e dopo aver osservato che la sua configu razione «come congegno di gestione negoziale creativa integrativa d'una protezione degli interessi del dirigente licenziato» lasciata
indeterminata dalle parti si attaglia (va) più propriamente allo
schema dell'arbitraggio, rilevò che il tribunale non aveva tenuto
conto dei corposi aspetti processuali che la fattispecie conteneva.
Inoltre, la corte osservò che il non doversi applicare una nor
mativa rigida non escludeva che le parti contrattuali avessero vo
luto servirsi di criteri analoghi a quelli adottati dal legislatore con i concetti di giusta causa e di giustificato motivo (art. 2119
c.c. e 1. n. 604 del 1966), mediante la formulazione contrattuale
di clausole generali non dissimili da quelle legali. E, sul punto, fece riferimento alla norma dell'art. 2043 c.c.
Dall'esame dei precedenti più che significativi risulta dunque
che, mentre con la sentenza n. 4701/79 la corte ritenne incensura
bile la motivazione con la quale il giudice del merito, avendo
escluso l'esistenza di una disciplina sostanziale limitativa del li
cenziamento del dirigente, aveva ritenuto che i compiti attribuiti
agli arbitri fossero propri di un arbitrato irrituale sui generis, sottratto ai precetti dei citati art. 4 e 5 1. 533 del 1973, con le
altre due sentenze pervenne ad opposte conclusioni.
Rileva il collegio che, se da un lato deve ribadirsi che è estra
nea al giudizio di legittimità la diretta interpretazione delle clau
sole contrattuali, dall'altro il controllo sulla motivazione deve tener
conto sia della sua adeguatezza in relazione al contenuto delle
clausole come accertato dal giudice del merito, sia degli eventuali
errori giuridici in essa contenuti.
Procedendo all'esame della sentenza impugnata ed alla sua in
terpretazione, un primo rilievo deve essere fatto: il tribunale ha
espressamente qualificato come arbitrato irrituale la fattispecie in questione, ma nella sostanza ha ravvisato in essa quel che più correttamente si definisce arbitraggio.
Escludendo, infatti, la preesistenza di una disciplina sostanzia
le che il collegio dovrebbe applicare ed attribuendo, invece, ad
esso il compito di integrare le pattuizioni contrattuali, il tribunale
ha finito implicitamente col ritenere che le funzioni del collegio fossero quelle proprie dell'arbitratore che si sostanziano, come
si è detto, in un'attività negoziale c.d. di primo grado, rispetto a quella degli arbitri irrituali che è si di carattere negoziale, ma
di secondo grado in quanto incidentale su una disciplina sostan
ziale già esistente.
Ciò già denota perplessità ed incertezza di orientamento della
sentenza impugnata. Ma quel che più conta è che il tribunale, evitando di definire arbitraggio la fattispecie in questione, non
ha neppure approfondito la stessa astratta possibilità di siffatta
configurazione. Il tribunale, invero, avrebbe dovuto rilevare che
l'arbitratore, integrando la fattispecie e completando il regola mento degli opposti interessi datosi dalle parti, fornisce anzitutto
a queste la regola del loro comportamento, in um momemto in
cui tra esse non sussiste di norma alcuna controversia, ma solo
un contrasto di interessi, non diverso da quello che esse stesse
compongono con il contratto. Inoltre, ponendo l'accento sulla
determinazione dell'indennità e sorvolando sull'attività conosciti
va e di giudizio che logicamente la precede, avente ad oggetto la qualificazione come giustificato o ingiustificato del licenzia
mento, il tribunale ha trascurato di rilevare che tale giudizio, in
dispensabile ai fini della statuizione sull'indennità, logicamente
presuppone la preesistenza dei canoni per la sua formulazione.
Ed è altresì' sfuggito al tribunale che dalla disciplina contrattuale
collettiva, cosi come riportata nella sentenza impugnata, risultava
che il giudizio sul licenziamento e sull'esistenza di una sua giusti ficazione doveva essere formulabile, sia pure da un punto di vista
soggettivo, ma non per questo in astratto arbitrario, già dallo
stesso dirigente licenziato, al fine di valutare la sussistenza o me
no delle circostanze che potevano rendere per lui fruttuosa l'adi
zione del collegio arbitrale.
In buona sostanza, è sfuggito al tribunale che la statuizione
degli arbitri non completa il licenziamento come negozio, la cui
efficacia risolutiva quale che sia la loro decisione resta integra, ma lo qualifica eventualmente come illecito, ai fini del diritto
del dirigente all'indennità di carattere risarcitorio.
Al giudice del merito, cui istituzionalmente è demandata l'in
terpretazione e l'applicazione dei contratti, non si poneva tanto
l'alternativa tra arbitrato irrituale o rituale da una parte e arbi
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1051 PARTE PRIMA 1052
traggio dall'altra, quanto piuttosto il compito di stabilire se le
parti collettive, logicamente prima ancora di prevedere la costitu
zione del collegio arbitrale, avessero fornito, con la disciplina so
stanziale del rapporto di lavoro del dirigente, criteri
sufficientemente determinati per il giudizio di qualificazione del
licenziamento come ingiustificato; criteri in difetto dei quali le
clausole prevedenti il collegio arbitrale sarebbero rimaste prive di effetti per l'impossibilità di configurare in astratto il fatto giu ridicamente rilevante, oggetto dell'eventuale giudizio.
Nello sciogliere questo dilemma, il tribunale non poteva, come
ha fatto, affermare apoditticamente che non esisteva una discipli na limitativa del licenziamento del dirigente perché questa non
avrebbe potuto prescindere dal «prevedere e regolare, in maniera
sufficientemente specifica, le ipotesi di giustificazione del licen
ziamento (nella specie del tutto mancanti) la sua violazione avrebbe
potuto dar luogo alla lesione di diritti soggettivi», ma avrebbe
dovuto interpretare le clausole alla stregua del fondamentale cri
terio ermeneutico di cui all'art. 1362 c.c. ricercando quale era
stata la comune intenzione delle parti. Ed in tale ricerca attraverso il contenuto letterale delle clausole
era necessario che il tribunale si chiedesse se le locuzioni «moti
vazione ingiustificata» «licenziamento ingiustificato» avessero un
tale margine di indeterminatezza da escludere la loro idoneità a
porre limiti al recesso del datore nei confronti del dirigente, raf
frontandole con quelle che il legislatore utilizza quando subordi
na la legittimità del licenziamento alla sussistenza di fatti e
circostanze, definiti come «giusta causa » o «giustificato moti
vo». (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 10 feb
braio 1987, n. 1393; Pres. Brancaccio, Est. Cassata, P. M.
Caristo (conci, conf.); Azienda autonoma delle ferrovie dello
Stato (Avv. dello Stato Siconolfi) c. Nicocia e altri (Avv. To
taro). Regolamento di giurisdizione.
Ferrovie, tramvie e filovie — Controversie di impiego con l'A
zienda autonoma ferrovie dello Stato — Istituzione dell'ente
«Ferrovie dello Stato» — Giurisdizione del giudice ordinario
(Cod. proc. civ., art. 5; 1. 17 maggio 1985 n. 210, istituzione
dell'ente «Ferrovie dello Stato», art. 23).
A seguito dell'istituzione dell'ente «Ferrovie dello Stato» rientra
no nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie di
lavoro relative al personale dipendente, ancorché tali contro
versie al momento della proposizione della domanda rientrasse
ro nella giurisdizione del giudice amministrativo, (1).
(1) Con la decisione in epigrafe le sezioni unite prendono posizione sull'importantissimo problema relativo alla applicazione anche ai giudizi pendenti o no della giurisdizione del giudice ordinario introdotta dall'art. 23 1. 17 maggio 1985 n. 210.
Il problema è risolto nel senso della immediata applicazione, escluden dosi che l'art. 5 c.p.c. possa operare con riferimento a mutamenti della
legge in tema di giurisdizione. Nello stesso senso, con riferimento all'art. 23 1. 210, v. Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 1985, n. 645, 5 marzo
1986, nn. 240 e 239, Foro it., 1986, III, 285 e 331, con osservazioni di A. Romano (ed ivi v. anche Corte conti, sez. II, 13 gennaio 1986, n. 2, che ha affermato invece il permanere, anche per le controversie
nuove, della giurisdizione della Corte dei conti sull'azione di responsabili tà nei confronti di dipendenti dell'Azienda autonoma prima e dell'ente
oggi «Ferrovie dello Stato»). Nello stesso senso della decisione in epigrafe, l'applicabilità dell'art.
5 c.p.c. è stata esclusa in caso di mutamento sopravvenuto delle norme sulla competenza, da ultimo da Cass. 9 agosto 1985, n. 4425, id., 1985, I, 3119 (v. inoltre l'esauriente nota di richiami id., 1984, I, 1092).
È da notare che nel caso di specie la domanda era stata proposta in nanzi al giudice ordinario, cosi che le sezioni unite avrebbero potuto af fermare la giurisdizione del giudice ordinario sulla base del principio (pacifico in giurisprudenza e dottrina: v. la cit. nota di richiami id., 1984, I, 1092) della piena efficacia sanante della sopravvenienza in corso di
giudizio di una norma di legge o di un elemento di fatto in virtù dei
Il Foro Italiano — 1987.
Svolgimento del processo. — Avendo Natale Necocia e gli altri
suoi quindici litisconsorti sopra indicati, adito con ricorso del 14
gennaio 1978 il Pretore di Messina per l'accertamento — già ri
chiesto nel 1969 al Consiglio di Stato con esito, il 15 aprile 1975, di declaratoria del difetto di giurisdizione di quel giudice — che
per i servizi prestati in vari periodi ed a brevi intervalli sulle navi
traghetto dell'azienda autonoma ferrovie dello Stato in esercizio
nello stretto di Messina in forza di contratti di arruolamento in
uso nella marina mercantile essi avevano diritto all'applicazione dei contratti collettivi di categoria ed alle integrazioni retributive
che questi comportavano per una conseguente condanna della da
trice di lavoro al pagamento di queste ultime, la detta Azienda
ha proposto, con ricorso a questa corte, tempestiva istanza di
regolamento di giurisdizione. Gli intimati hanno proposto con
troricorso, seguito da memoria.
Motivi della decisione. — La sollevata questione di giurisdizio ne — che non è preclusa dalla citata sentenza del Consiglio di
Stato, dato che questa, non avendo statuito nel merito, è rimasta
priva di effetti al di fuori del procedimento in cui è stata emessa
(Cass. 16 aprile 1984, n. 2427, Foro it., Rep. 1984, voce Giurisdi
zione civile, n. 80) — è stata in casi sostanzialmente identici a
quello in esame già da questa corte risolta (sent. 19 ottobre 1976, n. 3594, id., Rep. 1976, voce Impiegato dello Stato, n. 151; 24
ottobre 1977, n. 4562, id., Rep. 1977, voce cit., n. 83) con la
dichiarazione della competenza del giudice amministrativo in ra
gione dell'impossibilità di considerare di natura privatistica rap
porti di lavoro subordinato che comportino, come nella specie si assume, l'inserimento delle prestazioni dei dipendenti nell'atti
vità di un ente pubblico non economico ordinata al perseguimen to dei suoi fini istituzionali.
Nel presente caso è però sopravvenuta la 1. 17 maggio 1985
n. 210, che, nell'istituire in luogo della preesistente azienda auto
noma, l'ente, dotato di personalità giuridica, «Ferrovie dello Sta
to», stabilisce (art. 1) che questo «succede» a quella «in tutti
i rapporti attivi e passivi» e che (art. 23) «le controversie di lavo
ro relative al personale dipendente... sono di competenza del pre tore del luogo ove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello Stato
nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secon
do le norme ordinarie».
Ricorrendo quindi un caso di mutamento degli indici legali di
quali diviene competente il giudice adito, originariamente incompetente. Le sezioni unite hanno preferito prescindere da tale principio, e prendere posizione sul problema più generale.
In senso contrario all'orientamento accolto dalla decisione in epigrafe si sono espressi Rusciano, in Nuove leggi civ., 1986, 179 e G. Fabbrini, il nuovo stato giuridico del personale dell'ente Ferrovie dello Stato , pro fili processuali e sostanziali, in Foro it., 1986, V, 447, il quale sottolinea la gravità degli inconvenienti derivanti dalla opposta soluzione, a causa della mancata previsione da parte del nostro ordinamento, nel settore della giurisdizione (e a differenza di quanto accade nel settore della com
petenza in cui solo opera l'art. 50 c.p.c.) di raccordi — tipo riassunzioni — diretti a consentire la prosecuzione del processo nel passaggio da una
giurisdizione all'altra. Sul principio, ricordato nella motivazione della sentenza che si riporta,
secondo cui le decisioni sulla giurisdizione pronunciate da giudici diversi dalla Corte di cassazione non hanno efficacia vincolante al di fuori del
processo in cui sono emanate, v., da ultimo, Cass. 23 ottobre 1986, n.
6221, id., 1986, I, 3008, con nota di A. Proto Pisani, In tema di giudi cato interno, giudicato esterno e preclusione.
* * *
Una breve chiosa di costume. La sentenza che si riporta è stata pronunciata a seguito di un regola
mento di giurisdizione proposto nel lontano 1978. Le sezioni unite hanno evidentemente ritenuto opportuno prendere oc
casione dalla pronuncia su tale regolamento, per enuncicare l'importante principio in tema di interpretazione dell'art. 23 1. 210/85. Nulla da obiet tare (se non il rilievo svolto sopra circa la peculiarità del caso di specie, in cui la domanda era stata proposta davanti al giudice ordinario). Non
può però non segnalarsi che il regolamento è stato discusso e deciso l'8
maggio 1986 e, nonostante l'enorme importanza del principio enunciato, la relativa sentenza è stata pubblicata il 10 febbraio 1987: cioè più di nove mesi dopo!
Vicende di questa specie fanno fortemente dubitare della possibilità anche solo di iniziare (rectius: riprendere) un discorso sulla crisi della Corte di cassazione (su cui v. i contributi raccolti in parte quinta di que sto fascicolo sotto il titolo Per la Corte di cassazione, col. 205 ss.) [A. Proto Pisani],
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