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Sezioni unite civili; sentenza 11 luglio 1984, n. 4055; Pres. F. Greco, Est. Cruciani, P. M. Caristo...

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Sezioni unite civili; sentenza 11 luglio 1984, n. 4055; Pres. F. Greco, Est. Cruciani, P. M. Caristo (concl. conf.); Pizzabiocca e Taliercio (Avv. Grillo) c. Soc. S.a.i. (Avv. Brizzi) e Russo. Cassa App. Napoli 6 dicembre 1980 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 10 (OTTOBRE 1984), pp. 2465/2466-2469/2470 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178075 . Accessed: 28/06/2014 08:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.76 on Sat, 28 Jun 2014 08:39:44 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 11 luglio 1984, n. 4055; Pres. F. Greco, Est. Cruciani, P. M. Caristo(concl. conf.); Pizzabiocca e Taliercio (Avv. Grillo) c. Soc. S.a.i. (Avv. Brizzi) e Russo. Cassa App.Napoli 6 dicembre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 10 (OTTOBRE 1984), pp. 2465/2466-2469/2470Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178075 .

Accessed: 28/06/2014 08:39

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

eliminare l'obbligo dei residui versamenti di quota in vista della

difficile situazione della società.

Le suesposte censure, essendo fra loro connesse, possono esa

minarsi congiuntamente. Occorre premettere che questa corte — dopo avere ritenuto in

via generale, con sent. m. 338/71 (Foro it., Rep. 1971, voce

Competenza civile, n. 245 bis) (ma con espresso riguardo al

procedimento di opposizione ad ingiunzione fiscale) che l'ammi

nistrazione finanziaria può proporre, per l'ipotesi che l'ingiunzio ne venga giudicata illegittima, una domanda riconvenzionale per far valere un diverso titolo a giustificazione della pretesa tri

butaria — con la sent. n. 2853/72 (id., Rep. 1973, voce Registro, n. 934) ha statuito che l'amministrazione finanziaria, creditrice

dell'imposta di registro, ha facoltà d'impugnare di simulazione

l'atto di vendita presentato per la registrazione e per il quale non

operi la presunzione stabilita dall'art. 5 d.l.lgt. 8 marzo 1945 n.

90, al fine di far dichiarare che esso è in toto un atto di

liberalità o che lo è solo per il maggior valore dei beni trasferiti

rispetto al prezzo che risulta pagato; e che, fuori dall'ipotesi della

simulazione, l'amministrazione può, sulla base della effettiva o

biettiva sproporzione tra prezzo e valore venale in comune

commercio dei beni trasferiti, prospettare la esistenza del cosid

detto negotium mixtum cum donatione, tassabile in relazione al

suo effettivo contenuto ed alla intrinseca natura, quali risultano

dall'atto, in considerazione dei suoi effetti, sempre che sia rag

giunta la prova, anche presuntiva, circa la reale finalità del

negozio intercorso fra le parti.

Occorre aggiungere che, con la decisione n. 3024/72 (ibid., n.

77), questa corte ha affermato che l'amministrazione non può

chiedere, ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, che sia

accertata la realtà di un diverso negozio dissimulato sotto l'appa renza del negozio dichiarato non risultante dallo stesso atto.

Peraltro, le richiamate decisioni, come si evince dalla lettura

delle rispettive motivazioni, al di là dei contrasti che esse

manifestano, concordano sul punto che, ai fini dell'imposta di

registro, deve tenersi conto dell'art. 8 r.d. 30 dicembre 1923 n.

3269 (applicabile nel caso concreto, trattandosi di fattispecie

impositiva completatasi anteriormente alla riforma tributaria), in

base al quale « le tasse sono applicate secondo l'intrinseca natura

e gli effetti degli atti o dei trasferimenti, se anche non vi

corrisponda il titolo o la forma apparente ».

Da tale premessa si traggono i seguenti corollari: a) il contenu

to e la natura dell'atto da registrare devono ricavarsi dalle

clausole di esso, senza possibilità d'integrare i risultati in virtù di

elementi aliunde desunti, poiché — salva la possibilità di accer

tare con tutti i mezzi consentiti all'amministrazione delle finanze

la produzione di redditi in conseguenza dell'atto, da assoggettare ai vigenti tributi diretti — l'imposta di registro colpisce l'atto per

quello che esso dichiara e per gli effetti che, come tale, è idoneo

a produrre; b) tuttavia, quando al titolo o alla forma apparente non corrispondano l'intrinseca natura e gli effetti dell'atto (sulla necessità di tale presupposto, v. sent. 780 e 2036/68, id., Rep.

1968, voce cit., nn. 251, 73; 388/69, id., Rep. 1969, voce cit., n.

89, e 493/71, id., Rep. 1971, voce cit., n. 513), non è precluso al

giudice interpretare e qualificare l'intrinseca natura e gli effetti

giuridici dell'atto, quali si possono desumere dalla oggettività del

suo contenuto e dalla ricognizione positiva del suo significato, e,

quindi, accertare la simulazione che pregiudichi il diritto del

l'amministrazione alla percezione dell'esatto tributo.

Posto che, nei limiti suddetti e nell'ambito dell'art. 8, l'indagine sulla simulazione non è preclusa in sede di contenzioso tributa

rio, occorre ulteriormente precisare che essa è consentita anche

alla Commissione centrale, ai sensi dell'art. 26 d.p.r. 26 ottobre

1972 n. 636.

Le sezioni unite hanno di recente affermato al riguardo che nel

sistema del nuovo contenzioso tributario è conservata alla Com

missione tributaria centrale la medesima sfera di competenza che

le veniva attribuita secondo la disciplina previgente, eliminandosi

peraltro le ragioni d'incertezza che in queste erano insite grazie al superamento, alla stregua di un più razionale criterio di

discriminazione, della nozione di estimazione complessa, la quale non ha più ragione di essere, perché ormai tutte le questioni di

fatto estranee alla valutazione estimativa, oltre a tutte le questioni di diritto, sono indiscutibilmente attratte nella cognizione piena della Commissione tributaria centrale (e della corte d'appello); e

tale valutazione estimativa, come attività di giudizio, comprende non solo la mera quantificazione, ma anche le questioni di fatto

relative all'esistenza del reddito o del cespite e, in genere, della

base imponibile e del presupposto materiale ed oggettivo del

tributo, restandone escluse — in quanto non relative a valutazio

ne estimativa — le questioni concernenti la individuazione dei

soggetti passivi del rapporto tributario e la loro qualità e modi di

essere, nonché la tassabilità o meno del reddito o del cespite, in

relazione, ad esempio, al concorso di ulteriori condizioni richieste

dalla legge per la integrazione della fattispecie impositiva o alla

spettanza di esenzioni, agevolazioni o detrazioni, al cui fine non è

precluso alla Commissione centrale l'accertamento degli elementi di fatto che quelle condizioni realizzino o che diano diritto a

quelle esenzioni, agevolazioni o detrazioni, appunto perché inte

granti questioni di fatto non relative a valutazione estimativa e

non strettamente implicate da questa (sent. 5960/83, id., Rep. 1983, voce Tributi in genere, n. 623).

Nella motivazione delia richiamata decisione si è precisato, con riguardo alle imposte indirette, che è questione di fatto

relativa a valutazione estimativa l'accertamento della esistenza del

negozio che costituisce il presupposto dell'imposizione, ma non

anche la qualificazione di esso, che postula il compimento di una

operazione giuridica. Poiché, nel caso in esame, l'indagine circa l'intrinseca natura

dell'atto e dei suoi effetti richiede l'esplicazione di un'attività

interpretativa di un negozio giuridico, non contestato nella sua

oggettiva esistenza, cioè il compimento di un'operazione giuridica, nella quale si risolvono l'interpretazione e la qualificazione del l'atto ai fini della individuazione degli effetti che esso è idoneo a

produrre, l'indagine suddetta rientrava nei compiti della Commis sione tributaria centrale.

Orbene, nel caso concreto, questa ha enunciato il principio di diritto (e cioè che la simulazione non può essere desunta da elementi estrinseci all'atto sottoposto a registrazione), ma non ha svolto alcuna indagine diretta ad accertare l'intrinseca natura dell'atto e dei suoi effetti giuridici, con riguardo alla dedotta genericità di esso, che — si assume — contiene mere dichiarazio ni d'intenzione senza nessuna indicazione delle passività che la riduzione del capitale sociale era destinata a coprire né degli investimenti da operare e delle somme a tal fine necessarie; e non si è posto il problema se, accertata eventualmente la simula zione, l'atto non potesse produrre direttamente l'effetto di esone rare i soci dall'obbligo dei versamenti necessari al perseguimento dello scopo sociale.

Infine, se tale accertamento era stato compiuto dalla commis sione di secondo grado, la Commissione centrale non avrebbe

potuto esimersi dall'esame della relativa motivazione, posto che

l'impugnazione dinanzi ad essa proponibile concerne ogni viola zione di legge, ivi compreso il vizio di motivazione o l'errata risoluzione di questioni di fatto, escluse soltanto quelle relative a valutazione estimativa nel senso precisato nella richiamata sentenza delle sezioni unite (sent. 137 e 6678/81, id., Rep. 1981, voce cit., nn. 877, 873).

Pertanto, nei termini sopra indicati, il ricorso va accolto e la decisione impugnata va cassata, con conseguente rinvio alla stessa Commissione tributaria centrale per il riesame della controversia, tenuto conto delle osservazioni che precedono. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 11 lu

glio 1984, n. 4055; Pres. F. Greco, Est. Cruciani, P. M. Cari sto (conci, conf.); Pizzabiocca e Taliercio (Avv. Grillo) c. Soc. S.a.i. (Aw. Brizzi) e Russo. Cassa App. Napoli 6 di

cembre 1980.

Assicurazione (contratto di) — Assicurazione obbligatoria r.c.a. —

Azione diretta del danneggiato verso l'assicuratore — Autovei colo danneggiante condotto da persona diversa dal proprietario — Chiamata in giudizio del « responsabile del danno » —

Individuazione (L. 24 dicembre 1969 n. 990, assicurazione

obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circola zione dei veicoli a motore e dei natanti, art. 23).

Il danneggiato che esperisca l'azione diretta verso l'assicuratore,

qualora il danno sia stato causato da un veicolo condotto da

un soggetto diverso dal proprietario, è tenuto a chiamare in

giudizio il solo proprietario dell'autovettura e non anche il

conducente della stessa. (1)

(1) Con la sentenza qui riportata le sezioni unite risolvono il contrasto giurisprudenziale relativo all'interpretazione dell'art. 23 1.

990/69 nella parte in cui impone, al danneggiato che esperisca l'azione diretta ex art. 18 della stessa legge, l'onere di chiamare « nel processo anche il responsabile del danno ». La soluzione proposta dalla decisio ne in epigrafe avalla il più recente orientamento espresso dalla I sezione con le sentenze 12 agosto 1982, n. 4575, Foro it., Rep. 1983, voce Assicurazione (contratto), n. 302, e 24 maggio 1982, n. 3162, id.,

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2467 PARTE PRIMA 2468

Svolgimento del processo. — Franco Pizzabiocca conveniva

davanti al Tribunale di Napoli la S.a.i. - società assicuratrice

industriale s.p.a. e Fausto Russo per essere risarcito dei danni

conseguiti ad una collisione tra la propria autovettura e quella di

proprietà del Russo, condotta da altra persona. Si costituiva la S.a.i., eccependo tra l'altro il difetto di con

traddittorio, a suo avviso necessario nei confronti di tutti i

responsabili, compreso il conducente del veicolo, soggetto diverso

dal proprietario. Interveniva autonomamente nel giudizio la moglie del Pizzabioc

ca, Brigida Taliercio, terza trasportata, che chiedeva a sua volta di

essere risarcita dei danni sofferti nell'incidente.

Il tribunale disattendeva l'eccezione della società convenuta, ritenendo che il termine usato dalla 1. n. 990/69 « responsabile del danno » indicasse la sola persona dell'assicurato, ed accoglie va le domande.

Accogliendo l'appello della S.a.i., in diverso avviso andava la

Corte d'appello di Napoli, che con sentenza del 6 dicembre 1980

dichiarava il difetto del contraddittorio nei confronti del condu

cente della vettura, Liberato Russo, e rimetteva la causa al primo

giudice. Riteneva la corte di merito che i lavori preparatori ed il

significato letterale e logico dell'espressione usata dal legislatore

1982, I, 2206, con nota di richiami (cui si rinvia per una panoramica dei diversi orientamenti giurisprudenziali che hanno originato l'inter vento delle sezioni unite); ma va ricordata anche Cass. 15 ottobre

1982, n. 5350, id., Rep. 1983, voce cit., n. 308, che, dopo aver enunciato il principio secondo cui non è necessaria la partecipazione del responsabile del danno nel giudizio sul quantum, ove quest'ultimo risulti successivo e distinto rispetto al giudizio di condanna dell'assicu ratore e del responsabile civile, non ha ritenuto di dover affrontare il

proiilo relativo all'individuazione del « responsabile del danno » ex art. 23 in quanto la questione era già stata affidata alle sezioni unite.

'Maggiormente variegato appare il quadro offerto dalla giurisprudenza di merito: nella stessa posizione assunta dall'odierna pronuncia v.

App. Catania 17 ottobre 1983, Dir. e pratica assic., 1984, 302; 7

aprile 1982, Assicurazioni, 1984, M, 2, 17, con nota contraria di

Toscano; Trib. Monza 10 gennaio 1983, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 306, nella motivazione; Trib. Roma 2 giugno 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 253; Trib. Catania 16 maggio 1980, ibid., n. 254; nel

senso, invece, che l'art. 23 imponga la chiamata del proprietario e del conducente dell'autovettura che ha cagionato il danno v. Trib. Viterbo 4 giugno 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 211 {in extenso in Nuovo

diritto, 1982, 114, con nota adesiva di Mizzoni); App. Firenze 8

luglio 1978, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 255; App. Milano 24

giugno 1980; ibid., n. 256; Trib. Torino 26 aprile 1980, ibid., n. 257; mentre per Trib. Napoli 8 giugno 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n.

213, se l'azione è proposta dal danneggiato nei confronti dell'assicura tore e del conducente non proprietario dell'autovettura, non è necessa ria l'integrazione del contraddittorio nei confronti del proprietario (nello stesso senso v. Trib. Latina 22 aprile 1981, ibid., n. 214).

Per quanto riguarda l'affermazione circa l'esistenza di un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra assicuratore e responsabile del danno non vi sono incertezze nella giurisprudenza: per l'alfermativa v., oltre la

già citata Cass. 4575/82, Cass. 4 novembre 1982, n. 5793, id., 1983, I, 998, con nota di richiami; nonché, per la giurisprudenza di merito, le sentenze citate supra sia che ritengano limitato il litisconsorzio al proprietario, sia che lo ritengano esteso al conducente.

La dottrina appare decisamente orientata nel ritenere necessaria la partecipazione sia del proprietario che del conducente dell'autoveicolo, motivando in base all'esigenza di « ampliare l'area di applicabilità del giudicato per ragioni di economia processuale ed uniformità delle decisioni»: cosi Grisenti, La Cassazione divisa di fronte al problema dei litisconsorti necessari dell'assicuratore secondo l'art. 23 l. n. 990 del 1969, in Resp. civ., 1982, 27, 45; nonché Caiafa, Breve nota in tema di interpretazione dell'art. 23 l. 24 dicembre 1969 n. 990, in Dir. e pratica assic., 1983, 483, 486; v., inoltre, Ippolito, Solidarietà

passiva e litisconsorzio necessario nell'assicurazione obbligatoria ex art. 23 l. 990/69, in Assicurazioni, 1982, II, 2, 53, che afferma le necessità del litisconsorzio per il simultaneo accertamento della sussistenza del fatto illecito nei confronti del responsabile-conducente e della validità del rapporto assicurativo nei confronti dell'assicurato-proprietario; con identica motivazione cfr., anche, Toscano, Un caso da risolvere nella

disciplina dell'assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e dei

natanti, in Dir. e pratica assic., 1980, 449, 455 ss., nonché, dello stesso a., L'art. 23 delia l. n. 990 del 1969, la liquidazione concreta del danno e la responsabilità dell'assicuratore, id., 1981, 196. Di diverso avviso C. Caia.niello, Il litisconsorzio non è necessario tra assicuratore e responsabile del danno, in Nuovo diritto, 1982, 188, a cui dire l'art. 23 non contempla affatto un'ipotesi di litisconsorzio, ma prevede solo una direttiva per lo svolgimento del giudizio: ogni voita che risulti necessario chiamare in causa, per esigenze sostanziali, altri soggetti che non siano l'assicuratore, si dovranno esperire le relative azioni nello stesso giudizio promosso contro l'assicuratore (l'a. fa l'esempio dell'a zione congiunta del damieggiato ex art. 2054 c.c. nonché ex art. 18 1.

990/69; dell'azione risarcitoria proposta oltre il limite del massimale; dell'azione di contestazione del rapporto assicurativo; dell'azione di

regresso esperita dal proprietario o dall'assicuratore).

intendevano instaurare un contraddittorio necessario nei confronti dell'autore del danno.

Per la cassazione di questa decisione il Pizzabiocca e la Talercio propongono due censure, alle quali resiste la S.a.i. con controricorso.

Motivi della decisione. — Le due censure — che possono essere trattate unitariamente — ripropongono una questione che

già più volte è stata sollevata in questa sede di legittimità, con

contrastanti vicende interpretative. Trattasi del problema della individuazione del « responsabile

del danno », che il danneggiato è tenuto a chiamare in giudizio, ai sensi dell'art. 23 1. 24 dicembre 1969 n. 990, ove agisca direttamente contro l'assicuratore, a norma del precedente art. 18.

Le diverse tendenze interpretative, manifestatesi nella giu

risprudenza di questa Suprema corte, possono cosi riassumersi

nelle varie prospettazioni: a) pur essendovi una responsabilità solidale tra il proprietario ed il conducente dei veicolo, è suffi

ciente a soddisfare l'obbligo ex -art. 23 la chiamata in giudizio di

uno soltanto di essi {Cass. 10 gennaio 1981, n. 206, Foro it., Rep. 1981, voce Assicurazione (contratto), n. 250); b) l'azione diretta

del danneggiato nei confronti dell'assicuratore impone sempre

l'obbligo di chiamare in giudizio il « responsabile del danno », cioè il responsabile civile assicurato o soggetto all'obbligo dell'as

sicurazione, che viene individuato nel proprietario del veicolo (o

natante) e non determina la necessità di integrare il contraddit

torio nei confronti di soggetti diversi, anche se solidalmente

responsabili (Cass. 28 novembre 1981, n. 6333, id., Rep. 1982, voce cit-, n. 210; 24 maggio 1982, n. 3162, id., 1982, i, 2206); c)

sempre in tema di azione diretta, qualora il danno sia stato

causato da veicolo condotto da soggetto diverso dal proprietario, anche quest'ultimo deve partecipare necessariamente al giudizio

(Cass. 6 gennaio 1979, n. 61, id., 1979, I, 662). Secondo questo orientamento, l'espressione « responsabile del

danno » va intesa in senso tecnico-giuridico e quindi riferita ai

soggetti che sono tenuti a rispondere patrimonialmente delle

obbligazioni di danno illecito originate dalla circolazione dei

veicoli: questi soggetti sono sia il proprietario del mezzo —

anche se al momento del sinistro non era alla guida — sia il

conducente non proprietario (Cass. 15 settembre 1981, n. 5101,

id., Rep. 1982, voce cit., n. 208). L'art. 23 1. n. 990/69 dispone che «nel giudizio promosso

contro l'assicuratore, a norma dell'art. 18, 1° comma, della presen te legge, deve essere chiamato nel processo anche il responsabile del danno. Nel caso previsto alla lett. b) del 1° comma dell'art. 19 deve essere convenuto in giudizio anche il responsabile del danno ».

L'uso letterario del singolare non sembra al momento rivestire alcuna influenza in ordine alla interpretazione della volontà del

legislatore, che si serve indifferentemente del plurale e del singo lare, pur riferendosi a situazioni e soggetti in analoghe posizioni

giuridiche i(vedi, ad es., l'art. 29, !l° comma). Pertanto la giurisprudenza e la dottrina hanno ritenuto che la

ricerca della volontà del legislatore dovesse piuttosto orientarsi sulla base della ratio della norma e dell'intero sistema assicurati vo obbligatorio, innovativo delle anteriori disposizioni di legge.

Secondo i sostenitori dell'obbligo della chiamata in giudizio sia del proprietario che del conducente del veicolo, l'azione diretta comporterebbe due tipi di accertamento: quello sul con tratto di assicurazione, per il quale si rende necessaria la presen za in giudizio dell'assicurato, cioè del proprietario del veicolo, e

quello sulla responsabilità personale dell'evento, che pure costi tuisce il presupposto della responsabilità dell'assicurato, che rende necessaria la presenza anche del conducente.

Argomento indubbiamente suggestivo, specie se si guardi alla condizione per la quale il conducente diverso dal proprietario anche se non è contraente del contratto di assicurazione, è

tuttavia il soggetto al quale si estendono i benefìci dell'assicura

zione, una volta accertata la sua relazione con il veicolo, del

quale è proprietario il soggetto assicurato o comunque tenuto ad assicurarsi.

Il rilievo sembra tuttavia perdere di considerazione, ove si

osservi che, anche se la domanda viene rivolta contro il solo

proprietario, ciò non esonora l'attore dall'onere dell'accertamento della colpa del conducente, che sempre costituisce il presupposto per l'affermazione della responsabilità del proprietario non con ducente.

Si è ancora detto — anche sulla base della relazione ministe riale alla legge — che l'art. 23, imponendo al danneggiato, che

agisce contro l'assicuratore, di convenire in giudizio il responsabi le-autore del danno, avrebbe posto una condizione all'esercizio

dell'azione diretta, al fine di soddisfare una esigenza fondamenta

le dell'assicurazione di responsabilità civile, quella cioè che l'ac

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

certamente della responsabilità sia sempre effettuato in contrad

dittorio con il preteso responsabile del danno.

Per raggiungere questa finalità, la norma da un lato sarebbe

volta a tutelare l'interesse del danneggiato, consentendogli di

esperire l'azione diretta contro l'assicuratore, ma d'altro lato

sarebbe diretta a rafforzare la posizione dell'assicuratore stesso,

permettendogli di ottenere, con la necessaria partecipazione del

responsabile del danno, che l'accertamento della responsabilità

(presupposto del suo obbligo verso il terzo danneggiato) sia

effettuato in modo esauriente e completo, con decisione avente

efficacia di giudicato anche nei confronti dell'autore del fatto ed

anche in relazione all'azione di rivalsa che potrebbe essere

contestualmente esercitata dall'assicuratore.

Ciò non potrebbe avvenire se non in presenza dell'autore del

fatto, il quale solo, ove la responsabilità sia contestata, potrebbe essere in grado di prospettare elementi utili per la difesa

dell'assicuratore e di dedurre eventualmente i relativi mezzi di

prova. In altri termini, l'art. 23 tenderebbe per un verso ad evitare che

l'assicuratore, convenuto in giudizio dal danneggiato, si trovi in

difficoltà nella impostazione della sua difesa per mancanza di

elementi sufficienti a contestare la responsabilità del proprio assicurato e per altro verso renderebbe possibile l'opponibilità al

responsabile del danno dell'accertamento compiuto contestualmen

te. Questa prospettazione non sembra potersi condividere.

È senz'altro un principio contrario al nostro ordinamento che

possa essere imposta una necessità di litisconsorzio per fini

probatori. Ma ancora più rilevante sembra l'osservazione che il legi slatore — con formulazione incerta ed ambigua — avrebbe con

l'art 23 derogato ad un principio fondamentale del nostro ordina

mento; quello della facoltatività dellitisconsorzio in materia di

obbligazioni solidali.

La solidarietà fra i responsabili del danno non comporta infatti ordinariamente alcun contraddittorio necessario: il danneggiato può rivolgersi a quello degli obbligati che egli vorrà scegliere, per essere risarcito dell'intero, senza alcun obbligo di chiamare in

giudizio gli altri soggetti tenuti al risarcimento, indipendentemente dal titolo per il quale sono tenuti.

La legge n. 990 ha derogato parzialmente e specificamente da tale principio solo in relazione all'azione diretta, prevista dall'art.

18; ogni ulteriore deroga avrebbe dovuto essere esplicitamente introdotta dal legislatore, che, invece, riferendosi specificamente all'azione contro l'assicuratore, ha previsto, con logica conseguen za, che venisse chiamato in giudizio il « responsabile del danno »

in relazione al contratto di assicurazione.

L'uso del singolare assume cosi ora uno speciale inequivoco

significato letterario, laddove si osservi che la nuova disciplina

giuridica — solo per questa parte derogatrice del principio

generale della non necessità del contraddittorio nelle obbligazioni solidali — è per tuttavia rimasta ancorata alla esigenza di non

estendere l'obligatorietà del contraddittorio al di là dell'unico

soggetto che è parte del rapporto giuridico obbligatorio dedotto

in giudizio.

Questo soggetto non può essere individuato che nel proprie tario del veicolo — assicurato o comunque tenuto -all'assicurazio

ne — poiché solo tale soggetto è portatore e titolare di interessi attivi e passivi in relazione al contratto obbligatorio del quale è

parte. Al conducente, in quanto tale, possono essere estesi i benefici

del contratto stipulato dal proprietario, ma non può certamente

tale soggetto essere individuato nel responsabile del danno in relazione alla sua qualità di parte nel rapporto obbligatorio.

Ogni altro soggetto quindi, diverso dal proprietario, anche se materialmente responsabile del danno, è estraneo alla relazione necessaria imposta dall'azione diretta, e si pone solo come sogget to passivo della responsabilità per danni intesa, in senso tecnico

giuridico, come situazione passiva di solidarietà con gli altri

obbligati. Sembra quindi doversi concludere che, in materia di responsa

bilità civile, l'art. 23 1. n. 990, nell'istituire una relazione contrat

tuale, nella quale sono parti l'assicuratore ed il responsabile del

danno, assicurato o comunque tenuto ad assicurarsi, non ha affatto inteso escludere l'esistenza e sopravvivenza dell'ordinario

rapporto solidale extracontrattuale, nascente dal fatto illecito,

generatore del danno.

I riflessi processuali di tale duplice situazione importano che il

contraddittorio deve necessariamente ricomprendere — nel caso e

solo nel caso di azione diretta del danneggiato contro l'assicurato

re — anche l'altra parte del rapporto contrattuale di assicurazio

ne, non solo per l'accertamento del negozio, ma anche per l'accertamento della responsabilità.

Tale « responsabile del danno » va ravvisato esclusivamente

nel proprietario del veicolo; non può — nella singolarità dell'e

spressione — essere ricompreso altro soggetto — come il condu

cente — che non è parte del contratto di assicurazione, anche se

può essere responsabile del danno, in quanto autore del fatto e

per gli effetti conseguenti alla sua condotta ed al principio di

solidarietà.

Queste solo possono essere le conclusioni se si pone mente alla

specialità dell'azione diretta: se, infatti, sotto l'aspetto sostanziale

il rapporto assicurativo nella sua maggiore estensione, copre anche la responsabilità del conducente, sotto il profilo strettamen

te processuale la specialità dell'azione diretta impone la necessità

della citazione in giudizio del solo proprietario, cioè di quel « responsabile del danno » che, in forza del titolo contrattuale

obbligatorio, deve essere presente nel giudizio. Ciò sembra rispondere alle linee della ratio del legislatore che

— affidando all'azione ordinaria di risarcimento contro uno o più

responsabili in solido ex art. 2054 c.c. l'azione diretta contro

l'assicuratore — non ha inteso coinvolgere tutte le parti in un

unico processo, ma solo rafforzare la posizione processuale del

l'assicuratore attraverso la necessaria partecipazione del proprietario

assicurato, essendo cosi' opponibile l'accertamento della responsa

bilità, positivo o negativo, nello stesso o in altro giudizio. Al contrario l'estensione obbligatoria dell'accertamento nello

stesso processo di azione diretta nei confronti del conducente non

soddisferebbe alcuna delle esigenze processuali del litisconsorzio

necessario, non avendo l'assicuratore azioni di rivalsa da far

valere nei suoi confronti e solo potendo perseguire quelle finalità

probatorie, che sono estranee alla struttura dell'istituto.

Il ricorso deve quindi essere accolto; con la cassazione della

sentenza impugnata. Il giudice del rinvio si atterrà ai principi sopra enuncia

ti. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 27 giu

gno 1984, n. 3771; Pres. Quaglione, Est. Cherubini, P. M. Mo

rozzo Della Rocca (conci, conf.); Soc. Fiat (Aw. Magrone) c. Fall. Mattei (Avv. Zaccagnini) e Credito romagnolo; Credito

romagnolo (Avv. Pollio, Ronconi) c. Fall. Mattei. Cassa senza

rinvio Pret. Novafeltria 19 dicembre 1981.

Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Vendita all'in

canto — Esperimento d'asta effettuato dal messo di conciliazio

ne — Nullità — Opposizione agli atti esecutivi (Cod. proc.

civ., art. 534; d.p.r. 15 dicembre 1959 n. 1229, ordinamento

degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari, art. 34).

La nullità dell'asta giudiziale per la vendita di beni mobili eseguita dal messo di conciliazione illegittimamente autorizzato, anziché

dall'ufficiale giudiziario va fatta valere con l'opposizione agli atti esecutivi. (1)

(1) Conf. Cass. 7 luglio 1962, n. 1758, Foro it., Rep. 1962, voce Uffi ciale giudiziario, n. 1; v. anche Pret. Leonforte 20 novembre 1960, id.,

1961, I, 1768, con nota di richiami, secondo cui il pignoramento eseguito dal messo di conciliazione è affetto da nullità insanabile e quindi l'oppo sizione agli atti esecutivi può essere proposta entro cinque giorni dal

compimento dell'ultimo atto dell'esecuzione. La Cassazione con la sentenza in epigrafe ha ritenuto che gli atti

esecutivi compiuti dal messo di conciliazione siano affetti da nullità e non da inesistenza, per cui l'opposizione agli atti esecutivi deve essere

proposta nel termine di cinque giorni dal compimento dell'atto viziato. (Precisa la corte che il messo di conciliazione è pur sempre un

ausiliario del giudice, si' che gli atti viziati da esso compiuti non

possono considerarsi tamquam non esset. In questo senso, in tema di notificazione, v. Cass. 10 agosto 1982, n.

4471, id., Rep. 1982, voce cit., n. 64, secondo la quale l'atto

processuale compiuto dal messo di conciliazione incompetente, perché non autorizzato ex art. 34 d.p.r. 1229/59, dà luogo ad una nullità

sanabile con effetti retroattivi (nella specie, notifica di ricorso per cassazione sanato dalla costituzione in giudizio); conf. Cass. 31 marzo

1969, n. 1058, id., Rep. 1969, voce Notificazione civile, n. 56; ed an

che Cass. 8 luglio 1981, n. 4474, id., 1982, I, 1120, con nota di Lotti.

Inesistente è quell'atto che non provenga dalle persone designate e

per il quale non siano previsti equipollenti {nella specie, l'avviso di

accertamento tributario era stato inviato a mezzo posta direttamente dall'ente impositivo, anziché tramite messo di conciliazione); v. Cass. 18 ottobre 1983, n. 6112, id., 1984, I, 1017, con nota di Pettini.

Circa la distinzione fra atto processuale nullo ed atto giuridicamente

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