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sezioni unite civili; sentenza 12 marzo 2001, n. 106/SU; Pres. Vela, Est. Evangelista, P.M.Dettori (concl. conf.); Inps (Avv. Fabiani, Gorga, Prosperi Valenti) c. Corradi e altra (Avv.Agostini). Conferma Trib. Parma 4 novembre 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 5 (MAGGIO 2001), pp. 1523/1524-1531/1532Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196169 .
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1523 PARTE PRIMA 1524
1984, voce Agricoltura, n. 108) in materia di contratti agrari, è
stata risolta in senso negativo. A riguardo si è, innanzitutto, osservato che il contenuto del
contratto, con cui uno dei soci attribuisce ad altro socio la sua
quota sociale, non è la trasformazione di quota di comunione in
porzione di titolarità singola, ma è l'attribuzione al subentrante
della titolarità della quota del socio uscente, nella quale la con
troprestazione della cessione di quota non è un corrispettivo pari al valore di una porzione dei beni comuni, ma costituisce il ver
samento di una somma corrispondente al valore della quota di
patrimonio sociale, nella cui valutazione necessariamente ven
gono ad incidere, oltre le passività eventuali per operazioni pre
gresse e l'esposizione per le obbligazioni già contratte, il subin
gresso in una posizione di rischio nonché l'acquisto dei crediti, del potere di indirizzo e di gestione dei programmi societari, di
ogni altra aspettativa ad essi connessa.
È stato, poi, rilevato che la prelazione ed il riscatto presup
pongono un sinallagma contrattuale, in cui almeno una delle
prestazioni sia di genere e fungibile; mentre nelle vicende modi
ficatrici dell'assetto personale di una società — nelle quali, pe
raltro, il carattere non meramente patrimoniale degli accordi è
improntato ali'intuitus personae nella scelta dei contraenti —
l'acquisto e la perdita dello status di socio, in connessione con
il trasferimento delle quote, non possono essere considerati co
me oggetto di prestazioni di natura disindividualizzata e perciò
fungibili. A ciò occorre aggiungere che nel caso di cessione di quote di
società manca, comunque, un trasferimento, sia pure parziale, dell'immobile locato, il quale continua ad appartenere alla so
cietà, per cui non è neppure ipotizzabile l'esercizio della prela zione in difetto dell'alienazione del bene e diventa del tutto im
possibile l'eventuale retratto, che non può rivolgersi nei con
fronti del socio cessionario delle quote, cui non si è trasferita la
proprietà dell'immobile, né può essere diretto nei confronti
della società, che non ha mai alienato la proprietà del bene.
Le considerazioni innanzi richiamate in tema di prelazione
agraria sono altrettanto valide in tema di prelazione urbana, data
l'indubbia identità di ratio cui sono improntate, onde non merita
critiche la sentenza impugnata quanto al suddetto mezzo di do
glianza, dovendosi soltanto procedere, in questa sede, a rettifi
care la motivazione della sentenza della corte territoriale, ex art.
384, 2° comma, c.p.c., laddove la medesima sembra voler
escludere la prelazione anche quando «l'intera consistenza del
bene si concentri nel soggetto comproprietario pro indiviso po stulando essi (cioè gli art. 38 e 39 1. n. 392 del 1978) la vendita
ad un terzo estraneo del rapporto locativo, del quale invece è
parte il comproprietario». In realtà, l'ipotesi esaminata di cessione di quote sociali di
società di persone, nel cui patrimonio sia compreso l'immobile
locato, è fenomeno ben distinto dall'altro dell'alienazione della
quota in comproprietà dell'immobile, che i diversi comproprie tari hanno concesso in locazione ad un terzo. In caso di aliena
zione dietro corrispettivo di una quota indivisa dell'immobile
locato, ancorché a favore di altro comproprietario, infatti, do
vendosi indubbiamente ammettere che l'acquisto della qualità di
comproprietario rappresenta, comunque, per il conduttore una
fase di consolidamento dell'attività di impresa nel luogo del suo
esercizio, non sussistono valide ragioni per negare il diritto di
prelazione ex art. 38 1. n. 392 del 1978, siccome riconoscono la
prevalente dottrina e, per la prelazione agraria, questo giudice di
legittimità (Cass. 2616/71, id., 1972,1, 670). Si assume, tuttavia, da parte del ricorrente che, avendo con la
cessione delle quote il Montinaro realizzato a suo favore la con
centrazione dell'intero patrimonio sociale, dovrebbe, perciò, ri
tenersi realizzata a suo favore la vendita dell'immobile locato e,
quindi, sussistente il diritto di prelazione e di riscatto di esso
conduttore.
Anche sotto tale aspetto, però, la censura non ha pregio. La questione circa la sussistenza della prelazione nel caso di
cessione ed acquisto della totalità delle quote di una società
proprietaria dell'immobile locato, che questa corte ha affrontato
ed ha variamente risolto (Cass. 1190/84, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 107, e 8939/87, id., Rep. 1988, voce Società, n. 297), può riguardare la sola ipotesi in cui il patrimonio sociale è costituito
dall'unico immobile locato e nella quale sono possibili fenome
ni di simulazione negoziale diretti ad escludere il diritto del
conduttore.
Il Foro Italiano — 2001.
Nel caso di specie, invece, siccome è dato espressamente ri
cavare dalla sentenza impugnata, l'immobile locato non esauri
va il patrimonio sociale della Chimenti s.a.s., per cui, costituen
do esso solo una entità non autonoma di un più vasto complesso di beni, anche non omogenei, strutturalmente e funzionalmente
coordinati all'esercizio della più complessa attività turistica e
ricreativa nell'universalità dell'azienda commerciale, il diritto
di prelazione resta escluso nella prevalente considerazione che
non sussiste identità tra l'immobile locato ed il bene oggetto
dell'acquisto, consistente in un più vasto complesso unitario.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 12 marzo 2001, n. 106/SU; Pres. Vela, Est. Evangelista, P.M.
Dettori (conci, conf.); Inps (Avv. Fabiani, Gorga, Prosperi
Valenti) c. Corradi e altra (Avv. Agostini). Conferma Trib.
Parma 4 novembre 1997.
Previdenza e assistenza sociale — Indennità di mobilità —
Lavoratori a domicilio — Spettanza (Cod. civ., art. 2128; 1.
18 dicembre 1973 n. 877, nuove norme per la tutela del lavoro
a domicilio, art. 9; 1. 23 luglio 1991 n. 223, norme in materia
di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al
lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro, art. 7, 16).
I lavoratori a domicilio iscritti nelle liste di mobilità, in presen za dei necessari requisiti, hanno diritto all'indennità di mo
bilità di cui alla l. 23 luglio 1991 n. 223. (1)
(1) Trib. Parma 4 novembre 1997, confermata dalla riportata senten
za, è massimata in Foro it.. Rep. 1998, voce Previdenza sociale, n. 411. Le sezioni unite con la sentenza in epigrafe hanno risolto il contrasto
che si era delineato nella sezione lavoro tra Cass. 26 marzo 1999, n.
2917, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 376; 18 maggio 1999, n. 4812, id., 1999,1, 1772, con nota di richiami (favorevoli al riconoscimento del di ritto all'indennità di mobilità ai lavoratori a domicilio), e Cass. 1° lu
glio 1999, n. 6726, ibid., 2844 (contraria al riconoscimento). Per l'insussistenza dell'obbligo della domanda in sede amministrati
va per beneficiare dell'indennità di mobilità, Cass. 27 marzo 2000, n.
3670, id., Mass., 364. Contra, Cass. 27 novembre 2000, n. 15244, ibid., 1402; 3 novembre 1998, n. 11033, id., 1998,1, 3077.
Per il diritto all'indennità di mobilità dei dipendenti da imprese commerciali aventi determinati requisiti dimensionali, Cass. 21 ottobre 2000, n. 13931, id., Mass., 1235; per la spettanza dell'indennità di mo bilità al socio lavoratore delle cooperative di produzione e lavoro, Cass. 2 aprile 1999, n. 3180, id., 2000,1, 1096.
In ordine alla compatibilità dell'indennità di mobilità con il lavoro
part-time, nel senso che l'assunzione a tempo determinato o parziale non determina la cancellazione del lavoratore sospeso dalla lista di mo
bilità, ma soltanto la sospensione del trattamento previdenziale dell'in dennità di mobilità per le giornate di lavoro prestato, Cass. 14 novem bre 2000, n. 14725, id., Mass., 1307. Per l'incompatibilità dell'inden nità di mobilità con la pensione di vecchiaia o la maturazione del rela tivo diritto, Cass. 20 dicembre 2000, n. 15984, ibid., 1479; Corte cost. 24 luglio 2000, n. 335, G.U., las.s., n. 32 del 2000.
Per l'esclusione dal computo del periodo di astensione per maternità del limite temporale di beneficio dell'indennità di mobilità, nel senso che l'indennità di mobilità prosegue al cessare dello stato di astensione
per il residuo periodo, pari alla durata del periodo di astensione obbli
gatoria ed eventualmente facoltativa, Cass. 19 febbraio 2000, n. 1947, Foro it., Mass., 235. Per lo «scomputo» dal limite minimo di sei mesi di lavoro effettivo per il diritto all'indennità di mobilità, del periodo di astensione dal lavoro per maternità, Corte cost. 12 settembre 1995, n.
423, id., 1995,1, 2350.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con distinti ricorsi al Pretore di
Parma, Corradi Roberta e Corradini Graziana, premesso di ave
re prestato lavoro a domicilio in favore della Lux s.r.i. e di esse
re state licenziate per riduzione di personale, chiedevano accer
tarsi il proprio diritto di percepire dall'Inps l'indennità di mobi
lità di cui all'art. 7 1. 23 luglio 1991 n. 223. L'istituto convenuto resisteva alla domanda, sostenendo che
la prestazione rivendicata ex adverso spetta soltanto ai lavorato
ri che prestano la propria opera all'interno dell'azienda e non a
quelli a domicilio.
Il pretore accoglieva la domanda e la sua decisione veniva
confermata dal locale tribunale, con sentenza depositata in can
celleria il 4 novembre 1997 (Foro it.. Rep. 1998, voce Previ
denza sociale, n. 411 ). Il giudice del gravame osservava, in particolare, che la previ
sta esclusione dei lavoratori a domicilio dall'ambito della tutela
assicurativa per l'integrazione salariale non impediva l'eroga bilità ai medesimi della diversa ed autonoma prestazione costi
tuita dall'indennità di mobilità, in presenza di rapporti sostan
zialmente assimilabili, anche quanto al requisito della subordi
nazione ed agli altri requisiti non specificamente contestati dal
l'Inps, a quelli aventi svolgimento all'interno dell'azienda e
della generale disposizione che ai detti lavoratori estende, salva
l'eccezione di cui sopra, ogni altra assicurazione obbligatoria
operante per i comuni lavoratori subordinati, ivi compresa
quella contro la disoccupazione involontaria, della quale l'isti
tuto della «mobilità» assume valore sostitutivo, nei casi previsti dalla I. n. 223 del 1991.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre l'Inps. Resistono
le intimate con controricorso. Entrambe le parti hanno deposi tato memorie difensive.
L'esame del ricorso è stato affidato alle sezioni unite della
corte, per la risoluzione di un contrasto verificatosi nella giuris
prudenza della sezione lavoro.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso
l'Inps denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 7 e 16
1. 23 luglio 1991 n. 223, con riferimento all'art. 9 1. 18 dicembre
1973 n. 877, nonché vizi di motivazione.
Assume, in particolare, che: — il lavoro a domicilio non può assimilarsi al normale lavo
ro subordinato, poiché, per le modalità del suo espletamento, si
sottrae ad un compiuto esercizio del potere direttivo del datore
di lavoro; può essere svolto con l'aiuto di altri componenti della
famiglia, conviventi ed a carico; è compatibile con l'impegno di
fornire analoghe prestazioni a più imprenditori; è eseguibile an
che con materie prime od accessorie dello stesso prestatore; non
postula necessariamente la continuità di svolgimento; — l'indennità di mobilità è, invece, prestazione che presup
pone l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale,
essendo istituita in relazione a situazioni di disoccupazione ri
collegate a momenti critici di questa organizzazione, come è re
so palese dal fatto che la sua quantificazione è parametrata sul
l'importo del trattamento di integrazione salariale, l'ammissione
al quale è espressamente esclusa, per i lavoratori a domicilio,
dall'art. 9 1. n. 877 del 1973, che pure ad essi estende le altre as
sicurazioni sociali obbligatorie. Osserva la corte che, ai sensi dell'art. 16 1. 23 luglio 1991 n.
223, nel caso di disoccupazione derivante da licenziamento per cessazione dell'attività aziendale o per riduzione di personale
disposto, in forza del successivo art. 24, da parte di imprese, di
verse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della
disciplina dell'intervento straordinario di integrazione salariale,
il lavoratore — operaio, impiegato o quadro —, qualora possa far valere un'anzianità aziendale di almeno dodici mesi (di cui
almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i pe riodi di sospensione per ferie, festività e infortuni), con un rap
porto di lavoro a carattere continuativo o comunque non a ter
mine, ha diritto all'indennità di mobilità ai sensi dell'art. 7 stes
sa legge. Sulla questione dell'applicabilità di questa disposizione nei
confronti dei lavoratori a domicilio, la cui opera sia stata pre stata in favore delle imprese suddette, la sezione lavoro della
corte ha espresso orientamenti contrastanti.
La soluzione affermativa è stata sostenuta dalle sentenze n.
2917 del 1999 (id., Rep. 1999, voce cit., n. 376) e n. 4812 del 1999 (id., 1999,1, 1772), in base alle seguenti osservazioni:
— è principio consolidato che la subordinazione del lavora
tore a domicilio non è ontologicamente diversa, sotto il profilo
Il Foro Italiano — 2001.
tecnico, da quella degli altri lavoratori, essendo anch'egli inse
rito nell'azienda, nel senso che, pur trovandosi decentrato ri
spetto al luogo ove normalmente avviene il processo lavorativo,
concorre allo svolgimento di quest'ultimo con la messa a dispo sizione delle sue energie lavorative sotto la direzione del datore
di lavoro; —
l'omologazione dei lavoratori a domicilio agli altri lavo
ratori subordinati è alla base dell'art. 9 1. n. 877 del 1973, ove si
dispone che ai primi si applicano le norme vigenti per i secondi
in materia di assicurazioni sociali e di assegni familiari, fatta
eccezione per quelle in materia di integrazione salariale; — l'art. 16 1. n. 223 del 1991. lungi dal presupporre da parte
del lavoratore la fruibilità di entrambe le provvidenze previste
per i lavoratori coinvolti in processi di ridimensionamento
aziendale conclusisi con la messa in mobilità, si limita a richie
dere che il lavoratore il quale, avendone i requisiti soggettivi, chieda di fruire dell'indennità di mobilità, dipenda da un'azien
da che rientri, per le sue caratteristiche oggettive, nell'area di
integrazione salariale, sicché è l'oggettiva connotazione pro duttiva dell'azienda — con la conseguente fruibilità da parte di
essa dell'integrazione salariale straordinaria — il presupposto
per ottenere l'indennità di mobilità, e non certo la fruibilità del
l'integrazione stessa da parte del lavoratore colpito dal processo di riduzione dell'azienda.
L'opposta soluzione è stata adottata dalla successiva sentenza
n. 6726 del 1999 (ibid., 2844) secondo la quale: — l'analisi della norma contenuta nell'art. 16 1. n. 223 del
1991 pone in evidenza che il legislatore ha significativamente fatto riferimento ai lavoratori —
operai, impiegati o quadri —
legati all'azienda da un rapporto «a carattere continuativo» ed
ha posto l'accento su un minimo di anzianità «aziendale»; — dalle disposizioni della 1. n. 877 del 1973, che disciplina
no il lavoro a domicilio, risulta, invece, chiaramente che que st'ultimo difetta del requisito della continuità, poiché il datore
di lavoro non è tenuto ad affidare al prestatore un minimo di la
voro nell'arco del mese o dell'anno, potendo anche conservare
l'iscrizione di quest'ultimo nel registro di cui all'art. 3, 5°
comma, 1. n. 877 del 1973, senza affidargli più commesse, il che
equivale di fatto ad un licenziamento (istituto che assume di
conseguenza una rilevanza minima nei confronti di tal tipo di
lavoratore, anche per la problematicità dell'effettiva applicazio ne della tutela c.d. reale al rapporto de quo);
— particolarmente significativa dell'intento del legislatore di
privilegiare la tutela del lavoro in azienda rispetto a quello do
miciliare, appare la disposizione dell'art. 2, 2° comma, citata 1.
n. 877 del 1973, in virtù della quale il datore di lavoro non può affidare lavoro a domicilio per tutta la durata dei programmi di
ristrutturazione o conversione che abbiano comportato licen
ziamenti o sospensioni dal lavoro, e ancora per un anno dall'ul
timo licenziamento e dalla cessazione delle sospensioni; —
scopo primario della 1. n. 223 del 1991 è di assicurare la
c.d. mobilità ai lavoratori licenziati, cioè l'inclusione in privile
giate liste di disoccupazione che consentano lo spostamento di
lavoratori con un notevole bagaglio di professionalità dalle im
prese recedenti a quelle bisognevoli di personale qualificato, e,
di conseguenza, iscrizione nelle liste di mobilità e fruizione del
l'indennità di mobilità costituiscono elementi strettamente col
legati; — fra l'altro, l'art. 9 della legge prevede che il lavoratore è
cancellato dalle liste di mobilità — e decade dall'indennità —
quando rifiuti di essere avviato ad un corso di avviamento pro fessionale ovvero rifiuti un lavoro professionalmente equiva lente od omogeneo al precedente ovvero non accetti, in man
canza di lavori equivalenti od omogenei, di essere impiegato nei
c.d. lavori socialmente utili, sempre che tali attività si svolgano in un luogo distante non più di cinquanta chilometri, o comun
que raggiungibile in sessanta minuti con mezzi pubblici, dalla
residenza del lavoratore; l'applicazione di tali regole ad un la
voratore a domicilio — che, per definizione, lavora nel proprio domicilio o in locale di cui abbia la disponibilità e lavora nella misura in cui il datore di lavoro gli affida lavoro da eseguire
—
risulterebbe impossibile, salvo che al medesimo lavoratore, che
si trovi in mobilità, non si attribuisca l'obbligo sia di frequenta re corsi di formazione professionale, sia di trasformare il pro
prio speciale rapporto di lavoro in un ordinario rapporto di lavo
ro subordinato.
È avviso delle sezioni unite che debba essere accordata prefe renza al primo dei riferiti orientamenti.
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1527 PARTE PRIMA 1528
A questa conclusione non è di ostacolo la norma che prevede
l'inapplicabilità ai lavoratori a domicilio della disciplina del l'integrazione salariale (art. 9 1. 18 dicembre 1973 n. 877).
Si osserva al riguardo che l'indennità di mobilità di cui al
l'art. 7 1. n. 223 del 1991 spetta non solo nel caso, disciplinato dall'art. 4 medesima legge, del rilievo dell'eccedenza di mano
d'opera durante la realizzazione del programma di ristruttura
zione (art. 4) — in relazione al quale non è dato dubitare che i
licenziamenti colpiscano lavoratori già fruenti del trattamento di
cassa integrazione (come emerge dall'espressa previsione del 1°
comma del testé citato articolo) e quindi, per definizione, lavo
ratori che svolgano attività endoaziendale — ma anche nei di
versi casi della riduzione del personale (art. 16) o della cessa
zione dell'attività d'impresa (art. 24, 2° comma), nei quali man
cano la preventiva sospensione di rapporti di lavoro e l'eroga zione del detto trattamento.
E, dunque, se la prestazione in questione non presuppone ne
cessariamente un previo intervento della cassa integrazione, per
poterne negare l'erogabilità ai lavoratori a domicilio licenziati
per riduzione del personale o per cessazione dell'attività azien
dale, occorrerebbe dimostrare che le norme di previsione pre
suppongono, pure in questi due ultimi casi, la titolarità, in capo ai destinatari dei licenziamenti, di requisiti soggettivi che, in
presenza delle ulteriori condizioni di legge, li avrebbero legitti mati alla fruizione del trattamento di integrazione salariale.
Per una siffatta dimostrazione non è sufficiente il rilievo che
anche in tali casi ai lavoratori licenziati l'indennità in questione
spetta «ai sensi dell'art. 7» 1. n. 223 del 1991, come previsto dal
1° comma dell'art. 16.
Vero è che questo rinvio impone di ritenere che l'indennità di
mobilità, ancorché i licenziamenti non siano stati preceduti da
intervento della cassa integrazione, deve sempre essere commi
surata ad una data percentuale del trattamento straordinario di
integrazione salariale che i lavoratori interessati hanno effetti
vamente «percepito» o che ad essi sarebbe «spettato» (1° com
ma del citato art. 7).
Tuttavia, salva l'ipotesi dell'effettiva percezione (esclusa nel
caso dei lavoratori a domicilio), il condizionale che caratterizza
l'ipotesi della semplice «spettanza» ben può intendersi riferito
sia a lavoratori titolari dei menzionati requisiti soggettivi legit timanti, sia a quanti ne siano, invece, privi, perché rispetto ad
entrambe le categorie l'operazione da compiere, secondo la
norma richiamata, per pervenire alla quantificazione dell'inden
nità di mobilità, si realizzerebbe in termini identici, ossia attra
verso la determinazione di una base di computo affidata ad una
fictio, consistente nello stabilire quale sarebbe stata l'entità del
l'integrazione salariale, di fatto non erogata, se di essa si fosse
ro verificati tutti i presupposti. Il rinvio all'art. 7, perciò, va letto, in parte qua, come l'indi
viduazione di un mero criterio di calcolo dell'indennità e non
già come l'istituzione di un imprescindibile collegamento fra
questa e la fruizione concreta o l'astratta fruibilità, in relazione
al tipo di rapporto di lavoro. A stabilire un collegamento siffatto non è neppure sufficiente
il combinato disposto degli art. 4 e 16 1. n. 223 del 1991, che
configura l'indennità di mobilità come la provvidenza accordata a quanti versino in stato di disoccupazione determinato da re
cesso intimato da imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel
campo di applicazione dell'intervento straordinario di integra zione salariale.
Qui il richiamo all'istituto dell'integrazione rileva come cri
terio di individuazione di settori economici nell'ambito dei
quali il legislatore ha inteso approntare uno speciale rimedio per la perdita del posto di lavoro, allorché essa dipenda da vicende
che trasmodano la posizione del singolo lavoratore e coinvolga no più ampie esigenze di tutela, in quanto incidenti sui processi
produttivi con particolari caratteristiche oggettive o sull'esisten
za stessa dell'impresa. Si tratta, cioè, di uno strumento alla cui logica è estranea la
posizione del lavoratore che, per la sua dimensione strettamente
individuale, è priva di virtù identificativa di processi e settori
del genere, nonché di situazioni che, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, presentano una valenza giudicata, dal legislatore, tale da imporre interventi particolari, idonei a conseguire risul tati di tutela non sovrapponibili alla somma di normali tratta
menti di disoccupazione. Esso ha, pertanto, un'operatività necessariamente limitata ai
datori di lavoro e nulla autorizza ad inferirne che — a parte il
Il Foro Italiano — 2001.
caso dei lavoratori risultati eccedentari «nel corso di attuazione
del programma di cui all'art. 1» 1. n. 223 del 1991 (art. 4, 1°
comma) — omologo collegamento debba operare rispetto ai la
voratori licenziati per riduzione di personale o per cessazione
dell'attività aziendale (art. 16 e 24). In considerazione di tutto ciò, è persuasiva la conclusione che
le varie situazioni in presenza delle quali è prevista l'erogazione dell'indennità di mobilità si caratterizzano per un minimo de
nominatore comune, costituito non già dal collegamento con la
legittimazione del lavoratore alla percezione del trattamento di
integrazione salariale, bensì dalla perdita del posto di lavoro per effetto di provvedimenti che provengano da datori di lavoro
abilitati alla richiesta dell'intervento integrativo e interessino i
dipendenti non uti singuli, ma come collettività, in quanto de
terminati da definitiva cessazione dell'attività produttiva o al
meno dal carattere plurimo del recesso o, ancora, dalla riscon
trata impossibilità di reintegrare lavoratori sospesi per consenti
re l'esecuzione di programmi di ristrutturazione aziendale.
Rispetto allo stato di disoccupazione determinato da provve dimenti siffatti, «l'indennità di mobilità sostituisce ogni altra
prestazione di disoccupazione» (art. 7, 8° comma, 1. n. 223 del
1991) ed «è regolata dalla normativa che disciplina l'assicura
zione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, in
quanto applicabile» (12° comma). Per altro verso, poi, deve porsi in luce come il rapporto di la
voro subordinato a domicilio non presenti per sua natura alcuna
inconciliabilità con l'operatività dell'assicurazione contro la di
soccupazione involontaria.
L'originaria disposizione negativa contenuta nell'art. 40, n. 3, r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito, con modificazioni, in 1.
6 aprile 1936 n. 1115, recante norme sul perfezionamento e il
coordinamento della previdenza sociale, è stata caducata dal
l'entrata in vigore della 1. 13 marzo 1958 n. 264, la quale, al
l'art. 13, 1° comma, ha disposto l'estensione anche ai lavoratori
a domicilio di tutte le assicurazioni sociali.
Con l'art. 19 d.p.r. 16 dicembre 1959 n. 1289, recante norme
di attuazione della predetta 1. n. 264 del 1958, è stato precisato che fra le assicurazioni sociali di cui all'art. 13, 1° comma, stes
sa legge, era ricompresa pure quella contro la disoccupazione. Tutta la materia della tutela del lavoro a domicilio è stata
successivamente regolata dalla 1. 18 dicembre 1973 n. 877, la
quale, mentre con l'art. 14, ha previsto, in coerenza sistematica
con le nuove disposizioni sulla medesima materia, l'abrogazio ne della precedente 1. 264/58, con l'art. 9 ha ribadito e precisato che ai lavoratori a domicilio si applicano le norme vigenti per i
lavoratori subordinati in materia di assicurazioni sociali (e di as
segni familiari), fatta eccezione di quelle sull'integrazione sala
riale.
Pertanto, una volta constatata l'inidoneità di quest'ultima li
mitazione ad impedire di per sé la fruizione da parte dei lavo
ratori a domicilio dell'indennità di mobilità di cui all'art. 7 1. n.
223 del 1991, la disposizione estensiva, rispetto a questi ultimi, delle norme sulle assicurazioni sociali dei lavoratori subordina
ti, ivi compresa quella contro la disoccupazione involontaria, ri
sulta necessariamente riferibile alla medesima indennità, stante
il ricordato valore sostitutivo che essa ha rispetto ad ogni altro trattamento di disoccupazione.
Aggiungasi che, stante l'estrema ampiezza di tale estensione, l'eccezione ad essa posta è, per sua stessa natura, di stretta e ri
gorosa interpretazione e, siccome unicamente relativa ad una
specifica ragione di tutela previdenziale del lavoratore solo
temporaneamente sospeso dal lavoro, non può essere applicabile anche alla ben diversa fattispecie legale e di fatto del lavoratore
definitivamente licenziato, che si trova in una situazione di di
soccupazione involontaria non temporanea, ben più bisognevole di tutela previdenziale di quella del lavoratore solo tempora neamente sospeso dal lavoro.
Emerge, così, un assetto normativo nel quale la valutazione di
astratta assimilabilità del rapporto di lavoro a domicilio ad ogni altro rapporto di lavoro subordinato, al fine dell'erogazione del
l'indennità di mobilità, è compiuta immediatamente e diretta mente dallo stesso legislatore, senza che rilevi in contrario l'os servazione che lo svolgimento di tale rapporto può essere ca ratterizzato anche da mancanza di continuità o anche da esecu zione di commesse per più imprenditori.
Ed in effetti, la corte, con sentenza 22 gennaio 1987, n. 615,
id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 679 (sostanzialmente confermativa dell'orientamento già espresso da Cass. 17 marzo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1981, n. 1570, id., 1981, I, 1949), ha chiarito e precisato come la compatibilità del rapporto con modalità di prestazione intrin secamente precarie e carenti di garanzia giuridica in ordine alla continuità ed entità delle commesse non escluda affatto la sussi stenza di quell'attenuata subordinazione che la 1. n. 877 del 1973 ha introdotto come species derogatoria rispetto al genus delineato dall'art. 2094 c.c.
Il lavoro a domicilio, pertanto, ancorché precario in questo limitato senso, resta pur sempre un rapporto di lavoro subordi nato (v. anche Cass. 5 maggio 1989, n. 2109, id., Rep. 1989, voce cit., n. 587; 2 febbraio 1989, n. 628, ibid., n. 588; 15 luglio 1987, n. 6197, id., Rep. 1988, voce cit., n. 619), ben differen ziabile da quello autonomo: donde la conseguenza che, per ap plicare le norme sul lavoro subordinato (non escluse, dunque, quelle in tema di assicurazioni sociali), nel caso di lavoro a do micilio, non occorre accertare se sussistano i caratteri che, se condo la disposizione codificata, sono propri del primo, essen do, invece, necessario e sufficiente che ricorrano i requisiti indi cati dall'art. 1 1. n. 877 del 1973, come modificato dall'art. 2 1. n. 858 del 1980, e cioè: a) che il lavoratore esegua il lavoro nel
proprio domicilio e in locale di cui abbia la disponibilità; b) che il lavoro sia eseguito dal lavoratore personalmente, o anche con l'aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata o di appren disti; e) che il lavoratore sia tenuto ad osservare le direttive del
l'imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere, nell'esecuzione parziale, nel
completamento o nell'intera lavorazione di prodotti oggetto dell'attività del committente (cfr., da ultimo, Cass. 16 giugno 2000, n. 8221, id., Mass., 745, la quale ha ribadito che, nel qua dro di tale speciale disciplina legislativa, il lavoro a domicilio realizza una forma di decentramento produttivo, in cui l'oggetto della prestazione del lavoratore assume rilievo non già come ri
sultato, ma come estrinsecazione di energie lavorative, resa in maniera continuativa all'esterno dell'azienda, e però organiz zata ed utilizzata in funzione del lavoro eseguito all'interno di
essa). D'altra parte, secondo lo stesso orientamento giurispruden
ziale (v., in particolare, la sentenza n. 615 del 1987), la possibile precarietà del rapporto non esclude che lo stesso si attui, in con
creto, con modalità tali da conferirgli una continuità qualificata e ragionevole e da renderlo pienamente assoggettabile anche alla disciplina limitativa del potere di recesso del datore di lavo
ro, giusta la previsione dell'art. 11, 2° comma, 1. n. 877 del
1973, concernente l'affidamento di una quantità di lavoro atta a
procurare al lavoratore a domicilio «una prestazione continuati va corrispondente all'orario normale di lavoro ...»: ipotesi, co me ancora sottolineato nella richiamata sentenza, la quale cer tamente non esaurisce l'ambito dell'anzidetta «ragionevole ed
apprezzabile continuità di prestazioni lavorative», che resta in vece delineato dalla concreta possibilità di interpretazione estensiva della disciplina sopra accennata.
11 possibile atteggiarsi del lavoro a domicilio in forme talora dissimili da quelle di norma ricollegabili al genus del lavoro su bordinato non può, pertanto, essere invocato di per sé, ossia
astrattamente, come una ragione d'incompatibilità del primo col trattamento di mobilità, quale provvidenza disposta tipicamente per il secondo, così come, più in generale, il problema dell'ap plicabilità alle prestazioni domiciliari delle norme dettate per quelle interne non può essere risolto alla stregua di categorie generali o di tecniche definitorie, bensì in base ad un esame analitico e ad una verifica di compatibilità condotta in relazione alla specifica disciplina dei singoli istituti ed alle peculiarità della situazione concreta.
Anche con riguardo alla detta indennità, è, dunque, erronea una prospettiva ricostruttiva come quella che permea le censure svolte dal ricorrente e tende a dimostrare l'estraneità del mo dello legale del lavoro a domicilio all'area di operatività della
disciplina della prestazione previdenziale in questione, sulla ba se di talune potenzialità che tale modello è idoneo ad esprimere, come quelle suscettibili di conferire, nel senso sopra esposto, elementi di precarietà al relativo rapporto.
Trattandosi, invece, di una mera eventualità e non di un modo di essere necessario del relativo rapporto, essa può rilevare sol tanto in concreto, ai fini dell'accertamento della sussistenza di tutti gli altri requisiti cui all'art. 16, 1° comma 1. n. 223 del 1991 condiziona l'insorgenza del diritto all'indennità di mobi
lità, con la conseguenza che non il carattere domiciliare della
Il Foro Italiano — 2001.
prestazione può escludere tale insorgenza, ma la circostanza che effettivamente essa sia stata svolta senza quella «continuità»
che, per espressa previsione della norma ora citata, si colloca fra i detti requisiti; così come l'accertata persistenza di rapporti di lavoro a domicilio con altri datori di lavoro escluderebbe l'ero
gabilità della speciale prestazione di cui trattasi, per il difetto del necessario presupposto, da identificarsi nello stato di disoc
cupazione.
Argomenti contrari alle conclusioni raggiunte non possono trarsi dalla qualificazione «aziendale» che l'art. 16, 1° comma, 1. n. 223 del 1991 attribuisce all'anzianità minima necessaria
per fruire dell'indennità di mobilità. Con tale locuzione la norma si riferisce non al dato topografi
co, cioè al luogo di svolgimento della prestazione, ma al suo coordinamento col ciclo produttivo aziendale, che è requisito non estraneo al lavoro a domicilio, nel quale il vincolo della su bordinazione è qualificato non tanto dall'elemento della colla
borazione, intesa come svolgimento di attività lavorativa nel contesto dell'organizzazione dell'impresa, quanto da quello, ti
pico, dell'inserimento dell'attività medesima nel ciclo suddetto, consistente nell'esecuzione di lavorazioni analoghe ovvero
complementari o integrative rispetto a quelle eseguite all'inter no dell'azienda, della quale il lavoratore a domicilio diviene
elemento, ancorché esterno (cfr. Cass. n. 8221 del 2000, cit.; 18
giugno 1999, n. 6150, id., Rep. 1999, voce cit., n. 881; 23 set tembre 1998, n. 9516, ibid., n. 885; 3 aprile 1992, n. 4118, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 631).
Né, poi, giova all'orientamento disatteso il richiamo alla fun zione della «mobilità», poiché questa può pienamente relizzarsi anche rispetto ai lavoratori a domicilio, interessati non meno
degli altri lavoratori subordinati all'operatività di un istituto in teso a favorire spostamenti di soggetti con un notevole bagaglio di professionalità dalle imprese recedenti a quelle bisognevoli di
personale qualificato ovvero a consentire, anche attraverso la
frequenza di appositi corsi di preparazione, la soddisfazione di
esigenze formative sottese a siffatte operazioni di trasmigrazio ne della mano d'opera da un settore economico all'altro. Ed in
effetti, nessuna incompatibilità di principio è ravvisabile fra il
pregresso svolgimento di un rapporto di lavoro a domicilio e
l'assolvimento, sotto pena di esclusione dal trattamento assicu rativo in atto, del coacervo di obblighi (come quelli inerenti alla formazione professionale o allo svolgimento di lavori social mente utili, anche in luoghi diversi dal domicilio del prestatore) derivanti dall'iscrizione nelle apposite liste e costituenti (v. Corte cost. n. 413 del 1995, id., Rep. 1995, voce Previdenza so
ciale, n. 448), non meno del diritto alla percezione dell'inden
nità, elementi essenziali dello status del lavoratore in mobilità. Privo di pregio, infine, è l'argomento che si pretende desumi
bile dal divieto di affidamento di lavori a domicilio, in caso di programmi di ristrutturazione o conversione che abbiano com
portato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, per tutto l'anno successivo all'ultimo licenziamento o alla cessazione delle so
spensioni. La disposizione in tal senso dell'art. 2 1. n. 877 del 1973, lun
gi dall'avere una qualsiasi virtù dimostrativa dell'incompatibi lità del lavoro a domicilio con l'erogazione dell'indennità di mobilità, ha la funzione di favorire la realizzazione dei pro grammi suddetti, evitando la contraddizione che si creerebbe se, accanto al ridimensionamento della mano d'opera interna all'a
zienda, fosse consentita l'espansione di quella esterna: ed in
questo senso la norma costituisce un'indiretta conferma della comune inerenza di tutte le risorse personali, siano esse interne od esterne, al ciclo produttivo aziendale, sicché le une come le altre restano esposte in pari misura al rischio della contrazione
conseguente a processi di ristrutturazione o di conversione. In conclusione deve affermarsi che anche i lavoratori a domi
cilio, i quali — a causa di licenziamento, per riduzione di per
sonale o per cessazione dell'attività aziendale, intimato da im
prese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applica zione della disciplina dell'intervento straordinario di integrazio ne salariale —
vengano a trovarsi in condizione di disoccupa zione, hanno diritto all'indennità di mobilità ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 7 1. 23 luglio 1991 n. 223, ove possano far
valere, ai sensi dell'art. 16, 1° comma, medesima legge, una di
pendenza di almeno dodici mesi dalla medesima azienda (di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i pe riodi di sospensione per ferie, festività e infortuni), con un rap
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PARTE PRIMA
porto di lavoro a carattere continuativo o comunque non a ter
mine.
In applicazione di questo principio, il ricorso deve essere ri
gettato.
L'Inps, in effetti, come più ampiamente esposto in parte nar
rativa, ha, con le proprie censure, sostenuto l'astratto assunto
dell'inconciliabilità di principio fra la qualità di lavoratore a
domicilio ed il diritto del lavoratore all'indennità di mobilità,
non già quello del concreto difetto, nella fattispecie, di alcuno
dei requisiti di cui al citato art. 16, sui quali non v'è stata alcuna
contestazione specifica. Ciò dicasi, in particolare, per il requisito della continuità del
rapporto, in ordine al quale il ricorrente si limita ad osservare
che non sempre caratterizza il lavoro a domicilio, senza dedurre
di averne rappresentato al giudice del merito l'effettiva carenza
anche rispetto al rapporto di cui qui si tratta. E, d'altra parte, a
fronte di questa prospettazione della censura, sta l'espresso ri
lievo dei giudici del merito che l'istituto assicuratore non ha
fornito alcuna prova dell'effettiva riferibilità alle lavoratrici in
teressate alla presente controversia di quelle eventuali modalità
di espletamento del lavoro a domicilio che sono state dedotte
soltanto in astratto come incompatibili con l'erogazione della
provvidenza in contestazione, onde, in tali termini, deve ritener
si accertata l'esistenza delle condizioni di legge per l'erogazio ne stessa.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 marzo
2001, n. 3363; Pres. Ianniruberto, Est. Spanò, P.M. Abbrutì
(conci, diff.); Bassotti (Avv. Agostini) c. Inail (Avv. Cata
nia, Raspanti). Cassa Trib. Rimini 22 settembre 1998.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Caduta da
sedia a rotelle in postazione di computer — Occasione
di lavoro — Sussistenza — Rischio elettivo — Esclusione
(D.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, art. 2; d.leg. 23 febbraio 2000 n. 38,
disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni
sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell'art. 55, 1°
comma, 1. 17 maggio 1999 n. 144, art. 12).
Va riconosciuta la sussistenza dell'occasione di lavoro, che
rende indennizzabile l'infortunio, e va nel contempo esclusa
l'ipotesi di rischio elettivo, la cui ricorrenza invece interrom
perebbe il nesso causale, nella caduta da una sedia a rotelle
utilizzata in una postazione di computer verificatasi mentre il
lavoratore si spostava, allontanandosi dal monitor, per avvi
cinarsi ad un armadietto al fine di prelevarvi delle prati che. (1)
(1) Nel senso che la nozione di «occasione di lavoro» comprende tutti i fatti, anche straordinari ed imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine o alle persone, sia dei colleghi sia dei terzi ed anche dello stesso infortunato, cfr. Cass. 14 novembre 2000, n. 14715, Foro
it., Mass., 1307; 7 novembre 2000, n. 14464, ibid., 1280; 9 ottobre 2000, n. 13447, ibid., 1189; 1° febbraio 2000, n. 1109, ibid., 113; 27 novembre 1999, n. 13296, id.. Rep. 1999, voce Infortuni sul lavoro, n. 66; 29 ottobre 1998, n. 10815, ibid., n. 68. Mentre, sulla interruzione del nesso causale integrato dall'occasione di lavoro nelle ipotesi in cui sia ravvisabile la sussistenza di un «rischio elettivo», oltre a Cass. 7 novembre 2000, n. 14464 e 9 ottobre 2000, n. 13447, cit., cfr. Cass. 2
giugno 1999, n. 5419, ibid., n. 71; 19 aprile 1999, n. 3885, ibid., n. 73; 17 dicembre 1998, n. 12652, id., Rep. 1998, voce cit., n. 60; 7 marzo 1998, n. 2572, ibid., n. 88; 23 agosto 1997, n. 7918, ibid., n. 70; 13
maggio 1998, n. 4841. id., 1998,1, 1791, con nota di V. Ferrari.
Il Foro Italiano — 2001.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 gen naio 2001. n. 253; Pres. Mileo, Est. Lamorgese, P.M. Fedeli
(conci, conf.); Mariotti (Avv. Martino, Mina) c. Inail (Avv.
Catania, Raspanti). Cassa Trib. Brescia 27 giugno 1998 e
decide nel merito.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Infortunio
«in itinere» — Percorso a piedi — Indennizzabilità (D.p.r.
30 giugno 1965 n. 1124, art. 2; d.Ieg. 23 febbraio 2000 n. 38, art. 12).
E indennizzabile come infortunio in itinere il sinistro occorso ad
un medico ospedaliero che, parcheggiata l'autovettura, men
tre si accingeva a raggiungere il reparto dove avrebbe dovuto
prestare la propria attività, inciampava in una catenella di
delimitazione posta all'interno dell'ospedale. (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 no
vembre 2000, n. 14508; Pres. Ianniruberto, Est. Picone, P.M. Sepe (conci, conf.); Porterà (Avv. Concetti) c. Inail
(Avv. Catania, Raspanti). Cassa Trib. Palermo 24 dicembre
1997.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Infortunio
«in itinere» — Configurabilità (Cost., art. 3, 16, 31, 38; d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, art. 2; d.leg. 23 febbraio 2000 n. 38, art. 12).
E configurabile l'infortunio in itinere nel sinistro che colpisce il
lavoratore durante il normale percorso di andata e ritorno
dal luogo di abitazione a quello di lavoro, intendendosi per abitazione non soltanto il luogo di abituale dimora del lavo
ratore, ma soprattutto quello in cui si svolge la personalità dell'individuo che, in considerazione dei doveri di rilevanza
costituzionale di solidarietà familiare, va identificato nel luo
go di residenza della famiglia. (3)
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso in data 16 aprile
1996, Bassotti Anna Maria conveniva in giudizio dinanzi al
Pretore di Rimini l'Inail al fine di ottenere il riconoscimento del
proprio diritto a percepire l'indennità da inabilità temporanea
per il periodo 18 ottobre - 24 novembre 1995, in relazione a in
fortunio occorsogli a seguito di caduta da una sedia a rotelle, utilizzata in una postazione di computer.
Il giudice adito, con sentenza n. 137/97 in data 14 febbraio -
11 marzo 1997, accoglieva la domanda.
Interponeva appello l'Inai] e in esito il Tribunale di Rimini, con sentenza 372/98 emessa in data 26 febbraio - 22 settembre
1998, in accoglimento del gravame respingeva la domanda di
parte attrice e così, per quanto rileva in questa sede, motivava la
decisione.
Osservava che l'occasione di lavoro non coincide con la mera
(2) Una fattispecie analoga è stata decisa in senso conforme da Cass. 15 febbraio 1986, n. 925, Foro it., Rep. 1986, voce Infortuni sul lavoro, n. 75, che la sentenza in epigrafe inserisce nella citazione di una serie di precedenti che hanno ritenuto di ravvisare 1'«occasione di lavoro», quale requisito per l'indennizzabilità dell'infortunio, non solo nella
ipotesi di rischio specifico proprio della prestazione di lavoro, ma an che di rischio improprio e cioè non intrinsecamente connesso allo svol
gimento del lavoro, ma insito in un'attività prodromica e strumentale allo svolgimento delle mansioni: cfr. Cass. 18 settembre 2000, n.
12325, id., Mass., 1111; 4 agosto 2000, n. 10298, ibid., 977; 7 aprile 2000, n. 4433, ibid., 429; 22 novembre 1999, n. 12930, id., Rep. 1999, voce cit., n. 67; 2 giugno 1999, n. 5419, ibid., n. 71; 11 maggio 1999, n. 4676, ibid., n. 72; 23 agosto 1997. n. 7918, id., Rep. 1998, voce cit., n. 70; 22 maggio 1997, n. 4557, ibid., n. 71.
(3) In senso conforme, v. Cass. 19 dicembre 1997, n. 12903, Foro it., 1998,1, 433, con nota di V. Ferrari, e Riv. giur. lav., 1998, II. 407, con nota di G. Cocuzza. Per ulteriori riferimenti, estesi al pubblico impie go, cfr. Cons. Stato, comm. spec, pubblico impiego, 13 dicembre 1999, n. 458, Foro it., 2000, III, 541, con nota di richiami.
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