sezioni unite civili; sentenza 12 aprile 1985, n. 2412; Pres. Barba, Est. Sammartino, P. M. SgroiV. (concl. conf.); Palumbo (Avv. Bernardini) c. Min. grazia e giustizia ed altri. Cassa Consigliosup. magistratura, sez. disciplinare, 16 febbraio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 11 (NOVEMBRE 1985), pp. 2941/2942-2949/2950Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180040 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ne la parte contumace non si profila neppure, alla medesima
conclusione si deve essere indotti in quella, del tutto analoga,
prevista dal successivo art. 303 c.p.c., allorché l'iniziativa per il
ripristino del procedimento viene assunta da unia parte estranea
all'evento interruttivo. Invero quando il processo, interrotto per la
morte di una delle parti, prosegua nei confronti degli eredi
(mediante spontanea costituzione degli stessi ovvero per mezzo
della riassunzione), non si fa luogo alla costituzione di un nuovo
processo fra soggetti diversi ma si ha soltanto una successione
degli eredi nella qualità di parte; sicché permangono, nella nuova
fase, tutti gli effetti processuali e sostanziali del rapporto origina rio.
Né può indurre a diversa opinione il disposto dell'art. 125, 3°
comma, disp. att. c.p.c., secondo cui « la comparsa (di rias
sunzione del processo) è notificata a norma dell'art. 170 del
codice ed alle parti non costituite deve essere notificata per sonalmente ». È opportuno ricordare che l'istituto della rias
sunzione ha un contenuto molto ampio, poiché si riferisce
non solo alla interruzione del processo per una delle cause di
cui agli art. 299 ss. c.p.c., ma comprende tutti i casi in
cui occorra adire il giudice competente (art. 30 e 50 c.p.c.)
oppure 'rimediare ad ikiattìvità in cui le parti siamo incorse (art. 307 c.p.c.). Ne segue che in alcuni oasi, diversi da quello connesso alla interruzione, l'atto riassuntivo imparta un radicale
mutamento della preesistente situazione processuale, di cui il
contumace deve essere reso evidentemente edotto perché l'avere
accettato la precedente, e deciso la non partecipazione al giudizio, non consente minimamente di presumere che intenda mantenere la
stessa condotta nella nuova. Quindi il contenuto della norma in
esame, che si riferisce genericamente ad ogni possibile atto
riassuntivo disciplinandone le modalità, non contraddice quanto è
stato ritenuto ed affermato in tema di riassunzione a seguito d'interruzione.
In definitiva l'impugnata sentenza va cassata, con rinvio della
causa ad altra sezione della stessa corte d'appello, che si1 atterrà
al seguente principio di diritto:
« L'atto riassuntivo del processo dopo l'interruzione dovuta a
morte di una delle parti, di cui all'art. 303 c.p.c., va notificato
■agli eredi della parte defunta ed alile parti1 costituite in giudizio, ma non anche a quelle rimaste contumaci ». (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; seotenea 12
aprite 1985, n, 2412; Pres. Barba, Est. Sammartino, P. M.
Sgroi V. (conci, conf.); Palumbo (Avv. Bernardini) c. Min.
grazia e giustizia ed altri. Cassa Consiglio sup. magistratura, sez. disciplinare, 16 febbraio 1983.
Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro
magistrati — Decreto di fissazione dell'udienza orale —
Termini — Legittimità — Fattispecie (D.p.r. 16 settembre
1958 n. 916, disposizioni di attuazione e di coordinamento
della 1. 24 marzo 1958 n. 195, art. 59; 1. 3 gennaio 1981 n.
1, modificazioni alla 1. 24 marzo 1958 n. 195 ed al d.p.r. 16
settembre 1958 n. 916, art. 12, 13). Ordinamento giudiziario
— Procedimento disciplinare contro
magistrati — Istruttoria sommaria — Delega del procuratore
generale a sostituto procuratore generale — Legittimità (R.d.
30 gennaio 1941 n. 12, ordinamento giudiziario, art. 70;
1. 24 marzo 1958 n. 195, norme sulla costituzione e sul
funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, art.
4, 14; d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, art. 59). Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro
magistrati — Difesa dell'incolpato — Divieto al difensore di par
tecipare in istruttoria all'esame testimoniale — Questione manife
stamente infondata di costituzionalità (Costi., art. 3, 24; r.d.l. 31
maggio 1946 n. 511, guarentigie della magistratura, art. 32,
33, 34). Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro
magistrati — Decreto di fissazione dell'udienza orale —
Nullità per incertezza assoluta sui fatti addebitati — Limiti
(Cod. proc. pen., art. 412, 422; r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511,
art. 34). Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro
magistrati — Fase degli atti preliminari — Presentazione di
liste testimoniali ad opera delle parti — Decisione del
presidente della sezione disciplinare — Inimpugnabilità in
Il Foro Italiano — 1985 — Parte I-189.
Cassazione (R.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, art. 33; 1. 4 agosto 1955 n. 848, ratifica ed esecuzione della convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo firmata a Roma il 4 novem
bre 1950, aut. 3 d-, 1. 24 marzo 1958 n. 195, art. 17; djp.r. 16
settembre 1958 n. 916, art. 60). Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro
magistrati — Sentenza — Nullità — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 475, 524).
È pienamente valido, e quindi idoneo ad evitare la preclusione, il
decreto di fissazione dell'udienza orale (il quale ai sensi
dell'art. 12 l. 3 gennaio 1981 n. 1 per i procedimenti disciplina ri in corso deve essere comunicato all'incolpato entro un anno
dall'entrata in vigore della legge) davanti alla sezione di
sciplinare la cui composizione sarebbe poi stata dichiarata
incostituzionale, non essendo in discussione la validità degli atti
compiuti dalla sezione, bensì dell'atto compiuto, nel periodo
degli atti preliminari al dibattimento, dal presidente della
sezione, organo la cui posizione non è stata toccata dalla
pronuncia di incostituzionalità. (1) Nei procedimenti disciplinari riguardanti magistrati, legittimamen
te il procuratore generale presso la Corte di cassazione, in base
al principio dell'unità ed indivisibilità dell'ufficio del pubblico ministero, delega l'istruttoria sommaria ad un sostituto procura tore generale. (2)
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio
nale degli -art. 32, 3" e 5° comma, 33, 3" comma, 34, 2" comma, r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, nella parte in cui, nei procedimen ti disciplinari contro magistrati, impongono all'incolpato di
essere difeso da altro magistrato, escludendo l'assistenza di
un libero professionista e non consentono al difensore di
partecipare nella fase istruttoria all'esame testimoniale, in rife rimento agli art. 3, 24, 2" comma, Cost. (3)
Non vi è nullità, ai sensi dell'art. 412 c.p.p. applicabile, in forza dell'art. 34, 3" comma, r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511 anche al
processo disciplinare nei confronti dei magistrati, del decreto
con cui il presidente della sezione disciplinare fissa il giorno della discussione orale, quando l'addebito sia fatto in modo
non specifico ovvero omettendo elementi non essenziali, quando
l'irregolarità non comporta incertezza assoluta sui fatti e non
toglie all'incolpato la possibilità di difendersi su ogni punto
rilevante. (4)
(1) In ordine ai termini di decadenza introdotti dall'art. 12 1. 1/81 cfr. Cass. 18 ottobre 1984, n. 5252, »n questo fascicolo, I, 2978, con nota
di richiami. Corte cost. 10 maggio 1982, n. 87, cui si fa riferimento in moti
vazione e nella massima, leggesi in Foro it., 1982, I, 1495, con nota di
richiami ed osservazioni di Pizzorusso.
(2) Non si rinvengono precedenti editi sulla questione specifica. Per
l'infondatezza delia questione di costituzionalità dell'art. 70 r.d. 12/41,
per il quale i procuratori generali presso la Corte di cassazione e
presso le corti d'appello, gli avvocati generali presso le sezioni distac
cate di corte d'appello ed i procuratori della repubblica presso i
tribunali esercitano le loro funzioni personalmente o per mezzo dei
dipendenti magistrati addetti ai rispettivi uffici, in riferimento agli art.
101, 2° comma, 107, 3° e 4° comma, Cost., v. Corte cost. 16 marzo
1976, n. 52, Foro it., 1976, I, 894, commentata da Daga, in Giur.
costit., 1976, I, 561. Sui rapporti all'interno dell'organizzazione del p.m. v. pure Cass. 5 luglio 1979, Noto, Foro it., Rep. 1981, voce Azione
penale, n. 5. In dottrina, cfr., da ultimo, Guarnieri, Pubblico ministero
e sistema politico, 1984, e, con particolare riferimento alle linee di
riforma del codice di procedura penale, Porqueddu, Il giudice e il
pubblico ministero nel processo penale. Prospettiva accusatoria e notal
gie di inquisizione, in Questione giustizia, 1984, 109.
(3) In termini, per la manifesta infondatezza della questione di
oostituzionalità relativa alla riserva a magistrati della difesa dell'in
colpato davanti alia sezione disciplinare, v. Cass. 20 aprile 1978, n.
1889, Foro it., 1978, I, 1102, con nota di richiami, commentata da
Zorzi Giustiniani, in Giur. it., 1979, I, 1, 293, e per quella concernente
la partecipazione della difesa all'esame testimoniale, nella fase istruttoria,
v. Cass. 22 giugno 1977, n. 2634, Foro it., 1978, I, 155, con nota di
richiami. In tema di difesa davanti alla sezione disciplinare del Consiglio supe
riore della magistratura, v. pure Cass. 14 novembre 1981, n. 6036,
id., Rep. 1982, voce Ordinamento giudiziario, n. 65, la quale ha esclu
so che l'incolpato possa farsi assistere da due magistrati, integrando l'art. 34, 2° comma, r.d.l. 511/46 una deroga all'ult. comma dell'art.
125 c.p.c. circa l'assistenza in giudizio di due difensori.
In dottrina v. Izzo, Il problema della difesa nel giudizio disciplina
re, in Quaderni giustizia, 1983, fase. 24, 44.
(4) Suila necessità di sopperire alla incompleta tipioizzazione norma
tiva delle varie fattispecie che possano dar luogo ad illecito disciplina
re, con una rigorosa e circostanziata indicazione, nella contestazione
dell'addebito, della specifica natura della condotta e del profilo sotto
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2943 PARTE PRIMA 2944
Non è ricorribile alle sezioni unite civili della Cassazione il
provvedimento (decreto motivato) con cui il presidente della
sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nel periodo degli atti preliminari, decide su presentazione di
liste testimoniali ad opera delle parti, sia che si chieda la
riassunzione di testi già sentiti in istruttoria, sia di nuovi testi,
potendo le parti reiterare istanza al dibattimento, sulla quale la
sezione dovrà decidere con ordinanza. (5) È affetta da nullità, denunciabile in Cassazione, la sentenza della
sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura che sia motivata sulla base di deposizioni testimoniali istrutto
rie non rinnovate nel dibattimento o delle quali non sia stata
data lettura. (6)
Svolgimento del processo . — (Omissis). Ricorre Palumbo per i
seguenti motivi:
1) Nullità della sentenza impugnata: l'azione disciplinare avrebbe potuto essere promossa soltanto dal procuratore gene rale presso la Corte suprema di cassazione in persona, nella sua qualità di pubblico ministero presso La sezióne disciplina re del Consiglio superiore della magistratura, e non, per delega, da un suo sostituto, come nella specie avvenne, con la conseguente nullità di molili degli atti istruttori compiuti e della stessa « ri
chiesta di citazione a giudizio », ciò che era stato ritualmente ec
cepito dall'incolpato e che non fu oggetto di alcuna disamina da
parte della sezione (violazione degli art. Ill Cost., 185, n. 2, c.p.p. 4, ult. comma, 1. 3 gennaio 1981 n. 1 e 14, n. 1, 1. 24 marzo 1958 n. 195).
2) Illegittimità costituzionale degli art. 32/3 e 5, 33/3 e 34/2 r.d. lgt. 31 maggio 1946 n. 511, in relazione agli art. 3 e 24/2 Cost., nella parte in cui non consentono o escludono l'assistenza di un difensore che sia un libero professionista (di modo che viene a determinarsi una sperequazione a sfavore dei membri dell'ordine giudiziario rispetto a tutti gli altri cittadini) e, in relazione all'art. 24 Cost., anche nella parte in cui non consento no o escludono, nei confronti del magistrato nominato dall'incol
pato, di partecipare nella fase istruttoria all'esame testimoniale.
3) Nullità assoluta del decreto di fissazione della discussione orale per incertezza assoluta sui fatti addebitati in ordine alla data di commissione ed alle « connotazioni e circostanze almeno essenziali » in cui si concretavano (violazione degli art. 111 Cost., 475, n. 3, e 524, n. 3, 'in relazione all'art. 412 c.p.p.).
4) La sezione omise di dare lettura, all'udienza del 25 novembre 1983, tenutasi in sua assenza, del suo interrogatorio e di ogni altra dichiarazione da lui resa nel dibattimento e nella
fase istruttoria (violazione degli art. Ill Cost., 475, n. 3, e 524, n.
3, in relazione agli art. 499/2 e 185, n. 3, c.p.c.). 5) La sezione fondò il proprio convicimento di condanna su
deposizioni raccolte nella fase istruttoria ma « non introdotte nel dibattimento per il tramite della lettura » (violazione degli art. Ill Cost., 475, n. 3, e 524, n. 3, c.p.c.).
6) Illegittimamente la sezione, con « ordinanza » 16 febbraio
1983, rigettò la richiesta di assunzione di determinati testi indicati
dall'incolpato e non sentiti in istruttoria e di riesame di quelli già sentiti (violazione degli art. 6, n. 3, lett. d, della convenzione
cui la stessa viene addebitate, in modo che possa essere agevolmente individuato dall'incolpato il particolare ed esatto aspetto sotto cui la sua oondotta dovrà essere vagliata, v. Cass. 14 aprile 1984, n. 2411, Foro it., 1984, I, 1206, con nota di richiami.
Sulla natura non tipizzata e sugli estremi integranti l'illecito disci plinare di cui all'art. 18 r.d.l. 511/46 v., da ultimo, Cass. 28 marzo 1985, n. 2181, che segue.
Sulla applicabilità al procedimento disciplinare contro i magistrati delle disposizioni del c.p.p. v., da ultimo, Cass. 20 maggio 1985, n. 3091, in questo fascicolo, I, 2925, con nota di richiami.
Sulle linee di riforma dal procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati v. Rubrica parlamentare, a cura di R. .'Moretti, in Foro it., 1985, V, 104-106.
(5-6) Circa l'ammissione di testi nel procedimento disciplinare contro magistrati cfr., richiamate in motivazione, Cass. 22 giugno 1977, n. 2634, Foro it., 1978, I, 155, con nota di richiami, che ha cassato la decisione della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura dalla cui motivazione risultava che il convincimento del giudice si era formato in base a deposizioni testimoniali istruttorie non rinnovate nel dibattimento e dopo aver respinto, con inadeguata motivazione, la richiesta dell'incolpato di sentire uno o più testimoni escussi in istruttoria e Cass. 20 aprile 1978, n. 1889, ibid., 1102, con nota di richiami, che ha ritenuto valida la deposizione resa in istruttoria, previo giuramento del teste senza assistenza del difensore, osservando però che il teste cosi escusso può essere nuovamente sen tito nel dibattimento.
Il Foro Italiano — 1985.
europea dei diritti dell'uomo, 24/2 Cost, e 185, n. 2, in relazione all'art. 524, n. 3, c.p.p.).
7) La sezione avrebbe dovuto dichiarare estinto il procedimento
per decorso del termine di un anno entro di quale avrebbe
dovuto essere comunicato all'incolpato il decreto di fissazione
della discussione orale. Il termine decorreva dal 20 gennaio 1981
Nella specie il decreto era stato comunicato il 6 ottobre 1982 —
per l'udienza 18 febbraio 1983 — ed a nulla rilevava il precedente decreto comunicato il 30 novembre 1981 per l'udienza del 26
febbraio 1982, in quanto con esso si era intimato a Palumbo di
presentarsi ad un giudice la cui composizione era stata nel
frattempo dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 87/82 >(Foro it., 1982, I, 1495) (vffloiaziianie dell'art.
59/9 d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916 come sostituito dall'art. 12 1.
3 gennaio 1981 n. 1 in relazione all'art. 524, n. 3, c.p.p.).
8) a) difetto di motivazione quianto alla determinazione della
sanzione principale; b) analogo difetto quanto all'inflizione della
pena accessoria.
9) Omessa e contraddittoria motivazione: a) la sezione motivò basandosi soltanto sulle dichiarazioni, deposizioni e lettere contra
rie all'imputato, senza che fossero tenute in alcun modo presenti quelle a lui favorevoli, riguardo alle quali essa si limitò « assur damente » a dire che non annullavano né bilanciavano le prime e che « ogni teste riferisce la propria specifica esperienza, che ben
può essere diversa da quella vissuta da un altro »; ti) la sezione
ignorò le giustificazioni date da Palumbo: quanto al rifiuto di trasmette alla procura gli atti istruttori (perché quei magistrati trattenevano gli atti nel proprio ufficio « anche per anni, con
serio e positivo pericolo di far cadere i processi in prescrizio ne »); quanto al comportamento del presidente del tribunale e
degli altri magistrati nei confronti di Palumbo e quanto alla
richiesta di applicazione di altri giudici all'ufficio istruzione (il
Conisiiglo superiore della magistratura aveva, per il 1979, aderito alla richiesta assegnando il dott. Marangoni), ufficio del cui carico Ila sezione omise di accertare l'entità al fine di valutare se fosse
eccessiva la neazitonie opposta dall'incolpato « alla sordità dell'am biente »; c) il difetto di motivazione sarebbe assoluto sull'affer mazione di responsabilità quanto all'addebito sub c), tacendo la sentenza sull'esiisiteinza « di azioni concretamente e positivamente dirette alila redazione e pubblicazione dì notizie e commenti » e ancor più sulle prove della paternità degli1 articoli pubblicati'».
10) Difetto di motivazione sulla sussistenza dell'elemento psi cologico.
Il ministero di grazia e giustizia non si è costituito.
Motivi della decisione. — I motivi del ricorso vanno esaminati,
per ragioni di pregiudizialità o preliminairità, nel seguente ordine:
7) estinzione del procedimento; 1) promuovimento dell'azione
disciplinare; 2) difensore non avvocato; 3) contestazione dell'ac
cusa; 6) provvedimento di rigetto dell'istanza di audizione e riaudizione di testi al dibattimento; 4) omessa lettura dell'interro
gatorio nel dibattimento; 5) deposizioni testimoniali istruttorie non introdotte in dibattimento tramite lettura; 9) difetto di moti
vazione quanto alla sussistenza dei fatti addebitati; 10) difetto di motivazione alla sussistenza dell'elemento psicologico; 8) difet to di motivazione sulla scelta delle sanzioni.
7) - Questo motivo è infondato.
A norma dell'art. 59 d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, 6" e 9"
comma, introdotti dall'art. 12 1. 3. gennaio 1981 n. 1: a) l'azione
disciplinare non può essere promossa dopo un anno dal giorno in cui il ministro o il procuratore generale hanno avuto notizia del fatto che forma oggetto dell'addebito disciplinare; b) il procedi mento disciplinare si estingue (sempre che l'incolpato vi consenta) quando non siano osservati i termini entro i quali deve essere
comunicato all'incolpato il decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare (un anno dall'inizio del procedi mento) e dev'essere pronunciata la sentenza (due anni dalla
predetta comunicazione).
A norma, poi, del successivo art. 13 i termini previsti dall'art. 12 decorrono dalla data di entrata in vigore della legge stessa
(pubblicata nella G.U. del 5 gennaio 1981) «per i fatti per cui non risulti ancora promossa l'azione disciplinare o per i quali sia in corso il procedimento disciplinare ».
Infine, a norma del 7° comma del medesimo art. 59 (introdotto
pure dalla ciit. 1. n. 1/81) In combinato disposto con 1 comma 2°, 3° e 4" ed in relazione all'art. 14, n. 1, 1. n. 195 del 24 marzo 1958, l'inizio del procedimento è determinato a tutti gli effetti dalla richiesta rivolta dal ministro al procuratore generale di iniziare l'azione disciplinare ovvero dalla richiesta di istruttoria formale, o dalla comunicazione di voler procedere con istruzione sommaria,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
indirizzate al Consiglio superiore della magistratura dal procura tore generale che intenda promuovere l'azione indipendentemente dalla richiesta del ministro (la richiesta e la comunicazione ri
volta dal procuratore generale al Consiglio superiore della ma
gistratura dopo la richiesta del ministro trova un procedimento
già iniziato). Da tali disposizioni si deduce che — dn sostanza — la 1. n.
1/81, accanto a quelle, tra le formule terminative previste dal
codice di procedura penale che sono compatibili e con la natura
del processo disciplinare, e, per la fase di chiusura dell'istruzione, con l'art. 33/2 r.d. Igt. n. 511/46 (non farsi1 luogo a devio al
dibattimento perché dalle prove risultano esclusi gli addebiti) ne
ha introdotta una peculiare di tale tipo di processo, cioè l'dm
promuovibilità dell'azione disciplinare per la decadenza di cui al
cit. 6° comma (non doversi procedere perché l'azione penale non
avrebbe potuto essere iniziata) e l'improseguibilità della medesima
azione per l'estinzione del procedimento di cui al cit. 9° comma
(non doversi procedere perché l'azione disciplinare non può essere proseguita).
Nella specie, poiché è certo che il procedimento e l'azione
disciplinare ebbero inizio anteriormente alla data di entrata in
vigore della 1. n. 1/81, e quindi (ormai salva la ritualità di
promuovimento dell'azione) il procedimento era da considerarsi
in corso, da quella data era computabile il termine per la
comunicazione del decreto e dalla data di tale comunicazione il
successivo termine della pronuncia della sentenza. E poiché è
altrettanto certo che il decreto di fissazione della discussione
orale fu emesso il 30 novembre 1981 e comunicato all'incolpato il
18 dicembre 1981 (entro un anno dall'entrata in vigore della
legge) e la sentenza fu pronunciata il 25 novembre 1983 (entro i
successivi due anni) il procedimento non si era estinto.
Né rileva la considerazione che quel decreto fissasse il dibatti
mento al 26 febbraio 1982 avanti ad una sezione disciplinare la
cui composizione sarebbe stata di li a qualche mese riconosciuta
illegale (in base alla sent. n. 87/82 con cui la Corte costituzionale
avrebbe dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 23/2 1.
n. 195/58, come sostituito dall'art. 2 1. n. 695/75, nella parte in cui prevedeva che i posti riservati ai magistrati di cassazione
potessero essere assegnati a magistrati che avevano conseguito la
relativa nomina senza però esercitare le rispettive funzioni) per ché — e non è necessario porsi il problema dell'influenza della
declaratoria d'illegittimità sulla validità di atti compiuti anterior
mente alla pubblicazione di detta sentenza — non è qui in
discussione la validità degli atti compiuti dalla sezione, bensì' la
validità di un atto — decreto di fissazione dell'udienza dibatti
mentale — compiuto, nel periodo degli 'affi' preliminari al
dibattimento, dal presidente della sezione, organo la cui posizione non fu toccata dalla pronuncia d'incostituzionalità. 11 decreto era
quindi pienamente valido e affatto idoneo a evitare la preclusione.
1) Anche questo motivo è infondato.
Per il combinato disposto degli art. 4 (già modificato dall'art. 1
1. 18 dicembre 1967 n. 1198) e 14 1. 24 marzo 1958 n. 195 (che ha
sostituito l'art. 27 — « Titolarità dell'azione disciplinare » — del
r.d. Igt. n. 511/46) e 59 — « Azione disciplinare » — del d.p.r. 16
settembre 1958 n. 916 il procuratore generale presso la Corte
suprema di cassazione esercita le funzioni di pubblico ministero
presso la sezione disciplinare.
Nessuna disposizione esiste nell'intera materia disciplinare da cui
possa desumersi, esplicitamente o implicitamente, che il legislatore abbia voluto derogare al principio generale contenuto nell'ordina
mento giudiziario (r.d. 30 gennaio 1941 n. 12) per cui il
procuratore generale della repubblica presso la Corte suprema di
cassazione — cosi come i procuratori generali della repubblica
presso le corti d'appello, gli avvocati generali presso le sezioni
distaccate delle stesse corti e i procuratori della repubblica presso i
tribunali — « esercitano le loro funzioni personalmente o per mezzo dei dipendenti magistrati addetti ai rispettivi uffici » (art.
70). A tale principio generale la legge deroga espressamente in casi
particolari. Infatti l'art. 81, col 1" comma, rinvia, ad es., all'art.
96 per indicare chi dei magistrati del p.m. deve intervenire alle
assemblee generali, mentre, nel 2° comma, non fa nessuna
distinzione tra i magistrati quanto all'esercizio delle attribuzioni
conferite in materia disciplinare, ed in esso significativo è anzi il
riferimento generico, alle funzioni e non al grado, dell'espressione « pubblico ministero ».
Il richiamo al principio dell'unità e indivisibilità dell'ufficio del
p.m. basta, pertanto, a dirimere la questione sollevata da questo motivo con cui il ricorrente, dato per pacifico che l'azione
Il Foro Italiano — 1985.
disciplinare fu promossa dal procuratore generale in persona, lamenta solo che l'istruttoria sommaria fosse delegata a un
sostituto procuratore generale. Peraltro nulla ha a che fare con
detto principio la non delegabilità delle funzioni di componente di
diritto del Consiglio superiore della magistratura attribuite al
procuratore generale della Cassazione, funzioni che non rientrano
tra quelle proprie del p.m. e che sono a lui — e al primo
presidente della stessa corte — attribuite piuttosto in considera
zione della loro posizione al vertice dell'intero ordine e dell'auto
rità e prestigio che da tale posizione loro deriva.
2) Questione manifestamente infondata sotto entrambi i profili.
A) Sotto il primo — divieto fatto all'incolpato di nominarsi un
difensore che non sia un magistrato — queste sezioni unite si
sono ripetutamente pronunciate (tra le altre: nn. 413/69, id.,
1969, I, 588, e 1889/78, id., 1978, I, 1102) e a fondamento della
statuizione di manifesta infondatezza — su cui questo collegio non può non aderire — si è osservato: a) che il principio dell'inviolabilità del diritto di difesa in giudizio (come la stessa
Corte costituzionale ha più volte precisato: sent. nn. 16/70, id.,
1970, I, 698; 119/75 e 162/75, id., 1975, I, 1910 e 2426) non è
garantito dalla Costituzione (art. 24) in modo assoluto e indistin
to, ma, purché ne venga mantenuta la sua funzione essenziale,
può essere regolato dal legislatore ordinario in modo diverso per essere adattato alle esigenze ed alle particolari caratteristiche dei
singoli procedimenti; b) che detto principio, e quello di ugua
glianza di cui all'art. 3 Cost., non sono minimamente violati
quando, come nella specie, alla diversa disciplina legislativa
(difesa non affidata ad un avvocato) corrisponde una diversità
delle condizioni soggettive ed oggettive cui le norme si riferiscono
(struttura e funzione proprie del procedimento disciplinare a
carico dei magistrati, natura dei beni protetti); c) che il diritto di
difesa dell'incolpato è adeguatamente assicurato mediante l'assi
stenza di un altro magistrato di grado non inferiore a consigliere di corte d'appello, il quale non solo ha cultura giuridica ed
esperienza professionale all'altezza del compito, ma è anche
soggetto particolarmente qualificato a cogliere e integrare i valori
tutelati dalla fattispecie configurata dall'art. 18 r.d. Igt. n. 511/46, in cui la tipicità dell'illecito è alquanto attenuata; d) che
l'affidamento della difesa tecnica ad altro magistrato è giustificata anche dalla considerazione del contributo che lo stesso magistrato
incolpato può apportare alla propria difesa (sez. un. n. 2634, cit.).
Né ha fondamento l'obiezione del ricorrente per cui è « indub
bio che le tecniche e le dialettiche difensive sono precipuo
patrimonio degli avvocati e non dei magistrati » ed è evidente « la sperequazione che viene a determinarsi a sfavore dei membri
dell'ordinamento giudiziario rispetto a tutti gli altri cittadini »: al
contrario, la cultura deve considerarsi patrimonio comune ad
entrambe le categorie, mentre le capacità dialettica ed oratoria
sono attributi personali che giocano al momento della scelta del
difensore, sia egli un avvocato o un magistrato.
Nemmeno è fondata l'altra obiezione per cui la nomina di un
difensore/avvocato permetterebbe di mantenere quella linearità e
coerenza di difesa che viene rotta quando al difensore/magistrato della fase di merito si sostituisce, nella fase di legittimità, un
difensore/avvocato (art. 82/3 c.p.c. e 33 r.d.l. 27 novembre 1933
n. 1578): l'eventualità di tale sostituzione (comune al rito penale: art. 529 e 536 c.p.c.) sussisterebbe ugualmente se nella prima fase
fosse nominato un avvocato; essa è una delle caratteristiche del
procedimento di cassazione e, per le ragioni anzidette, è in armonia
col principio di cui all'art. 24/2 Cost.
B) Quanto al secondo profilo — divieto per il difensore
dell'incolpato di partecipare agli esami testimoniali nella fase
istruttoria — la giurisprudenza delle sezioni unite e della stessa
Corte costituzionale è ormai ferma nel ritenere che già rispetto all'istruttoria penale, dove deriva dal disposto dell'art. 304 bis
c.p.p., tale divieto manifestemente non si pone in contrasto
con l'art. 24 Cost, per la duplice considerazione che esso trova
giustificazione in esigenze del sistema inquisitorio, cui l'istruttoria
è informata nel nostro attuale ordinamento, e che, d'altronde, non
pregiudica definitivamente la difesa dell'imputato giacché la dispo sizione orale viene, di regola, ripetuta, o, col consenso delle parti, letta nel successivo dibattimento in cui l'imputato è assistito dal
difensore.
La regola non può non valere anche per il procedimento
disciplinare per il rinvio operato — nei limiti della compatibilità — dagli art. 32/3 e 34/3 r.d.lgt. n. 511/46 alle norme che regolano
l'istruttoria e il dibattimento nel procedimento penale. E la
compatibilità — è stato pure detto — non può essere esclusa per il solo fatto che, a norma dell'art. 32/5, i testi sono sentiti,
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2947 PARTE PRIMA 2948
nell'istruttoria disciplinare, previa prestazione del giuramento. Questa norma speciale non consente, da un lato, di parificare tale
situazione a quella dei testi sentiti a futura memoria nell'istrutto
ria penale, nel qual caso l'assistenza del difensore è ritenuta
necessaria (dato che questa necessità consegue non alla prestazio ne del giuramento in sé ma all'esigenza di assicurare all'imputato
quella difesa che altrimenti verrebbe definitivamente a mancare
non potendo la testimonianza essere ripetuta in dibattimento, dove
l'imputato è difeso) e non esclude, dall'altro, che i testi escussi in
istruttoria siano nuovamente sentiti al dibattimento, come — a
parte l'applicabilità di altre norme, quali gli art. 415, 420 e 439
c.p.p., di cui infra — espressamente prevede l'art. 33/3 che
conferisce al presidente della sezione la relativa facoltà (in tal
senso: Conte cost. nn. 63 e 64/72, id., 1972, I, 1154; sez. un. nn.
2634/77, id., 1978, I, 155, e 1889/78, edit.).
3) La contestazione dell'accusa è cardine essenziale del pro cesso penale, tanto che l'art. 421 c.p.p. sanziona di nullità il
decreto di citazione a giudizio quando, fra l'altro, vi sia incertez
za assoluta sui fatti che determinano l'imputazione. Poiché questo decreto trova il suo omologo, nel processo disciplinare, nel
decreto con cui il presidente della sezione, su richiesta del p.m. (di rinvio a giudizio dell'incolpato per determinati illeciti) fìssa il
giorno della discussione orale, e pertanto vi è perfetta compatibili tà, l'art. 412 è appttoabBe nel processo dliscipllmare in forza del
rinvio ex art. 34/3 cit., dovendosi1 tra l'altro iWendiere che delle
« norme dei dibattimenti penali », che secondo tale norma si
applicano al processo disciplinare se compatibili con la natura di
questo e con le altre disposizioni dello stesso testo legislativo, facciano parte quelle che regolano la prima fase del dibattimento,
quella dedicata, immediatamente dopo il compimento delle forma
lità di apertura, alla proposizione (e trattazione) di alcune
questioni preliminari. Fra queste certamente rientra, per quanto interessa la fattispecie, la questione della nullità del decreto.
Ma se cosf è, è anche vero che il sistema processuale non
giunge a fare della specificazione e della certezza dei fatti
addebitati un canone assolutamente inviolabile, tanto che della
violazione, sotto questo aspetto, dell'art. 412, permette la sanato
ria, ove non sia dedotta subito dopo compiute per la prima volta
le formalità di apertura del dibattimento, ex art. 422, anch'esso
certamente applicabile al procedimento disciplinare. Non solo, ma
l'art. 412 richiede, per la declaratoria della nullità, che vi sia
incertezza assoluta su quei fatti: non basta, quindi, che l'addebito
sia fatto in modo non specifico ovvero omettendo elementi non
essenziali (quale, di regola, la data) quando l'irregolarità non
toglie all'imputato la possibilità di difendersi su ogni punto rilevante. In sostanza la legge prevede la sanatoria (ed esclude
perciò l'insanabilità rilevabile di ufficio in ogni stato e grado, sancita dall'art. 185/2 c.p.p., nel testo sostituito dall'art. 6 1. n.
534/77) anche in caso di incertezza assoluta sui fatti che
determinano l'imputazione, e ciò evidentemente in considerazione
della possibilità di ovviare a tale incertezza in dibattimento nel
gioco dialettico tra accusa e difesa e attraverso le deposizioni dei
testi e la lettura degli atti sui punti rilevanti e specifici, e,
soprattutto, nella sentenza, attraverso quella determinazione fattua
le che sarà elemento fondamentale e imprescindibile della con
danna, pena la nullità da far valere con l'impugnazione. Nella specie, in cui l'incolpato propone tempestiva eccezione,
non può parlarsi di incertezza assoluta sui fatti che determinano
l'incolpazione. Si attribuì a Palumbo un comportamento perduran te nel tempo, riferito all'epoca in cui egli era giudice istruttore al
Tribunale di Ascoli, estrinsecatosi in diversi episodi, anche se non
minutamente elencati, ai quali si dava rilevanza disciplinare sotto il profilo (specificato) che esso aveva cagionato nell'ambiente
giudiziario, con gli avvocati (chiaramente sottintendendosi con la
generalità di essi) e con i colleghi (aggiungendosi che si trattava
in particolare dei colleghi del p.m.) un clima di tensione e di
intralcio nella conduzione dei procedimenti (capo b). Con ciò si dava dei fatti addebitati un profilo se non esauriente
e completo, almeno sufficiente ad ovviare alla mancanza di
tipizzazione degli illeciti disciplinari propria della norma che li
riassume in breve formula (art. 18 r.d.lgt. n. 511/46; esigenza di
integrazione sottolineata dalla costante giurisprudenza di questa corte: tra le altre: n. 943/77 id., Rep. 1977, voce Ordinamento
giudiziario, n. 113) intendendosi incolpare Palumbo di avere, determinando quel clima di tensione e intralciando in quel modo
la conduzione degli affari, mancato ai propri doveri di correttezza
e compromesso il prestigio dell'ordine giudiziario. Lo stesso dicasi per l'addebito di cui al capo c): coltivare una
violenta campagna di stampa ingenerando nei non informati la
convinzione — s'intende falsa — che le carenze dell'ufficio
Il Foro Italiano — 1985.
istruzione fossero da attribuire alla colpevole inerzia del presiden te è — nell'intenzione dell'accusatore e salvo a vedere se l'accusa
è fondata e se ricorrono tutti gli altri elementi dell'illecito —
condotta non corretta (e la condotta del magistrato deve essere
sempre corretta) e in quanto tale lesiva del prestigio dell'ordine.
In ogni modo, che la contesto^ione non fosse tote da dair luogo a
incertezza assoluta sui fatti determinanti l'incolpazione, è compro vato dal fatto che Palumbo, nelle numerose memorie difensive e
istanze di vario genere, comprese lunghe liste di testimoni corre
date di specifici articolati capitoli per ognuno, depositate anche al
di fuori delle varie udienze di discussione volta a volta rinviate,
potè controbattere punto per punto proprio quei fatti ed episodi sui quali — salvo, anche qui, a verificare, attraverso il sollecitato
controllo, di cui infra, sulla congruità e correttezza di mo
tivazione, se siano stati legittimamente ritenuti sussistenti dal
giudice di merito — la sezione disciplinare fini per fermare la sua
attenzione e quindi fondare il proprio convincimento. Significativo al riguardo è, ad es., quanto da Palumbo affermato nel ricorso, là
dove lamenta che la sezione, in ordine al comportamento da lui
tenuto nei riguardi del p.m., non tenesse in alcun conto le
giustificazioni da lui fornite in proposito (che essi trattenevano i
processi per anni, ecc.), segno, dunque, che egli si era potuto difendere. Altrettanto dicasi per quanto affermato in ordine ai
rapporti con il presidente e con gli altri magistrati. 6) Neanche questo motivo può accogliersi.
Nel processo disdlpl maire, in punto am tri issatone dì testi dia
sentire in dibattimento, possono distinguersi tre specie di provve dimenti: a) provvedimento ex art. 33/3 r.d.lgt. n. 511/46, con cui
il presidente della sezione disciplinare, nel fissare il giorno della
discussione orale, decide se i testi (ed i periti) sentiti nell'istruzio
ne, o alcuni di essi, debbono essere nuovamente sentiti: esso —
per la forma in cui è emanato, di ufficio, senza che serva a
dirimere alcun contrasto fra istanze di opposti interessati — è un
decreto; per l'art. 148/3, applicabile per il noto rinvio, non è
prescritta la motivazione; con esso il presidente esercita un potere
discrezionale, che però non pregiudica gli interessi delle parti, le
quali potranno sempre sollecitare in senso a loro favorevole i
provvedimenti di seguito indicati; b) provvedimento con cui il
presidente della sezione — nel periodo degli atti preliminari —
decide su presentazione d'i liste 'testimoniali ad opera delle parti, sila
che si chieda la riassunzione di testi già sentiti in istruttoria sia
di nuovi testi: come si ricava dagli art. 415 e 420 c.p.p., pure
applicabili, è un decreto che deve essere motivato; neanch'esso,
però, pregiudica in modo definitivo i diritti delle parti, le quali,
argomentando anche dalla motivazione, potranno sollevare al dibat
timento questione incidentale/preliminare, da decidersi con un
provvedimento del tipo seguente; c) provvedimento, infine, con
cui la sezione disciplinare — in dibattimento — accoglie o
rigetta, totalmente o parzialmente, analoga richiesta di parte:
poiché con esso la sezione decide una questione preliminare, si
tratta certamente di un'ordinanza (combinato disposto degli art.
438/2 — « discussione e decisione delle questioni incidentali » —
e 439/2 — questioni « sull'ammissibilità di testimoni » —) che per l'art. 148/3 deve essere motivata a pena di nullità.
Ora, nella specie, l'impugnazione è rivolta contro un provvedi mento del tipo b) — erroneamente il ricorrente lo qualifica ordinanza — provvedimento che, al pari di quello sub a), non è
ricorribile, alla stregua degli art. 17 1. n. 195/58 e 60 d.p.r. n.
916/58 (che ammettono il ricorso alle sezioni unite civili contro « i provvedimenti in materia disciplinare », cioè contro i provve dimenti con i quali la sezione definisce il giudizio disciplinare) e
non lo sarebbe neanche alla stregua dello stesso codice di
procedura penale (principio della tassatività delle impugnazioni: art. 90) non prevedendone l'art. 420 l'impugnabilità.
Il dubbio si porrebbe semmai quanto al provvedimento del tipo
c) — ordinanza — contro cui l'art. 200 c.p.p. consente la stessa
impugnazione esperibile contro la sentenza definitiva, e il suo
scioglimento non potrebbe non passare attraverso l'indagine della
compatibilità o meno tra i due sistemi d'impugnazione, quello
disciplinare e quello penale, indagine che a sua volta non
potrebbe trascurare il dato per cui nel rito civile, pur non
prevedendosi la ricorribilità di un'ordinanza istruttoria, è sempre ammesso che il ricorso contro una sentenza sia basato sulla
violazione delle norme che regolano l'ammissione della prova
testimoniale, almeno attraverso la deduzione del difetto di motiva
zione su punti sui quali la prova era stata, in ipotesi, dedotta.
Le statuizioni che precedono non contrastano con i precedenti
giurisprudenziali resi sulla medesima questione (sent. sez. un., nn.
2634/77, id., 1978, I, 155, e 1889/78, cit.). Infatti, nella prima, si
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ammette, di un provvedimento con cui la sezione disciplinare aveva nella specie esaminata rigettato la richiesta fatta in dibatti
mento dall'incolpato per la riassunzione di testi, la ricorribilità nei
limiti in cui ne era dedotto il difetto di motivazione in una
all'illegalità dell'avere la sezione fondato il convincimento di
colpevolezza su deposizioni rese in istruttoria. Si tratta chiarissi
mamente di un'ordinanza (e non di un semplice decreto) dibatti
mentale. Nella seconda si ribadisce lo stesso principio con riguar do ad un provvedimento con cui la sezione, e non il presidente, aveva deciso su di un'analoga istanza dell'incoipato: indubbiamente
anche qui si tratta di un'ordinanza dibattimentale.
Quanto, infine, all'art. 6 della « convenzione (europea) per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali », resa esecutiva con 1. 4 agosto 1955 n. 848, che al punto 3 d)
prescrive che ogni accusato ha il diritto, tra l'altro, a far
interrogare i testi a carico e ad ottenere la convocazione di quelli a discarico, esso non è invocato a proposito, sia perché il sistema
sopra delineato lungi dal negare quel diritto semplicemente ne
regola l'esercizio, sia perché il provvedimento di cui si deduce
l'illegittimità — non impugnabile neanche unitamente alla sen
tenza — non è, come si è detto, idoneo a comprometterlo,
potendo l'istanza essere reiterata al dibattimento, sfcché il diritto
riceve la massima tutela proprio quando il giudizio perviene alla
fase più importante e decisiva.
4) A norma dell'art. 499 c.p.p., quando si procede (in contumacia o) in assenza dell'imputato è data lettura dell'interro
gatorio dell'imputato medesimo e di ogni altra dichiarazione
ch'egli abbia resa nel procedimento. Ma l'omessa lettura di tali
atti non è prescritta a pena di nullità (Cass. 3 marzo 1970,
Barberio, id., Rep. 1971, voce Contumacia penale, n. 31) — come
accade invece per l'omesso interrogatorio prima del proscioglimen to in istruttoria o del rinvio a giudizio ex art. 376 e 395/4 c.p.p.: sez. un. n. 1889/77 cit. — e pertanto, ai sensi dell'art. 184 c.p.p.,
per cui non v'è nullità se non è comunicata espressamente dalla
legge, il motivo va respinto.
5) 9) Questi motivi vanno esaminati congiuntamente, essendo
connessi.
A) La giurisprudenza di queste sezioni unite ritiene che è
affetta da nullità, denunciabile in Cassazione, la sentenza discipli nare che sia motivata sulla base di deposizioni testimoniali
istruttorie non rinnovate nel dibattimento o delle quali (sia stata
data lettura fuori dei casi consentiti o) non sia stata data lettura
(sent. nn. 2634/77 e 1889/78, cit.). Tale giurisprudenza è peraltro conforme a quella formatasi relativamente alla sentenza penale,
che è ormai consolidata sui seguenti punti: 1) viola i principi fondamentali dell'ordinamento processuale il giudice che pone a
base del proprio giudizio una deposizione testimoniale d'importan
za decisiva resa in istruttoria e che non sia stata neppure letta in
dibattimento, ciò risolvendosi in carenza di motivazione in quanto
il giudizio sarebbe fondato su elementi di prova che per espressa
disposizione di legge non possono essere tenuti in alcuna conside
razione (Cass. 6 febbraio 1962, Badalamenti, id., Rep. 1962, voce
Istruzione penale, n. 52; 9 aprile 1959, Leonforte, id., Rep. 1959,
voce Prova penale, n. 22); 2) la nullità non è sanata dal silenzio
tenuto in dibattimento dalle parti poiché è solo dopo il deposito
della sentenza e attraverso l'esame della motivazione che può
essere rilevata (Cass. 23 febbraio 1961, De Angelo, id., Rep. 1961,
voce Dibattimento penale, n. 53).
Questo indirizzo, contrastato solo da sez. un. n. 413/69 (id.,
1969, I, 588, secondo cui nel procedimento disciplinare i testimo
ni sentiti in istruttoria di regola non vengono sentiti al dibatti
mento, e che denuncia una concezione ingiustificatamente civilisti
ca del rapporto tra fase istruttoria e fase della discussione orale,
essendo la rinnovazione, in questa seconda fase, delle prove
assunte nell'altra solo eventuale nel rito civile, ex art. 281 c.p.c.)
è pienamente condivisibile per la ragione che soltanto in caso
d'incompatibilità si può negare applicazione alle norme del rito
penale, e nella specie si riscontra una perfetta somiglianza di
situazioni del rito disciplinare (testi sentiti in istruttoria senza
assistenza del difensore) col rito penale (testi sentiti in istruttoria
senza assistenza del difensore) piuttosto che col rito civile (testi
sentiti in istruttoria con l'assistenza dei difensori).
Solo può dubitarsi dell'estensibilità del principio all'ipotesi in
cui il giudice dia lettura delle deposizioni testimoniali al di fuori
dei casi consentiti. A tale proposito deve osservarsi, per comple
tezza, che in tale eventualità, non trattandosi, all'evidenza, di
nullità insanabile ex art. 185, 1° e 3° comma, c.p.p. e proprio
perché la parte interessata ha la possibilità di assistere al
compimento dell'atto nullo — e quindi di eccepirne la nullità da
Il Foro Italiano — 1985.
far valere pai con l'impugnazione della sentenza — non po trebbe non avere applicazione l'art. 471 c.p.p. (per cui le
nullità verificatesi nel dibattimento sono sanate se la parte interessata non le ha fatte rilevare, con dichiarazione inserita a
verbale, prima che l'atto sia compiuto o, quando ciò non può
farsi, immediatamente dopo) mentre detta possibilità è esclusa, donde il diritto a far valere la nullità per la prima volta con
l'impugnazione della sentenza, quando il giudice omette la lettura
e quindi viene a mancare il compimento di un atto che è il
presupposto dell'eccepibilità immediata.
Le cit. sent. 2634 e 1889, pur contenendo una formulazione del
principio tale da comprendervi anche l'ipotesi della lettura fatta al
di fuori dei casi consentiti, tuttavia traggono autorità di preceden ti, a leggerle in extenso, dall'applicabilità al più limitato ambito
della fattispecie esaminata, che per entrambe era quella dell'omes
sa lettura e non della lettura irrituale, risolvendosi in obiter quel che del più ampio principio è rimasto inapplicato alla specie.
Lo stesso accade nel presente giudizio in cui, come risulta dal
verbale di dibattimento e come del resto ammesso dalla sentenza
impugnata — che richiama solamente le risultanze dell'istruttoria
e della relazione ispettiva — è pacifico che la sezione trasse il
proprio convincimento in massima parte dalle testimonianze di
persone (Gorga, Testoni, Cataldi, D'Angelo, Capannelli, Romanuc
ci ed altre) delle cui dichiarazioni non era stata data lettura in
dibattimento.
B) Ma oltre che per la violazione di precise garanzie inerenti
all'acquisizione delle prove, la motivazione della sentenza presenta un secondo difetto altrettanto vistoso.
1. - Anzitutto, nel rilevare cìhe a carico di Palumbo esistevano
numerose testimonianze che gli attribuivano « comportamenti cen
surabili » e che « le deposizioni, lettere e dichiarazioni scritte di
segno contrario, pure esistenti, non le annullavano né le bilancia
vano perché ogni testo riferisce la propria specifica esperienza che
ben può essere diversa da quella vissuta da ogni altro », la
sezione incorse in un grave vizio logico in quanto la regola è
riferita a qualsiasi testo e perciò non si concilia con la conte
stualmente affermata prevalenza delle testimonianze a carico, che
resta priva di qualsiasi giustificazione.
2. - In ordine poi, all'affermazione di responsabilità per il capo
b) non può ritenersi adempimento dell'obbligo di una congrua e
oorretta motivazione: a) il semplice accenno ad « 'atteggiamenti po
lemici, non collaborativi ed anche volgari1 », senza spiegane in che
cosa sii facesse consistere l'aspetto reprensibile della polemica e del
la non collaborazione <(iin una all'oggetto di essa) e in che cosa con
sistesse la volgarità; b) la menzione del « contrasto » con il presi
dente del- tribunale « in ordirne al privilegio da accordate al servizio
panale rispetto al civile », senza l'esposizione di circostanze e ra
gioni atte a spiegare che la sezione man intendesse disciplinarmente
riprovevole ili contrasto di opinioni di' per sé solo; c) la menzione
del comportamento tenuto da Palumbo nei confronti dei colleghi del p.m., senza spiegare come si concilia la qualificazione di « non
illegittimo » — cioè conforme a legge — data a tale comporta
mento, con la contestuale opinione della sua « deplorevole finalità
emulatoria » (un comportamento legittimo e legale nella sostanza
può essere disciplinarmente reprensibile nella forma, ma bisogna allora indicarne le ragioni e appoggiarle a risultanze probatorie); d) l'attribuzione a Palumbo di « un linguaggio violento e scurile »,
omettendo di riportarne, magari esemplificativamente, i termini,
senza di che non è possibile in sede di legittimità controllare il
ragionamento seguito dal giudice a quo pur nel rispetto della
valutazione di merito a lui riservate; e) l'accenno ad un'« attività
inquirente informale », senza una parola di chiarimento; /) il
generico aeoenoo all'intervento non gradito di Palumbo ad un'as
semblea di avvocati, senza indicare le circostanze e illustrare le
ragioni per le quali quell'intervento, astrattamente reprensibile, lo
fosse in concreto.
3. - Anche in ordine all'addebito sub e) sono meritevoli di'
accoglimento le doglianze del ricorrente: che non sono indicati i
fatti, le circostanze e le relative fonti probatorie da cui la sezione
desumesse che vi era stata una campagna di stampa « violenta »
contro il presidente del tribunale, che essa era stata « coltivata »
da Palumbo e che con essa si era diffusa la convinzione che al
presidente risalisse la colpa delle carenze dell'ufficio istruzione.
La sentenza deve essere pertanto annullata con rinvio alla
stessa sezione disciplinare che procederà a nuovo esame in un
nuovo giudizio, attenendosi ai principi enunciati.
8) 10) Questi motivi restano assorbiti.
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