sezioni unite civili; sentenza 12 giugno 1997, n. 5290; Pres. V. Sgroi, Est. Borré, P.M. Amirante(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Bafile) c. Fall. soc. Verrocchio (Avv. Perrone).Cassa Comm. trib. centrale 7 maggio 1991, n. 3600Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 9 (SETTEMBRE 1997), pp. 2425/2426-2429/2430Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191667 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
hanno posto a confronto la presunzione muciana con i regimi, isolatamente presi, della comunione e della separazione dei be
ni, mentre il vero termine di raffronto è il principio che presie de alla disciplina complessiva dei rapporti patrimoniali fra i co
niugi. Procedendo nel primo dei due modi, si è incontrato, rela
tivamente alla comunione, un elemento di indubbia
incompatibilità, dato dal fatto che l'art. 70 1. fall, si sostanzia
nella presunzione della provenienza del denaro dal coniuge fal
lito, laddove, ai fini dell'ingresso del bene nella comunione fa
miliare, è del tutto irrilevante che il denaro, impiegato nell'ac
quisto, provenga dall'uno o dall'altro coniuge. Detto questo, deve peraltro osservarsi che l'automatismo dell'acquisizione del
bene alla comunione familiare indipendentemente dalla persona del coniuge che compie l'acquisto e, quindi, anche indipenden temente dalla provenienza del denaro dall'uno o dall'altro co
niuge, era già una realtà normativa prima della riforma del di
ritto di famiglia (v. gli originari art. 217 e 218 c.c.), il che tutta
via non impediva l'applicazione della presunzione muciana né
faceva emergere, nel diritto vivente, un problema di conflitto
fra norme.
La verità è che, prima della riforma del diritto di famiglia, la norma fallimentare in esame non «si impigliava», per usare
un'espressione della sentenza 13149/95, cit., in una «rete» di
opposti principi emergenti dalla nuova legge e capaci di paraliz zarla per incompatibilità, come, sia pur limitatamente all'ipote si della comunione, è stato riconosciuto, a riforma avvenuta,
dalla sentenza 954/89, cit., e successive conformi.
Ciò significa che, nello spirito della riforma, il vero ostacolo
alla operatività della presunzione muciana in caso di comunione
sta non tanto nella non rilevanza di quello fra i due coniugi che compie l'acquisto e nella conseguente indifferenza della pro venienza del denaro dall'uno o dall'altro — elementi, come si
è visto, già presenti nella vecchia normativa — quanto piuttosto nella «rete di principi» che oggi qualifica la disciplina dei rap
porti patrimoniali fra i coniugi, facendone la espressione di pre cisi valori costituzionali. Da questo punto di vista, se il bene,
comunque acquistato, appartiene in comunione ai coniugi, sal
ve le eccezioni previste dalla legge, è perché l'acquisto costitui
sce manifestazione di una capacità economica che per definizio
ne deriva da entrambi i coniugi e di entrambi riflette il lavoro,
comunque e dovunque prestato, e rilevante pur se svolto fra
le mura domestiche e quindi non tradotto in una concreta di
sponibilità pecuniaria. In questo senso può dirsi che la comu
nione (quale compare oggi, come regime legale, nel nuovo dirit
to di famiglia) si collega al principio della parità e pari dignità dei coniugi: e questa è la vera ragione per cui la giurisprudenza, successiva alla riforma, ha ritenuto con essa incompatibile la
presunzione muciana.
A ben guardare, però, si finisce per scorgere che un analogo valore sta alla base anche dell'istituto della separazione dei be
ni, così come esso si porge dopo la legge riformatrice. Anche
qui, cioè, opera una medesima valenza normativa di parità e
pari dignità dei coniugi, che certo si attua in modo diverso ri
spetto al caso di comunione ma guarda pur sempre ad un iden
tico principio di fondo. Come nota acutamente la sentenza
13149/95, cit., il regime convenzionale della separazione, «sul
piano socio-economico, tende 'a ricollegarsi ad una situazione
fattuale in cui entrambi i coniugi hanno proprie e distinte fonti
di reddito». Ebbene, rispetto a tale situazione, il suddetto prin
cipio di pari dignità si manifesta proprio come effettività degli
acquisti che ciascun coniuge compie, quale espessione della sua
autonomia e della sua capacità di lavoro.
Pur nella diversità di prospettiva (anche sociologica e statisti
ca) che è propria dei due campi, può dirsi che l'automatismo
dell'ingresso del bene nella comunione è mezzo di tutela della
dignità e del lavoro di ciascun coniuge, allo stesso modo in cui
10 è, in caso di separazione dei beni, l'autonomia e l'effettività
dell'acquisto da lui compiuto. La presunzione muciana appare dunque incompatibile non
solo con il versante della comunione, come la giurisprudenza ormai pacificamente riconosce, ma anche con quello della sepa razione dei beni, perché essa, in questo secondo caso, impor
rebbe di provare la effettività dell'acquisto con denaro (e quin
di con lavoro) proprio, e cioè proprio quello che costituisce l'es
senza di tale regime patrimoniale, una volta che esso sia letto
(come è doveroso che sia) nella logica paritaria della riforma.
Giustamente, quindi, la più recente giurisprudenza ha esteso al
11 Foro Italiano — 1997 — Parte 1-41.
la separazione dei beni le conseguenze che la precedente giuris
prudenza già aveva tratto, per la comunione, dalla incompatibi lità emergente dallo ius superveniens del 1975.
Può aggiungersi (ed è anche questo un rilievo formulato da
tale più recente giurisprudenza) che mal si comprenderebbe il
rimedio della separazione giudiziale dei beni, previsto dall'art.
193 c.c. per il caso di disordine degli affari del coniuge in co
munione, se la separazione fosse campo libero per l'operare della
presunzione muciana.
Sul piano poi dell'interpretazione adeguatrice, a tenor della
quale va preferita la lettura conforme alla Costituzione piutto sto che quella con essa contrastante, deve rilevarsi come la con
clusione sopra raggiunta eviti situazioni di sfavore per la fami
glia legittima, che giustamente farebbero dubitare della confor
mità alla legge fondamentale.
4. - L'accoglimento del motivo in esame, conseguente alle
osservazioni che precedono, trae seco l'accoglimento del ricorso
anche nella parte relativa alla inapplicabilità dell'art. 64 1. fall,
(primo motivo), limitatamente, si intende, alla metà del bene
di pertinenza della ricorrente.
La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad altro
giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte di
appello di Firenze.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 12 giu
gno 1997, n. 5290; Pres. V. Sgroi, Est. Borre, P.M. Ado
rante (conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato Bafile) c. Fall. soc. Verrocchio (Aw. Perrone). Cassa Comm. trib.
centrale 7 maggio 1991, n. 3600.
Redditi (imposte sui) — Irpeg — Erronea imputazione di costi
al conto immobili — Emersione di plusvalenza — Tassabilità
(D.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, istituzione e disciplina del
l'imposta sul reddito delle persone giuridiche, art. 12).
Ai sensi dell'art. 12 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598 l'erronea
imputazione di costi non deducibili al costo di un immobile
iscritto in bilancio determina l'emersione di una plusvalenza suscettibile di essere assoggettata all'imposta sul reddito delle
persone giuridiche. (1)
(1) La Suprema corte ribadisce, con l'autorità delle sezioni unite, le
conclusioni cui era giunta, in punto di interpretazione dell'art. 12 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, la prima sezione, con le sentenze 5 febbraio
1996, n. 935, Foro it., Rep. 1996, voce Redditi (imposte), n. 584; 13
gennaio 1995, n. 398, id., Rep. 1995, voce cit., n. 548, e Fisco, 1995, 2959, con nota di L. Barbone; Società, 1995, 910, con nota di D. Bat
ti; Riv. giur. trib., 1995, 468, con nota di Comelli; Rass. trib., 1995, 1262, con nota di Putinati; 7 dicembre 1994, n. 10526, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 639, e Riv. giur. trib., 1995, 470, con nota di A.
Comelli; Giur. imp., 1995, 380, con nota di F. Astolfi; 30 ottobre
1992, n. 11795, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 314, e Giust. civ.,
1993, I, 619, con nota di Franco. Sull'orientamento della Cassazione,
v., in senso critico, E. Della Valle, Plusvalenze iscritte e patrimonia lizzazione di interessi passivi e costi non documentati o non patrimonia lizzabili, in Fisco, 1995, 3371.
In senso contrario, la prevalente giurisprudenza della Commissione
tributaria centrale: v. dee. 5 ottobre 1994, n. 3227, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 549, e Fisco, 1995, 2959, con nota di L. Barbone, per la quale se l'ufficio nega in sede di rettifica la correttezza dell'imputa zione al conto immobili di spese sostenute dal contribuente, non può considerare il maggior valore imputato al conto patrimoniale come plus valenza iscritta ed invocarne la tassabilità ai sensi dell'art. 12 d.p.r. 598/73, in quanto una plusvalenza iscritta in bilancio trova giustifica zione nella presunzione di un maggior valore del bene, e non nell'impu tazione erronea di costi ad un conto; analogamente, per Comm. trib.
centrale 16 gennaio 1991, n. 321, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n.
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2427 PARTE PRIMA 2428
Svolgimento del processo. — Con avviso del 5 maggio 1980
l'ufficio imposte dirette di Roma accertò a carico del fallimento
della s.r.l. Verrocchio, già esercente attività edilizia, in rettifica
di quanto dichiarato per il 1974, un reddito ai fini Irpeg ed
Ilor di lire 5.202.585.992, per plusvalenza iscritta in bilancio
di lire 4.338.122.992, nonché per interessi attivi derivanti da
presunta attività finanziaria al venti per cento sulla disponibilità di cassa configurata dalla diffrenza fra i costi iscritti in bilancio
e quelli riconosciuti. La commissione tributaria di primo grado, adita dalla contri
buente, annullò l'accertamento relativamente alla plusvalenza e ridusse al cinque per cento il tasso di calcolo degli interessi
attivi. Sugli appelli di entrambe le parti la commissione di secondo
grado annullò in foto l'accertamento.
L'ufficio propose ricorso alla Commissione tributaria centra
le, deducendo che l'iscrizione in bilancio di costi non documen
tati, come tali da considerarsi inesistenti, integrava l'ipotesi di
plusvalenza iscritta in bilancio ai sensi dell'art. 12 d.p.r. 598/73; e che la disponibilità di cassa, configurata dalla differenza tra
costi iscritti in bilancio e costi effettivamente contabilizzati e
documentati, doveva presumersi destinata allo svolgimento di
attività finanziaria con conseguente percezione di interessi al tasso
di mercato del venti per cento.
La Commissione tributaria centrale rigettò le tesi dell'ufficio.
Quanto alla plusvalenza, rilevò che l'art. 54 d.p.r. 597/73 esclude
la configurabilità di plusvalenze in relazione ad incrementi pa trimoniali riferibili a beni costituenti oggetto dell'attività di pro duzione dell'impresa. Quanto ai pretesi interessi attivi, osservò
che la loro individuazione implicava una duplice articolazione
presuntiva contrastante con il divieto del praesumptum de prae
sumpto. Contro tale decisione l'amministrazione delle finanze ha pro
posto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. La curate
la si è costituita con controricorso illustrato da memoria ed ha
preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso per sca
denza del termine breve.
Assegnato originariamente alla prima sezione civile, il ricorso
è stato da questa rimesso al primo presidente per eventuale as
segnazione alle sezioni unite, stante la particolare importanza della questione e avuto anche presente il persistente contrasto
fra Commissione tributaria centrale e Corte di cassazione. Il
primo presidente ha provveduto in tal senso. Davanti alle sezio
ni unite entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — 1. - L'eccezione di inammissibilità
del ricorso, su cui peraltro la resistente non insiste, è infondata
alla luce della più recente giurisprudenza (Cass., sez. un., 669/92, Foro it., 1992, I, 337).
605, l'erronea imputazione di costi al conto immobili non legittima la tassazione di una asserita plusvalenza quando i costi, sebbene erronea mente imputati, siano stati effettivamente sostenuti; nello stesso senso, Comm. trib. centrale 23 novembre 1990, n. 7683, ibid., n. 606; 12 otto bre 1990, n. 6522, ibid., n. 551; 13 luglio 1990, n. 5261, id., Rep. 1990, voce cit., n. 448, e Società, 1990, 1694, con nota di E. Della
Valle; 11 maggio 1989, n. 3235, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n.
378, e Società, 1989, 1103, con nota di Russo; 6 novembre 1987, n.
8137, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 386; 21 novembre 1984, n. 10026, id., Rep. 1985, voce Reddito delle persone giuridiche (imposta), n. 12.
Favorevole all'orientamento della Cassazione, v., per la giurispru denza tributaria di merito, Comm. trib. I grado Treviso 15 ottobre 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 14.
In dottrina, oltre agli autori citati supra, v., sulle conseguenze dell'i scrizione al conto immobili di costi non deducibili, Acampora, Società immobiliari: costi non documentati e plusvalenze iscritte, in Bollettino
trib., 1981, 334; Di Giuliomaria, I costi incrementativi configurano l'ipotesi di plusvalenze iscritte in bilancio?, in Corriere trib., 1985, 1411; Id., Equivoci da dissipare per la tassazione di plusvalenze iscritte in
bilancio, ibid., 7; L. Vacca, Patrimonializzazione di costi non docu mentati e di interessi passivi, in Fisco, 1987, 1468.
In generale, sulla rilevanza, ai fini della tassazione, dell'iscrizione in bilancio della plusvalenza, v. M. Leo-F. Monacchi-M. Schiavo, Le
imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 1993, 764; G. Falsitta, Plusvalenze e minusvalenze patrimoniali (dir. trib.), voce dell'Enciclo
pedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XIII; Id., La tassazione delle
plusvalenze e delle sopravvenienze nelle imposte sui redditi, Padova, 1986; Tabellini, L'imposizione delle plusvalenze «iscritte», Milano, 1985; Miccinesi, Le plusvalenze di impresa. Inquadramento teorico e profili ricostruttivi, Milano, 1993.
Il Foro Italiano — 1997.
2. - Con il primo motivo del ricorso l'amministrazione finan
ziaria deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1 e 16
d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 e dei principi generali del processo
tributario, violazione e falsa applicazione degli art. 52, 53, 54,
62 d.p.r. 597/73 e 12 d.p.r. 598/73, nonché insufficiente, erro
nea e contraddittoria motivazione.
Premesso che la stessa curatela del fallimento non nega l'in
cremento patrimoniale, limitandosi ad affermare che la soc. Ver
rocchio aveva per oggetto la costruzione di fabbricati, onde tali
beni non potevano produrre pluslavanze, ma ricavi (se ceduti) e rimanenze (fino alla cessione), assume la ricorrente che la Com
missione tributaria centrale non avrebbe potuto limitarsi a rile
vare l'erroneità della qualificazione giuridica del fatto, annul
lando l'accertamento, ma avrebbe dovuto, quale giudice del rap
porto, verificare se la discrepanza fra costi e valori potesse dar
luogo a reddito imponibile sotto altro profilo, come rimanenze
o altrimenti.
Aggiunge la ricorrente che la soc. Verrocchio, indicando nel
la situazione patrimoniale un consistente valore delle costruzio
ni ed esponendo nel conto economico soltanto una insignifican te perdita, senza indicare né ricavi né rimanenze, ha collocato, nel suo bilancio, le costruzioni non fra i beni da essa prodotti, ma fra le immobilizzazioni, con la conseguenza che, non corri
spondendo il valore di queste ad un costo (di acquisto o di
costruzione) ed essendo perciò iscritto in bilancio un valore su
periore al costo (contro il divieto dell'art. 2425, n. 1, c.c.), si
avrebbe una plusvalenza tassabile ex art. 12 d.p.r. 598/73. Va, del resto, rilevato — precisa la ricorrente — che le società im
mobiliari ben possono avere immobilizzazioni e che non tutto
quello che passa per la loro attività attiene ai beni merce pro duttivi di ricavi. La società, in ogni caso, non aveva esposto le costruzioni fra le rimanenze, per il che, fra l'altro, avrebbe
dovuto tenere apposite scritture con dettagliate indicazioni.
2.1. - La controversia, venuta all'esame delle sezioni unite
per la particolare importanza della questione di diritto coinvol
ta, importanza resa tanto più evidente dalla persistenza del con
trasto giurisprudenziale fra la Commissione tributaria centrale
e questa corte, ripropone il tema della configurabilità come plus valenza iscritta in bilancio, ai sensi dell'art. 12 d.p.r. 598/73, di costi annotati da una società di capitali in un conto immobi
li, costituenti — questi ultimi — oggetto dell'attività produttiva di impresa edile, allorché e nella misura in cui tali costi non
siano riconosciuti dall'amministrazione finanziaria perché non
documentati o non inerenti.
In proposito (come è precisato nell'ordinanza che ha segnala to al primo presidente l'opportunità di investitura delle sezioni
unite) si sono recentemente avute tre sentenze della prima sezio
ne civile di questa corte (11795/92, id., Rep. 1993, voce Redditi
(imposte), n. 314; 10526/94, id., Rep. 1995, voce cit., n. 639, e 398/95, ibid., n. 548), le quali, premesso che interessi passivi ed altri costi erano stati patrimonializzati attraverso l'inserimento
nel «conto immobili», hanno ritenuto che la non documenta
zione o non inerenza dei medesimi si risolvesse sostanzialmente
in una dichiarazione di aumento del valore delle costruzioni, dando luogo ad una plusvalenza iscritta ai sensi dell'art. 12 d.p.r. 598/73. Le tre sentenze precisavano, infatti, che plusvalenze pa trimoniali possono aversi anche indipendentemente dalla cessio
ne di beni a terzi o dalla distribuzione ai soci, in quanto l'ordi
namento tributario configura un'ulteriore accezione del termine
«plusvalenza», da intendersi come incremento del patrimonio del contribuente acquisito non già a seguito della cessione del
bene, ma per effetto dell'iscrizione di un suo maggior valore
in bilancio. Gli interessi e i costi in questione, cioè, in quanto ritenuti non inerenti o non documentati, in contrasto con il prin
cipio per cui il valore degli immobili deve essere iscritto in bi
lancio per un valore non superiore al prezzo di costo (legittima mente determinato), si traducevano nell'iscrizione nel bilancio
stesso di un incremento patrimoniale e quindi nell'emersione
di una «plusvalenza iscritta», come tale tassabile indipendente mente dalla cessione del bene.
Contro tale impostazione si fa osservare (dalla curatela resi
stente e nella ordinanza sopra richiamata) che l'art. 12 d.p.r. 598/73 sulle plusvalenze iscritte richiede di essere coordinato
con l'art. 54 d.p.r. 597/73, a tenor del quale non costituiscono
plusvalenze imponibili gli incrementi patrimoniali riferibili ai beni di cui al precedente art. 53, cioè quelli «alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa», vale a dire
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
i c.d. «beni merce», i quali non possono che dar luogo a rima
nenze di magazzino (finché non siano ceduti) o a ricavi (quando sono ceduti). Proprio in questa proposizione si sostanzia la ra
tio decidendi dell'impugnata decisione della Commissione tri
butaria centrale.
Ritengono tuttavia le sezioni unite che tale affermazione, pur corretta in se stessa, non travolga la giurisprudenza della prima sezione civile, dovendo l'enunciazione teorica misurarsi — co
me sostenne nei precedenti casi e sostiene ancor oggi l'ammini
strazione ricorrente — con il modo in cui il bilancio ed il conto
dei profitti e delle perdite risultano in concreto confezionati.
E a questo riguardo va detto che le costruzioni (la cui natura
di beni-merce non riposa comunque su qualità ontologiche, po tendo essi assumere, anche per imprese edili, natura di beni stru
mentali in rapporto al tipo di destinazione e di sfruttamento, come opportunamente ricorda la ricorrente amministrazione) non
sono state, nella specie, evidenziate nel conto profitti e perdite, alla voce «rimanenze», dove, in quanto costruzioni ancora in
corso, avrebbero dovuto trovare posto secondo l'astratta impo stazione della Commissione tributaria centrale, giacché la socie
tà contribuente, redigendo il bilancio di esercizio allegato alla
dichiarazione, ha indicato nella situazione patrimoniale (e non
nel conto economico) il valore delle costruzioni, con ciò dimo
strando di aver inteso patrimonializzarlo, in esso comprenden do anche costi indeducibili che non erano patrimonializzabili. In altre parole, come rileva conclusivamente l'amministrazione, «è stata la contribuente a qualificare i fabbricati come patrimo nio (invece che come rimanenze) ed a patrimonializzare i costi», la quale circostanza non può rimanere senza rilievo in base ai
principi di autoresponsabilità che caratterizzano la materia del
bilancio. Osserva la curatela resistente che con tali puntualizzazioni sa
rebbe stato rimesso in discussione il fatto, il che è precluso nel
giudizio di legittimità. Il rilievo è tuttavia infondato. Con lo svolto ragionamento, infatti, non si incide sulla ricostruzione
fattuale, ma si enuncia una qualificazione giuridica derivante
dal modo come i beni sono stati concretamente assunti nel bi
lancio sociale, anziché arrestarsi, come fa la Commissione tri
butaria centrale ad una qualificazione ricavata dalla natura astrat
tamente propria di tali beni.
D'altra parte, tale più concreto apprezzamento della imposta zione contabile impressa dalla stessa società Verrocchio alle pro
prie vicende patrimoniali non è stato ricavato da un riesame
delle risultanze istruttorie, non consentito in questa sede, ma
trae spunto da specifiche affermazioni difensive della ricorrente
(per es. in ordine alla non presenza delle costruzioni fra le rima
nenze) che non hanno ricevuto alcuna reale smentita e che per ciò ben possono essere assunte, in base ad un principio di logica
generale che opera in qualunque fase del processo, come un
punto fermo nella ricostruzione argomentativa. Né pare che tale valorizzazione del bilancio come concreta
mente impiantato contrasti con il requisito della «volontarietà»
dell'iscrizione della plusvalenza, che anche questa corte ha avu
to occasione di riconoscere. Tale requisito è infatti evidente
mente da intendere non in senso psicologico, ma nel senso della
riconducibilità dell'effetto ad un comportamento amministrativo
contabile consapevolmente e liberamente posto in essere, cioè
esercizio di scelta e non adempimento di un obbligo. E tale
è certamente, nella specie, la su accennata operazione di patri monializzazione.
La ragionevolezza della conseguita conclusione è confermata,
per un verso, dalla funzione che la tassazione della plusvalenza nella specie assolve, riequilibrando il fenomeno economico com
plessivo ed il suo trattamento tributario (come sarà fra breve
spiegato); per altro verso, dalla inaccettabilità delle strumenta
zioni alternative che la resistente propone. Sotto il primo aspetto va osservato che l'attribuzione al bene
di un valore eccedente, realizzata attraverso la patrimonializza zione di costi indeducibili, determinerebbe, se non tempestiva mente rilevata e tassata, una corrispondente area di franchigia
nella plusvalenza eventualmente emergente nel momento della
futura cessione del bene. In altre parole, la società precostitui rebbe per le eventuali plusvalenze degli anni successivi e/o per
quella realizzata in sede di cessione un più favorevole valore
di riferimento, senza avere scontato alcuna imposta. Sotto il secondo aspetto, sostiene la curatela che l'ufficio,
se avesse ritenuto non riconoscibili i costi, avrebbe bensì dovu
II Foro Italiano — 1997.
to recuperarli a tassazione, ma soltanto nel momento della loro
rilevanza e cioè al momento della vendita del fabbricato. Al
riguardo non sembra peraltro superabile l'obiezione dell'ammi
nistrazione secondo cui un tal modo di procedere esporrebbe a decadenza l'operato dell'ufficio, non potendosi mettere in di
scussione la deducibilità di un costo magari dopo decenni. Né
pare praticabile l'ipotesi operativa, prospettata dalla resistente, di un primo momento in cui si avrebbe il «mero accertamento»
della indeducibilità del costo e di un secondo momento, coinci
dente con la cessione del bene, in cui il reddito verrebbe ripreso a tassazione. La curatela richiama una prassi esistente in tal
senso, ma non si vede quale fondamento essa possa trovare nel
diritto positivo, al quale, come la ricorrente opportunamente
rileva, «è sconosciuto un tale tipo di accertamento a futura
memoria».
È escluso, per contro, a parere di queste sezioni unite, il peri
colo, evocato dalla curatela, di doppia imposizione in conse
guenza del modus procedenti adottato dall'ufficio tributario.
Come rileva esattamente la difesa dell'amministrazione se si parte dalla premessa che i fabbricati, nella specie, per il modo in cui
sono stati assunti nel bilancio, sono beni patrimoniali, la suc
cessiva cessione darà luogo a nuovo plusvalore, che sarà calco
lato sul valore iscritto, ormai legittimato attraverso la tassazio
ne, restando così esclusi sia il salto che la duplicazione di imposta. Tale insieme di considerazioni conferma la validità della scel
ta giurisprudenziale già compiuta dalla prima sezione civile di
questa corte con le tre sentenze sopra richiamate e comporta
l'accoglimento del primo motivo del ricorso dell'amministrazio
ne finanziaria. (Omissis) 4. - Il ricorso va dunque accolto limitatamente al primo moti
vo e corrispondentemente la decisione impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 12 giu
gno 1997, n. 5289; Pres. Iannotta, Est. Bibolini, P.M. Mo
rozzo Della Rocca (conci, conf.); Soc. La Secura Assipo
polare (Aw. Iannotta) c. Soc. Assicurazioni generali (Avv.
Bernardini). Conferma App. Roma 26 febbraio 1991.
Assicurazione (contratto di) — Assicurazione obbligatoria r.c.a. — Fondo di garanzia — Danno da svalutazione monetaria
ed interessi — Insinuazione al passivo della società in liquida zione dell'intera somma liquidata (R.d. 16 marzo 1942 n. 267,
disciplina del fallimento, art. 59, 201; 1. 24 dicembre 1969
n. 990, assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile
derivante dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, art. 29).
L'impresa designata dal fondo di garanzia, che abbia risarcito
un danno da incidente stradale verificatosi prima dell'apertu ra della liquidazione coatta amministrativa, ha diritto di insi
nuare al passivo della procedura concorsuale l'intera entità
oggetto della condanna, comprensiva del pregiudizio da sva
lutazione monetaria e di interessi, anche per l'importo matu
rato nel periodo successivo all'apertura della liquidazione stessa. (1)
(1) Le sezioni unite intervengono, una volta di più, per mettere ordi
ne in un campo, quello della rivalutazione dei crediti dovuti da imprese assicuratrici decotte, prodigo quant'altri mai di incertezze o, se voglia mo, differenti opzioni interpretative. Questa volta l'approccio al pro blema di sottrarre alla 'frontiera calda' dell'azione del terzo danneggia to (v., in questo senso, le osservazioni espresse da Pardolesi, in Anco
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