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sezioni unite civili; sentenza 12 giugno 1997, n. 5290; Pres. V. Sgroi, Est. Borré, P.M. Amirante...

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sezioni unite civili; sentenza 12 giugno 1997, n. 5290; Pres. V. Sgroi, Est. Borré, P.M. Amirante (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Bafile) c. Fall. soc. Verrocchio (Avv. Perrone). Cassa Comm. trib. centrale 7 maggio 1991, n. 3600 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 9 (SETTEMBRE 1997), pp. 2425/2426-2429/2430 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191667 . Accessed: 24/06/2014 22:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.107 on Tue, 24 Jun 2014 22:57:18 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 12 giugno 1997, n. 5290; Pres. V. Sgroi, Est. Borré, P.M. Amirante(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Bafile) c. Fall. soc. Verrocchio (Avv. Perrone).Cassa Comm. trib. centrale 7 maggio 1991, n. 3600Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 9 (SETTEMBRE 1997), pp. 2425/2426-2429/2430Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191667 .

Accessed: 24/06/2014 22:57

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

hanno posto a confronto la presunzione muciana con i regimi, isolatamente presi, della comunione e della separazione dei be

ni, mentre il vero termine di raffronto è il principio che presie de alla disciplina complessiva dei rapporti patrimoniali fra i co

niugi. Procedendo nel primo dei due modi, si è incontrato, rela

tivamente alla comunione, un elemento di indubbia

incompatibilità, dato dal fatto che l'art. 70 1. fall, si sostanzia

nella presunzione della provenienza del denaro dal coniuge fal

lito, laddove, ai fini dell'ingresso del bene nella comunione fa

miliare, è del tutto irrilevante che il denaro, impiegato nell'ac

quisto, provenga dall'uno o dall'altro coniuge. Detto questo, deve peraltro osservarsi che l'automatismo dell'acquisizione del

bene alla comunione familiare indipendentemente dalla persona del coniuge che compie l'acquisto e, quindi, anche indipenden temente dalla provenienza del denaro dall'uno o dall'altro co

niuge, era già una realtà normativa prima della riforma del di

ritto di famiglia (v. gli originari art. 217 e 218 c.c.), il che tutta

via non impediva l'applicazione della presunzione muciana né

faceva emergere, nel diritto vivente, un problema di conflitto

fra norme.

La verità è che, prima della riforma del diritto di famiglia, la norma fallimentare in esame non «si impigliava», per usare

un'espressione della sentenza 13149/95, cit., in una «rete» di

opposti principi emergenti dalla nuova legge e capaci di paraliz zarla per incompatibilità, come, sia pur limitatamente all'ipote si della comunione, è stato riconosciuto, a riforma avvenuta,

dalla sentenza 954/89, cit., e successive conformi.

Ciò significa che, nello spirito della riforma, il vero ostacolo

alla operatività della presunzione muciana in caso di comunione

sta non tanto nella non rilevanza di quello fra i due coniugi che compie l'acquisto e nella conseguente indifferenza della pro venienza del denaro dall'uno o dall'altro — elementi, come si

è visto, già presenti nella vecchia normativa — quanto piuttosto nella «rete di principi» che oggi qualifica la disciplina dei rap

porti patrimoniali fra i coniugi, facendone la espressione di pre cisi valori costituzionali. Da questo punto di vista, se il bene,

comunque acquistato, appartiene in comunione ai coniugi, sal

ve le eccezioni previste dalla legge, è perché l'acquisto costitui

sce manifestazione di una capacità economica che per definizio

ne deriva da entrambi i coniugi e di entrambi riflette il lavoro,

comunque e dovunque prestato, e rilevante pur se svolto fra

le mura domestiche e quindi non tradotto in una concreta di

sponibilità pecuniaria. In questo senso può dirsi che la comu

nione (quale compare oggi, come regime legale, nel nuovo dirit

to di famiglia) si collega al principio della parità e pari dignità dei coniugi: e questa è la vera ragione per cui la giurisprudenza, successiva alla riforma, ha ritenuto con essa incompatibile la

presunzione muciana.

A ben guardare, però, si finisce per scorgere che un analogo valore sta alla base anche dell'istituto della separazione dei be

ni, così come esso si porge dopo la legge riformatrice. Anche

qui, cioè, opera una medesima valenza normativa di parità e

pari dignità dei coniugi, che certo si attua in modo diverso ri

spetto al caso di comunione ma guarda pur sempre ad un iden

tico principio di fondo. Come nota acutamente la sentenza

13149/95, cit., il regime convenzionale della separazione, «sul

piano socio-economico, tende 'a ricollegarsi ad una situazione

fattuale in cui entrambi i coniugi hanno proprie e distinte fonti

di reddito». Ebbene, rispetto a tale situazione, il suddetto prin

cipio di pari dignità si manifesta proprio come effettività degli

acquisti che ciascun coniuge compie, quale espessione della sua

autonomia e della sua capacità di lavoro.

Pur nella diversità di prospettiva (anche sociologica e statisti

ca) che è propria dei due campi, può dirsi che l'automatismo

dell'ingresso del bene nella comunione è mezzo di tutela della

dignità e del lavoro di ciascun coniuge, allo stesso modo in cui

10 è, in caso di separazione dei beni, l'autonomia e l'effettività

dell'acquisto da lui compiuto. La presunzione muciana appare dunque incompatibile non

solo con il versante della comunione, come la giurisprudenza ormai pacificamente riconosce, ma anche con quello della sepa razione dei beni, perché essa, in questo secondo caso, impor

rebbe di provare la effettività dell'acquisto con denaro (e quin

di con lavoro) proprio, e cioè proprio quello che costituisce l'es

senza di tale regime patrimoniale, una volta che esso sia letto

(come è doveroso che sia) nella logica paritaria della riforma.

Giustamente, quindi, la più recente giurisprudenza ha esteso al

11 Foro Italiano — 1997 — Parte 1-41.

la separazione dei beni le conseguenze che la precedente giuris

prudenza già aveva tratto, per la comunione, dalla incompatibi lità emergente dallo ius superveniens del 1975.

Può aggiungersi (ed è anche questo un rilievo formulato da

tale più recente giurisprudenza) che mal si comprenderebbe il

rimedio della separazione giudiziale dei beni, previsto dall'art.

193 c.c. per il caso di disordine degli affari del coniuge in co

munione, se la separazione fosse campo libero per l'operare della

presunzione muciana.

Sul piano poi dell'interpretazione adeguatrice, a tenor della

quale va preferita la lettura conforme alla Costituzione piutto sto che quella con essa contrastante, deve rilevarsi come la con

clusione sopra raggiunta eviti situazioni di sfavore per la fami

glia legittima, che giustamente farebbero dubitare della confor

mità alla legge fondamentale.

4. - L'accoglimento del motivo in esame, conseguente alle

osservazioni che precedono, trae seco l'accoglimento del ricorso

anche nella parte relativa alla inapplicabilità dell'art. 64 1. fall,

(primo motivo), limitatamente, si intende, alla metà del bene

di pertinenza della ricorrente.

La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad altro

giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte di

appello di Firenze.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 12 giu

gno 1997, n. 5290; Pres. V. Sgroi, Est. Borre, P.M. Ado

rante (conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato Bafile) c. Fall. soc. Verrocchio (Aw. Perrone). Cassa Comm. trib.

centrale 7 maggio 1991, n. 3600.

Redditi (imposte sui) — Irpeg — Erronea imputazione di costi

al conto immobili — Emersione di plusvalenza — Tassabilità

(D.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, istituzione e disciplina del

l'imposta sul reddito delle persone giuridiche, art. 12).

Ai sensi dell'art. 12 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598 l'erronea

imputazione di costi non deducibili al costo di un immobile

iscritto in bilancio determina l'emersione di una plusvalenza suscettibile di essere assoggettata all'imposta sul reddito delle

persone giuridiche. (1)

(1) La Suprema corte ribadisce, con l'autorità delle sezioni unite, le

conclusioni cui era giunta, in punto di interpretazione dell'art. 12 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, la prima sezione, con le sentenze 5 febbraio

1996, n. 935, Foro it., Rep. 1996, voce Redditi (imposte), n. 584; 13

gennaio 1995, n. 398, id., Rep. 1995, voce cit., n. 548, e Fisco, 1995, 2959, con nota di L. Barbone; Società, 1995, 910, con nota di D. Bat

ti; Riv. giur. trib., 1995, 468, con nota di Comelli; Rass. trib., 1995, 1262, con nota di Putinati; 7 dicembre 1994, n. 10526, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 639, e Riv. giur. trib., 1995, 470, con nota di A.

Comelli; Giur. imp., 1995, 380, con nota di F. Astolfi; 30 ottobre

1992, n. 11795, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 314, e Giust. civ.,

1993, I, 619, con nota di Franco. Sull'orientamento della Cassazione,

v., in senso critico, E. Della Valle, Plusvalenze iscritte e patrimonia lizzazione di interessi passivi e costi non documentati o non patrimonia lizzabili, in Fisco, 1995, 3371.

In senso contrario, la prevalente giurisprudenza della Commissione

tributaria centrale: v. dee. 5 ottobre 1994, n. 3227, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 549, e Fisco, 1995, 2959, con nota di L. Barbone, per la quale se l'ufficio nega in sede di rettifica la correttezza dell'imputa zione al conto immobili di spese sostenute dal contribuente, non può considerare il maggior valore imputato al conto patrimoniale come plus valenza iscritta ed invocarne la tassabilità ai sensi dell'art. 12 d.p.r. 598/73, in quanto una plusvalenza iscritta in bilancio trova giustifica zione nella presunzione di un maggior valore del bene, e non nell'impu tazione erronea di costi ad un conto; analogamente, per Comm. trib.

centrale 16 gennaio 1991, n. 321, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n.

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2427 PARTE PRIMA 2428

Svolgimento del processo. — Con avviso del 5 maggio 1980

l'ufficio imposte dirette di Roma accertò a carico del fallimento

della s.r.l. Verrocchio, già esercente attività edilizia, in rettifica

di quanto dichiarato per il 1974, un reddito ai fini Irpeg ed

Ilor di lire 5.202.585.992, per plusvalenza iscritta in bilancio

di lire 4.338.122.992, nonché per interessi attivi derivanti da

presunta attività finanziaria al venti per cento sulla disponibilità di cassa configurata dalla diffrenza fra i costi iscritti in bilancio

e quelli riconosciuti. La commissione tributaria di primo grado, adita dalla contri

buente, annullò l'accertamento relativamente alla plusvalenza e ridusse al cinque per cento il tasso di calcolo degli interessi

attivi. Sugli appelli di entrambe le parti la commissione di secondo

grado annullò in foto l'accertamento.

L'ufficio propose ricorso alla Commissione tributaria centra

le, deducendo che l'iscrizione in bilancio di costi non documen

tati, come tali da considerarsi inesistenti, integrava l'ipotesi di

plusvalenza iscritta in bilancio ai sensi dell'art. 12 d.p.r. 598/73; e che la disponibilità di cassa, configurata dalla differenza tra

costi iscritti in bilancio e costi effettivamente contabilizzati e

documentati, doveva presumersi destinata allo svolgimento di

attività finanziaria con conseguente percezione di interessi al tasso

di mercato del venti per cento.

La Commissione tributaria centrale rigettò le tesi dell'ufficio.

Quanto alla plusvalenza, rilevò che l'art. 54 d.p.r. 597/73 esclude

la configurabilità di plusvalenze in relazione ad incrementi pa trimoniali riferibili a beni costituenti oggetto dell'attività di pro duzione dell'impresa. Quanto ai pretesi interessi attivi, osservò

che la loro individuazione implicava una duplice articolazione

presuntiva contrastante con il divieto del praesumptum de prae

sumpto. Contro tale decisione l'amministrazione delle finanze ha pro

posto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. La curate

la si è costituita con controricorso illustrato da memoria ed ha

preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso per sca

denza del termine breve.

Assegnato originariamente alla prima sezione civile, il ricorso

è stato da questa rimesso al primo presidente per eventuale as

segnazione alle sezioni unite, stante la particolare importanza della questione e avuto anche presente il persistente contrasto

fra Commissione tributaria centrale e Corte di cassazione. Il

primo presidente ha provveduto in tal senso. Davanti alle sezio

ni unite entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione. — 1. - L'eccezione di inammissibilità

del ricorso, su cui peraltro la resistente non insiste, è infondata

alla luce della più recente giurisprudenza (Cass., sez. un., 669/92, Foro it., 1992, I, 337).

605, l'erronea imputazione di costi al conto immobili non legittima la tassazione di una asserita plusvalenza quando i costi, sebbene erronea mente imputati, siano stati effettivamente sostenuti; nello stesso senso, Comm. trib. centrale 23 novembre 1990, n. 7683, ibid., n. 606; 12 otto bre 1990, n. 6522, ibid., n. 551; 13 luglio 1990, n. 5261, id., Rep. 1990, voce cit., n. 448, e Società, 1990, 1694, con nota di E. Della

Valle; 11 maggio 1989, n. 3235, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n.

378, e Società, 1989, 1103, con nota di Russo; 6 novembre 1987, n.

8137, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 386; 21 novembre 1984, n. 10026, id., Rep. 1985, voce Reddito delle persone giuridiche (imposta), n. 12.

Favorevole all'orientamento della Cassazione, v., per la giurispru denza tributaria di merito, Comm. trib. I grado Treviso 15 ottobre 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 14.

In dottrina, oltre agli autori citati supra, v., sulle conseguenze dell'i scrizione al conto immobili di costi non deducibili, Acampora, Società immobiliari: costi non documentati e plusvalenze iscritte, in Bollettino

trib., 1981, 334; Di Giuliomaria, I costi incrementativi configurano l'ipotesi di plusvalenze iscritte in bilancio?, in Corriere trib., 1985, 1411; Id., Equivoci da dissipare per la tassazione di plusvalenze iscritte in

bilancio, ibid., 7; L. Vacca, Patrimonializzazione di costi non docu mentati e di interessi passivi, in Fisco, 1987, 1468.

In generale, sulla rilevanza, ai fini della tassazione, dell'iscrizione in bilancio della plusvalenza, v. M. Leo-F. Monacchi-M. Schiavo, Le

imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 1993, 764; G. Falsitta, Plusvalenze e minusvalenze patrimoniali (dir. trib.), voce dell'Enciclo

pedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XIII; Id., La tassazione delle

plusvalenze e delle sopravvenienze nelle imposte sui redditi, Padova, 1986; Tabellini, L'imposizione delle plusvalenze «iscritte», Milano, 1985; Miccinesi, Le plusvalenze di impresa. Inquadramento teorico e profili ricostruttivi, Milano, 1993.

Il Foro Italiano — 1997.

2. - Con il primo motivo del ricorso l'amministrazione finan

ziaria deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1 e 16

d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 e dei principi generali del processo

tributario, violazione e falsa applicazione degli art. 52, 53, 54,

62 d.p.r. 597/73 e 12 d.p.r. 598/73, nonché insufficiente, erro

nea e contraddittoria motivazione.

Premesso che la stessa curatela del fallimento non nega l'in

cremento patrimoniale, limitandosi ad affermare che la soc. Ver

rocchio aveva per oggetto la costruzione di fabbricati, onde tali

beni non potevano produrre pluslavanze, ma ricavi (se ceduti) e rimanenze (fino alla cessione), assume la ricorrente che la Com

missione tributaria centrale non avrebbe potuto limitarsi a rile

vare l'erroneità della qualificazione giuridica del fatto, annul

lando l'accertamento, ma avrebbe dovuto, quale giudice del rap

porto, verificare se la discrepanza fra costi e valori potesse dar

luogo a reddito imponibile sotto altro profilo, come rimanenze

o altrimenti.

Aggiunge la ricorrente che la soc. Verrocchio, indicando nel

la situazione patrimoniale un consistente valore delle costruzio

ni ed esponendo nel conto economico soltanto una insignifican te perdita, senza indicare né ricavi né rimanenze, ha collocato, nel suo bilancio, le costruzioni non fra i beni da essa prodotti, ma fra le immobilizzazioni, con la conseguenza che, non corri

spondendo il valore di queste ad un costo (di acquisto o di

costruzione) ed essendo perciò iscritto in bilancio un valore su

periore al costo (contro il divieto dell'art. 2425, n. 1, c.c.), si

avrebbe una plusvalenza tassabile ex art. 12 d.p.r. 598/73. Va, del resto, rilevato — precisa la ricorrente — che le società im

mobiliari ben possono avere immobilizzazioni e che non tutto

quello che passa per la loro attività attiene ai beni merce pro duttivi di ricavi. La società, in ogni caso, non aveva esposto le costruzioni fra le rimanenze, per il che, fra l'altro, avrebbe

dovuto tenere apposite scritture con dettagliate indicazioni.

2.1. - La controversia, venuta all'esame delle sezioni unite

per la particolare importanza della questione di diritto coinvol

ta, importanza resa tanto più evidente dalla persistenza del con

trasto giurisprudenziale fra la Commissione tributaria centrale

e questa corte, ripropone il tema della configurabilità come plus valenza iscritta in bilancio, ai sensi dell'art. 12 d.p.r. 598/73, di costi annotati da una società di capitali in un conto immobi

li, costituenti — questi ultimi — oggetto dell'attività produttiva di impresa edile, allorché e nella misura in cui tali costi non

siano riconosciuti dall'amministrazione finanziaria perché non

documentati o non inerenti.

In proposito (come è precisato nell'ordinanza che ha segnala to al primo presidente l'opportunità di investitura delle sezioni

unite) si sono recentemente avute tre sentenze della prima sezio

ne civile di questa corte (11795/92, id., Rep. 1993, voce Redditi

(imposte), n. 314; 10526/94, id., Rep. 1995, voce cit., n. 639, e 398/95, ibid., n. 548), le quali, premesso che interessi passivi ed altri costi erano stati patrimonializzati attraverso l'inserimento

nel «conto immobili», hanno ritenuto che la non documenta

zione o non inerenza dei medesimi si risolvesse sostanzialmente

in una dichiarazione di aumento del valore delle costruzioni, dando luogo ad una plusvalenza iscritta ai sensi dell'art. 12 d.p.r. 598/73. Le tre sentenze precisavano, infatti, che plusvalenze pa trimoniali possono aversi anche indipendentemente dalla cessio

ne di beni a terzi o dalla distribuzione ai soci, in quanto l'ordi

namento tributario configura un'ulteriore accezione del termine

«plusvalenza», da intendersi come incremento del patrimonio del contribuente acquisito non già a seguito della cessione del

bene, ma per effetto dell'iscrizione di un suo maggior valore

in bilancio. Gli interessi e i costi in questione, cioè, in quanto ritenuti non inerenti o non documentati, in contrasto con il prin

cipio per cui il valore degli immobili deve essere iscritto in bi

lancio per un valore non superiore al prezzo di costo (legittima mente determinato), si traducevano nell'iscrizione nel bilancio

stesso di un incremento patrimoniale e quindi nell'emersione

di una «plusvalenza iscritta», come tale tassabile indipendente mente dalla cessione del bene.

Contro tale impostazione si fa osservare (dalla curatela resi

stente e nella ordinanza sopra richiamata) che l'art. 12 d.p.r. 598/73 sulle plusvalenze iscritte richiede di essere coordinato

con l'art. 54 d.p.r. 597/73, a tenor del quale non costituiscono

plusvalenze imponibili gli incrementi patrimoniali riferibili ai beni di cui al precedente art. 53, cioè quelli «alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa», vale a dire

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

i c.d. «beni merce», i quali non possono che dar luogo a rima

nenze di magazzino (finché non siano ceduti) o a ricavi (quando sono ceduti). Proprio in questa proposizione si sostanzia la ra

tio decidendi dell'impugnata decisione della Commissione tri

butaria centrale.

Ritengono tuttavia le sezioni unite che tale affermazione, pur corretta in se stessa, non travolga la giurisprudenza della prima sezione civile, dovendo l'enunciazione teorica misurarsi — co

me sostenne nei precedenti casi e sostiene ancor oggi l'ammini

strazione ricorrente — con il modo in cui il bilancio ed il conto

dei profitti e delle perdite risultano in concreto confezionati.

E a questo riguardo va detto che le costruzioni (la cui natura

di beni-merce non riposa comunque su qualità ontologiche, po tendo essi assumere, anche per imprese edili, natura di beni stru

mentali in rapporto al tipo di destinazione e di sfruttamento, come opportunamente ricorda la ricorrente amministrazione) non

sono state, nella specie, evidenziate nel conto profitti e perdite, alla voce «rimanenze», dove, in quanto costruzioni ancora in

corso, avrebbero dovuto trovare posto secondo l'astratta impo stazione della Commissione tributaria centrale, giacché la socie

tà contribuente, redigendo il bilancio di esercizio allegato alla

dichiarazione, ha indicato nella situazione patrimoniale (e non

nel conto economico) il valore delle costruzioni, con ciò dimo

strando di aver inteso patrimonializzarlo, in esso comprenden do anche costi indeducibili che non erano patrimonializzabili. In altre parole, come rileva conclusivamente l'amministrazione, «è stata la contribuente a qualificare i fabbricati come patrimo nio (invece che come rimanenze) ed a patrimonializzare i costi», la quale circostanza non può rimanere senza rilievo in base ai

principi di autoresponsabilità che caratterizzano la materia del

bilancio. Osserva la curatela resistente che con tali puntualizzazioni sa

rebbe stato rimesso in discussione il fatto, il che è precluso nel

giudizio di legittimità. Il rilievo è tuttavia infondato. Con lo svolto ragionamento, infatti, non si incide sulla ricostruzione

fattuale, ma si enuncia una qualificazione giuridica derivante

dal modo come i beni sono stati concretamente assunti nel bi

lancio sociale, anziché arrestarsi, come fa la Commissione tri

butaria centrale ad una qualificazione ricavata dalla natura astrat

tamente propria di tali beni.

D'altra parte, tale più concreto apprezzamento della imposta zione contabile impressa dalla stessa società Verrocchio alle pro

prie vicende patrimoniali non è stato ricavato da un riesame

delle risultanze istruttorie, non consentito in questa sede, ma

trae spunto da specifiche affermazioni difensive della ricorrente

(per es. in ordine alla non presenza delle costruzioni fra le rima

nenze) che non hanno ricevuto alcuna reale smentita e che per ciò ben possono essere assunte, in base ad un principio di logica

generale che opera in qualunque fase del processo, come un

punto fermo nella ricostruzione argomentativa. Né pare che tale valorizzazione del bilancio come concreta

mente impiantato contrasti con il requisito della «volontarietà»

dell'iscrizione della plusvalenza, che anche questa corte ha avu

to occasione di riconoscere. Tale requisito è infatti evidente

mente da intendere non in senso psicologico, ma nel senso della

riconducibilità dell'effetto ad un comportamento amministrativo

contabile consapevolmente e liberamente posto in essere, cioè

esercizio di scelta e non adempimento di un obbligo. E tale

è certamente, nella specie, la su accennata operazione di patri monializzazione.

La ragionevolezza della conseguita conclusione è confermata,

per un verso, dalla funzione che la tassazione della plusvalenza nella specie assolve, riequilibrando il fenomeno economico com

plessivo ed il suo trattamento tributario (come sarà fra breve

spiegato); per altro verso, dalla inaccettabilità delle strumenta

zioni alternative che la resistente propone. Sotto il primo aspetto va osservato che l'attribuzione al bene

di un valore eccedente, realizzata attraverso la patrimonializza zione di costi indeducibili, determinerebbe, se non tempestiva mente rilevata e tassata, una corrispondente area di franchigia

nella plusvalenza eventualmente emergente nel momento della

futura cessione del bene. In altre parole, la società precostitui rebbe per le eventuali plusvalenze degli anni successivi e/o per

quella realizzata in sede di cessione un più favorevole valore

di riferimento, senza avere scontato alcuna imposta. Sotto il secondo aspetto, sostiene la curatela che l'ufficio,

se avesse ritenuto non riconoscibili i costi, avrebbe bensì dovu

II Foro Italiano — 1997.

to recuperarli a tassazione, ma soltanto nel momento della loro

rilevanza e cioè al momento della vendita del fabbricato. Al

riguardo non sembra peraltro superabile l'obiezione dell'ammi

nistrazione secondo cui un tal modo di procedere esporrebbe a decadenza l'operato dell'ufficio, non potendosi mettere in di

scussione la deducibilità di un costo magari dopo decenni. Né

pare praticabile l'ipotesi operativa, prospettata dalla resistente, di un primo momento in cui si avrebbe il «mero accertamento»

della indeducibilità del costo e di un secondo momento, coinci

dente con la cessione del bene, in cui il reddito verrebbe ripreso a tassazione. La curatela richiama una prassi esistente in tal

senso, ma non si vede quale fondamento essa possa trovare nel

diritto positivo, al quale, come la ricorrente opportunamente

rileva, «è sconosciuto un tale tipo di accertamento a futura

memoria».

È escluso, per contro, a parere di queste sezioni unite, il peri

colo, evocato dalla curatela, di doppia imposizione in conse

guenza del modus procedenti adottato dall'ufficio tributario.

Come rileva esattamente la difesa dell'amministrazione se si parte dalla premessa che i fabbricati, nella specie, per il modo in cui

sono stati assunti nel bilancio, sono beni patrimoniali, la suc

cessiva cessione darà luogo a nuovo plusvalore, che sarà calco

lato sul valore iscritto, ormai legittimato attraverso la tassazio

ne, restando così esclusi sia il salto che la duplicazione di imposta. Tale insieme di considerazioni conferma la validità della scel

ta giurisprudenziale già compiuta dalla prima sezione civile di

questa corte con le tre sentenze sopra richiamate e comporta

l'accoglimento del primo motivo del ricorso dell'amministrazio

ne finanziaria. (Omissis) 4. - Il ricorso va dunque accolto limitatamente al primo moti

vo e corrispondentemente la decisione impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 12 giu

gno 1997, n. 5289; Pres. Iannotta, Est. Bibolini, P.M. Mo

rozzo Della Rocca (conci, conf.); Soc. La Secura Assipo

polare (Aw. Iannotta) c. Soc. Assicurazioni generali (Avv.

Bernardini). Conferma App. Roma 26 febbraio 1991.

Assicurazione (contratto di) — Assicurazione obbligatoria r.c.a. — Fondo di garanzia — Danno da svalutazione monetaria

ed interessi — Insinuazione al passivo della società in liquida zione dell'intera somma liquidata (R.d. 16 marzo 1942 n. 267,

disciplina del fallimento, art. 59, 201; 1. 24 dicembre 1969

n. 990, assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile

derivante dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, art. 29).

L'impresa designata dal fondo di garanzia, che abbia risarcito

un danno da incidente stradale verificatosi prima dell'apertu ra della liquidazione coatta amministrativa, ha diritto di insi

nuare al passivo della procedura concorsuale l'intera entità

oggetto della condanna, comprensiva del pregiudizio da sva

lutazione monetaria e di interessi, anche per l'importo matu

rato nel periodo successivo all'apertura della liquidazione stessa. (1)

(1) Le sezioni unite intervengono, una volta di più, per mettere ordi

ne in un campo, quello della rivalutazione dei crediti dovuti da imprese assicuratrici decotte, prodigo quant'altri mai di incertezze o, se voglia mo, differenti opzioni interpretative. Questa volta l'approccio al pro blema di sottrarre alla 'frontiera calda' dell'azione del terzo danneggia to (v., in questo senso, le osservazioni espresse da Pardolesi, in Anco

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