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sezioni unite civili; sentenza 13 aprile 2000, n. 134/SU; Pres. Vela, Est. Vitrone, P.M. Dettori...

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sezioni unite civili; sentenza 13 aprile 2000, n. 134/SU; Pres. Vela, Est. Vitrone, P.M. Dettori (concl. conf.); Losito e altro (Avv. Battista, Ursini, Riccardi) c. Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Bari (Avv. Sinisi, Volse). Regolamento di giurisdizione Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 10 (OTTOBRE 2000), pp. 2829/2830-2841/2842 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195536 . Accessed: 25/06/2014 04:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.228 on Wed, 25 Jun 2014 04:21:25 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 13 aprile 2000, n. 134/SU; Pres. Vela, Est. Vitrone, P.M. Dettori(concl. conf.); Losito e altro (Avv. Battista, Ursini, Riccardi) c. Consorzio per l'area di sviluppoindustriale di Bari (Avv. Sinisi, Volse). Regolamento di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 10 (OTTOBRE 2000), pp. 2829/2830-2841/2842Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195536 .

Accessed: 25/06/2014 04:21

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

economico. Tant'è che essa per le società di navigazione di pre minente interesse nazionale (cosiddette Pin), detta anche precisi criteri di determinazione dei costi da sovvenzionare (cfr. Cass.

n. 1360 del 1999, id., Rep. 1999, voce Navigazione marittima

(ordinamento), n. 6). La norma dunque intende con chiarezza coprire, con la sov

venzione, costi che non si volevano far scaricare sul prezzo, ovvero sulla tariffa, giacché tale operazione avrebbe travolto

l'esigenza generale considerata.

6. - Il sesto motivo allega il contrasto delle norme italiane

predette con gli art. 81, 41, 3 e 97 Cost.

7. - L'eccezione, conseguentemente a quanto si è innanzi rile

vato, va dichiarata manifestamente infondata. Il ricorrente infi

ne lamenta l'omessa pronuncia da parte della corte napoletana sulla domanda di rinvio pregiudiziale della questione alla Corte

di Lussemburgo. Osserva il collegio che la pronuncia sul punto vi è stata, im

plicita, nella disamina a seguito della quale si è escluso, sulla

base della giurisprudenza Cee, alcuna questione sulla interpre tazione di un atto comunitario.

La doglianza è pertanto infondata.

8. - Il ricorso deve essere rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 13 aprile

2000, n. 134/SU; Pres. Vela, Est. Vitrone, P.M. Dettori

(conci, conf.); Losito e altro (Avv. Battista, Ursini, Ric

cardi) c. Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Bari

(Avv. Sinisi, Volse). Regolamento di giurisdizione.

Espropriazione per pubblico interesse — Retrocessione totale — Presupposti (L. 25 giugno 1865 n. 2359, espropriazione

per causa di pubblica utilità, art. 63).

Espropriazione per pubblico interesse — Compendio apparte nente a proprietari diversi — Mancata utilizzazione di un fondo — Retrocessione parziale — Giurisdizione amministrativa (L. 25 giugno 1865 n. 2359, art. 60, 61, 63).

Espropriazione per pubblico interesse — Attuazione delle pre scrizioni di piano regolatore generale su pluralità di immobili

appartenenti a proprietari diversi — Mancata utilizzazione di

un fondo — Approvazione di variante di piano relativa all'a

rea inutilizzata — Compatibilità con le previsioni originarie — Nuovo decreto di esproprio — Esclusione.

Il diritto soggettivo alla retrocessione totale presuppone che l'a

rea destinata all'esecuzione dell'opera pubblica prevista nella

dichiarazione di pubblica utilità e nel successivo decreto di

espropriazione sia rimasta completamente inutilizzata a segui to della mancata totale realizzazione dell'opera originaria ov

vero che questa sia stata eventualmente sostituita con un 'ope ra del tutto diversa, che stravolga l'assetto del territorio origi nariamente previsto. (1)

(1, 4-5) I. - Le massime si pongono in linea con l'orientamento con

solidato nella giurisprudenza della Cassazione, che individua il presup posto del diritto alla retrocessione totale, ovvero del diritto dell'ex pro

prietario espropriato di ottenere la restituzione del proprio bene rima

sto inutilizzato nell'ambito del procedimento ablatorio, nel fatto che

l'opera programmata con la dichiarazione di pubblica utilità e nel suc

cessivo provvedimento di esproprio non sia stata eseguita e siano decor

si i termini a tal uopo concessi. In tal senso, v. Cass. 8 luglio 1994, n. 6459, Foro it., 1995, I, 1897, con nota di S. Benini.

La seconda pronuncia (150/00) equipara, ai fini dell'esercizio del di

ritto alla retrocessione, all'ipotesi di scadenza del termine per il compi mento dei lavori quella in cui vi sia comunque la certezza dell'impossi bilità di esecuzione dell'opera. Nello stesso senso, v. Cass. 5 marzo

Il Foro Italiano — 2000.

In caso di espropriazione per pubblica utilità da attuarsi su una

pluralità di immobili appartenenti a proprietari diversi, la non

completa realizzazione dell'opera pubblica originariamente pro

grammata non dà luogo alla retrocessione totale delle aree

non ancora utilizzate alla scadenza della data fissata per l'ul

timazione dell'opera, ma solo alla retrocessione parziale dei

beni relitti, e ciò anche nel caso in cui uno di essi venga a

coincidere con l'intera superficie espropriata in danno di un

singolo proprietario, e, pertanto, fino a quando non inter

venga la dichiarazione della pubblica amministrazione in or

dine ali'inutilizzabilità dell'immobile al compimento dell'ope

ra, ai sensi dell'art. 61 l. 2359/1865, la domanda diretta ad

ottenere la restituzione del bene va devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo fino a quel momento

configurabile in capo al privato una posizione di diritto sog

gettivo. (2) Nell'ipotesi di espropriazione per pubblica utilità da attuarsi in

esecuzione delle prescrizioni del piano regolatore generale su

una pluralità di immobili appartenenti a proprietari diversi, non sono richiesti una nuova dichiarazione di pubblica utilità

ed un nuovo decreto di espropriazione allorquando, per ef

fetto di una variante di piano, un'area del comprensorio, ri

masta inutilizzata, venga destinata ad un 'opera diversa, la quale

tuttavia, per le sue caratteristiche strutturali, rientri pur sem

pre nelle previsioni dell'opera pubblica complessiva per la cui

realizzazione era stata disposta originariamente l'espropria zione e si limiti a mutarne la configurazione globale senza

stravolgere l'assetto complessivo del territorio. (3)

1999, n. 1871, id., Mass., 278, ove si afferma che la certezza dell'im

possibilità assoluta del compimento dell'opera, quale presupposto per far luogo alla retrocessione, si può desumere da una nuova e diversa destinazione impressa ai beni espropriati, che però deve presentarsi con

caratteri di definitività ed incompatibilità con l'attuazione dell'opera

originariamente progettata; 8 giugno 1998, n. 5619, id.. Rep. 1998, vo

ce Espropriazione per p.i., nn. 340, 348, secondo la quale deve ritenersi

integrata la fattispecie della retrocessione totale quando la pubblica am

ministrazione abbia utilizzato gli immobili espropriati, dando ad essi una destinazione diversa ed incompatibile con l'attuazione dell'opera pubblica programmata (nella specie, mentre era prevista nella dichiara

zione di pubblica utilità la realizzazione di opere di fortificazione mili

tare, l'immobile espropriato era stato invece utilizzato per alloggi degli

ufficiali). Analogamente, nel caso di espropriazione disposta in attuazione delle

prescrizioni di piano particolareggiato, sono considerate ipotesi di inuti lizzabilità del fondo per la realizzazione dell'opera pubblica, con conse

guente diritto del privato alla retrocessione totale, la scadenza dei ter mini di efficacia del piano o l'approvazione di una variante che impri ma all'immobile, già oggetto di esproprio, una nuova e diversa

destinazione o lo liberi da ogni vincolo espropriativo. V., al riguardo, i riferimenti contenuti nella nota di richiami a Cass. 8 luglio 1994, n.

6459, cit., cui acide Cass. 21 gennaio 1991, n. 539, id., Rep. 1992, voce cit., n. 251 (concernente un'ipotesi di variante al piano per l'edili

zia economica popolare); 30 maggio 1991, n. 6144, id., Rep. 1991, voce

cit., n. 215; 18 agosto 1990, n. 8431, id., Rep. 1990, voce cit., n. 253, che ha affermato che sussiste il diritto del privato ex proprietario di

ottenere la retrocessione totale in caso di approvazione di una variante

che liberi l'immobile dall'originaria destinazione, anche ove l'originario

programma urbanistico sia stato altrove realizzato. Cfr. anche, con ri ferimento però all'ipotesi di espropriazione di terreni siti in zona desti

nata all'impianto di stabilimenti industriali, a norma dell'art. 141 d.leg.lgt. 19 agosto 1917 n. 1399 (sulle provvidenze per il terremoto del 1908), Cass. 26 giugno 1990, n. 6492, ibid., n. 254, secondo la quale l'appro vazione di un successivo programma di fabbricazione — che imponga una nuova e diversa destinazione urbanistica dell'area — importa il

sorgere del diritto alla retrocessione dei beni, a norma dell'art. 63 1. 2359/1865.

In termini diversi rispetto alla giurisprudenza sopra citata, v. Tar

Abruzzo 29 marzo 1989, n. 141, id., Rep. 1989, voce cit., n. 255, che

ha affermato che il sopravvenuto mutamento della destinazione dell'o

pera rispetto alle finalità di pubblico interesse per il cui raggiungimento fu a suo tempo disposta l'espropriazione dell'area in cui sorge, non

rientra tra le ipotesi per le quali gli art. 60-63 prevedono la retrocessio ne dei beni.

II. - Il concetto di inutilizzabilità del fondo per la realizzazione del

l'opera programmata con la dichiarazione di pubblica utilità assume

importanza, oltre che quale presupposto del diritto della retrocessione

totale, anche per stabilire il dies a quo del relativo termine prescriziona le. In tal senso è la seconda delle pronunce in rassegna, che individua

appunto nel momento in cui diviene impossibile la realizzazione dell'o

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2831 PARTE PRIMA 2832

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 gen naio 2000, n. 150; Pres. Corda, Est. Benini, P.M. Nardi

(conci, conf.); Martin e altri (Avv. Romanelli, Ludogoroff) c. Comune di Saluzzo (Avv. Dalla Vedova, Golinelli). Con

ferma1App. Torino 11 novembre 1997.

Espropriazione per pubblico interesse — Retrocessione totale — Momento di insorgenza del diritto dell'espropriato — Pre

scrizione — Interruzione per nuova dichiarazione di pubblica utilità — Esclusione (Cod. civ., art. 2946; 1. 25 giugno 1865 n. 2359, art. 13, 63).

Il diritto soggettivo alla retrocessione totale sorge nel momento

in cui la realizzazione dell'opera prevista nella dichiarazione di pubblica utilità, in virtù della quale si è proceduto all'e

sproprio della proprietà privata, diviene impossibile per la sca

denza del termine per il compimento dei lavori o per un mu tamento delle scelte di politica urbanistica, che si sostanzino

nell'approvazione di un progetto per una diversa opera pub

blica, e da tale momento comincia a decorrere anche il relati

vo termine prescrizionale, che si compie nell'ordinario perio do decennale, restando escluso che una nuova dichiarazione di pubblica utilità non approdante ad espropriazione, anche se relativa alla stessa opera la cui esecuzione era divenuta im

possibile, possa determinare interruzione della prescrizione. (4)

pera pubblica l'inizio del termine per l'esercizio del diritto alla retro cessione.

Conf. Cass. 8 giugno 1998, n. 5619, cit.; 26 gennaio 1993, n. 954, id., Rep. 1993, voce cit., n. 296; 26 giugno 1990, n. 6492, cit., id., Rep. 1990, voce cit., n. 256. Cfr. anche, con specifico riguardo al pro blema dell'interruzione della prescrizione, Cass. 30 gennaio 1985, n.

575, id., 1985, I, 369, con nota di richiami, che, partendo dall'inqua dramento del diritto alla retrocessione nella categoria dei diritti potesta tivi, è pervenuta alla conclusione che, non essendo configurabile a fron te del diritto dell'ex proprietario un obbligo di prestazione dell'ente

espropriante, bensì una situazione di mera soggezione all'iniziativa del

titolare, non è possibile porre in essere un atto di costituzione in mora con effetto interruttivo della prescrizione, potendo tale effetto conse

guire solo alla proposizione della domanda giudiziale ex art. 63 1. 2359/1865 o al riconoscimento del diritto da parte dell'espropriarne.

III. - Più in generale, sulla natura del diritto di retrocessione, v. le numerose e costanti pronunce della Cassazione che hanno attribuito al diritto in questione natura di diritto potestativo tendente ad una pro nuncia costitutiva del giudice, che comporta un nuovo trasferimento di proprietà con efficacia ex nunc: Cass. 21 agosto 1998, n. 8301, id., Rep. 1998, voce cit., n. 341; 8 giugno 1998, n. 5619, cit.; 20 febbraio

1998, n. 1776, ibid., n. 339; 27 gennaio 1998, n. 771, ibid., n. 469; 3 settembre 1994, n. 7628, id., 1995, I, 1896, con nota di S. Benini.

Con riguardo all'ipotesi d'impossibilità di esercizio del diritto alla retrocessione conseguente all'occupazione irreversibile del fondo già espro priato, v., nel senso che spetta in tal caso all'ex proprietario il risarci mento dei danni nei confronti dell'espropriarne, Cass. 30; marzo 1998, n. 3321, id., Rep. 1998, voce cit., n. 347; 27 gennaio 1998, n. 771, cit.; 15 aprile 1996, n. 3528, id., Rep. 1997, voce cit., n. 251 (ove si afferma che scaduto il termine per il compimento dei lavori il soggetto espropriante non può legittimamente porre in essere atti che rendono inattuabile il diritto alla retrocessione, come la realizzazione dell'opera, ed è responsabile dei danni provocati da tale comportamento); 6 marzo

1992, n. 2715, id., 1992, I, 2406, con nota di richiami.

Diversamente, è stata affermata la sussistenza del diritto del privato ad ottenere la restituzione del proprio bene, nonostante l'intervenuta realizzazione dell'opera, nel caso di occupazione preordinata all'espro prio non preceduta dalla dichiarazione di pubblica utilità, che costitui sce presupposto per l'acquisto della proprietà da parte della pubblica amministrazione: v. Cass. 15 dicembre 1995, n. 12841, id., 1996, I, 2158, con nota di S. Benini.

È stato invece negato sia il diritto alla retrocessione che il diritto ad ottenere l'equivalente o il risarcimento del danno di quanto non più retrocedibile, nel caso di realizzazione di un'opera difforme da quella programmata nel provvedimento di esproprio, in base alla considera zione che una volta eliminato il diritto potestativo alla retrocessione, resta altresì eliminato il diritto al risarcimento per equivalente: v. Cass. 3 novembre 1994, n. 9051, id., Rep. 1994, voce cit., n. 288.

Ugualmente, è stato negato il diritto al risarcimento del danno in una fattispecie nella quale la restituzione del bene non poteva avvenire a causa di mutamenti apportati alla sua struttura (nella specie, demoli zione di una costruzione insistente sull'area espropriata), ritenendosi che l'indennità a suo tempo corrisposta a fronte dell'esproprio già com pensasse l'acquisto del bene in capo all'espropriarne: v. Cass. 18 agosto 1997, n. 7665, id., Rep. 1997, voce cit., n. 256.

Il Foro Italiano — 2000.

Ill

TRIBUNALE DI SONDRIO; sentenza 31 maggio 2000; Giud.

Lotti; Carnazza (Avv. Bertola) c. Comune di Chiavenna

(Avv. Carrara, Spallino) e altri.

Espropriazione per pubblico interesse — Retrocessione totale — Presupposti (L. 25 luglio 1865 n. 2359, art. 63).

Espropriazione per pubblico interesse — Zona destinata dal piano

regolatore generale a centro scolastico — Rinvio al piano par

ticolareggiato — Mancata adozione — Dichiarazione di pub blica utilità implicita — Esclusione (L. 28 luglio 1967 n. 641, nuove norme per l'edilizia scolastica e universitaria e piano finanziario dell'intervento per il quinquennio 1967-1971, art.

14). Espropriazione per pubblico interesse — Cessione volontaria del

bene — Presupposti — Cessione conclusa al di fuori di un

procedimento espropriativo — Retrocessione totale — Esclu

sione (L. 25 giugno 1865 n. 2359, art. 63; 1. 22 ottobre 1971

n. 865, programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale

pubblica; norme sull'espropriazione per pubblica utilità; mo

difiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942 n. 1150, 18

aprile 1962 n. 167, 29 settembre 1964 n. 847, ed autorizzazio

ne di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia

residenziale, agevolata e convenzionata, art. 12). Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Presupposizio

ne — Condizioni (Cod. civ., art. 1467).

Il diritto alla retrocessione totale presuppone l'esistenza di un

procedimento espropriativo, iniziato con la dichiarazione di

pubblica utilità con conclusiva perdita del bene da parte del

privato proprietario per effetto del provvedimento ablatorio

finale o della sua cessione volontaria, e la mancata realizza

zione dell'opera nei termini previsti. (5)

(2) La massima riguarda il problema del riparto in materia di retro cessione tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa.

Nella specie, si trattava di decidere se, espropriato un comprensorio appartenente a proprietari diversi per la realizzazione di stabilimenti

industriali, con i connessi servizi e pertinenze, e realizzata l'opera pub blica su alcuni soltanto dei terreni espropriati, fosse configurabile in

capo all'ex proprietario del fondo non utilizzato il diritto soggettivo alla retrocessione totale, tutelabile avanti al giudice ordinario, ovvero una mera posizione di interesse legittimo, tutelabile avanti al giudice amministrativo, all'ottenimento della dichiarazione di inservibilità indi

spensabile per ottenere la retrocessione parziale. La Suprema corte ha risolto la questione a favore della giurisdizione

del giudice amministrativo, confermando i propri precedenti in materia. Data la specifica finalità dell'esproprio (attuato in esecuzione delle

prescrizioni del piano regolatore generale per l'area di sviluppo indu striale di Bari) nella motivazione della sentenza in epigrafe viene af frontato in ordine di priorità logico-giuridica il problema dell'applicabi lità dell'art. 53, 7° comma, d.p.r. 6 marzo 1978 n. 218 che regola lo

speciale istituto della restituzione dei beni espropriati per l'industrializ zazione del Mezzogiorno che non ricevono la prevista destinazione en tro cinque anni dal decreto di esproprio. Le sezioni unite hanno escluso

l'operatività di tale norma sulla base del rilievo che i suoli in contesta zione non erano destinati alla cessione a terzi, come invece previsto dall'art. 53 cit. nell'ipotesi di espropriazione di aree finalizzata all'im

pianto di stabilimenti industriali e servizi connessi. La piena operatività della disciplina dettata dal d.p.r. 218/78 avrebbe

comportato l'immediata azionabilità avanti al giudice ordinario del di ritto dell'ex proprietario di ottenere la restituzione del proprio fondo, non essendovi nell'ipotesi prevista dall'art. 53 cit. discrezionalità da parte dell'ente espropriarne nell'apprezzamento circa la realizzazione dello scopo per cui fu disposta l'espropriazione. In tal senso, v. Cass. 24 novembre

1993, n. 11606, Foro it., 1994, I, 751, con nota di richiami (citata in motivazione nella sentenza che si riporta), e, in seguito, Cass. 15 aprile 1996, n. 3528, id., Rep. 1997, voce Espropriazione per p.i., n. 251. Per ulteriori riferimenti in tema di espropriazione per l'industrializza zione del Mezzogiorno, v. anche Cass. 6 novembre 1992, n. 12018, e 8 settembre 1992, n. 10298, id., 1993, I, 2255, con nota di richiami e osservazioni di S. Benini.

Una volta chiarito che la questione andava risolta alla luce delle nor me poste dagli art. 60-63 1. 2359/1865, i giudici di legittimità hanno affermato il principio riassunto nella seconda massima secondo il quale nell'ipotesi di pluralità di immobili espropriati per stabilire se la manca ta utilizzazione di un singolo fondo configuri ipotesi di retrocessione totale o di retrocessione parziale deve aversi riguardo all'opera com plessivamente programmata e non ai beni appartenenti ai singoli pro prietari. Nello stesso senso, v., tra le più recenti, Cass. 8 giugno 1998,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Nel caso di inclusione di un compendio immobiliare in un pia no regolatore generale che ne contempli la destinazione a cen

tro scolastico, con rinvio alle disposizioni del piano particola

reggiato per l'individuazione puntuale del singolo edificio o

degli edifici destinati a soddisfare lo specifico interesse pub

blico, non è possibile configurare una dichiarazione di pub blica utilità implicita idonea ad avviare il procedimento espro

priativo in assenza di un'attuazione specifica del programma di edilizia scolastica, mediante l'adozione di un piano parti

colareggiato o di un decreto di vincolo dell'edificio ai sensi

dell'art. 14 I. 641/67. (6) Per poter configurare un contratto di cessione volontaria del

bene espropriando ai sensi dell'art. 12 I. 865/71 è necessario

che lo stesso sia inserito nell'ambito di una procedura espro

priativa, mentre al di fuori di tale ipotesi è configurabile solo

un mero negozio di compravendita di diritto comune conclu

so tra un soggetto pubblico ed un privato, rispetto al quale non trova applicazione l'istituto della retrocessione, che pre

suppone un procedimento espropriativo tipizzato. (7) L'istituto della presupposizione, introdotto in modo espresso

ed in via generale nel nostro ordinamento dall'art. 1467 c.c.,

ricorre soltanto in presenza di tre condizioni, ovvero quando la presupposizione sia comune ad entrambi i contraenti, l'e

vento supposto sia stato assunto come certo nella rappresen

ti. 5619, cit. Per ultériori riferimenti, v. la nota di richiami a Cons.

Stato, sez. IV, 25 marzo 1996, n. 390, id., 1996, III, 594. Lo stesso principio è stato affermato dalla Cassazione anche con ri

guardo ad ipotesi di espropriazione disposta in attuazione di prescrizio ni del piano particolareggiato. V., sul punto, Cass. 24 aprile 1992, n.

4971, id., 1992, I, 2393, con nota di S. Benini, ove si afferma che

qualora-l'espropriazione di beni, in vista della realizzazione di un parco

pubblico, sia stata effettuata in attuazione di un piano regolatore parti

colareggiato, il principio dell'unitarietà della dichiarazione di pubblica utilità, connessa all'approvazione del piano, preclude la retrocessione

totale qualora risultino eseguite opere pubbliche, anche nel caso in cui

privati abbiano eseguito strade previste dalla rete viaria del piano e

destinate all'uso pubblico. Sulla posizione soggettiva del privato espropriato nell'ipotesi di retro

cessione parziale, v. Cass., sez. un., 15 luglio 1999, n. 396/SU, id.,

Mass., 691; 13 novembre 1997, n. 11215, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 106; 17 gennaio 1997, n. 458, id., Rep. 1997, voce cit., n. 252; 28

luglio 1994, n. 7065, id., Rep. 1994, voce cit., n. 169; 7 luglio 1994, n. 6378, ibid., n. 167; 6 marzo 1992, n. 2715, cit.

(3) La massima investe il problema relativo alle conseguenze della

sopravvenuta approvazione di una variante di piano nell'ambito di una

procedura espropriativa non ancora ultimata con la realizzazione del

l'opera pubblica programmata. Nella specie, era stata modificata la destinazione dell'area in conte

stazione da servizi a centro di stoccaggio di materie prime e seconde.

La Cassazione è pervenuta all'affermazione del principio di cui alla

massima partendo dalla considerazione che il mutamento intervenuto

nella destinazione dell'area non aveva portato a configurare un'opera

completamente diversa da quella programmata con la dichiarazione di

pubblica utilità, ma aveva determinato solo una diversa configurazione dell'assetto industriale previsto nel piano, attraverso lo spostamento in

altra zona di servizi che avrebbero dovuto essere stati attuati sull'area

espropriata in danno dei ricorrenti e la realizzazione di un diverso im

pianto industriale perfettamente compatibile con la destinazione origi naria dell'area complessivamente programmata.

Sugli effetti delle varianti di piano comportanti mutamento della desti

nazione originaria impressa all'area nella dichiarazione di pubblica utili

tà, v. le sentenze citate sub nota 1, 4-5, che ricollegano all'approvazione di variante l'insorgenza del diritto soggettivo alla retrocessione totale.

Con riguardo invece al caso di variante con la quale venga individua

ta la specifica opera da realizzare in concreto in una determinata zona, senza mutarne la destinazione a fini pubblici già attribuita alla zona

dal piano particolareggiato!, v. Cass. 28 novembre 1990, n. 11463, Foro

it., Rep. 1992, voce Espropriazione per p.i., n. 250, secondo la quale in tali casi la mancata attuazione dell'opera prevista con la variante, ove abbia avuto attuazione anche solo in parte il piano particolareggia

to, non comporta la retrocessione totale del fondo espropriato, ma la

retrocessione parziale, e ciò per il principio dell'unicità ed inscindibilità

connessa alla dichiarazione di pubblica utilità derivante dall'approva zione del piano.

(6) In tema, v. Cass. 3 dicembre 1997, n. 12242, Foro it., 1997, I,

3527, con nota di richiami, ove si afferma che nello schema procedurale che prelude all'espropriazione delle aree necessarie all'edilizia scolasti

ca, la dichiarazione di pubblica utilità deve essere fatta risalire al decre

to di vincolo delle aree di cui all'art. 14 1. 28 luglio 1967 n. 641.

Ha riconosciuto invece valore di dichiarazione di pubblica utilità del

le relative opere al solo fatto dell'inclusione di un'area in un piano

Il Foro Italiano — 2000.

tazione delle parti e costituisca presupposto obiettivo, non

dipendente cioè dalla volontà dei contraenti e non oggetto di specifica obbligazione. (8)

I

Motivi della decisione. — Sostengono i ricorrenti che, nei ca

si in cui la dichiarazione di pubblica utilità e l'espropriazione siano disposte per la realizzazione di una pluralità di opere glo balmente considerate, la mancata esecuzione di una delle opere

comporterebbe la retrocessione totale dell'area inutilizzata, e,

poiché nella specie l'espropriazione era stata disposta per la rea

lizzazione di particolari insediamenti industriali e delle relative

infrastrutture, la mancata utilizzazione dell'area espropriata e

la sua destinazione ad un'opera pubblica diversa da quella ori

ginariamente prevista a seguito dell'approvazione di una variante

di piano ne comporterebbe la retrocessione totale. Né potrebbe farsi utile riferimento alla giurisprudenza in tema di esecuzione

di piani particolareggiati, poiché non solo i piani regolatori del

le aree e dei nuclei di sviluppo industriale non sarebbero equi

parabili ai piani particolareggiati, ma, anche ammettendo tale

equiparazione, l'amministrazione non potrebbe sottrarsi all'ob

bligo della retrocessione totale quante volte, per effetto di una

regolatore o di fabbricazione, che ne contemplava la destinazione alla

realizzazione di edifici scolastici, secondo la previsione dell'art. 7 1. 24

luglio 1962 n. 1073, integrato dall'art. 2 1. 18 dicembre 1964 n. 1358, Cass. 3 febbraio 1986, n. 649, id., Rep. 1986, voce Espropriazione per

p.i., n. 97. In altri casi, la dichiarazione di pubblica utilità delle aree prescelte

per edilizia scolastica è stata ricondotta all'approvazione del relativo

progetto ai sensi dell'art. 1 1. 3 gennaio 1978 n. 1: v. Trga Trentino

Alto Adige, sede Trento, 14 febbraio 1991, n. 69, id., Rep. 1992, voce

Opere pubbliche, n. 100; Cons. Stato, sez. II, 7 febbraio 1990, n. 46,

ibid., n. 112; sez. IV 26 ottobre 1985, n. 462, id., Rep. 1985, voce

Espropriazione per p.i., n. 55; 27 ottobre 1981, n. 822, id., Rep. 1982, voce cit., n. 29.

(7) Nello stesso senso, v. Cass. 7 aprile 1971, n. 1025, Foro it., 1971,

I, 2574, con nota di L. Florino, che, con riguardo ad ipotesi di accor

do bonario ex art. 28 1. 2359/1865, ha affermato che l'esistenza della dichiarazione di pubblica utilità costituisce presupposto indefettibile perché l'amichevole trasferimento del bene possa essere qualificato contratto

di diritto pubblico, sostitutivo del decreto di esproprio e suscettibile

di dar luogo alla retrocessione del bene medesimo in caso di mancata

realizzazione dell'opera pubblica.

Sull'applicabilità invece dell'istituto della retrocessione all'ipotesi di

cessione volontaria intervenuta nel corso del procedimento espropriati vo, v. Cass. 12 gennaio 1988, n. 144, id., Rep. 1988, voce Espropria zione per p.i., n. 197. Cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 1989, n. 287, id.. Rep. 1989, voce cit., n. 253, citata in motivazione.

Più in generale, sulla natura giuridica e sulla disciplina applicabile al negozio di cessione volontaria di aree in corso di esproprio, v. Cass.

7 marzo 1997, n. 2091, e 29 gennaio 1997, n. 922, id., 1997, I, 1847, con nota di E. Reggiani, e, in seguito, 12 maggio 1998, n. 4759, id.,

Rep. 1998, voce cit., n. 326; 2 settembre 1998, n. 8706, ibid., n. 328; 2 marzo 1999, n. 1730, id., Mass., 259.

Cfr. anche, nella giurisprudenza amministrativa, Tar Emilia-Romagna, sez. I, 20 marzo 1998, n. 125, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 330, ove

si riconosce natura di contratto di diritto pubblico, sottratto all'ordina

ria disciplina di diritto privato, al negozio di trasferimento di beni dal

privato all'ente espropriarne. (8) Partendo dal principio riassunto nella massima, il Tribunale di

Sondrio ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto per pre

supposizione presentata dagli attori in via subordinata rispetto alla do

manda di retrocessione. Nella specie, il contratto da risolvere aveva per oggetto l'acquisizione

di un bene di proprietà privata al demanio comunale per l'esecuzione

di opere pubbliche dichiarate di pubblica utilità (edilizia scolastica) e

prevedeva le agevolazioni fiscali stabilite dalle vigenti disposizioni in

materia. Il giudice adito ha ritenuto inapplicabile l'art. 1467 c.c., dopo aver rilevato che la menzione delle opere pubbliche dichiarate di pubbli ca utilità doveva ritenersi effettuata in via esclusiva ai fini fiscali, per ottenere le agevolazioni tributarie, e che il presupposto fondante del

contratto, al quale faceva riferimento parte attrice, non poteva ritenersi

«obiettivo», trattandosi di una circostanza (l'esecuzione del programma di edilizia scolastica) la cui realizzazione doveva ritenersi dipendente dalla stessa volontà della parte acquirente.

In tema, v. Trib. Roma 20 gennaio 1997, Foro it., 1998, I, 615, con

nota di F. Macario, cui adde App. Cagliari-Sassari 23 marzo 1996, id..

Rep. 1998, voce Contratto in genere, n. 386; Trib. Pescara 5 ottobre 1995,

ibid., n. 446, e, in seguito, Cass. 24 marzo 1998, n. 3083, ibid., n. 382.

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2835 . PARTE PRIMA 2836

variante, fosse venuta meno l'originaria destinazione dei beni

espropriati e non utilizzati con la conseguente impossibilità di

dar loro la destinazione prevista nel decreto di espropriazione. Le ragioni addotte dai ricorrenti non possono trovare acco

glimento, nonostante la suggestione dei richiami alla giurispru denza di questa corte, la cui esatta portata non può tuttavia

essere stabilita senza una adeguata valutazione delle fattispecie concrete sottoposte di volta in volta all'esame del giudice.

Va premesso in punto di fatto che i suoli espropriati in favo

re del Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Bari non

erano destinati alla cessione a terzi — come pure è consentito

dall'art. 53, 7° comma, d.p.r. 6 marzo 1978 n. 218 — essendo

stata affidata al consorzio l'attrezzatura dell'area, e cioè la di

retta realizzazione delle opere previste nel piano di sviluppo in

dustriale di Bari.

Da ciò consegue che nella specie non può trovare applicazio ne lo speciale istituto della restituzione dell'area nell'ipotesi di

mancata realizzazione, da parte del cessionario, dell'opificio in

dustriale programmato nel termine di cinque anni dal decreto

di espropriazione, istituto che, per la peculiarità dei presupposti cui è collegato il diritto dell'espropriato, esclude l'operatività della disciplina della retrocessione parziale e attribuisce in ogni caso una posizione di diritto soggettivo perfetto al riacquisto della proprietà del bene, tutelabile dal giudice ordinario con

l'accertamento dell'effettiva destinazione del suolo espropriato, se cioè esso sia stato destinato in concreto dal cessionario a

sede dell'opificio industriale programmato e delle relative perti nenze (in tal senso, v. sez. un. 24 novembre 1993, n. 11606, Foro it., 1994, I, 751).

Accertato, quindi, che la normativa operante nella specie è

quella prevista in via generale dagli art. 60-63 1. 25 giugno 1865

n. 2359, va innanzitutto smentita l'affermazione secondo cui

la natura totale o parziale della retrocessione dovrebbe essere

valutata esclusivamente in funzione della realizzazione totale o

parziale delle opere pubbliche comprese nelle previsioni della

dichiarazione di pubblica utilità e del successivo decreto di espro priazione quando tali provvedimenti siano relativi ad una plura lità di opere pubbliche globalmente considerate.

Detta affermazione contrasta infatti con il fermissimo costante

orientamento interpretativo della giurisprudenza di questa corte

secondo cui, nell'ipotesi di espropriazione per pubblica utilità

di una pluralità di immobili appartenenti a diversi proprietari, per stabilire se la mancata utilizzazione di taluni di essi determi

ni l'insorgere del diritto soggettivo alla retrocessione tutelabile

dinanzi al giudice ordinario (art. 63 1. n. 2359 del 1865), ovvero

costituisca in favore dell'espropriato una mera posizione di in

teresse legittimo al conseguimento di un provvedimento della

pubblica amministrazione che accerti che il bene non serve più all'opera pubblica (art. 60 e 61 1. cit.), deve aversi riguardo

all'opera complessivamente programmata, nel senso che la se conda ipotesi ricorre quando l'opera sia stata realizzata, sia pu re in termini quantitativamente ridotti rispetto a quelli origina riamente previsti, e solo il suo completamento possa evidenziare

a posteriori la non necessità di mantenere l'acquisizione di talu ni degli immobili espropriati (Cass. 18 gennaio 1977, n. 239,

id., Rep. 1977, voce Espropriazione per p.i., nn. 174, 177; 16

luglio 1983, n. 4895, id., 1983, I, 2784; 29 novembre 1989, n.

5214, id., Rep. 1990, voce cit., n. 259; 9 ottobre 1990, n. 9915,

ibid., n. 251; 28 novembre 1990, n. 11463, id., Rep. 1992, voce

cit., n. 250; 24 aprile 1992, n. 4971, id., 1992, I, 2393; 8 luglio 1994, n. 6459, id., 1995, I, 1897; 4 novembre 1994, n. 9131,

ibid., 1895). Ciò chiarito, risulta dagli atti — il cui esame diretto è consen

tito al giudice investito del regolamento preventivo di giurisdi zione — che l'agglomerato di Bari-Modugno, nel quale ricade

l'area in contestazione, è disciplinato da un piano regolatore generale dell'area industriale la cui approvazione non comporta di per sé sola dichiarazione di pubblica utilità in quanto produ ce gli effetti del piano territoriale di coordinamento di cui agli art. 5 e 6 1. 17 agosto 1942 n. 1150. Esso è stato però seguito dalla dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità delle opere, ai sensi dell'art. 53, 1° comma, d.p.r. 6 marzo 1978 n. 218, nonché dall'emanazione di apposito decreto di espro priazione, e ciò vale a privare di ogni rilevanza la prospettazio ne dei ricorrenti i quali sottolineano la distinzione tra i piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale, che ri

chiederebbero apposita dichiarazione di pubblica utilità e i pia

li, Foro Italiano — 2000.

ni particolareggiati che avrebbero natura di strumenti urbanisti

ci esecutivi, la cui approvazione comporterebbe dichiarazione

implicita di pubblica utilità senza alcuna necessità di ulteriori

adempimenti (art. 16, 4° comma, legge urbanistica). Sulla base di tali considerazioni va ora esaminata la fonda

tezza dell'affermazione secondo cui nell'ipotesi in cui nell'at

tuazione di un piano particolareggiato sia stata omessa l'utiliz

zazione di taluni immobili l'amministrazione non potrebbe uti

lizzare dette aree per la realizzazione di opere diverse a nulla

valendo l'eventuale successiva approvazione della variante di pia

no, poiché, venuta meno l'originaria dichiarazione di pubblica

utilità, sorgerebbe il diritto alla retrocessione in favore del pri vato già proprietario del bene espropriato.

La portata effettiva di tale affermazione dev'essere valutata

alla luce della giurisprudenza, largamente citata dai ricorrenti.

È stato precisato al riguardo che il principio generale secondo

cui la realizzazione soltanto parziale degli interventi previsti da

un piano particolareggiato non comporta il diritto alla retroces sione delle aree rimaste inutilizzate per la mancata esecuzione

dell'opera ivi prevista quando l'attuazione del piano risulti glo balmente in via di realizzazione, sia pure con riferimento ad

altre opere particolari, non vale sempre nella sua assolutezza.

Esso incontra, infatti, delle limitazioni nei casi in cui, in rela

zione alle aree non utilizzate, sia intervenuto un successivo stru mento urbanistico che abbia modificato radicalmente le previ sioni originarie, sostituendole con altre che siano con esse del

tutto incompatibili. Tale conclusione si fonda sulla considerazione che, in relazio

ne ad un'opera composita, la disciplina della retrocessione par ziale dei relitti può trovare applicazione solo se il mancato uti lizzo di talune aree si verifichi nell'ambito della stessa opera, rimasta inalterata nella configurazione risultante dalla dichiara

zione di pubblica utilità posta a base del decreto di espropria zione, di modo che l'intervento riguardante l'immobile espro

priato possa qualificarsi come elemento dell'opera complessa unitariamente programmata e, conseguentemente, l'area in que stione possa considerarsi come parte non ancora utilizzata del

l'opera complessa in via di realizzazione.

Ciò non si verifica, invece, nei casi in cui, per effetto degli strumenti urbanistici succedutisi nel tempo, gli immobili non

utilizzati risultino sottratti alla destinazione loro impressa con

la dichiarazione di pubblica utilità per effetto della radicale mo difica dell'assetto territoriale originariamente programmato.

Un esame delle pronunce citate dai ricorrenti offre utili ele

menti di chiarimento in ordine alla reale portata dell'interpreta zione della disciplina della retrocessione offerta dalla giurispru denza, poiché le sentenze n. 870 del 1984 (id., 1984, I, 972) e n. 6144 del 1991 (id., Rep. 1991, voce cit., n. 215) si riferisco no a edifici espropriati e destinati alla demolizione per la realiz

zazione di opere pubbliche, i quali, a seguito di una variante

dello strumento urbanistico che non contemplava più l'esecu zione dell'opera originariamente prevista, erano stati sottratti alla demolizione e conservati nella loro integrità; la sentenza n. 5619 del 1998 (id., Rep. 1998, voce cit., nn. 340, 348) si riferisce invece a una fattispecie in cui l'immobile espropriato, destinato alla realizzazione di opere di fortificazione militare, aveva ricevuto un'utilizzazione del tutto diversa essendo stato

impiegato per la costruzione di alloggi per gli ufficiali; la sen tenza n. 10298 del 1992 (id., 1993, I, 2256), infine, riguarda suoli destinati alla realizzazione di impianti industriali nel Mez

zogiorno che erano stati liberati senza l'effettiva installazione di detti impianti nel termine fissato per l'esecuzione delle opere.

Da tali precedenti risulta che il diritto soggettivo perfetto alla

retrocessione totale presuppone che l'area destinata all'esecu

zione dell'opera pubblica prevista nella dichiarazione di pubbli ca utilità e nel successivo decreto di espropriazione sia rimasta

completamente inutilizzata a seguito della mancata totale realiz

zazione dell'opera originaria ovvero che questa sia stata even

tualmente sostituita con un'opera del tutto diversa, che stravol

ga radicalmente l'assetto del territorio originariamente previsto. Facendo corretta applicazione di tale interpretazione alla fat

tispecie in esame, la variante di piano che ha destinato alla rea lizzazione di un insediamento produttivo, e cioè di un centro di stoccaggio di materie prime e seconde, l'area dei ricorrenti destinata originariamente a servizi, si è inserita pienamente nel

programma previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità e dal

decreto di espropriazione in corso di attuazione sull'intera su

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

perficie globalmente espropriata a carico di una pluralità di sog getti privati per la realizzazione di una serie di insediamenti in dustriali con i connessi servizi e pertinenze. Essa si è infatti limitata a dare una diversa configurazione al complesso indu striale ivi previsto attraverso lo spostamento in altra zona dei servizi che avrebbero dovuto trovare attuazione sull'area espro priata in danno dei ricorrenti e la realizzazione di un diverso

impianto industriale perfettamente compatibile con la destina zione originaria dell'area complessivamente espropriata, e ciò senza considerare che la nuova opera pubblica può anche rite nersi assistita da autonoma dichiarazione di pubblica utilità, rav visabile nell'approvazione del relativo progetto ai sensi dell'art. 1 1. 3 gennaio 1978 n. 1.

Essendosi verificato a seguito dell'approvazione della varian te di piano un mero adeguamento del programma di insedia mento industriale in corso di realizzazione e non un radicale

stravolgimento dell'assetto del territorio secondo le previsioni originarie, non vi è ragione per discostarsi dalla regola generale secondo cui la non completa realizzazione di un'opera pubbli ca, da attuarsi su una serie di aree già appartenenti a proprieta ri diversi, non dà luogo alla retrocessione totale di quelle aree non ancora utilizzate alla scadenza della data fissata per l'ulti mazione dell'opera, ma solo alla retrocessione parziale dei relit

ti, e ciò anche nel caso in cui uno di essi venga a coincidere con l'intera superficie espropriata in danno di un singolo pro prietario.

Ne consegue che questi non è titolare di una posizione di diritto soggettivo tutelabile dinanzi al giudice ordinario fin quan do non sia intervenuta la dichiarazione della pubblica ammini strazione in ordine all'inutilizzabilità dei beni espropriati che non siano più necessari per l'esecuzione dell'opera pubblica e

possono perciò essere rivenduti ai sensi dell'art. 61 1. n. 2359 del 1865 (sez. un. 13 novembre 1997, n. 11215, id., Rep. 1998, voce cit., n. 106; 15 luglio 1999, n. 396/SU, id., Rep. 1999, voce cit., n. 366).

Va altresì precisato che non è richiesta una nuova dichiara zione di pubblica utilità e un nuovo decreto di espropriazione nel caso in cui, per effetto di una variante di piano, l'area rima sta inutilizzata venga destinata ad un'opera diversa la quale tut

tavia, per le sue caratteristiche strutturali, rientri pur sempre nelle previsioni dell'opera pubblica complessiva per la cui rea

lizzazione era stata disposta originariamente l'espropriazione, e si limiti a mutarne la configurazione globale senza stravolgere l'assetto complessivo del territorio.

In conclusione, perciò, alla luce delle considerazioni che pre cedono, le tesi prospettate dai ricorrenti non appaiono merite voli di consenso e, conseguentemente, dev'essere dichiarata la

giurisdizione del giudice amministrativo. Va infine precisato che il regolamento preventivo di giurisdi

zione proposto dagli attori attiene unicamente all'individuazio

ne del giudice investito del potere di decidere sulla domanda

di retrocessione e non si estende all'azione risarcitoria cumulati vamente proposta dai coniugi Losito e Carmosino nei confronti

del Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Bari, che re sta perciò sottoposta all'esame del giudice originariamente adi

to, il quale, individuata l'esatta portata delle pretese risarcitone dedotte in giudizio, ne valuterà l'ammissibilità e la fondatezza.

II

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo, i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 13 e 63

1. 25 giugno 1865 n. 2359, nonché della 1. 3 gennaio 1978 n.

1, e violazione dell'art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., censurano la

sentenza impugnata per non aver tenuto conto che il mancato

rispetto, da parte dell'amministrazione espropriarne, del termi ne per il compimento dei lavori, non determina alcuna ripercus sione negativa, e non ingenera di per sé alcun obbligo di restitu

zione. Ben può l'amministrazione procedere ai lavori, ed una

concreta e formale dichiarazione dell'attualità dell'interesse pub blico va ad incidere negativamente sul diritto alla retrocessione, che si affievolisce di fronte al rinnovato formale riconoscimen to della pubblica utilità dell'opera. È a questa rinnovata dichia

razione di pubblica utilità (avvenuta con delibera 30 dicembre

1983, n. 145) ed al nuovo termine fissato per la realizzazione

dell'opera (30 dicembre 1986) che deve farsi riferimento per va

li. Foro Italiano — 2000.

lutare la tempestività, agli effetti della prescrizione, dell'atto di citazione (10 ottobre 1995) con cui si è esercitato il diritto alla

retrocessione, non dalla data del decreto di esproprio (10 set tembre 1974), ed alla scadenza biennale originariamente previ sta per l'esecuzione dei lavori (10 settembre 1976).

Il ricorso è infondato, e va rigettato. Il diritto alla retrocessione sorge nel momento in cui la realiz

zazione dell'opera prevista nella dichiarazione di pubblica utili

tà, in virtù della quale si è proceduto all'esproprio della pro prietà privata, diviene impossibile. L'ipotesi tipica è quella della scadenza del termine di cui all'art. 13 1. 25 giugno 1865 n. 2359, ma tale momento può essere anticipato ove sia certo che l'opera non avrà attuazione, per un mutamento delle scelte di politica urbanistica, che si sostanzino nell'approvazione di un progetto per una diversa opera pubblica. Il riacquisto del bene, da parte del proprietario espropriato, può essere esercitato, dunque, nel momento in cui è venuta meno la dichiarazione di pubblica uti lità dell'opera, in nome della quale, a suo tempo, il diritto do minicale era stato sacrificato. La facoltà di azionare tale diritto

comporta la decorrenza della prescrizione estintiva, che si com

pie nell'ordinario termine decennale.

Tale termine non viene interrotto, o sospeso, per il sopravve nire di una nuova dichiarazione di pubblica utilità, per la stessa o per altra opera pubblica: a meno che, in costanza della nuova

dichiarazione, non si proceda ad una nuova espropriazione, che

può essere il prodromo, in concorrenza con gli altri requisiti di cui all'art. 63 1. 2359/1865, per un nuovo esercizio del diritto di retrocessione.

Ne consegue che qualora divenga impossibile l'esecuzione del

l'opera pubblica, per la scadenza del termine per il compimento dei lavori (nella specie, nel 1976), che comporta la sopravvenu ta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, decorre il termine prescrizionale del diritto alla retrocessione, che non può considerarsi interrotto da una nuova dichiarazione di pubblica utilità, anche se concernente la stessa opera la cui esecuzione era divenuta impossibile. Non può darsi rilevanza all'osserva zione sviluppata da parte ricorrente, secondo cui l'amministra zione può legittimamente procedere all'esecuzione dei lavori an che dopo la scadenza del termine fissato, finché non sia stata richiesta o pronunciata la retrocessione, tanto più se venga emessa una nuova dichiarazione di pubblica utilità della stessa opera. Di ciò non può dubitarsi, riguardo al contegno dell'ente pubbli co, che legittimamente esercita una propria facoltà su un suolo

acquisito al patrimonio pubblico (e l'impossibilità di restituzio ne del bene darà luogo al risarcimento del danno: Cass. 27 gen naio 1998, n. 771, Foro it., Rep. 1998, voce Espropriazione per p.i., n. 469): ma da ciò non può inferirsi una compressione del diritto alla retrocessione, agli effetti delle possibilità di rea zione del privato, che lo abiliterebbe ad una nuova iniziativa

per il riacquisto solo dopo una nuova sopravvenuta impossibili tà di realizzazione dell'opera pubblica. I parametri di riferimen to per la concreta azionabilità del diritto sono solo l'avvenuta

acquisizione del bene all'amministrazione, e la sopravvenuta inef

ficacia della dichiarazione di pubblica utilità per la quale venne

disposta l'espropriazione, rispetto alla quale è priva di rilievo

ogni successiva vicenda concernente l'esecuzione delle opere e l'eventuale rinnovata constatazione di pubblica utilità delle stes se. L'espropriazione, e più in generale lo stesso procedimento ablatorio, sono indissolubilmente collegati a quella dichiarazio ne di pubblica utilità in nome della quale essi hanno avuto svol

gimento e compimento, e non possono valersi del rinnovo della

dichiarazione.

La sentenza impugnata fa corretta applicazione delle norme

in tema di pubblica utilità, di retrocessione, e di prescrizione

estintiva, e dà corretta ed esauriente motivazione dell'impossi bilità di configurare un nuovo periodo di prescrizione alla sca denza del nuovo termine fissato per l'esecuzione dei lavori dal

l'approvazione del progetto dell'opera, in cui è insita una nuo

va dichiarazione di pubblica utilità, tuttavia non approdata ad

ulteriore espropriazione.

Ili

Motivi della decisione. — 1. - Il diritto alla retrocessione:

presupposti. Come è noto, il meccanismo della retrocessione,

previsto dagli art. 60-63 1. 2359/1865, ha lo scopo di consentire

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2839 PARTE PRIMA 2840

al soggetto espropriato di riottenere la proprietà del relativo

bene nel caso in cui la pubblica amministrazione non abbia uti

lizzato il medesimo in tutto o in parte.

L'istituto, sebbene esplicitamente previsto esclusivamente dalla

suddetta 1. 2359/1865, che rappresenta la legge fondamentale

in materia per le opere di competenza statale, è da ritenersi

applicabile, in conformità al prevalente orientamento della giu

risprudenza, in tutti i casi di espropriazione. Gli effetti giuridici della retrocessione consistono non già nel

la risoluzione dell'originario trasferimento, ma nel ritrasferimento

del bene all'originario titolare di esso con efficacia ex nunc.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. IV 287/89, Fo ro it., Rep. 1989, voce Espropriazione per p.i., n. 253) ha da

tempo chiarito che l'istituto è operativo anche alle ipotesi di

cessione volontaria, con trasferimento negoziale del bene alla

pubblica amministrazione; tale negozio, è bene precisare, non

è da inquadrarsi tra gli accordi sostitutivi ex art. 11 1. 241/90, sia in quanto la disciplina della legge generale sul procedimento non interferisce sulla compiuta disciplina del procedimento espro

priativo e sia in quanto gli accordi sostitutivi ex art. 11 sono

liberi sia nell'art che nel quomodo, mentre il negozio di cessione

volontaria è libero solo nell'a/i (cfr. sez. un. 9130/94, id., Rep.

1995, voce cit., n. 175), esso deve invece inquadrarsi tra i c.d.

contratti di diritto pubblico, comportando la conseguente appli cazione delle norme civilistiche in materia di conclusione del

contratto (cfr., tra le tante, Cass. 922/97, id., 1997, I, 1848;

4288/96, ibid., 1577; 2083/94, id., 1994,1, 1752, e Cons. Stato, sez. IV, 969/91, id., Rep. 1992, voce cit., n. 248).

I presupposti per ottenere la retrocessione totale devono esse re individuati:

— nell'esistenza di un procedimento espropriativo, iniziato

con la dichiarazione di pubblica utilità (anche implicita) con

conclusiva perdita del bene da parte del privato per effetto del

provvedimento ablatorio finale o della sua cessione volontaria

convenzionalmente stipulata; — nella mancata realizzazione dell'opera nei termini previsti. Al fine di ritenere sussistente il diritto alla retrocessione pre

teso dall'attore, occorre pertanto verificare se tali due condizio ni ricorrono nel caso concreto.

2. - La dichiarazione di pubblica utilità. In via generale ed

astratta, la dichiarazione di pubblica utilità costituisce il primo atto della procedura espropriativa a rilevanza esterna. Essa ha effetti costitutivi e conferisce al bene una particolare qualità giuridica, correlata all'affievolimento del diritto soggettivo del

privato sul bene medesimo; viene in rilievo quale condizione essenziale per l'esistenza dello stesso procedimento espropriati vo, consistendo in un presupposto per l'esercizio del potere espro

priativo stabilito in funzione tutoria di un diritto soggettivo. Come è noto, la legge fondamentale del procedimento espro

priativo del 1865 prevede che la dichiarazione di pubblica utilità sia il risultato di uno specifico procedimento amministrativo di

tipo quasi-contenzioso culminante con una decisione provvedi mentale espressa.

Successivamente il legislatore ha stabilito che, per alcune ca

tegorie di opere pubbliche, la dichiarazione di pubblica utilità

potesse risultare ex lege, oppure essere configurata come impli cita nei casi in cui la stessa legge la consideri quale conseguenza che discende dall'adozione di atti tipologicamente diversi.

La 1. 1/78 ha poi generalizzato l'istituto della dichiarazione di pubblica utilità implicita, collegando la stessa all'approvazio ne di uno specifico progetto di opere pubbliche redatto dall'au torità amministrativa e contrassegnato da atti tipici, e configu rando perciò la dichiarazione implicita quale modalità prevalen te di introduzione della procedura espropriativa.

A parere del giudicante, il caso concreto non confluisce nella

previsione astratta della 1. 1/78, né risulta aliunde sussistente una dichiarazione di pubblica utilità implicita come preteso da

parte attrice.

Nella fattispecie, si può constatare che il piano regolatore ge nerale del comune di Chiavenna, approvato dalla regione Lom bardia con deliberazione 30 giugno 1981, n. 8812, classificava il compendio immobiliare per cui è causa in una zona denomi nata «Centro scolastico», senza individuare specificamente e in alcun modo l'edificio o gli edifici puntualmente destinati a sod disfare l'esigenza pubblica avuta di mira dagli amministratori comunali e rinviando, anzi, espressamente tale individuazione a future disposizioni del piano particolareggiato che non risulta

Il Foro Italiano — 2000.

mai adottato, alla data di conclusione del contratto, con riferi

mento al complesso immobiliare per cui è causa.

In altre parole, l'assenza di un'attuazione specifica del pro

gramma di edilizia scolastica, che sarebbe stato altrimenti rea

lizzabile, ad esempio, con l'adozione di un piano particolareg

giato, o con un decreto di vincolo dell'area o dell'edificio ai sensi dell'art. 14 1. 641/67 (che equivale altresì a dichiarazione

di pubblica utilità implicita, come attestato anche da Cass.

12242/97, id., 1997,1, 3527), rende impossibile configurare, nel

l'ipotesi al concreto esame del giudicante, una dichiarazione di

pubblica utilità implicita idonea ad avviare il procedimento espro

priati vo.

Conseguentemente, difettando l'esistenza dell'atto (comuna

le) da cui la legge faccia risalire, in via bilaterale esclusiva, il

provvedimento (implicito) di dichiarazione di pubblica utilità, e non essendo altrimenti estensibile in via analogica la supposi zione di dichiarazione di pubblica utilità implicita con riferi mento ad altro provvedimento della pubblica amministrazione inerente sì la procedura espropriativa, ma non tipizzato a tali

fini dalla legge, non è possibile ritenere avviata la procedura

espropriativa medesima.

Gli atti del comune, dai quali parte attrice ritiene di poter far discendere l'avvio del procedimento espropriativo, sarebbe

ro costituiti dal decreto sindacale di redazione dello stato di consistenza del bene e dall'avviso notificato con il quale il co mune ha disposto la perizia sull'immobile di causa.

Tali atti, tuttavia, ben lungi dal potersi definire quali provve dimenti inseriti nella sequenza procedimentale tipizzata dell'e

spropriazione, sono da ritenersi invece atti meramente prodro mici al procedimento espropriativo, certamente intrapresi in fun zione e in vista di tale procedimento, ma senza dubbio non ancora

inquadrabili nell'ambito degli atti susseguenti all'inizio delle ope razioni ablatorie.

Infatti, costituisce principio di immediata intelligibilità, e cor risponde a canoni di razionalità e buona amministrazione, il

fatto che la pubblica amministrazione, prima di emanare il prov vedimento che avvia la procedura espropriativa, individui pre ventivamente le aree o gli edifici determinati che appaiano più consoni a realizzare l'interesse pubblico avuto di mira, studian

do la fattibilità concreta dei progetti e dei programmi generali ed astratti derivanti dall'adozione del piano regolatore generale e valutandone i costi e i corrispondenti benefici.

Tutti gli atti in oggetto, citati da parte attrice, si situano nel

solco di tale attività preliminare-valutativa, caratterizzata da una

violazione amministrativa ablatoria ancora incompleta, essendo ancora indistinto, e suscettibile di ulteriore precisazione in via

progressiva, l'oggetto della volizione stessa, oggetto che diventa

individuabile e circoscritto solo in conseguenza dell'emanazione

(anche implicitamente) della dichiarazione di pubblica utilità. Le attività comunali, indicate dall'attore, relative all'assenza

di autorizzazione prefettizia all'acquisto del bene immobile, al

regime fiscale agevolato applicato al contratto, alle espressioni utilizzate nella delibera 103/81, nonché all'approvazione, in se de provinciale, di lavori di ristrutturazione di edifici del centro storico a scopo di edilizia scolastica, non sono idonee a fungere da conferma dell'avvenuto avvio del procedimento espropriati vo, posto che tale procedimento, come si ripete, richiede, quale suo indefettibile presupposto, necessario per la sua stessa esi

stenza, la dichiarazione di pubblica utilità che può discendere solo da atti tipizzati dal legislatore, atti che non sono ravvisabili nella fattispecie concreta.

I comportamenti provvedimentali summenzionati possono al

più rilevare ad altri fini, ad esempio nel confermare o negare un comportamento dell'autorità amministrativa improntato a buona fede, ma non possono certo corrispondere, in assenza di un collegamento normativamente predeterminato, ad atti di avvio del procedimento ablatorio.

3. - La cessione volontaria del bene. Anche a voler superare l'obiezione suesposta, cioè l'inconfigurabilità del diritto alla re trocessione per l'inesistenza del procedimento espropriativo, a

negare ulteriormente fondamento alla pretesa attorea si pone la circostanza che il negozio di cessione volontaria, per essere connotato come tale, deve inserirsi sistematicamente in un de terminato segmento della sequenza espropriativa rigorosamente procedimentalizzata.

Sia la legge fondamentale del 1865, sia l'art. 12 1. 865/71

prevedeva la possibilità di stipulare tale accordo entro dieci giorni

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dalla comunicazione dell'indennità provvisoria, termine elevato a trenta giorni dalla 1. 10/77, ma già modificato dall'art. 6 d.l.

115/74, convertito dalla 1. 247/74. Soltanto con l'art. 5 bis, 2°

comma, 1. 359/92, che non è applicabile al caso concreto in

quanto di gran lunga posteriore ai fatti di causa, è stata intro dotta la possibilità di addivenire a tale convenzione in «ogni fase del procedimento».

Ne consegue che, per poter configurare l'esistenza di tale con

tratto di diritto pubblico, che soggiace per un verso alle comuni

regole privatistiche, e per un altro è destinatario di specifiche disposizioni pubblicistiche (in primo luogo con riguardo alla de

terminazione del prezzo: cfr. Cass. 2091/97, ibid., 1847), è ne cessario che lo stesso sia inserito in una determinata sequenza

procedimentale, proprio perché ne costituisce evento perimetra tivo capace di evitarne la prosecuzione.

Al di fuori di tale ipotesi, non è configurabile un negozio di cessione volontaria del tipo individuato dalla legge sull'espro

priazione, ma soltanto un mero negozio di compravendita di diritto comune concluso tra un soggetto pubblico ed un sogget to privato, che è si idoneo ad interrompere il procedimento espro priativo, ma soltanto per la sopravvenuta carenza d'interesse

della pubblica amministrazione a coltivarlo, avendo già la stes

sa acquisito il bene al suo patrimonio; tale contratto non può tuttavia costituirne modalità autonoma e tipizzata di conclusio ne del procedimento ablatorio.

Ne consegue che, in ipotesi di contratto di compravendita non inquadrabile nell'ambito dei negozi di cessione volontaria, non potrà applicarsi l'istituto della retrocessione, quale istituto

teleologicamente collegato ad un procedimento espropriativo ti

pizzato. Anche per tale motivo, la domanda attorea di retrocessione

deve essere respinta. 4. - La risoluzione per presupposizione. Anche tale domanda,

proposta in via subordinata, non può trovare accoglimento. Come è noto, la presupposizione, introdotta in modo espres

so ed in via generale nel nostro ordinamento dall'art. 1467 c.c., ricorre soltanto in ipotesi di compresenza di tre condizioni:

— che la presupposizione sia comune ad entrambi i contraenti; — che l'evento comune sia stato assunto come certo nella

rappresentazione delle parti; — che si tratti di presupposto «obiettivo», cioè non dipen

dente dalla volontà dei contraenti (e non oggetto di specifica obbligazione).

Si confronti altresì sul punto la copiosa e uniforme giurispru denza (ex multis, Cass. 4554/89, id., Rep. 1991, voce Contratto

in genere, n. 289; 1040/95, id., Rep. 1996, voce cit., n. 299, e 8200/90, id., Rep. 1990, voce cit., n. 260).

Nel contratto in esame, si dà soltanto atto che il bene in og getto viene acquisito al demanio comunale «per l'esecuzione di

opere pubbliche dichiarate di pubblica utilità (edilizia scolasti ca)», e si chiedono all'uopo «le agevolazioni fiscali previste dal

le vigenti disposizioni legislative in materia».

Dalla lettura di tale accordo si evince in primo luogo che

il presupposto fondante l'istituto di parte attrice non può certa mente essere ritenuto «obiettivo», trattandosi, l'edilizia scola

stica richiamata dal contratto, di una circostanza la cui realiz

zazione dipende, o meglio, dipendeva dalla stessa volontà della

parte acquirente; inoltre, e a conferma di quanto detto sopra, la menzione delle opere pubbliche dichiarate di pubblica utilità, è chiaramente effettuata in via esclusiva ai soli fini fiscali, per ottenere le agevolazioni tributarie di cui al contratto; semmai, la «presupposizione», ovviamente intesa in un senso del tutto

atecnico, ha avuto come suo oggetto principale lo sconto fiscale

di cui i contraenti si proponevano di beneficiare e non tanto

la destinazione materiale del complesso compravenduto. 5. - La domanda di nullità o annullabilità. Per ciò che riguar

da l'asserita nullità del contratto, non emerge alcuna contrarie

tà dello stesso a norme imperative o a specifiche disposizioni di legge che possano indurre il giudicante a ritenerne sussistenti

i presupposti. La domanda di annullamento, al di là del suo limite tempo

rale quinquennale, costituisce una radicale mutatio libelli, che,

dopo la riforma del codice di procedura civile del 1990, che

ha reso più rigoroso il regime d'inammissibilità e decadenza in

materia, è da considerarsi inammissibile nel presente giudizio, essendo stata introdotta tardivamente e, anzi, presentandosi co

me incompatibile rispetto alle domande principali di retroces

II Foro Italiano — 2000.

sione o risoluzione, domande che postulano l'esistenza di un valido vincolo contrattuale.

Neppure può ritenersi che la domanda di annullamento tardi vamente proposta sia una conseguenza delle difese di parte con

venuta, posto che le eccezioni a difesa del comune mirano esclu sivamente a paralizzare l'azione attorea, nel senso di negare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio del diritto di retroces

sione, senza ridimensionare il thema decidendi e giustificare per tale motivo l'ampliamento della pretesa attorea con l'introdu zione di ulteriori (e, come detto, incompatibili) domande.

In ogni caso non è possibile accogliere la domanda di risarci

mento danni avanzata da parte attrice che ha come inespresso ma indefettibile presupposto la dichiarazione di nullità o di an nullamento del contratto.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 aprile 2000, n. 4228; Pres. De Tommaso, Est. Lupi, P.M. Cafiero

(conci, conf.); Soc. Nuova Tecnodelta (Avv. Tosi, Gamna,

Canale) c. Lombardo (Avv. Cossu, Mirate). Cassa Trib. Asti 31 dicembre 1996.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento collettivo per riduzione

di personale — Procedura di mobilità — Comunicazione d'av

vio — Destinatari (L. 23 luglio 1991 n. 223, norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazio ne, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento

al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavo

ro, art. 4).

Va escluso che i lavoratori coinvolti dalla procedura di mobilità

rientrino nel novero dei soggetti destinatari della comunica

zione d'avvio della procedura prevista dall'art. 41. 223/91. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 dicem bre 1999, n. 13691; Pres. De Tommaso, Est. Filadoro, P.M.

Cafiero (conci, parz. diff.); Donadio (Avv. Guida, R. Fer

rara) c. Soc. Texas Instruments Italia (Avv. G. Ferrara). Conferma Trib. Santa Maria Capua Vetere 23 aprile 1996.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento collettivo — Procedura

di mobilità — Accordi sindacali — Criteri di scelta dei lavo ratori — Requisiti di età e di contribuzione — Legittimità

(L. 23 luglio 1991 n. 223, art. 4, 5, 24).

È legittima la scelta del datore di lavoro di sospendere in cassa

integrazione guadagni straordinaria, in applicazione del crite

rio stabilito da accordo sindacale, i lavoratori prossimi al rag

giungimento dei requisiti di età e di contribuzione per fruire di un trattamento di quiescenza. (2)

(1-2) I. - Cass. 4228/00, nell'escludere i lavoratori da licenziare dal novero dei soggetti destinatari della comunicazione d'avvio prevista dal l'art. 4 1. 223/91, sostiene che la tutela dei dipendenti è affidata alla

dettagliata regolamentazione della procedura di mobilità, cosi valoriz zando il ruolo e l'azione dei sindacati.

In dottrina, sull'argomento, v. D. De Feo, Sui destinatari della co

municazione ex art. 4, 2° comma, I. 223/91, in Dir. lav., 1997, I, 208. In motivazione, la corte ribadisce l'orientamento, prevalente in giuris

prudenza, secondo cui la comunicazione d'avvio deve rispondere pun tualmente alle analitiche indicazioni di contenuto previste dall'art. 4

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