sezioni unite civili; sentenza 12 aprile 1996, n. 3458; Pres. V. Sgroi, Est. Carbone, P.M. MorozzoDella Rocca (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Bafile, Braguglia) c. Soc. Eurocontrol(Avv. Masnata, E. Romanelli). Cassa App. Genova 28 dicembre 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 5 (MAGGIO 1996), pp. 1599/1600-1605/1606Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190936 .
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1599 PARTE PRIMA 1600
id., Rep. 1992, voce Assicurazione (contratto), n. 145). Con
la stessa sentenza è stato precisato che «questo principio non
trova deroga neppure nel caso in cui la polizza preveda l'esten
sione della copertura assicurativa ai danni causati da sinistri
verificatisi indistintamente sulle aree private perché tale patto è operativo solo nei rapporti tra le parti, cioè tra l'assicurato e l'assicuratore, ma non comporta l'applicabilità della normati
va di cui alla legge sull'assicurazione obbligatoria». L'assicura
zione infatti — come qualsiasi altro contratto — spiega gli ef
fetti esclusivamente tra le parti, le quali unicamente sono legit timate a richiedere l'adempimento delle rispettive obbligazioni
(art. 1372 c.c.). Né può ritenersi che l'interpretazione ponga le norme in con
trasto con gli art. 3 e 24 Cost, (il problema è sollevato nel ricor
so incidentale, ma la corte non può non porselo di ufficio).
L'esigenza di tutela si pone diversamente per la circolazione su
strada e su aree equiparate, rispetto a quella che avviene in aree
esclusivamente private, sicché la diversa regolamentazione del
l'assicurazione, e specificamente dell'azione diretta contro l'as
sicuratore, non presenta alcun carattere di arbitrarietà ed è de
mandata alla discrezionalità del legislatore. L'assenza dell'azio
ne diretta nei confronti dell'assicuratore non incide, inoltre, sul
diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed inte ressi legittimi, assicurato a chiunque dall'art. 24 Cost., dacché non impedisce l'esercizio dell'azione nei confronti del responsa bile del danno, ma semplicemente quella nei confronti di un
soggetto — l'assicuratore — non legato da un rapporto contrat
tuale con il danneggiato.
Occorre, tuttavia, ulteriormente chiarire che, al fine di rico
noscere o meno l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore non devesi fare riferimento al luogo in cui si è verificato l'inci
dente ed il danno, bensì alla natura giuridica del luogo in cui
avviene la circolazione del veicolo produttiva del danno. La pre cisazione assume rilievo allorché un veicolo che circoli su stra
da, invada per un qualsiasi motivo, sia esso volontario o meno
(quale uno sbandamento a causa di eccessiva velocità od altro; una manovra di retromarcia, ecc.), un'area privata, ed ivi ca
gioni il danno (investendo una persona, danneggiando un mez
zo che vi si trovi parcheggiato, un qualsiasi altro bene o la stes
sa area privata). Appare ovvio che, in tal caso, l'invasione del
l'area privata, volontaria o meno, si inserisce a pieno titolo
nell'ambito della circolazione su strada o su area equiparata, legittimando il danneggiato all'azione diretta nei confronti del
l'assicuratore.
In applicazione dei suesposti principi, incombeva alla corte
di merito verificare se, benché l'investimento ed il danno si sia
no verificati su un'area privata, quale l'officina, gli stessi siano
derivati dalla circolazione del veicolo (e cioè, in sostanza, se la retromarcia costituiva o meno una fase della circolazione su
strada od area equiparata). Tale accertamento è mancato per effetto dell'erroneo principio affermato, sicché la sentenza im
pugnata dev'essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte
di appello di Milano.
li Foro Italiano — 1996.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 12 aprile 1996, n. 3458; Pres. V. Sgroi, Est. Carbone, P.M. Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato
Bafile, Braguglia) c. Soc. Eurocontrol (Avv. Masnata, E.
Romanelli). Cassa App. Genova 28 dicembre 1993.
Concessioni governative (tassa sulle) — Iscrizione di società nel
registro delle imprese — Tassa annuale — Contrasto con la
normativa comunitaria — Conseguenze (Direttiva 17 luglio 1969 n. 69/335/Cee del consiglio, concernente le imposte in
dirette sulla raccolta di capitali, art. 10, 12; d.l. 19 dicembre
1984 n. 853, disposizioni in materia di imposta sul valore ag
giunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all'am ministrazione finanziaria, art. 3; 1. 17 febbraio 1985 n. 17, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 19 dicembre
1984 n. 853, art. 1). Concessioni governative (tassa sulle) — Tributo riscosso in vio
lazione della normativa comunitaria — Domanda di rimbor
so — Termine triennale di decadenza (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641, disciplina delle tasse sulle concessioni governative, art.
13).
La tassa di concessione governativa per l'iscrizione delle società
nel registro delle imprese, dovuta — ai sensi dell'art. 3 d.l. 19 dicembre 1984 n. 853, convertito nella I. 17 febbraio 1985
n. 17, e successive modificazioni — dalle società per ogni an no solare successivo alla iscrizione, è illegittima per contrasto con gli art. 10 e 12 direttiva 17 luglio 1969 n. 69/335/Cee
del consiglio; l'amministrazione finanziaria è pertanto tenuta a restituirla. (1)
La richiesta di rimborso della tassa di concessione governativa indebitamente pagata deve essere proposta entro il termine di decadenza di tre anni a decorrere dal giorno del pagamen to, previsto dall'art. 13 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641, appli cabile anche nel caso in cui la domanda di rimborso si fondi sull'illegittimità del tributo per contrasto con la normativa comunitaria. (2)
(1) App. Genova 28 dicembre 1993, ora cassata con rinvio, è massi mata in Foro it., Rep. 1994, voce Concessioni governative (tassa sulle), n. 17 ed è annotata da Tiozzo, in Dir. e pratica trib., 1994, II, 54.
In senso conforme, v., per la giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. un., 12 aprile 1996, n. 3457, inedito; 28 dicembre 1994, n. 11230, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 16; 23 novembre 1994, n. 9900, ibid., n. 15, e Società, 1995, 506, con nota di D. Batti, Tassa sulle concessio ni governative: la Cassazione conferma l'illegittimità; 28 marzo 1994, n. 2992, Foro it., 1994, 1. 1743, con nota di richiami; per la giurispru denza di merito, Trib. Bari 10 giugno 1995, Fisco, 1995, 11287; Trib. Brescia 8 giugno 1994, Riv. giur. trib., 1995, 291, con nota di Glendi; Trib. Venezia 12 aprile 1994, ibid., 294; Trib. Roma 11 aprile 1994, Bollettino trib., 1995, 392.
Corte giust. 20 aprile 1993, cause riunite C-71/91 e C-178/91, sulla cui
interpretazione della direttiva 17 luglio 1969 n. 335 le sezioni unite fonda no la conclusione dell'illegittimità della tassa annuale di concessione go vernativa, si legge in Foro it., 1993, IV, 169, con nota di richiami di S. Fortunato.
Sul diverso problema della soggettività passiva delle società fallite (per le quali la espressa previsione di non doverosità del tributo si rin viene solo nella 1. 29 luglio 1988 n. 291), v. Cass. 1° agosto 1994, n. 7163, id., Rep. 1994, voce cit., n. 13, e 26 maggio 1993, n. 5931, id., 1993, I, 2842.
Per ulteriori riferimenti alla dottrina, alla giurisprudenza e agli orien tamenti ministeriali, v. la nota a Corte cost. 24 febbraio 1995, n. 56, id., 1995, I, 737, e la nota a Cass. 28 marzo 1994, n. 2992, cit.
(2) Nessun precedente nella giurisprudenza della Suprema corte per quanto riguarda i termini posti a carico del contribuente che agisce in ripetizione della tassa di concessione governativa riscossa in violazione della normativa comunitaria.
Nel senso dell'operatività del termine triennale per il rimborso delle tasse di concessione governative sul mantenimento dell'iscrizione nel re gistro delle imprese, v. il parere dell'avvocatura dello Stato 1° giugno 1993, n. 63966, Bollettino trib., 1993, 1811; in dottrina, da ultimo, N. De Renzis Sonnino, La tassa di concessione governativa dovuta dalle società per l'iscrizione nel registro delle imprese, in Rass. trib., 1995, 479 ss., spec. 502; per ulteriori riferimenti, cfr. la nota a Cass. 28 marzo 1994, n. 2992, Foro it., 1994, I, 1743, cit.
L'applicazione del termine triennale (in luogo di quello decennale) per i rimborsi de quibus indubbiamente riduce le chances dei contri buenti che, in difetto di previe istanze rivolte all'amministrazione era riale, avevano adito l'autorità giudiziaria forti di Corte cost. 24 feb braio 1995, n. 56 (id., 1995, I, 737, con nota di richiami) che aveva dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 12 d.p.r. 641/72, nella parte in cui non prevedeva, nelle controversie di cui all'art. 11 del medesimo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — La s.p.a. Eurolcontrol, con ci
tazione del 25 luglio 1991, convenne in giudizio innanzi al Tri bunale di Genova, l'amministrazione delle finanze, per ottene
re, previa dichiarazione di incompatibilità con la normativa co
munitaria, il rimborso dell'importo complessivo di lire
25.000.000, pari all'ammontare della somma versata all'erario, quale tassa annuale, o di rinnovo, dell'iscrizione della società
nei registri delle imprese per gli anni 1986/88. L'adito Tribunale di Genova, con sentenza del 24 aprile 1992,
accolse la donanda, condannando il ministero delle finanze alla
restituzione della somma predetta con aggravio degli interessi.
Sul gravame dell'amministrazione soccombente, la Corte d'ap pello di Genova, con sentenza del 28 dicembre 1993, confermò
nel merito la sentenza di primo grado. Secondo i giudici di merito, la domanda di rimborso era me
ritevole di accoglimento in quanto la legislazione nazionale, in
base alla quale era stata pagata la tassa annuale di concessione
governativa, non può trovare applicazione perché contrastante con la direttiva comunitaria n. 335 del 1969, e con l'interpreta zione della stessa, fornita dalla Corte di giustizia della Cee. In
altri termini, trattasi di una remunerazione priva di qualunque nesso con il costo del servizio concretamente reso, sicché il tri
buto ricade sotto il divieto di cui all'art. 10 della direttiva. I giudici di merito hanno altresì respinto l'eccezione di deca
denza per quella parte della domanda avente ad oggetto il rim
borso della tassa pagata per il 1986, escludendo l'erroneità del
pagamento effettuato in presenza di carenza assoluta del potere
impositivo. Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione
l'amministrazione delle finanze, sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la società. L'amministrazione ha de
positato tempestive memorie.
La prima sezione civile di questa corte, presso cui era stato
incardinato il processo, con ordinanza del 1° marzo 1995, ha
rimesso al primo presidente, per l'eventuale assegnazione alle
sezioni unite, la controversia avente ad oggetto la sussistenza o meno dell'obbligo del pagamento della tassa annuale di con
cessione governativa per l'iscrizione delle società nel registro delle
imprese, evidenziando un contrasto interpretativo tra decisioni
che ritengono la tassa dovuta, ed altre sentenze che sostengono,
invece, la non debenza del tributo, in applicazione della disci
plina comunitaria. Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricor
so l'amministrazione censura l'impugnata sentenza per aver ri
tenuto il tributo non dovuto. Sostiene la ricorrente che la tassa
in questione non è stata emessa in carenza di potere impositivo ed è quindi compatibile con il diritto comunitario, in quanto diritto di carattere remunerativo, espressamente fatto salvo dal l'art. 12 della richiamata direttiva, e che comunque l'ammonta
re della tassa è congruo, in considerazione del servizio reso tan
to nell'interesse dei terzi quanto nell'interesse della società. Ag
giunge infine che la predetta impostazione è del tutto conforme
alla decisione della Corte Cee, interpretativa della direttiva, e
che i contribuenti non hanno provato il carattere non remune rativo del servizio reso.
In relazione a quest'ultimo aspetto, la società resistente affer
ma che non sussiste remuneratività, proprio sulla base della le
gislazione più recente con la quale l'amministrazione finanzia
ria, prendendo atto della incompatibilità del tributo, svincolato
dall'effettivo costo del servizio, ha sempre più ridotto l'importo della tassa, eliminando, infine, la periodicità annuale dell'obbli
go di pagamento. La controversia è stata rimessa alle sezioni unite, stante il
contrasto giurisprudenziale sulla debenza del tributo e sulla di
sapplicabilità del diritto italiano rispetto alla normativa comu
nitaria, così come interpretato dalla Corte Cee.
d.p.r., l'esperibilità dell'azione giudiziaria anche in mancanza del pre ventivo ricorso amministrativo. Un recupero di tali chances potrebbe però venire da quella giurisprudenza (v. Comm. trib. II grado Milano
30 marzo 1995, id., 1996, III, 243, con nota di richiami di S. Fortuna
to) che, sulla scorta di Corte giust. 25 luglio 1991, causa C-208/90, Emmott, id., 1993, IV, 324, ha escluso la decorrenza dei termini per adire l'autorità giudiziaria per la tutela di un diritto che trova il suo fondamento nell'ordinamento comunitario — e quindi l'insorgere di pre clusioni — per tutto il periodo antecedente all'entrata in vigore della normativa interna di adeguamento a quella comunitaria.
Il Foro Italiano — 1996.
2. - Il contrasto interpretativo, sorto con particolare riguardo alla richiesta di restituzione della tassa di rinnovo annuale, va
pertanto affrontato anche in questa sede, in quanto la non de
benza dell'imposta in via generale si pone con carattere assor
bente rispetto allo specifico profilo fallimentare. Com'è noto, il conflitto interpretativo concerne l'applicazione della tassa an nuale di rinnovo della concessione governativa per l'iscrizione
delle società di capitali nel registro delle imprese, ed è insorto
a seguito della diversa disciplina adottata dall'ordinamento ita
liano rispetto alla confliggente regolamentazione di diritto co
munitario, contenuta nella direttiva n. 335/69, nonché all'inter
pretazione della stessa fornita da parte della Corte di giustizia Cee con sentenza n. 20 aprile 1993, nelle cause riunite C-71/91
e C-178/91 (Foro it., 1993, IV, 169). Sussistono in proposito profili di contrasto tra diversi indiriz
zi interpretativi, entrambi riscontrabili in decisioni della prima sezione di questa corte. Infatti secondo un primo indirizzo (Cass. 7 agosto 1994, n. 7163, id., Rep. 1994, voce Concessioni gover native (tassa sulle), n. 13; 26 maggio 1993, n. 5931, id., 1993, I, 2842), la tassa annuale di concessione governativa, dovuta
sia dalle società che dalle eventuali curatele fallimentari delle
stesse, sebbene non in via prededuttiva, per le annualità prece denti alla dichiarazione di apertura della procedura concorsua
le, non lo sarebbe anche per quelle successive, ma solo a far
tempo dallo ius superveniens di cui alla 1. 29 luglio 1988 n. 291.
Al contrario, secondo un altro, più recente indirizzo, diffuso
si in tema di restituzione del predetto tributo, la tassa in que stione non sarebbe in nessun caso dovuta (Cass. 28 dicembre
1994, n. 9900, id., Rep. 1994, voce cit., n. 15; 23 dicembre 1994, n. 11230, ibid., n. 16; 28 marzo 1994, n. 2992, id., 1994, I, 1743), in quanto l'imposizione ex lege dell'obbligo di paga mento pone il tessuto normativo italiano in contrasto con il
diritto comunitario, quale risultante dalla direttiva n. 335/69, nonché dalla sentenza della Corte di giustizia Cee in data 20
aprile 1993, interpretativa della direttiva stessa.
Il problema viene in rilievo soprattutto come obbligo del pa gamento della tassa da parte delle società, che viene in primo
piano nelle controversie aventi ad oggetto la domanda di resti
tuzione degli importi annuali del tributo fondata sulla base del
contrasto del diritto interno con il diritto comunitario; doman
de di restituzione per lo più accolte dalle corti di merito che
hanno disapplicato le disposizioni di diritto interno impositive della tassa, in conseguenza del riconosciuto contrasto con il di
ritto comunitario (cfr. oltre la sentenza 2992/94 le sentenze n.
7163, la n. 9900 e la n. 11230 tutte del 1994). 3. - Prima di esaminare il contrasto tra diritto comunitario
e diritto interno occorre dar conto del succedersi delle disposi zioni legislative italiane sulla tassa di concessione governativa per l'iscrizione nel registro delle imprese.
L'art. 74 della tariffa allegata al d.p.r. 26 ottobre 1972 n.
641 prevedeva che per la iscrizione degli imprenditori nel regi stro delle imprese dovesse essere versata una tassa il cui am
montare, in seguito agli aumenti apportati alla misura origina
ria, risultava stabilito in lire 81.000 (ottantunomila). Successi
vamente, con l'art. 3, 18° e 19° comma, d.l. 19 dicembre 1984 n. 853 (convertito nella 1. 17 febbraio 1985 n. 17) l'ammontare
della tassa venne fissato in lire 5 milioni per le società per azio
ni, in lire 1 milione per le società a responsabilità limitata ed
in lire 100.000 per tutti gli altri tipi di società, stabilendosi l'ob bligo del versamento della tassa sia per l'iscrizione dell'atto co stitutivo della società, sia per gli anni successivi entro il 30 giu
gno di ciascun anno solare.
Alcuni anni dopo, con successivo d.l. 30 maggio 1988 n. 173, la tassa di iscrizione e quella annuale furono elevate a lire 15
milioni per le società per azioni, a lire 3.500.000 per le società a responsabilità limitata e a lire 500.000 per le società di altro
tipo; la legge di conversione 26 luglio 1988 n. 291 approvò con
modifiche l'art. 8 del suddetto d.l., fissando l'ammontare della
tassa in correlazione con l'entità del capitale sociale delle socie
tà per azioni, secondo un metro di progressività: da lire 9 milio
ni per le società per azioni con capitale da 200 a 499 milioni; fino a lire 120 milioni per quelle con capitale superiore a 10.000
milioni; mentre restò fissata in lire 2.500.000 la tassa per le
società a responsabilità limitata, ed in lire 500.000 per le società
di altro tipo. Il tessuto normativo fu ulteriormente modificato con il d.l.
2 marzo 1989 n. 69, convertito nella 1. 27 aprile 1989 n. 154
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1603 PARTE PRIMA 1604
e la tassa in questione fu stabilita (art. 36, 8° comma) nella
misura di lire 12 milioni per le società azionarie, di lire 3.500.000 per quelle a responsabilità limitata, e di lire 500.000 per le so
cietà di altro tipo. Infine, con il d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modi
fiche nella 1. 8 agosto 1992 n. 359, l'ammontare della tassa fu
ridotto in lire 4 milioni per le società per azioni, in lire 2 milioni per le società a responsabilità limitata ed in lire 500.000 per le società di altro tipo. Il ciclo normativo ha avuto termine con
11 d.l. 30 agosto 1993 n. 331, convertito in I. 29 ottobre 1993
n. 427, allorquando il legislatore con l'art. 61 ha, da un lato, modificato la tassa per l'iscrizione, e, dall'altro, ha provveduto alla definitiva abolizione della successiva tassa annuale sulle so
cietà. La soluzione della soppressione della tassa di concessione
governativa sulle società risulta definitivamente ribadita nell'art.
138 della recente 1. 28 dicembre 1995 n. 549.
4. - Di fronte a questa magmatica situazione normativa di
diritto interno, il diritto comunitario appare orientato per una
scelta univoca, adottata intorno agli anni settanta e proseguita senza oscillazioni di sorta. In materia, la disposizione è costitui
ta dalla direttiva del consiglio Cee del 17 luglio 1969 n. 335, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali. Sin
dalla premessa la direttiva dimostra l'intento di voler interveni
re nella materia dell'imposizione indiretta sulla raccolta di capi tali, al fine di eliminare, attraverso le opportune armonizzazio
ni della legislazione degli Stati membri, le discriminazioni, le doppie imposizioni ed ogni altra disparità che ostacoli la libera
circolazione dei capitali. In particolare, l'art. 10 della direttiva
impone agli Stati membri di non applicare, per quanto riguarda
società, associazioni o persone giuridiche che perseguono scopi di lucro, alcuna imposizione, sotto qualsiasi forma, per l'imma
tricolazione o per qualsiasi altra formalità preliminare di un'at
tività, alla quale una società, associazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro può essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica. Gli Stati membri, ai sensi dell'art.
12 della direttiva, possono tuttavia applicare, in deroga alle di
sposizioni degli art. 10 e 11, diritti di carattere remunerativo.
5. - La direttiva n. 335/69 è stata interpretata dalla Corte
di giustizia Cee, con la sentenza del 2 febbraio 1986 (in causa
36/86). In quella occasione la corte affermò il principio genera le secondo cui gli art. 10 e 12 debbono essere interpretati nel
senso che gli Stati membri non possono esigere dalle società di capitali per le operazioni indicate negli stessi articoli, altri
tributi all'infuori dell'imposta sui conferimenti e sui diritti re
munerativi menzionati nell'art. 12. Nella richiamata successiva
sentenza del 20 aprile 1993 la Corte di giustizia ha inoltre sta
tuito che l'art. 10 della direttiva in questione deve essere inter
pretato nel senso che, fatte salve le disposizioni derogatorie del l'art. 12, deve ritenersi vietato un tributo annuale dovuto in
ragione dell'iscrizione delle società di capitali, anche se il gettito di tale tributo contribuisca al finanziamento del servizio effet
tuato mediane la tenuta del registro in cui sono iscritte le società.
In particolare, «il fatto che il tributo sia dovuto non soltanto
all'atto dell'iscrizione della società, ma anche ogni anno succes sivo non può di per sé sottrarre il tributo stesso al divieto di
cui all'art. 10». Se così non fosse, «ogni diversa interpretazione
priverebbe di efficacia pratica la disposizione dell'art. 10, in
quanto consentirebbe agli Stati membri di imporre alle società
di capitali un onere fiscale annuale il cui unico presupposto è
il mantenimento dell'iscrizione della società» (punto n. 30 della
motivazione). In definitiva, ad escludere l'applicazione dell'art.
10 della direttiva non può bastare una generica correlazione tra
11 gettito del tributo e l'esigenza di finanziamento del servizio.
La direttiva e l'interpretazione che, con le citate sentenze, ne ha dato la Corte di giustizia delle Comunità europee hanno
carattere vincolante per il giudice nazionale italiano e compor tano non l'abrogazione, ma la mera disapplicazione diretta ed
immediata della norma difforme di diritto interno. In ordine
ai rapporti tra diritto comunitario e legge nazionale, va richia
mata la giurisprudenza dei giudici della legge (sentenze 168/91,
id., 1992, I, 2869, e 170/84, id., 1984, I, 2062, della Corte co stituzionale), secondo la quale la normativa comunitaria — co stituita dalla disciplina prodotta dagli organi della Cee median te regolamento e dalle statuizioni risultanti dalle sentenze inter
pretative della Corte di giustizia — tutte le volte che essa soddisfa
il requisito della immediata applicabilità, entra e permane, in
vigore, nel nostro territorio, senza che i suoi effetti siano intac
II Foro Italiano — 1996.
cati dalla legge ordinaria dello Stato. In proposito, gli stessi
giudici delle leggi hanno avuto modo di sottolineare l'esistenza
di un'attività legislativa della Cee, interpretata dalla Corte di
giustizia, avente efficacia all'interno degli Stati membri, con con
seguenti questioni di compatibilità con le norme degli stessi Sta
ti e di disapplicazione della legislazione nazionale, non esclusi
i casi in cui detta attività normativa intervenga in materie, come
quella tributaria, soggette a riserva di legge (sentenze 183/73,
id., 1974, I, 314; e 232/75, id., 1975, I, 2661). 6. - La difesa dell'amministrazione, anche nella discussione
orale, ha sostenuto la sussistenza di un potere impositivo e di
conseguenza la legittimità della tassa controversa, tanto quella di iscrizione che quella annuale successiva, in ragione del costo
del servizio di mantenimento dell'iscrizione della società, servi
zio che, come riconosce la stessa sentenza della Corte di giusti zia nel 1993, viene effettuato «tanto nell'interesse dei terzi quanto nell'interesse delle società medesime» (punto n. 38 della motiva
zione). Ne consegue che, ove la tassa fosse ritenuta non dovuta, in nessuna misura, resterebbe affermata la gratuità del servizio,
gratuità non prevista da nessuna disposizione comunitaria, né
desumibile dalla interpretazione giurisprudenziale della Corte di
giustizia. Inoltre, non avendo i contribuenti provato che l'am
montare della tassa richiesta fosse superiore al costo del servi
zio reso nell'interesse generale e nell'interesse particolare di tut
te le società di capitali, dovrebbe pur sempre calcolarsi un qual che importo della tassa annuale rispondente al criterio della
richiamata remuneratività.
L'argomentazione, già contrastata dalla decisione di questa corte 2292/94, non merita di essere condivisa stante l'incongrui tà dell'importo di una tassa annuale, successiva all'iscrizione, richiesta in misura pari a quella dovuta per la prima iscrizione,
essendo evidente l'insussistenza dei costi affrontati in sede di
tassa annuale di rinnovo, allorché nessun atto societario dev'es
sere depositato all'ufficio competente, al di là della prova del
l'avvenuto pagamento della tassa. Né va dimenticato che oltre
al pagamento della tassa di rinnovo si aggiunge a carico del
contribuente anche il pagamento dei diritti di cancelleria. In
particolare, il preteso carattere remunerativo dell'intera tassa
in questione trova clamorose smentite nella macroscopica spro
porzione tra l'importo della tassa stessa e quello dei diritti ap
plicati negli Stati membri della Comunità per formalità dello
stesso tipo e nel fatto che la tassa si aggiunge ai diritti di cancel leria che vengono riscossi all'atto del deposito dei singoli atti
societari e all'atto dell'ispezione degli stessi. Inoltre, la periodi cità annuale della tassa comporta una reiterazione dell'obbliga zione tributaria connessa alla permanenza dell'iscrizione, non
potendo la tassa annuale essere assimilata ad una tassa di rin
novo dell'atto di iscrizione in quanto l'iscrizione non è soggetta a scadenza. Infine, la determinazione concreta dell'ammontare
della tassa si sottrae ad ogni logica di congruenza tra costo del
servizio ed onere tributario, come è reso palese sia dalla spro
porzione tra l'entità delle tasse gravanti sui vari tipi di società, sia dalle modificazioni succedutesi nel tempo, a breve distanza
l'una dall'altra, prive di qualsiasi razionale spiegazione in ter mini di almeno tendenziale corrispettività.
7. - La difesa dell'amministrazione finanziaria per evitare la
disapplicazione del diritto interno si richiama alla legittimità del
l'imposizione di diritti remunerativi di servizi resi nell'interesse
generale, alla stregua dell'art. 12 della suddetta direttiva comu
nitaria, nel senso che i diritti di carattere remunerativo possono costituire somme riscosse come corrispettivo di operazioni im
poste dalla legge per uno scopo di interesse generale, come per
l'appunto l'iscrizione delle società di capitali ed il successivo
rinnovo annuale dell'iscrizione stessa.
Al riguardo, occorre premettere che per «diritti a carattere
remunerativo» si intendono quelle prestazioni pecuniarie riscos se come corrispettivo di operazioni imposte dalla legge per uno
scopo di interesse generale. Tuttavia, l'entità di tali diritti, che
può variare a seconda della forma giuridica della società, deve
pur sempre essere calcolato in base al costo dell'operazione, anche se determinato in misura forfetaria.
In altri termini, anche nei casi in cui possa risultare difficile la determinazione del costo dell'operazione, sì da dover ricorre
re ad una determinazione forfetaria, quest'ultima va compiuta con criteri di assoluta ragionevolezza, prendendo in considera
zione, segnatamente, il numero e la qualifica delle persone ad
dette, il tempo da queste impiegato, nonché i costi materiali
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della singola operazione, tenendo ovviamente distinto l'importo
della prima iscrizione da quello dei successivi rinnovi annuali
dell'iscrizione medesima.
Nella fattispecie in esame si riscontra, al contrario, una re
munerazione, la cui entità è priva di qualunque nesso con il
costo del servizio concretamente reso; anzi, essa appare calcola
ta in funzione non del costo dell'operazione di cui essa costitui
sce il corrispettivo, bensì, dell'insieme dei costi di gestione e
d'investimento del servizio incaricato di detta operazione. Ne
consegue, pertanto, che la tassa per il rinnovo annuale non può
non essere considerata come un tributo che ricade sotto il divie
to di cui all'art. 10 della direttiva, con conseguente disapplica zione della normativa italiana che impone la suddetta tassa sul
rinnovo annuale dell'iscrizione delle società.
Del resto, la stessa successiva abrogazione del tributo e la
sua sostituzione con altre entrate tributarie rendono palese che
la contribuzione in esame possedeva tutti i caratteri di una im
posizione sulla ricchezza, in relazione alla quale trovano spiega zione le differenziazioni collegate sostanzialmente alla diversa
entità del capitale delle società che ne sono colpite, considerata
nella sua realtà di indice di capacità contributiva generica. Alla
stregua dei parametri normativi, oggi abrogati, a partire dal
d.l. 173/88, se non già dal d.l. 853/84 viene in rilievo non la retribuzione di un servizio, ma la generica capacità contributiva
della società, nella misura in cui è resa manifesta dall'entità
del capitale sociale, non meno che dalla configurazione giuridi ca della stessa e, a tacer d'altro, la sedes materiae e cioè la
normativa in materia di imposta o concernente «misure urgenti
in materia di finanza pubblica o per il risanamento della finan
za pubblica». 8. - Non può essere, infine, condivisa la tesi proposta in via
subordinata dall'amministrazione che, partendo dal carattere non
gratuito del servizio, afferma che, anche disattendendosi l'am
montare richiesto, dovrebbe pur sempre calcolarsi un qualche
importo della tassa annuale rispondente al criterio della remu
neratività del servizio.
In contrario, non può non rilevarsi come la modificazione
della struttura del tributo e la riduzione dell'ammontare dello
stesso entro i limiti compatibili con la disciplina comunitaria, in tema di diritti remunerativi, non può essere il frutto di un'o
perazione ermeneutica ed anzi esula dai poteri del giudice ordi
nario, appartenendo per intero alla discrezionalità del legislato
re, come tale sottratta anche al sindacato di legittimità del giu
dice delle leggi (art. 28 1. cost. 11 marzo 1953 n. 87). 9. - Con il secondo motivo l'amministrazione delle finanze
censura l'impugnata sentenza per non aver accolto l'eccezione
di decadenza in violazione dell'art. 13, 2° comma, d.p.r. 641/72,
in relazione al rimborso della tassa pagata relativamente al 1986.
I giudici del merito hanno superato la proposta eccezione di
intervenuta decadenza per il solo anno 1986, ritenendo non per
tinente l'ipotesi dell'errore, in quanto il pagamento non sarebbe
erroneo, in mancanza di falsa rappresentazione della realtà di
fatto o di diritto, ma si tratterebbe di carenza assoluta del pote
re impositivo da parte dello Stato nazionale di fronte alla pree sistente legislazione comunitaria.
Al contrario, secondo la ricorrente nella disciplina dell'art.
13 vanno ricomprese tutte le tasse erroneamente pagate, quale
che sia la causa dell'erroneo pagamento, e quindi anche quelle
in esame.
La censura è fondata e come tale meritevole di accoglimento. Nel vigente sistema tributario la restituzione delle tasse erronea
mente pagate è soggetta alla decadenza triennale dal giorno del
pagamento, ed a tale regime sfugge la tassa in esame, trattan
dosi di disapplicazione del diritto interno, per contrasto con
il prevalente ordinamento comunitario che, però, non comporta
né l'abrogazione, né l'incompatibilità della legge italiana. In particolare, sui limiti al diritto di restituzione della tassa
erroneamente pagata ha già avuto modo di pronunciarsi la Cor
te costituzionale, con sentenza 24 febbraio 1995, n. 56 (id., 1995, I, 737). dichiarativa dell'illegittimità costituzionale dell'art. 12
d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641, nella parte in cui non prevede,
nelle controversie di cui all'art 11 del decreto medesimo, l'espe ribilità dell'azione giudiziaria anche in mancanza del preventivo
ricorso amministrativo. Secondo la giurisprudenza costituziona
le la disposizione di cui all'art. 12 mancava di una ratio idonea
a giustificare il limite imposto al principio dell'art. 24 Cost. Lo stesso non può dirsi per la disposizione, avente portata ge
li Foro Italiano — 1996.
nerale, di cui al 2° comma dell'art. 13 che impone un termine
di decadenza di carattere triennale per la restituzione delle tasse
erroneamente pagate, e quindi, indebitamente corrisposte dal
contribuente allo Stato.
La norma, infatti, è formulata in modo tale da ricompredere
tutte le tasse erroneamente pagate, quale che sia la causa del
l'avvenuto indebito pagamento, sicché può riconoscersi che la
disposizione dell'art. 13 stabilisce una decadenza di carattere
generale per ogni domanda di restituzione, in conformità con
l'indirizzo normativo secondo cui le tasse sulle concessioni go
vernative sono sempre state soggette ad un regime di preclusio
ni, in relazione alle domande di rimborso.
Non è condivisibile la tesi secondo cui, nella fattispecie, il
pagamento non sarebbe erroneo, in quanto non si sarebbe veri
ficato lo stato psicologico di falsa rappresentazione di una real
tà di fatto e di diritto, con efficacia sulla determinazione voliti va, ma sarebbe stato effettuato nella piena consapevolezza e
volontarietà dell'adempimento di una norma tributaria. In altri
termini, la sentenza impugnata non nega l'esistenza dell'errore
sui presupposti dell'obbligazione tributaria che rende il paga
mento effettuato indebito, cioè non dovuto, ma ritiene la deca
denza, pur prevista in generale per ogni indebito, inoperante
di fronte alla illegittimità della norma di imposizione tributaria
confliggente con l'ordinamento comunitario. Esclusa la carenza
di potere tributario e ribadito che il giudice di limita a disappli care il diritto interno confliggente con quello comunitario, il
principio di decadenza, per il ritardo con cui si chiede il rimbor so delle tasse indebitamente o erroneamente pagate, esplica in
tegralmente la sua efficacia, ed è quindi applicabile anche alla
fattispecie in esame.
Alla stregua delle esposte considerazioni il secondo motivo
merita di essere accolto, e la sentenza cassata col rinvio delle
parti innanzi ad altra sezione della Corte d'appello di Genova.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 9 aprile
1996, n. 3276; Pres. Sensale, Est. Berruti, P.M. Delli Pri
scoli (conci, diff.); Scott Paper Company e altri (Avv. D'A
melio, Floridia, Ghtoini, Grande Stevens, Speranza, Tor
tonese) c. Soc. Kaysersberg e altro (Aw. Vanzetti). Confer
ma App. Milano 1° ottobre 1993.
Marchio — Decettività — Nullità — Fattispecie (R.d. 21 giu gno 1942 n. 929, testo delle disposizioni legislative in materia di marchi registrati, art. 11, 18, 47).
Concorrenza (disciplina della) — Concorrenza sleale — Risarci
mento del danno — Pubblicazione della sentenza — Natura
(Cod. civ., art. 2598, 2600).
Sussiste la nullità del marchio per decettività (originaria) del
segno, qualora il messaggio espresso da quest'ultimo vada ol
tre la funzione di identificare correttamente uno specifico pro
dotto da offrire al mercato, attribuendogli un contenuto mer
ceologico inesistente, capace di determinare una scelta distor
ta da parte del consumatore (nella specie, sulla base del
suddetto principio, è stata dichiarata la nullità del marchio «Cotonelle» in quanto idoneo a trarre in inganno il consuma
tore, inducendolo a credere che nel relativo prodotto, di na
tura cartacea, fosse presente cotone). (1)
(1) Una delle norme cui s'affida la disciplina del marchio è il princi
pio di verità negativa, a tenore del quale il segno distintivo è valido
in quanto inidoneo a trarre in inganno il pubblico: in altre parole, la
possibilità di indurre in errore è il limite oltre il quale scatta il sistema
sanzionatorio, «limite che è, in definitiva, la possibilità per il consuma
tore medio di cadere in errore sulle origini e qualità dei prodotti messi
sul mercato e causa dell'equivocità terminologica del marchio con cui
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