Sezioni unite civili; sentenza 11 maggio 1983, n. 3242; Pres. F. Greco, Est. Caturani, P. M.Corasaniti (concl. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Di Pace) c. Comune di Bologna (Avv. G.Stella Richter, Ballerini, Ferrerio). Cassa App. Bologna 17 settembre 1976Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 9 (SETTEMBRE 1983), pp. 2143/2144-2147/2148Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176997 .
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2143 PARTE PRIMA 2144
di « opposizione alla stima ») contro l'espropriante, nel caso in cui
ritengano che l'indennità determinata in sede amministrativa non
comprende anche l'intero ammontare corrispondente ai frutti non
percepiti o al mancato raccolto (o, eventualmente, ai miglioramenti
apportati al fondo). Ed è chiaro che se gli stessi affittuari agiscono
proponendo azione di opposizione alla stima, ovvero intervengono autonomamente nell'analogo giudizio proposto dal proprietario
espropriato (e non v'è dubbio che se intervengono per tutelare le
loro ragioni, l'intervento non potrà essere altro che « autonomo »), essi rivolgono la loro domanda contro l'ente espropriante '(non è,
infatti, concepibile un'azione di opposizione alla stima contro il
proprietario espropriato), il quale ente sarà, perciò, passivamente
legittimato nel giudizio, nei confronti degli affittuari predetti, ossia, in definitiva, « responsabile » verso gli stessi.
Invano, quindi, il ricorrente Ansaloni (cioè l'affittuario che, col
proprio intervento in causa, aveva proposto quella azione, pur con
l'erronea formula della domanda « alternativa », e che è ora
interessato a che sia rimossa la pronuncia secondo cui, nella
fattispecie sopra delineata, la responsabilità ricade unicamente
nell'ente espropriante, posto che è passata in giudicato, per avere
egli omesso di proporre a suo tempo l'appello incidentale, la
pronuncia che escludeva la legittimazione passiva dell'ente espro
priante) sostiene che l'esclusione della possibilità di un'autonoma
azione degli affittuari nei confronti dell'ente espropriante dovrebbe
evincersi dal disposto del citato art. 1638 c.c. (il quale recita che « in caso di espropriazione per pubblico interesse o di occupazione
temporanea del fondo locato, l'affittuario ha diritto di ottenere dal
locatore la parte di indennità a questo corrisposta per i frutti non
percepiti o per il mancato raccolto »). Una diffatta convinzione, invero, non tiene conto che nel sistema della legge sono previste — come, peraltro, si è già accennato — due distinte possibilità.
Da un lato (art. 27, 3° comma, 1" parte, 1. 25 giugno 1865 n.
2359 e art. 1638 c.c.) si considera l'eventualità che il proprietario
espropriato (anche nella sua ritenuta qualità di rappresentante ex
lege dell'affittuario: cfr. sent. 26 maggio 1964, n. 1295, id., Rep. 1964, voce cit., n. 160; 30 settembre 1955, n. 2734, id., Rep. 1955, voce cit., n. 86) abbia accettato l'indennità offertagli in sede
amministrativa, ovvero ne abbia avuto l'esatta determinazione (e non sul bene oggetto dell'ablazione), dovranno rivolgere le loro
pretese unicamente verso il proprietario; ed è ovvio che, nell'ipo tesi di controversia giudiziaria, solo quest'ultimo soggetto potrà essere ritenuto passivamente legittimato alla causa, ossia responsa bile verso gli affittuari predetti.
Dall'altro (art. 27, 3° comma, 2° parte, 1. del 1865) si considera,
invece, l'ipotesi che gli affittuari non ritengano congruamente determinata l'indennità, in sede amministrativa, e intendano, quin di, dolersi di tale inesatta determinazione (sul rilievo che la stessa
non sarebbe comprensiva anche dell'intero ammontare dell'equiva lente dei frutti pendenti e del mancato raccolto, ovvero dei
miglioramenti apportati al fondo espropriato). In questo caso
possono agire, in opposizione, contro l'ente espropriante, o propo nendo direttamente, essi stessi, l'azione di opposizione alla stima, ovvero intervenendo in modo autonomo nell'analogo giudizio già promosso dal proprietario espropriato.
Ed è chiaro che se la legittimazione passiva dell'ente esproprian te, nei confronti degli affittuari, sussiste allorché l'azione viene
proposta in modo diretto, altrettanto deve ritenersi allorché la stessa è proposta per via di intervento autonomo, non essendo una tale ovvia conclusione esclusa dal principio (male invocato dal
ricorrente) alla «indennità unica». Il fatto, invero, che l'indennità
(secondo il criterio della 1. del 1865) sia « unica », nella determi
nazione fattane tanto in sede amministrativa che in sede giudizia ria (cioè nel giudizio di opposizione alla stima) non esclude che, in quest'ultima sede, gli affittuari possono chiedere che venga
predeterminata la parte di indennità loro spettante.
L'indennità, infatti, è « unica » solo nel senso che deve com
prendere l'equivalente del valore tanto del bene perduto per effetto della ablazione, quanto dei frutti pendenti o del mancato
raccolto (cfr. sent. 21 ottobre 1981 n. 5505, id., 1982, I, 727), e
deve essere offerta esclusivamente al proprietario espropriato. Solo
la legge successiva (art. 17 1. 22 ottobre 1971 n. 865, come modificato dall'art. 14 1. 28 gennaio 1977 n. 10), invero, prevede per gli affittuari che siano anche coltivatori diretti del fondo un'indennità aggiuntiva e attribuisce loro, perfino, una autonoma
posizione nel procedimento espropriativo (cfr. sent. 14 aprile 1981, n. 225, id., 1981, I, 2458). Ma il fatto che la predetta indennità sia « unica » (nel sistema della 1. del 1865) non esclude che nel
procedimento giudiziale (cioè nel giudizio di opposizione alla stima) gli affittuari possono assumere una posizione autonoma, anche se a tale giudizio partecipano non già per chiedere che l'ente espro priante sia condannato a corrispondere loro alcunché, bensì solo
per chiedere che nell'indennità da attribuirsi al proprietario (la
quale sarà, poi, depositata dall'ente espropriante nella Cassa
depositi e prestiti) venga ricompresa anche la somma che il
proprietario stesso dovrà, poi, ad essi corrispondere. Il principio di
unicità dell'indennizzo, in altri termini, produce solo l'effetto che il
giudice della opposizione alla stima non potrà attribuire diretta
mente agli affittuari la parte (di indennità) ad essi spettante; ma la
vigenza di tale principio non ha impedito allo stesso legislatore di
attribuire agli affittuari la legittimazione di cui si è detto, avendo
egli tenuto conto, evidentemente, dell'interesse che gli stessi hanno
a che la parte di indennità ad essi spettante sia predeterminata, anche per prevenire eventuali controversie col proprietario, al
momento in cui questi, dopo averla riscossa, la corrisponde loro
concretamente. Di modo che, se gli affittuari non esercitano la
detta facoltà ad essi concessa dalla legge, e l'opposizione alla stima
viene esercitata dal solo proprietario, quest'ultimo agirà (sotto la
propria responsabilità) anche quale rappresentante ex lege degli affittuari stessi; ma se la facoltà predetta viene esercitata, anche
solo mediante l'intervento in giudizio (e si tratta, come si è detto, di un intervento autonomo), da quel momento il proprietario
perde la qualità di rappresentante ex lege e avrà solo l'obbligo,
dopo riscossa l'intera indennità, di corrisponderne una parte agli
affittuari, nella misura che sarà stata determinata in sede giudiziale
(cfr., per riferimenti, sent. 15 ottobre 1979, n. 5370, id., Rep. 1979, voce cit., n. 283).
Ed è incontestabile che se quella facoltà viene esercitata, il solo
contraddittore degli affittuari sarà l'ente epropriante, anche se la
sua responsabilità (verso gli affittuari) troverà esplicazione unica
mente nell'adempimento dell'obbligo di depositare, a favore del
proprietario, anche quella somma che, in definitiva, è destinata a
soddisfare le ragioni degli affittuari predetti.
Impropriamente, poi, il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata avrebbe escluso la responsabilità (verso esso affittuario) del proprietario espropriato per aver fatto leva sulla circostanza
che tra il proprietario predetto e l'ente espropriante era stata
stipulata una transazione {la quale, con apposita clausola, avrebbe
previsto l'esonero di responsabilità del proprietario predetto). La
sentenza impugnata, invero, ha escluso la responsabilità del
proprietario in quanto ha ritenuto che la responsabilità stessa
spettasse, ab origine, all'ente espropriante (anche se ha, poi, osservato che codesta attribuzione di responsabilità non produceva effetti concreti, poiché era passata in giudicato la sentenza di
primo grado nella parte in cui assolveva dalla domanda il predetto ente espropriante). Nessun rilevante riferimento, perciò, essa ha
fatto alla transazione; ma quand'anche l'esclusione della responsa bilità del proprietario fosse stata riferita (unicamente) al detto
esonero di responsabilità, un errore siffatto avrebbe comportato, semplicemente, la correzione della motivazione della sentenza, non
già la sua cassazione.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 11
maggio 1983, n. 3242; Pres. F. Greco, Est. Caturani, P.M. Corasaniti (conci, difi.); Min. finanze (Avv. dello Stato Di Pace) c. Comune di Bologna (Aw. G. Stella Richter, Ballerini, Ferrerio). Cassa App. Bologna 17 settembre 1976.
Espropriazione per pubblico interesse — Indennità — Opposizio ne alla stima — Delibera comunale di perimetrazione — Con trollo di legittimità — Giurisdizione ordinaria (L. 22 ottobre 1971 n. 865, programmi e coordinamento dell'edilizia residen
ziale pubblica, norme sull'espropriazione per pubblica utilità, modifiche ed integrazioni alle 1. 17 agosto 1942 n. 1150, 18 apri le 1962 n. 167, 29 settembre 1964 n. 847, ed autorizzazione di
spese per interventi straordinari nel settore dell'edilizia resi
denziale, art. 16, 18, 19).
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della impugnativa proposta dal proprietario dell'immobile e
spropriato ex art. 19 l. n. 865/71, il quale in sede di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione contesti la legittimità della deliberazione con la quale, ai sensi dell'art. 18 della detta
legge, il consiglio comunale abbia proceduto alla delimitazione dei centri edificati ai fini dell'applicazione del precedente art. 16
(ora dell'art. 1 l. n. 385/80) per stabilire i criteri di determina zione dell'indennità. (1)
(1) La Cassazione si allinea all'orientamento prevalente presso i giudici amministrativi in relazione alla delibera comunale di perimetra
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con citazione del 18 ottobre 1973 l'amministrazione delle finanze dello Stato conveniva in giudizio davanti alla Corte d'appello di Bologna il comune di quella città,
proponendo, ai sensi dell'art. 19 1. 22 ottobre 1971 n. 865, opposizione alla stima di lire 1.087.900 da parte delPU.t.e. in ordine ad un'area di ettari 0.55.86 di proprietà del patrimonio disponibile dello Stato e sottoposta ad espropriazione per pubblica utilità da parte di detto comune al fine di costruirvi un edificio scolastico.
A fondamento della sua impugnativa l'amministrazione istante
assumeva che l'area de qua sarebbe stata erroneamente considerata dal comune esterna al centro edificato, dovendosi invece la stessa
ricomprendersi entro il perimetro del centro urbano, ai sensi
dell'art. 18 1. n. 865/71 onde la relativa indennità avrebbe dovuto essere determinata ai sensi dell'art. 16, 4" comma.
Il comune contestava la domanda sostenendone l'inammissibilità
per avere omesso l'attrice di impugnare tempestivamente la delibe ra consiliare 17 aprile 1972 con la quale l'ente aveva già provveduto alla delimitazione dei centri edificati.
La corte di Bologna con la sentenza in questa sede impugnata rilevava che l'opposizione non era diretta contro la stima effettuata
dall'U.t.e., bensì contro il provvedimento comunale di delimitazio
ne del centro edificato, e poiché la posizione del proprietario di un
terreno oggetto del provvedimento comunale di perimetrazione è
di interesse legittimo a che l'ente locale usi del suo potere senza
incorrere nei vizi di legittimità dell'atto amministrativo, ne conse
gue che la relativa controversia sfugge alla cognizione dell'a.g.o. Né può addursi in contrario che l'amministrazione finanziaria
sarebbe stata posta in condizioni di conoscere l'illegittima ag
gressione della proprietà altrui perpretata dal comune soltanto con
la comunicazione 15 settembre 1973 contenente l'avviso di deposi to della relazione di stima delPU.t.e. perché le delibere comunali
sono pubbliche e quindi conosciute dagli interessati attraverso
l'affissione agli albi del municipio.
Per la cassazione della suddetta sentenza ha proposto ricorso
alle sezioni unite l'amministrazione finanziaria dello Stato; resiste
con controricorso il comune di Bologna. Motivi della decisione. — Con unico motivo, denunziandosi
violazione degli art. 16, 18 e 19 1. 22 ottobre 1971 n. 865 con
riferimento ai principi sui limiti della giurisdizione dell'a.g.o., nonché difetto di motivazione si assume che: a) la domanda
proposta in sede di merito rifletteva la tutela del diritto di
zione dei centri abitati effettuata ai sensi dell'art. 18 1. 22 ottobre 1971
n. 865, atto contro il quale si ritiene inammissibile il ricorso, a causa
del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. V. Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 1980, n. 401, Foro it., Rep. 1981, voce Espropriazio ne per p.i., n. 140; 13 giugno 1978, n. 575, id., Rep. 1978, voce cit., n.
127; TA.R. Abruzzo, sede di Pescara, 25 novembre 1980, n. 220, id.,
Rep. 1980, voce cit., n. 178; T.A.R. Piemonte 20 marzo 1979, n. 176,
id., Rep. 1979, voce cit., n. 118; T.A.R. Emilia-Romagna 11 novembre
1976, n. 561, id., 1977, III, 153, con ampia nota di richiami di C. E.
Gallo. Contra, parrebbe, T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, 31 marzo
1981, n. 228, id., 1982, III, 133, a cui dire la perimetrazione disposta in
attuazione dell'art. 18 cit. non esaurisce i suoi effetti con riguardo al
solo evento dell'espropriazione, ma costituisce strumento di regolamen tazione urbanistica locale, correlandosi, quindi, a tipiche situazioni
soggettive di interesse legittimo. L'affermazione è resa, tuttavia, inciden
talmente in una controversia relativa all'impugnazione della delibera di
individuazione degli edifìci particolarmente degradati, agli effetti previsti dall'art. 18 1. 27 luglio 1978 n. 392 sull'equo canone. A questo
proposito, la corte, nella decisione riportata, prende le distanze dalla
fattispecie prevista nell'art. 18 1. 392/78, il quale ha affidato ai comuni
il compito di suddividere in zone il proprio territorio ai fini della
determinazione del coefficiente di ubicazione da utilizzare nel calcolo
del canone di locazione (sul dibattito, tutt'altro che sopito, circa
l'individuazione dell'autorità giudiziaria fornita di giurisdizione in meri
to all'impugnazione della delibera comunale c.d. di zonizzazione, v. da
ultimo T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, 31 marzo 1981, n. 228, cit.,
nonché Cass. 29 ottobre 1980, n. 5809, id., 1981, I, 2524, citata in
motivazione, entrambe con esaurienti note di richiami, cui adde, per un'interessante e piuttosto frequente fattispecie, affine a quella prevista
dall'art. 18 1. 392/78, iPret. Firenze 12 gennaio 1982, id., 1982, I, 1444,
con nota di richiami). Va segnalato infine l'orientamento — solo apparentemente contrario
all'odierna pronuncia — del Consiglio di Stato, che ha ritenuto la
propria giurisdizione in ordine ad impugnative di perimetrazione di
centri abitati adottate dai comuni in attuazione della 1. 765/67, avendo
tali atti lo scopo e il carattere di regolamentazione urbanistica locale
cui sono ricollegabili situazioni soggettive di interesse legittimo (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 17 maggio 1974, n. 331, id., Rep. 1974, voce
Edilizia e urbanistica, n. 201; 29 ottobre 1971, n. 935, id., Rep. 1971,
voce cit., n. 346; 17 novembre 1970, n. 940, id., Rep. 1970, voce Piano
regolatore, n. 85. Sul punto v., in termini espliciti, la motivazione di
Cons. Stato, sez. IV, 13 giugno 1978, n. 565, cit., in extenso in Cons.
Stato, 1978, 995, spec. 997).
proprietà sull'area leso dalla stima dell'U.t.e., la quale trovava soltanto un presupposto nel provvedimento comunale di delimita zione del centro edificato. Tale atto, del resto, conteneva un mero accertamento non discrezionale e non comportava alcun affievola mento del diritto del proprietario, onde la causa rientrava nella
giurisdizione dell'a.g.o.; b) erroneamente la corte d'appello ha rilevato la mancata tempestiva impugnazione del suddetto provve dimento comunale, giacché l'interesse ad impugnarlo era sorto soltanto con il procedimento di espropriazione e con il relativo atto di stima.
Le riassunte censure sono fondate nei termini che sono precisati dalle seguenti considerazioni.
Il problema di giurisdizione riproposto in questa sede non ha
perso la sua rilevanza in seguito alla sent. n. 5/80 della Corte costituzionale (Foro it., 1980, I, 273) che ha dichiarato la illegitti mità dell'art. 16, 5°, 6° e 7° comma, 1. 22 ottobre 1971 n. 865, cui faceva riferimento il testo originario dell'art. 18, nel riconoscere ai comuni il potere di delimitazione dei centri abitati, in quanto l'art. 1 della sopravvenuta 1. 29 luglio 1980 n. 385 ha previsto in
materia, fino all'entrata in vigore di apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime, un'indennità provvisoria da determi narsi secondo criteri che egualmente presuppongono l'accennata delimitazione ai sensi dell'art. 18 1. n. 865/71.
Ciò premesso, recita l'art. 18 cit.: « Entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni, ai fini dell'applicazione del precedente art. 16, procedono alla delimi tazione dei centri edificati con deliberazione adottata dal consiglio comunale .., Il centro edificato è delimitato per ciascuno centro o nucleo abitato, dal perimetro continuo che comprende tutte le aree edificate con continuità ed i lotti interclusi. Non possono essere compresi nel perimetro dei centri edificati gli insediamenti
sparsi e le aree esterne, anche se interessate dal processo di urbanizzazione ».
In primo luogo deve escludersi che la norma de qua abbia attribuito al consiglio comunale un potere discrezionale circa la delimitazione delle aree comprese nei centri edificati.
Esula dalla disciplina giuridica qualsiasi valutazione di pubblici interessi la cui cura sia stata affidata all'ente territoriale, giacché la
p.a. si limita ad operare, giusta la chiara formulazione della
norma, una ricognizione della situazione di fatto. Né può correttamente discorrersi neppure di discrezionalità
tecnica della p.a., la quale presuppone pur sempre una scelta che l'autorità amministrativa deve compiere sulla base di dati tecnici.
Quando invece l'agire dell'amministrazione è rigidamente vincolato all'accertamento tecnico, manca la possibilità stessa di un giudizio circa la scelta da operare in concreto e quindi viene meno la nozione stessa della discrezionalità e non rimane altro che l'atto
puramente ricognitivo che integrando la stima dell'indennità di
esproprio che lo presuppone, ad essa è intimamente coordinata nell'ambito del procedimento espropriativo in cui si contende circa la tutela del diritto dell'espropriato ad un'indennità conforme a
quella rigidamente prevista dalla legge.
Deve inoltre escludersi che, pur trattandosi di attività vincolata di carattere ricognitivo, la p.a. si proponga di realizzare attraverso l'adozione dei relativi atti la cura di determinati interessi pubblici con il conseguente affievolimento del diritto soggettivo dell'espro priato.
Questa corte, invero, ha si ammesso che la vincolatezza dell'a zione amministrativa non depone senz'altro in favore della esisten za di un diritto soggettivo, ben potendo anche l'attività vincolata della p.a. essere rivolta a realizzare immediatamente interessi di natura pubblicistica, ma il principio è valido ed operante quando si tratta in realtà di azione amministrativa che si risolva nella
emanazione di un provvedimento. Nel caso di specie si è invece in presenza di atti meramente
ricognitivi, la cui funzione si svolge e si esaurisce all'interno dei
procedimenti di espropriazione che interesseranno in futuro le aree
coinvolte (in senso positivo o negativo) dell'atto de quo. E se nel
procedimento espropriativo tutta l'attività amministrativa (compre sa quella degli U.t.e. e delle commissioni previste rispettivamente dalle 1. 1971 n. 865 e 1977 n. 10) che attiene alla determinazione
dell'indennità di esproprio rientra nella giurisdizione dell'a.g.o.
perché riflettente la tutela immediata del diritto soggettivo ad un
giusto indennizzo secondo i criteri previsti in maniera precisa dalla legge, ne consegue che anche l'atto di delimitazione di cui si
contende rientra nei poteri di cognizione del giudice ordinario.
L'atto è quindi soggetto al controllo di legittimità dell'a.g.o., così come del resto quest'ultima opera allorché controlla la legittimità
degli altri atti amministrativi che attengono alla stima dei beni
espropriati.
Il risultato cui si è pervenuti è coerente con quanto le sezioni
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PARTE PRIMA 2148
unite hanno già statuito a proposito della deliberazione comunale
con cui viene attuata, ai sensi dell'art. 18 1. 27 luglio 1978 n. 392, la perimetrazione in zone del territorio comunale e vengono
individuati, all'interno di queste, gli edifici o comparti di edifici
particolarmente degradati ai fini della determinazione dei
coefficienti per il calcolo dell'equo canone.
In questa ipotesi infatti — e diversamente dal caso che
interessa il presente giudizio — le sezioni unite hanno rilevato la
esistenza di un potere discrezionale della p.a. circa la suddivisione del territorio comunale in zone, il quale presuppone valutazioni e
scelte di carattere socio-politico, mancando nella legge una defini
zione precisa e vincolante di centro storico, di periferia, di zone di « pregio particolare » e si è lasciato ai comuni un'ampia sfera di
libertà di determinazione tale da consentire diversità di apprezza mento e di applicazioni in funzione della pianificazione territoriale
che ciascun comune si è data o intende darsi (nella motivazione, sent. 29 ottobre 1980, nn. 5808 e 5809, id., Rep. 1980, voce
Locazione, n. 546 e id., 1981, I, 2524). Mentre in tal caso si tratta di integrazione autoritativa a cura
della p.a. di contratti privati di locazione, non dissimile da quanto avviene in tutti i casi in cui la p.a. interviene di autorità per
disciplinare determinati prezzi attraverso l'azione del CIP (su cui eli. la sentenza di queste sezioni unite 1° ottobre 1982, n. 5030, id.,
1982, I, 2424) e dove la situazione soggettiva degli interessati si
esaurisce nella titolarità di un interesse legittimo nei rapporti con
l'autorità amministrativa, nel caso de quo invece l'atto di delimita zione del centro edificato è strettamente connesso con i (futuri)
procedimenti espropriativi, per i quali è previsto espressamente dalla legge in funzione di una legittima determinazione dell'inden
nità.
Esso quindi attiene ad una materia nella quale sono individuabi li nel privato espropriato posizioni di diritto soggettivo, spettando al medesimo il diritto alla indennità di esproprio secondo i criteri e nella misura rigidamente previsti dalla legge nel suo interesse
(cfr. in tal senso Cons. Stato, sez. IV, 13 giugno 1978, n. 565, id.,
Rep. 1978, voce Espropriazione per p.i., n. 127; 15 aprile 1980, n.
401, id., Rep. 1980, voce cit., n. 140, e per l'affermazione secondo
cui, trattandosi di atto ohe ha l'esclusivo fine di consentire la deter
minazione dell'indennità di esproprio, non è autonomamente im
pugnabile, sez. IV 26 settembre 1980, n. 950, ibid., voce Giu
stizia amministrativa, n. 347). Quanto procede vale anche a superare la obiezione della difesa
del comune secondo cui la impugnativa dell'atto di delimitazione
ex art. 18 1. 1971 n. 865 avrebbe dovuto in ogni caso proporsi nei
termini di decadenza previsti dalla legge nei confronti degli atti
amministrativi, trattandosi di atto che integra i singoli procedimen ti espropriativi all'esclusivo fine di consentire la determinazione
della indennità di esproprio con effetti incidenti unicamente sul
diritto degli espropriandi all'ottenimento di una esatta indennità
(cosi Cons. Stato, sez. IV, 13 giugno 1978, n. 565). Pertanto
l'interesse alla impugnativa non può insorgere che nel momento in
cui sulla base dell'atto in questione la stima è stata effettuata, onde l'unico termine rilevante ai fini della esperibilità della
impugnazione non può essere che quello previsto dall'art. 19 1.
865/71, entro cui deve proporsi dal proprietario espropriato la
opposizione alla stima.
In definitiva, il ricorso deve essere accolto, con la conseguente cassazione dell'impugnata sentenza ed il rinvio ad altro giudice che si designa in altra sezione della Corte d'appello di Bologna che, nel decidere la controversia, applicherà il seguente principio di diritto: « Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la
cognizione della impugnativa proposta dal proprietario dell'immo
bile espropriato ex art. 19 1. n. 865/71, il quale in sede di
opposizione alla stima della indennità di espropriazione contesti la
legittimità della deliberazione con la quale, ai sensi dell'art. 18
della detta legge, il consiglio comunale abbia proceduto alla
delimitazione dei centri edificati ai fini dell'applicazione del
precedente art. 16 (ora dell'art. 1 1. n. 385/80) onde stabilire i
criteri di determinazione'dell'indennità ». {Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 7 maggio
1983, n. 3130; Pres. Rubinacci, Est. Panzarani, P.M. Benanti
(conci, conf.); Marcoccia (Aw. Prosperetti) c. Soc. Prealpi
(Aw. Bartuli, Campanale, Grasso). Cassa Trib. Varese 14
febbraio 1980.
Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Dichiarazio
ne di incostituzionalità — Conseguenze (L. 20 maggio 1970
n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori,
della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di
lavoro e norme sul collocamento, art. 7, 18).
A seguito della sentenza n. 204 del 30 novembre 1982, con cui la
Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dei primi
tre comma dell'art. 7 /. 20 maggio 1970 n. 300, interpretati nel
senso che essi siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari,
per i quali non siano espressamente richiamati dalla normativa
legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro,
deve considerarsi illegittimo il licenziamento in tronco intimato
in base a una clausola contrattuale (nella specie, art. 45 c.c.n.l.
per i dipendenti da industrie alimentari) che ne consente
l'irrogazione senza l'osservanza delle garanzie imperativamente
previste dall'art. 7 e devono ritenersi applicabili a tale fattispe
cie le disposizioni contenute nell'art. 18 l. n. 300/70 concernenti
l'ordine di reintegrazione e il risarcimento del danno. (1)
II
PRETURA DI PARMA; sentenza 25 giugno 1983; Giud. M. De
Luca; Bronzoni (Avv. Petronio) c. Soc. Comsa (Avv. Pi
nardi, Fratta).
Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Garanzie pro
cedurali — Dichiarazione di incostituzionalità — Conseguenze
(L. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7). Lavoro (rapporto) — Dirigenti — Licenziamento disciplinare
intimato senza le garanzie procedurali — Conversione in li
cenziamento « ad nutum » — Ammissibilità (Cod. civ., art. 1418,
1424, 2118).
A seguito della sentenza n. 204 del 30 novembre 1982, con cui la
Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dei primi
tre comma dell'art. 7 l. 20 maggio 1970 n. 300, interpretati nel
senso che essi siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari,
per i quali non siano espressamente richiamati dalla normativa
legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro, le
garanzie procedurali stabilite da tali disposizioni sono diretta
mente applicabili ad ogni licenziamento per mancanze, motivato
da colpa del lavoratore, ditalché, indipendentemente dall'esisten
za di una disciplina legislativa o collettiva che lo qualifichi come disciplinare, il licenziamento intimato senza l'osservanza
del predetto procedimento è nullo per violazione di norme
imperative di legge ai sensi dell'art. 1418, 1° comma, c.c. (2)
(1-2) Le sentenze riportate contribuiscono ad individuare la reale
portata della dichiarazione di incostituzionalità dei primi tre comma dell'art. 7 1. n. 300/70 e pongono in luce gli sviluppi interpretativi della situazione normativa prodottasi a seguito della sent. n. 204 del 30
novembre 1982, Foro it., 1982, I, 2981, con nota di richiami e
osservazioni di G. Silvestri, con cui la Corte costituzionale ha
pronunciato l'illegittimità delle predette disposizioni, interpretate nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari, per i quali non siano espressamente richiamate dalla normativa legislativa, colletti va o validamente posta dal datore di lavoro.
Il terna è consapevolmente affrontato dalla decisione del Pretore di
Parma, che, con ampiezza e rigore di argomentazioni, si prefigge di
dissipare l'equivoco di una possibile lettura limitativa e fuorviarne della sent. n. 204/82 e di ricondurre il fulcro del nuovo assetto normativo nell'area delle stesse disposizioni imperative di legge dettate dall'art. 7, recidendo il nesso con le previsioni della contrattazione collettiva, alla
quale è negata qualsiasi funzione mediatrice ai fini dell'applicazione delle garanzie procedurali. In ugual senso v. Pret. Parma 18 maggio 1983, giud. M. De Luca, Manco c. Soc. Diaspron, inedita. Per una lucida e articolata analisi critica della decisione della Corte costituziona
le, con risultati coincidenti con quelli della sentenza riportata sub II, v. M. De Luca, I licenziamenti disciplinari dopo l'intervento della Corte costituzionale: profili sistematici e prospettive, id., 1983, I, 855.
Nel caso deciso dalla sent. n. 3130/83, riportata sub I, la questione relativa all'ambito di operatività delle garanzie procedurali, definibile alla luce della recente pronuncia della Corte costituzionale, si poneva in termini del tutto diversi in quanto il contratto collettivo applicabile nella specie prevedeva espressamente la mancanza addebitata al lavora tore come specifica causa giustificativa del licenziamento in tronco, senza però prescrivere l'osservanza del procedimento stabilito dall'art. 7 1. n. 300/70. Tuttavia, pur esulando dal thema decidendi, la Cassazione non ha mancato di rilevare che, per effetto della dichiarazione di incostituzionalità dei primi tre comma dell'art. 7, « al licenziamento disciplinare debbono in ogni caso applicarsi le forme procedimentali che garantiscono la difesa dell'incolpato quale che sia la previsione, in particolare, della contrattazione collettiva » : se poi si considera che nella motivazione della sentenza in epigrafe è anche precisato che « la pronuncia della Corte costituzionale ... perviene quindi, nella affermata necessità dell'osservanza di un basilare principio di coerenza tra le parti di cui si compone l'ordinamento giuridico, a riconoscere nei confronti della più grave delle sanzioni disciplinari... l'imprescindibile diretta operatività della tutela legale, rimuovendo — come detto — la
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