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sezioni unite civili; sentenza 12 aprile 1996, n. 3458; Pres. V. Sgroi, Est. Carbone, P.M. Morozzo...

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sezioni unite civili; sentenza 12 aprile 1996, n. 3458; Pres. V. Sgroi, Est. Carbone, P.M. Morozzo Della Rocca (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Bafile, Braguglia) c. Soc. Eurocontrol (Avv. Masnata, E. Romanelli). Cassa App. Genova 28 dicembre 1993 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 5 (MAGGIO 1996), pp. 1599/1600-1605/1606 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190936 . Accessed: 28/06/2014 15:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.109.6.2 on Sat, 28 Jun 2014 15:34:07 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 12 aprile 1996, n. 3458; Pres. V. Sgroi, Est. Carbone, P.M. MorozzoDella Rocca (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Bafile, Braguglia) c. Soc. Eurocontrol(Avv. Masnata, E. Romanelli). Cassa App. Genova 28 dicembre 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 5 (MAGGIO 1996), pp. 1599/1600-1605/1606Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190936 .

Accessed: 28/06/2014 15:34

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1599 PARTE PRIMA 1600

id., Rep. 1992, voce Assicurazione (contratto), n. 145). Con

la stessa sentenza è stato precisato che «questo principio non

trova deroga neppure nel caso in cui la polizza preveda l'esten

sione della copertura assicurativa ai danni causati da sinistri

verificatisi indistintamente sulle aree private perché tale patto è operativo solo nei rapporti tra le parti, cioè tra l'assicurato e l'assicuratore, ma non comporta l'applicabilità della normati

va di cui alla legge sull'assicurazione obbligatoria». L'assicura

zione infatti — come qualsiasi altro contratto — spiega gli ef

fetti esclusivamente tra le parti, le quali unicamente sono legit timate a richiedere l'adempimento delle rispettive obbligazioni

(art. 1372 c.c.). Né può ritenersi che l'interpretazione ponga le norme in con

trasto con gli art. 3 e 24 Cost, (il problema è sollevato nel ricor

so incidentale, ma la corte non può non porselo di ufficio).

L'esigenza di tutela si pone diversamente per la circolazione su

strada e su aree equiparate, rispetto a quella che avviene in aree

esclusivamente private, sicché la diversa regolamentazione del

l'assicurazione, e specificamente dell'azione diretta contro l'as

sicuratore, non presenta alcun carattere di arbitrarietà ed è de

mandata alla discrezionalità del legislatore. L'assenza dell'azio

ne diretta nei confronti dell'assicuratore non incide, inoltre, sul

diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed inte ressi legittimi, assicurato a chiunque dall'art. 24 Cost., dacché non impedisce l'esercizio dell'azione nei confronti del responsa bile del danno, ma semplicemente quella nei confronti di un

soggetto — l'assicuratore — non legato da un rapporto contrat

tuale con il danneggiato.

Occorre, tuttavia, ulteriormente chiarire che, al fine di rico

noscere o meno l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore non devesi fare riferimento al luogo in cui si è verificato l'inci

dente ed il danno, bensì alla natura giuridica del luogo in cui

avviene la circolazione del veicolo produttiva del danno. La pre cisazione assume rilievo allorché un veicolo che circoli su stra

da, invada per un qualsiasi motivo, sia esso volontario o meno

(quale uno sbandamento a causa di eccessiva velocità od altro; una manovra di retromarcia, ecc.), un'area privata, ed ivi ca

gioni il danno (investendo una persona, danneggiando un mez

zo che vi si trovi parcheggiato, un qualsiasi altro bene o la stes

sa area privata). Appare ovvio che, in tal caso, l'invasione del

l'area privata, volontaria o meno, si inserisce a pieno titolo

nell'ambito della circolazione su strada o su area equiparata, legittimando il danneggiato all'azione diretta nei confronti del

l'assicuratore.

In applicazione dei suesposti principi, incombeva alla corte

di merito verificare se, benché l'investimento ed il danno si sia

no verificati su un'area privata, quale l'officina, gli stessi siano

derivati dalla circolazione del veicolo (e cioè, in sostanza, se la retromarcia costituiva o meno una fase della circolazione su

strada od area equiparata). Tale accertamento è mancato per effetto dell'erroneo principio affermato, sicché la sentenza im

pugnata dev'essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte

di appello di Milano.

li Foro Italiano — 1996.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 12 aprile 1996, n. 3458; Pres. V. Sgroi, Est. Carbone, P.M. Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato

Bafile, Braguglia) c. Soc. Eurocontrol (Avv. Masnata, E.

Romanelli). Cassa App. Genova 28 dicembre 1993.

Concessioni governative (tassa sulle) — Iscrizione di società nel

registro delle imprese — Tassa annuale — Contrasto con la

normativa comunitaria — Conseguenze (Direttiva 17 luglio 1969 n. 69/335/Cee del consiglio, concernente le imposte in

dirette sulla raccolta di capitali, art. 10, 12; d.l. 19 dicembre

1984 n. 853, disposizioni in materia di imposta sul valore ag

giunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all'am ministrazione finanziaria, art. 3; 1. 17 febbraio 1985 n. 17, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 19 dicembre

1984 n. 853, art. 1). Concessioni governative (tassa sulle) — Tributo riscosso in vio

lazione della normativa comunitaria — Domanda di rimbor

so — Termine triennale di decadenza (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641, disciplina delle tasse sulle concessioni governative, art.

13).

La tassa di concessione governativa per l'iscrizione delle società

nel registro delle imprese, dovuta — ai sensi dell'art. 3 d.l. 19 dicembre 1984 n. 853, convertito nella I. 17 febbraio 1985

n. 17, e successive modificazioni — dalle società per ogni an no solare successivo alla iscrizione, è illegittima per contrasto con gli art. 10 e 12 direttiva 17 luglio 1969 n. 69/335/Cee

del consiglio; l'amministrazione finanziaria è pertanto tenuta a restituirla. (1)

La richiesta di rimborso della tassa di concessione governativa indebitamente pagata deve essere proposta entro il termine di decadenza di tre anni a decorrere dal giorno del pagamen to, previsto dall'art. 13 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641, appli cabile anche nel caso in cui la domanda di rimborso si fondi sull'illegittimità del tributo per contrasto con la normativa comunitaria. (2)

(1) App. Genova 28 dicembre 1993, ora cassata con rinvio, è massi mata in Foro it., Rep. 1994, voce Concessioni governative (tassa sulle), n. 17 ed è annotata da Tiozzo, in Dir. e pratica trib., 1994, II, 54.

In senso conforme, v., per la giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. un., 12 aprile 1996, n. 3457, inedito; 28 dicembre 1994, n. 11230, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 16; 23 novembre 1994, n. 9900, ibid., n. 15, e Società, 1995, 506, con nota di D. Batti, Tassa sulle concessio ni governative: la Cassazione conferma l'illegittimità; 28 marzo 1994, n. 2992, Foro it., 1994, 1. 1743, con nota di richiami; per la giurispru denza di merito, Trib. Bari 10 giugno 1995, Fisco, 1995, 11287; Trib. Brescia 8 giugno 1994, Riv. giur. trib., 1995, 291, con nota di Glendi; Trib. Venezia 12 aprile 1994, ibid., 294; Trib. Roma 11 aprile 1994, Bollettino trib., 1995, 392.

Corte giust. 20 aprile 1993, cause riunite C-71/91 e C-178/91, sulla cui

interpretazione della direttiva 17 luglio 1969 n. 335 le sezioni unite fonda no la conclusione dell'illegittimità della tassa annuale di concessione go vernativa, si legge in Foro it., 1993, IV, 169, con nota di richiami di S. Fortunato.

Sul diverso problema della soggettività passiva delle società fallite (per le quali la espressa previsione di non doverosità del tributo si rin viene solo nella 1. 29 luglio 1988 n. 291), v. Cass. 1° agosto 1994, n. 7163, id., Rep. 1994, voce cit., n. 13, e 26 maggio 1993, n. 5931, id., 1993, I, 2842.

Per ulteriori riferimenti alla dottrina, alla giurisprudenza e agli orien tamenti ministeriali, v. la nota a Corte cost. 24 febbraio 1995, n. 56, id., 1995, I, 737, e la nota a Cass. 28 marzo 1994, n. 2992, cit.

(2) Nessun precedente nella giurisprudenza della Suprema corte per quanto riguarda i termini posti a carico del contribuente che agisce in ripetizione della tassa di concessione governativa riscossa in violazione della normativa comunitaria.

Nel senso dell'operatività del termine triennale per il rimborso delle tasse di concessione governative sul mantenimento dell'iscrizione nel re gistro delle imprese, v. il parere dell'avvocatura dello Stato 1° giugno 1993, n. 63966, Bollettino trib., 1993, 1811; in dottrina, da ultimo, N. De Renzis Sonnino, La tassa di concessione governativa dovuta dalle società per l'iscrizione nel registro delle imprese, in Rass. trib., 1995, 479 ss., spec. 502; per ulteriori riferimenti, cfr. la nota a Cass. 28 marzo 1994, n. 2992, Foro it., 1994, I, 1743, cit.

L'applicazione del termine triennale (in luogo di quello decennale) per i rimborsi de quibus indubbiamente riduce le chances dei contri buenti che, in difetto di previe istanze rivolte all'amministrazione era riale, avevano adito l'autorità giudiziaria forti di Corte cost. 24 feb braio 1995, n. 56 (id., 1995, I, 737, con nota di richiami) che aveva dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 12 d.p.r. 641/72, nella parte in cui non prevedeva, nelle controversie di cui all'art. 11 del medesimo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — La s.p.a. Eurolcontrol, con ci

tazione del 25 luglio 1991, convenne in giudizio innanzi al Tri bunale di Genova, l'amministrazione delle finanze, per ottene

re, previa dichiarazione di incompatibilità con la normativa co

munitaria, il rimborso dell'importo complessivo di lire

25.000.000, pari all'ammontare della somma versata all'erario, quale tassa annuale, o di rinnovo, dell'iscrizione della società

nei registri delle imprese per gli anni 1986/88. L'adito Tribunale di Genova, con sentenza del 24 aprile 1992,

accolse la donanda, condannando il ministero delle finanze alla

restituzione della somma predetta con aggravio degli interessi.

Sul gravame dell'amministrazione soccombente, la Corte d'ap pello di Genova, con sentenza del 28 dicembre 1993, confermò

nel merito la sentenza di primo grado. Secondo i giudici di merito, la domanda di rimborso era me

ritevole di accoglimento in quanto la legislazione nazionale, in

base alla quale era stata pagata la tassa annuale di concessione

governativa, non può trovare applicazione perché contrastante con la direttiva comunitaria n. 335 del 1969, e con l'interpreta zione della stessa, fornita dalla Corte di giustizia della Cee. In

altri termini, trattasi di una remunerazione priva di qualunque nesso con il costo del servizio concretamente reso, sicché il tri

buto ricade sotto il divieto di cui all'art. 10 della direttiva. I giudici di merito hanno altresì respinto l'eccezione di deca

denza per quella parte della domanda avente ad oggetto il rim

borso della tassa pagata per il 1986, escludendo l'erroneità del

pagamento effettuato in presenza di carenza assoluta del potere

impositivo. Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione

l'amministrazione delle finanze, sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la società. L'amministrazione ha de

positato tempestive memorie.

La prima sezione civile di questa corte, presso cui era stato

incardinato il processo, con ordinanza del 1° marzo 1995, ha

rimesso al primo presidente, per l'eventuale assegnazione alle

sezioni unite, la controversia avente ad oggetto la sussistenza o meno dell'obbligo del pagamento della tassa annuale di con

cessione governativa per l'iscrizione delle società nel registro delle

imprese, evidenziando un contrasto interpretativo tra decisioni

che ritengono la tassa dovuta, ed altre sentenze che sostengono,

invece, la non debenza del tributo, in applicazione della disci

plina comunitaria. Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricor

so l'amministrazione censura l'impugnata sentenza per aver ri

tenuto il tributo non dovuto. Sostiene la ricorrente che la tassa

in questione non è stata emessa in carenza di potere impositivo ed è quindi compatibile con il diritto comunitario, in quanto diritto di carattere remunerativo, espressamente fatto salvo dal l'art. 12 della richiamata direttiva, e che comunque l'ammonta

re della tassa è congruo, in considerazione del servizio reso tan

to nell'interesse dei terzi quanto nell'interesse della società. Ag

giunge infine che la predetta impostazione è del tutto conforme

alla decisione della Corte Cee, interpretativa della direttiva, e

che i contribuenti non hanno provato il carattere non remune rativo del servizio reso.

In relazione a quest'ultimo aspetto, la società resistente affer

ma che non sussiste remuneratività, proprio sulla base della le

gislazione più recente con la quale l'amministrazione finanzia

ria, prendendo atto della incompatibilità del tributo, svincolato

dall'effettivo costo del servizio, ha sempre più ridotto l'importo della tassa, eliminando, infine, la periodicità annuale dell'obbli

go di pagamento. La controversia è stata rimessa alle sezioni unite, stante il

contrasto giurisprudenziale sulla debenza del tributo e sulla di

sapplicabilità del diritto italiano rispetto alla normativa comu

nitaria, così come interpretato dalla Corte Cee.

d.p.r., l'esperibilità dell'azione giudiziaria anche in mancanza del pre ventivo ricorso amministrativo. Un recupero di tali chances potrebbe però venire da quella giurisprudenza (v. Comm. trib. II grado Milano

30 marzo 1995, id., 1996, III, 243, con nota di richiami di S. Fortuna

to) che, sulla scorta di Corte giust. 25 luglio 1991, causa C-208/90, Emmott, id., 1993, IV, 324, ha escluso la decorrenza dei termini per adire l'autorità giudiziaria per la tutela di un diritto che trova il suo fondamento nell'ordinamento comunitario — e quindi l'insorgere di pre clusioni — per tutto il periodo antecedente all'entrata in vigore della normativa interna di adeguamento a quella comunitaria.

Il Foro Italiano — 1996.

2. - Il contrasto interpretativo, sorto con particolare riguardo alla richiesta di restituzione della tassa di rinnovo annuale, va

pertanto affrontato anche in questa sede, in quanto la non de

benza dell'imposta in via generale si pone con carattere assor

bente rispetto allo specifico profilo fallimentare. Com'è noto, il conflitto interpretativo concerne l'applicazione della tassa an nuale di rinnovo della concessione governativa per l'iscrizione

delle società di capitali nel registro delle imprese, ed è insorto

a seguito della diversa disciplina adottata dall'ordinamento ita

liano rispetto alla confliggente regolamentazione di diritto co

munitario, contenuta nella direttiva n. 335/69, nonché all'inter

pretazione della stessa fornita da parte della Corte di giustizia Cee con sentenza n. 20 aprile 1993, nelle cause riunite C-71/91

e C-178/91 (Foro it., 1993, IV, 169). Sussistono in proposito profili di contrasto tra diversi indiriz

zi interpretativi, entrambi riscontrabili in decisioni della prima sezione di questa corte. Infatti secondo un primo indirizzo (Cass. 7 agosto 1994, n. 7163, id., Rep. 1994, voce Concessioni gover native (tassa sulle), n. 13; 26 maggio 1993, n. 5931, id., 1993, I, 2842), la tassa annuale di concessione governativa, dovuta

sia dalle società che dalle eventuali curatele fallimentari delle

stesse, sebbene non in via prededuttiva, per le annualità prece denti alla dichiarazione di apertura della procedura concorsua

le, non lo sarebbe anche per quelle successive, ma solo a far

tempo dallo ius superveniens di cui alla 1. 29 luglio 1988 n. 291.

Al contrario, secondo un altro, più recente indirizzo, diffuso

si in tema di restituzione del predetto tributo, la tassa in que stione non sarebbe in nessun caso dovuta (Cass. 28 dicembre

1994, n. 9900, id., Rep. 1994, voce cit., n. 15; 23 dicembre 1994, n. 11230, ibid., n. 16; 28 marzo 1994, n. 2992, id., 1994, I, 1743), in quanto l'imposizione ex lege dell'obbligo di paga mento pone il tessuto normativo italiano in contrasto con il

diritto comunitario, quale risultante dalla direttiva n. 335/69, nonché dalla sentenza della Corte di giustizia Cee in data 20

aprile 1993, interpretativa della direttiva stessa.

Il problema viene in rilievo soprattutto come obbligo del pa gamento della tassa da parte delle società, che viene in primo

piano nelle controversie aventi ad oggetto la domanda di resti

tuzione degli importi annuali del tributo fondata sulla base del

contrasto del diritto interno con il diritto comunitario; doman

de di restituzione per lo più accolte dalle corti di merito che

hanno disapplicato le disposizioni di diritto interno impositive della tassa, in conseguenza del riconosciuto contrasto con il di

ritto comunitario (cfr. oltre la sentenza 2992/94 le sentenze n.

7163, la n. 9900 e la n. 11230 tutte del 1994). 3. - Prima di esaminare il contrasto tra diritto comunitario

e diritto interno occorre dar conto del succedersi delle disposi zioni legislative italiane sulla tassa di concessione governativa per l'iscrizione nel registro delle imprese.

L'art. 74 della tariffa allegata al d.p.r. 26 ottobre 1972 n.

641 prevedeva che per la iscrizione degli imprenditori nel regi stro delle imprese dovesse essere versata una tassa il cui am

montare, in seguito agli aumenti apportati alla misura origina

ria, risultava stabilito in lire 81.000 (ottantunomila). Successi

vamente, con l'art. 3, 18° e 19° comma, d.l. 19 dicembre 1984 n. 853 (convertito nella 1. 17 febbraio 1985 n. 17) l'ammontare

della tassa venne fissato in lire 5 milioni per le società per azio

ni, in lire 1 milione per le società a responsabilità limitata ed

in lire 100.000 per tutti gli altri tipi di società, stabilendosi l'ob bligo del versamento della tassa sia per l'iscrizione dell'atto co stitutivo della società, sia per gli anni successivi entro il 30 giu

gno di ciascun anno solare.

Alcuni anni dopo, con successivo d.l. 30 maggio 1988 n. 173, la tassa di iscrizione e quella annuale furono elevate a lire 15

milioni per le società per azioni, a lire 3.500.000 per le società a responsabilità limitata e a lire 500.000 per le società di altro

tipo; la legge di conversione 26 luglio 1988 n. 291 approvò con

modifiche l'art. 8 del suddetto d.l., fissando l'ammontare della

tassa in correlazione con l'entità del capitale sociale delle socie

tà per azioni, secondo un metro di progressività: da lire 9 milio

ni per le società per azioni con capitale da 200 a 499 milioni; fino a lire 120 milioni per quelle con capitale superiore a 10.000

milioni; mentre restò fissata in lire 2.500.000 la tassa per le

società a responsabilità limitata, ed in lire 500.000 per le società

di altro tipo. Il tessuto normativo fu ulteriormente modificato con il d.l.

2 marzo 1989 n. 69, convertito nella 1. 27 aprile 1989 n. 154

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1603 PARTE PRIMA 1604

e la tassa in questione fu stabilita (art. 36, 8° comma) nella

misura di lire 12 milioni per le società azionarie, di lire 3.500.000 per quelle a responsabilità limitata, e di lire 500.000 per le so

cietà di altro tipo. Infine, con il d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modi

fiche nella 1. 8 agosto 1992 n. 359, l'ammontare della tassa fu

ridotto in lire 4 milioni per le società per azioni, in lire 2 milioni per le società a responsabilità limitata ed in lire 500.000 per le società di altro tipo. Il ciclo normativo ha avuto termine con

11 d.l. 30 agosto 1993 n. 331, convertito in I. 29 ottobre 1993

n. 427, allorquando il legislatore con l'art. 61 ha, da un lato, modificato la tassa per l'iscrizione, e, dall'altro, ha provveduto alla definitiva abolizione della successiva tassa annuale sulle so

cietà. La soluzione della soppressione della tassa di concessione

governativa sulle società risulta definitivamente ribadita nell'art.

138 della recente 1. 28 dicembre 1995 n. 549.

4. - Di fronte a questa magmatica situazione normativa di

diritto interno, il diritto comunitario appare orientato per una

scelta univoca, adottata intorno agli anni settanta e proseguita senza oscillazioni di sorta. In materia, la disposizione è costitui

ta dalla direttiva del consiglio Cee del 17 luglio 1969 n. 335, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali. Sin

dalla premessa la direttiva dimostra l'intento di voler interveni

re nella materia dell'imposizione indiretta sulla raccolta di capi tali, al fine di eliminare, attraverso le opportune armonizzazio

ni della legislazione degli Stati membri, le discriminazioni, le doppie imposizioni ed ogni altra disparità che ostacoli la libera

circolazione dei capitali. In particolare, l'art. 10 della direttiva

impone agli Stati membri di non applicare, per quanto riguarda

società, associazioni o persone giuridiche che perseguono scopi di lucro, alcuna imposizione, sotto qualsiasi forma, per l'imma

tricolazione o per qualsiasi altra formalità preliminare di un'at

tività, alla quale una società, associazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro può essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica. Gli Stati membri, ai sensi dell'art.

12 della direttiva, possono tuttavia applicare, in deroga alle di

sposizioni degli art. 10 e 11, diritti di carattere remunerativo.

5. - La direttiva n. 335/69 è stata interpretata dalla Corte

di giustizia Cee, con la sentenza del 2 febbraio 1986 (in causa

36/86). In quella occasione la corte affermò il principio genera le secondo cui gli art. 10 e 12 debbono essere interpretati nel

senso che gli Stati membri non possono esigere dalle società di capitali per le operazioni indicate negli stessi articoli, altri

tributi all'infuori dell'imposta sui conferimenti e sui diritti re

munerativi menzionati nell'art. 12. Nella richiamata successiva

sentenza del 20 aprile 1993 la Corte di giustizia ha inoltre sta

tuito che l'art. 10 della direttiva in questione deve essere inter

pretato nel senso che, fatte salve le disposizioni derogatorie del l'art. 12, deve ritenersi vietato un tributo annuale dovuto in

ragione dell'iscrizione delle società di capitali, anche se il gettito di tale tributo contribuisca al finanziamento del servizio effet

tuato mediane la tenuta del registro in cui sono iscritte le società.

In particolare, «il fatto che il tributo sia dovuto non soltanto

all'atto dell'iscrizione della società, ma anche ogni anno succes sivo non può di per sé sottrarre il tributo stesso al divieto di

cui all'art. 10». Se così non fosse, «ogni diversa interpretazione

priverebbe di efficacia pratica la disposizione dell'art. 10, in

quanto consentirebbe agli Stati membri di imporre alle società

di capitali un onere fiscale annuale il cui unico presupposto è

il mantenimento dell'iscrizione della società» (punto n. 30 della

motivazione). In definitiva, ad escludere l'applicazione dell'art.

10 della direttiva non può bastare una generica correlazione tra

11 gettito del tributo e l'esigenza di finanziamento del servizio.

La direttiva e l'interpretazione che, con le citate sentenze, ne ha dato la Corte di giustizia delle Comunità europee hanno

carattere vincolante per il giudice nazionale italiano e compor tano non l'abrogazione, ma la mera disapplicazione diretta ed

immediata della norma difforme di diritto interno. In ordine

ai rapporti tra diritto comunitario e legge nazionale, va richia

mata la giurisprudenza dei giudici della legge (sentenze 168/91,

id., 1992, I, 2869, e 170/84, id., 1984, I, 2062, della Corte co stituzionale), secondo la quale la normativa comunitaria — co stituita dalla disciplina prodotta dagli organi della Cee median te regolamento e dalle statuizioni risultanti dalle sentenze inter

pretative della Corte di giustizia — tutte le volte che essa soddisfa

il requisito della immediata applicabilità, entra e permane, in

vigore, nel nostro territorio, senza che i suoi effetti siano intac

II Foro Italiano — 1996.

cati dalla legge ordinaria dello Stato. In proposito, gli stessi

giudici delle leggi hanno avuto modo di sottolineare l'esistenza

di un'attività legislativa della Cee, interpretata dalla Corte di

giustizia, avente efficacia all'interno degli Stati membri, con con

seguenti questioni di compatibilità con le norme degli stessi Sta

ti e di disapplicazione della legislazione nazionale, non esclusi

i casi in cui detta attività normativa intervenga in materie, come

quella tributaria, soggette a riserva di legge (sentenze 183/73,

id., 1974, I, 314; e 232/75, id., 1975, I, 2661). 6. - La difesa dell'amministrazione, anche nella discussione

orale, ha sostenuto la sussistenza di un potere impositivo e di

conseguenza la legittimità della tassa controversa, tanto quella di iscrizione che quella annuale successiva, in ragione del costo

del servizio di mantenimento dell'iscrizione della società, servi

zio che, come riconosce la stessa sentenza della Corte di giusti zia nel 1993, viene effettuato «tanto nell'interesse dei terzi quanto nell'interesse delle società medesime» (punto n. 38 della motiva

zione). Ne consegue che, ove la tassa fosse ritenuta non dovuta, in nessuna misura, resterebbe affermata la gratuità del servizio,

gratuità non prevista da nessuna disposizione comunitaria, né

desumibile dalla interpretazione giurisprudenziale della Corte di

giustizia. Inoltre, non avendo i contribuenti provato che l'am

montare della tassa richiesta fosse superiore al costo del servi

zio reso nell'interesse generale e nell'interesse particolare di tut

te le società di capitali, dovrebbe pur sempre calcolarsi un qual che importo della tassa annuale rispondente al criterio della

richiamata remuneratività.

L'argomentazione, già contrastata dalla decisione di questa corte 2292/94, non merita di essere condivisa stante l'incongrui tà dell'importo di una tassa annuale, successiva all'iscrizione, richiesta in misura pari a quella dovuta per la prima iscrizione,

essendo evidente l'insussistenza dei costi affrontati in sede di

tassa annuale di rinnovo, allorché nessun atto societario dev'es

sere depositato all'ufficio competente, al di là della prova del

l'avvenuto pagamento della tassa. Né va dimenticato che oltre

al pagamento della tassa di rinnovo si aggiunge a carico del

contribuente anche il pagamento dei diritti di cancelleria. In

particolare, il preteso carattere remunerativo dell'intera tassa

in questione trova clamorose smentite nella macroscopica spro

porzione tra l'importo della tassa stessa e quello dei diritti ap

plicati negli Stati membri della Comunità per formalità dello

stesso tipo e nel fatto che la tassa si aggiunge ai diritti di cancel leria che vengono riscossi all'atto del deposito dei singoli atti

societari e all'atto dell'ispezione degli stessi. Inoltre, la periodi cità annuale della tassa comporta una reiterazione dell'obbliga zione tributaria connessa alla permanenza dell'iscrizione, non

potendo la tassa annuale essere assimilata ad una tassa di rin

novo dell'atto di iscrizione in quanto l'iscrizione non è soggetta a scadenza. Infine, la determinazione concreta dell'ammontare

della tassa si sottrae ad ogni logica di congruenza tra costo del

servizio ed onere tributario, come è reso palese sia dalla spro

porzione tra l'entità delle tasse gravanti sui vari tipi di società, sia dalle modificazioni succedutesi nel tempo, a breve distanza

l'una dall'altra, prive di qualsiasi razionale spiegazione in ter mini di almeno tendenziale corrispettività.

7. - La difesa dell'amministrazione finanziaria per evitare la

disapplicazione del diritto interno si richiama alla legittimità del

l'imposizione di diritti remunerativi di servizi resi nell'interesse

generale, alla stregua dell'art. 12 della suddetta direttiva comu

nitaria, nel senso che i diritti di carattere remunerativo possono costituire somme riscosse come corrispettivo di operazioni im

poste dalla legge per uno scopo di interesse generale, come per

l'appunto l'iscrizione delle società di capitali ed il successivo

rinnovo annuale dell'iscrizione stessa.

Al riguardo, occorre premettere che per «diritti a carattere

remunerativo» si intendono quelle prestazioni pecuniarie riscos se come corrispettivo di operazioni imposte dalla legge per uno

scopo di interesse generale. Tuttavia, l'entità di tali diritti, che

può variare a seconda della forma giuridica della società, deve

pur sempre essere calcolato in base al costo dell'operazione, anche se determinato in misura forfetaria.

In altri termini, anche nei casi in cui possa risultare difficile la determinazione del costo dell'operazione, sì da dover ricorre

re ad una determinazione forfetaria, quest'ultima va compiuta con criteri di assoluta ragionevolezza, prendendo in considera

zione, segnatamente, il numero e la qualifica delle persone ad

dette, il tempo da queste impiegato, nonché i costi materiali

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Page 5: sezioni unite civili; sentenza 12 aprile 1996, n. 3458; Pres. V. Sgroi, Est. Carbone, P.M. Morozzo Della Rocca (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Bafile, Braguglia) c.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

della singola operazione, tenendo ovviamente distinto l'importo

della prima iscrizione da quello dei successivi rinnovi annuali

dell'iscrizione medesima.

Nella fattispecie in esame si riscontra, al contrario, una re

munerazione, la cui entità è priva di qualunque nesso con il

costo del servizio concretamente reso; anzi, essa appare calcola

ta in funzione non del costo dell'operazione di cui essa costitui

sce il corrispettivo, bensì, dell'insieme dei costi di gestione e

d'investimento del servizio incaricato di detta operazione. Ne

consegue, pertanto, che la tassa per il rinnovo annuale non può

non essere considerata come un tributo che ricade sotto il divie

to di cui all'art. 10 della direttiva, con conseguente disapplica zione della normativa italiana che impone la suddetta tassa sul

rinnovo annuale dell'iscrizione delle società.

Del resto, la stessa successiva abrogazione del tributo e la

sua sostituzione con altre entrate tributarie rendono palese che

la contribuzione in esame possedeva tutti i caratteri di una im

posizione sulla ricchezza, in relazione alla quale trovano spiega zione le differenziazioni collegate sostanzialmente alla diversa

entità del capitale delle società che ne sono colpite, considerata

nella sua realtà di indice di capacità contributiva generica. Alla

stregua dei parametri normativi, oggi abrogati, a partire dal

d.l. 173/88, se non già dal d.l. 853/84 viene in rilievo non la retribuzione di un servizio, ma la generica capacità contributiva

della società, nella misura in cui è resa manifesta dall'entità

del capitale sociale, non meno che dalla configurazione giuridi ca della stessa e, a tacer d'altro, la sedes materiae e cioè la

normativa in materia di imposta o concernente «misure urgenti

in materia di finanza pubblica o per il risanamento della finan

za pubblica». 8. - Non può essere, infine, condivisa la tesi proposta in via

subordinata dall'amministrazione che, partendo dal carattere non

gratuito del servizio, afferma che, anche disattendendosi l'am

montare richiesto, dovrebbe pur sempre calcolarsi un qualche

importo della tassa annuale rispondente al criterio della remu

neratività del servizio.

In contrario, non può non rilevarsi come la modificazione

della struttura del tributo e la riduzione dell'ammontare dello

stesso entro i limiti compatibili con la disciplina comunitaria, in tema di diritti remunerativi, non può essere il frutto di un'o

perazione ermeneutica ed anzi esula dai poteri del giudice ordi

nario, appartenendo per intero alla discrezionalità del legislato

re, come tale sottratta anche al sindacato di legittimità del giu

dice delle leggi (art. 28 1. cost. 11 marzo 1953 n. 87). 9. - Con il secondo motivo l'amministrazione delle finanze

censura l'impugnata sentenza per non aver accolto l'eccezione

di decadenza in violazione dell'art. 13, 2° comma, d.p.r. 641/72,

in relazione al rimborso della tassa pagata relativamente al 1986.

I giudici del merito hanno superato la proposta eccezione di

intervenuta decadenza per il solo anno 1986, ritenendo non per

tinente l'ipotesi dell'errore, in quanto il pagamento non sarebbe

erroneo, in mancanza di falsa rappresentazione della realtà di

fatto o di diritto, ma si tratterebbe di carenza assoluta del pote

re impositivo da parte dello Stato nazionale di fronte alla pree sistente legislazione comunitaria.

Al contrario, secondo la ricorrente nella disciplina dell'art.

13 vanno ricomprese tutte le tasse erroneamente pagate, quale

che sia la causa dell'erroneo pagamento, e quindi anche quelle

in esame.

La censura è fondata e come tale meritevole di accoglimento. Nel vigente sistema tributario la restituzione delle tasse erronea

mente pagate è soggetta alla decadenza triennale dal giorno del

pagamento, ed a tale regime sfugge la tassa in esame, trattan

dosi di disapplicazione del diritto interno, per contrasto con

il prevalente ordinamento comunitario che, però, non comporta

né l'abrogazione, né l'incompatibilità della legge italiana. In particolare, sui limiti al diritto di restituzione della tassa

erroneamente pagata ha già avuto modo di pronunciarsi la Cor

te costituzionale, con sentenza 24 febbraio 1995, n. 56 (id., 1995, I, 737). dichiarativa dell'illegittimità costituzionale dell'art. 12

d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641, nella parte in cui non prevede,

nelle controversie di cui all'art 11 del decreto medesimo, l'espe ribilità dell'azione giudiziaria anche in mancanza del preventivo

ricorso amministrativo. Secondo la giurisprudenza costituziona

le la disposizione di cui all'art. 12 mancava di una ratio idonea

a giustificare il limite imposto al principio dell'art. 24 Cost. Lo stesso non può dirsi per la disposizione, avente portata ge

li Foro Italiano — 1996.

nerale, di cui al 2° comma dell'art. 13 che impone un termine

di decadenza di carattere triennale per la restituzione delle tasse

erroneamente pagate, e quindi, indebitamente corrisposte dal

contribuente allo Stato.

La norma, infatti, è formulata in modo tale da ricompredere

tutte le tasse erroneamente pagate, quale che sia la causa del

l'avvenuto indebito pagamento, sicché può riconoscersi che la

disposizione dell'art. 13 stabilisce una decadenza di carattere

generale per ogni domanda di restituzione, in conformità con

l'indirizzo normativo secondo cui le tasse sulle concessioni go

vernative sono sempre state soggette ad un regime di preclusio

ni, in relazione alle domande di rimborso.

Non è condivisibile la tesi secondo cui, nella fattispecie, il

pagamento non sarebbe erroneo, in quanto non si sarebbe veri

ficato lo stato psicologico di falsa rappresentazione di una real

tà di fatto e di diritto, con efficacia sulla determinazione voliti va, ma sarebbe stato effettuato nella piena consapevolezza e

volontarietà dell'adempimento di una norma tributaria. In altri

termini, la sentenza impugnata non nega l'esistenza dell'errore

sui presupposti dell'obbligazione tributaria che rende il paga

mento effettuato indebito, cioè non dovuto, ma ritiene la deca

denza, pur prevista in generale per ogni indebito, inoperante

di fronte alla illegittimità della norma di imposizione tributaria

confliggente con l'ordinamento comunitario. Esclusa la carenza

di potere tributario e ribadito che il giudice di limita a disappli care il diritto interno confliggente con quello comunitario, il

principio di decadenza, per il ritardo con cui si chiede il rimbor so delle tasse indebitamente o erroneamente pagate, esplica in

tegralmente la sua efficacia, ed è quindi applicabile anche alla

fattispecie in esame.

Alla stregua delle esposte considerazioni il secondo motivo

merita di essere accolto, e la sentenza cassata col rinvio delle

parti innanzi ad altra sezione della Corte d'appello di Genova.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 9 aprile

1996, n. 3276; Pres. Sensale, Est. Berruti, P.M. Delli Pri

scoli (conci, diff.); Scott Paper Company e altri (Avv. D'A

melio, Floridia, Ghtoini, Grande Stevens, Speranza, Tor

tonese) c. Soc. Kaysersberg e altro (Aw. Vanzetti). Confer

ma App. Milano 1° ottobre 1993.

Marchio — Decettività — Nullità — Fattispecie (R.d. 21 giu gno 1942 n. 929, testo delle disposizioni legislative in materia di marchi registrati, art. 11, 18, 47).

Concorrenza (disciplina della) — Concorrenza sleale — Risarci

mento del danno — Pubblicazione della sentenza — Natura

(Cod. civ., art. 2598, 2600).

Sussiste la nullità del marchio per decettività (originaria) del

segno, qualora il messaggio espresso da quest'ultimo vada ol

tre la funzione di identificare correttamente uno specifico pro

dotto da offrire al mercato, attribuendogli un contenuto mer

ceologico inesistente, capace di determinare una scelta distor

ta da parte del consumatore (nella specie, sulla base del

suddetto principio, è stata dichiarata la nullità del marchio «Cotonelle» in quanto idoneo a trarre in inganno il consuma

tore, inducendolo a credere che nel relativo prodotto, di na

tura cartacea, fosse presente cotone). (1)

(1) Una delle norme cui s'affida la disciplina del marchio è il princi

pio di verità negativa, a tenore del quale il segno distintivo è valido

in quanto inidoneo a trarre in inganno il pubblico: in altre parole, la

possibilità di indurre in errore è il limite oltre il quale scatta il sistema

sanzionatorio, «limite che è, in definitiva, la possibilità per il consuma

tore medio di cadere in errore sulle origini e qualità dei prodotti messi

sul mercato e causa dell'equivocità terminologica del marchio con cui

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