Sezioni unite civili; sentenza 13 luglio 1961, n. 1673; Pres. Lorizio P., Est. Ferrati, P. M. Reale(concl. conf.); Min. lav. pubbl. (Avv. dello Stato Guglielmi) c. Società bonifiche di Fogliano(Avv. M. S. Giannini, Nicolò)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 7 (1961), pp. 1067/1068-1071/1072Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151619 .
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1067 PARTE PRIMA 1068
gere al proprio quello del marito. In quei rapporti ciascuno
può essere conosciuto, secondo i casi, con il solo nome, con
un soprannome, un vezzeggiativo. Non si vede perchè non
potrebbe la moglie usare, specie con amiche che l'hanno
conosciuta da ragazza e la ricordano e l'individuano con il
cognome originario, tale cognome. L'imposizione dell'uso
del cognome del marito sarebbe perciò ingiustificata e
costituirebbe una, invadenza in un campo extragiuridico e perciò riservato alla libertà della persona.
Ciò non significa che, come tutte le libertà, anche questa
specificamente qui considerata non abbia un limite. Ed
il limite si trae dalla norma (art. 150 cod. civ.), che, stabi
lendo i casi di separazione per colpa di uno dei coniugi, fissa al tempo stesso la serie di doveri di comportamento a cui ciascun coniuge è tenuto nei confronti dell'altro :
doveri giuridici in quanto muniti della sanzione, costi
tuita appunto dalla separazione per colpa. Il precetto che
impone a ciascuno dei coniugi di non arrecare ingiurie gravi
all'altro, nella sua generalità, può, secondo le circostanze,
avere riflessi anche nell'uso del cognome originario da parte della moglie. Se tale impiego non è dovuto all'opportu nità o al bisogno di essere più facilmente ricordata o
individuata o comunque a motivi innocenti, ma al propo sito di ostentare disprezzo o disistima verso il marito, allora sì che si ha la violazione di un precetto giuridico.
Occorre ora considerare l'ulteriore aspetto della que stione : il dovere dell'uso del cognome del marito nell'at
tività professionale. Anche a questo proposito l'indagine deve essere circoscritta.
Debbono tralasciarsi anzitutto ipotesi che qui non in
teressano (uso del cognome originario nell'attività com
merciale ; nell'attività letteraria, scientifica, teatrale, cine
matografica, ecc.). Limitando la ricerca all'esercizio da
parte della moglie di una professione intellettuale, debbono
ancora distinguersi l'aspetto concernente i doveri stabiliti
dalle leggi che regolano l'esercizio della professione e che
non interessano specificamente il marito come tale, dal
comportamento della moglie verso il marito, che è il solo
che qui viene in questione. Ora, così isolato il problema, sembra evidente che esso
non possa trovare soluzione diversa da quella già additata.
E cioè in tanto può essere vietato l'uso da parte della mo
glie del solo cognome originario, in quanto, secondo i casi
e le circostanze, questo uso si risolva in un comportamento
gravemente ingiurioso per il marito. Se invece quell'uso trova la sua spiegazione soltanto nella ragione di una mi
gliore individuazione, basata sul ricordo di chi in passato ebbe a servirsi dell'attività professionale della donna,
l'imposizione da parte del marito appare senza ragioni o, se una ragione vi è, questa consiste nel desiderio di arre
care nocumento alla moglie nello svolgimento della sua
attività professionale, o è da ricercarsi comunque in uno
spirito di chicane che non è certo commendevole.
Conseguentemente, il ricorso deve essere accolto ; la
sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa
rinviata per nuovo esame ad altra corte di appello che,
per quanto concerne il terzo motivo, si uniformerà al se
guente principio : « La norma secondo cui la moglie assume
il cognome del marito deve intendersi nel senso che la
moglie ha il diritto di aggiungere al proprio il cognome del
marito ».
L'uso del solo cognome originario da parte della donna
maritata può dar luogo, nei rapporti con il marito, alla se
parazione personale per colpa della moglie se, secondo le
circostanze il cui apprezzamento è devoluto al giudice del
merito, esso dia luogo ad ingiurie gravi verso il marito.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili; sentenza 13 luglio 1961, n. 1673 ; Pres. Lorizio P., Est. Ferrati, P. M. Reale (conci,
conf.) ; Min. lav. pubbl. (Avv. dello Stato Guglielmi) c. Società bonifiche di Fogliano (Avv. M. S. Giannini,
Nicolò).
(Conferma Trib. sup. acque 8 giugno 1957 e 14 luglio 1959)
Acque pubbliche e private — Modesto <jrado di pe scosità —: Demanialità — Esclusione (Cod. civ., art. 822 ; r. d. 11 dicembre 1933 n. 1775, t. u. sulle acque
pubbliche e gli impianti idroelettrici, art. 1).
Non può qualificarsi pubblica l'acqua che, in base all'in
sindacabile accertamento del giudice di merito, presenti un grado di pescosità soltanto modesto, sia tale pescosità naturale o artificiale. (1)
(1) Per migliore informazione, riproduciamo i passi salienti della sentenza 14 luglio 1959, n. 22 del Tribunale superiore delle
acque, la cui insindacabilità ha convinto le Sezioni unite a non risolvere il problema di diritto sulla rilevanza o meno del carat tere artificiale della pesca ai fini della qualifica pubblica delle
acque di un lago : « Il consulente con la sua relazione, riconosciuta pregevole
da entrambe le parti, ha esposto che i tre laghi non hanno una
pescosità naturale, ma, a seguito delle opere idrauliche compiute, rappresentano dei tipici ambienti di acqua salmastra, risultanti da mescolanze variabili di acqua dolce e marina, che consen tono il richiamo artificiale dal mare di determinate specie ittiche
(cefali, anguille e spigole) allo stato giovanile. « Tali specie soggiornano nei laghi fino a un determinato
stadio di sviluppo, dopo di che tendono a ridiscendere in mare
per completare il loro ciclo vitale, non avendo la possibilità di
riprodursi nell'ambiente salmastro. Il consulente ha poi riferito che la pesca viene esercitata con i metodi tipici in uso nei laghi salmastri costieri e nelle valli da pesca, e cioè sfruttando l'istinto del pesce, che, raggiunto il periodo di maturazione, tende a
raggiungere il mare attraverso i canali di comunicazione con
questo, vale a dire con la captazione in appositi sbarramenti
(detti lavorieri), siti nei detti canali, oltre che con reti ed altri attrezzi, nei periodi invernali. La Società bonifiche di Fogliano dal 1956 ha ceduto in affitto la pesca alla cooperativa locale di
pescatori. Quanto alla produzione ittica, il consulente ha accer tato che essa è, per il lago di Fogliano, di quintali 1,30-1,20 per ha ; per quello di Monaci, di q. 0,90-0,80 per ha ; per quello di Caprolace, di q. 0,60-0,50 per ha, di modo che la media com
plessiva annua per tutti e tre si aggira sui quintali 740-670.
(Omissis) « Ora, poiché, alla stregua delle risultanze suesposte, i tre
laghi non hanno una pescosità naturale, ma solo una pescosità artificiale di modeste proporzioni, esercitata con semplici attrez zature e non suscettibile di sensibile incremento, e non hanno alcun'altra funzione, sembra indubbio che esse non soddisfino un uso di pubblico generale interesse e che quindi non debbano essere considerate demaniali.
« La pesca infatti, in tanto può considerarsi un uso di pub blico generale interesse, in quando dia un apprezzabile contri buto alla pubblica alimentazione, secondo i principi costante mente affermati da questo Tribunale superiore e dalla stessa Corte suprema di cassazione. E una produzione, che va da un massimo di quintali 1,30 per ettaro, per il lago di Fogliano, ad un minimo di quintali 0,50 per ettaro, per il Lago di Capro lace, e che per tutti i tre laghi si aggira sui 700 quintali annui, è davvero troppo modesta per avere importanza per le esigenze della pubblica alimentazione. Basti ricordare che questo carat tere è stato escluso per il lago di Cabras avente una produtti vità da due a tre quintali per ettaro. Per queste considerazioni le acque dei laghi in oggetto devono essere dichiarate private ».
Nel senso, fatto ora proprio dalla sentenza riportata, che rilevante ai fini della natura pubblica delle acque sia l'ampiezza delle possibilità di sfruttamento delle medesime ai fini della
pesca, le due sentenze delle Sezioni unite, richiamate nella moti vazione : 8 marzo 1954, n. 667 (Foro it., 1955, I, 540, con nota di richiami) e 31 ottobre 1955, n. 3571 (id., Rep. 1955, voce Acque pubbliche, n. 14 bis).
Trib. sup. acque 24 giugno 1958 (id., Rep, 1959, voce cit., n. 33) ha riconosciuto la demanialità delle acque della Valle di Maz zano in base a vari criteri fra cui la loro pescosità, sfruttata con attrezzature industriali e con finalità d'interesse generale ; per il
| Trib. sup. acque 27 luglio 1956 (id., Rep. 1956, voce cit., n. 22) il
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Corte, eoo. — Con l'unico motivo del suo ricorso il Ministero dei lavori pubblici denuncia violazione e falsa
applicaziore dell'art. 1 t. u. sulle acque ed impianti elet
trici, approvato con r. decreto 11 dicembre 1933 n. 1775, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché in sufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della causa ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
prospettando tre ordini di censure, diretti i primi due contro entrambe le sentenze del Tribunale superiore delle
acque pubbliche, l'ultimo contro la sola sentenza definitiva.
Infatti, partendo dalla premessa che la maggior parte degli usi di pubblico generale interesse, che qualificano pubblica un'acqua, abbisognano dell'opera dell'uomo per essere attuati, il ricorrente si duole anzitutto che la sen tenza impugnata abbia dato rilevanza, per la dichiarazione di pubblicità dello acque dei tre laghi in esame, alla sola
pescosità naturale e non anche a quella artificiale. Lamenta
poi che sia stato fatto riferimento alla pescosità in con
creto e non a quella potenziale, il che costituirebbe un er
rore, poiché rilevante in materia è l'attitudine astratta e
potenziale dell'acqua a soddisfare usi di pubblico generale interesse non l'attuale concreto soddisfacimento degli usi
stessi, il quale può anche non sussistere per mancanza delle opere necessarie. Il ricorrente assume infine che er
roneamente il Tribunale superiore ha ritenuto che, per soddisfare un pubblico generale interesse, la pesca debba
essere di tale entità da provvedere all'alimentazione di una intera città, e a tal proposito rileva, da un lato, che l'attitudine all'uso di pubblico generale interesse va ri
riguardata in relazione all'intero bacino idrografico, con siderandosi la produzione ittica complessiva di tutte le
acque della zona, e, dall'altro, che 700 quintali annui di
pesce pregiato non possono definirsi una quantità modesta. Nessuna delle suesposte censure si palesa fondata, onde
il ricorso, nel quale il Ministero dei lavori pubblici si è limitato a richiamare le proprie difese di merito senza ad
durre argomenti nuovi idonei ad infirmare la ratio decidendi delle sentenze impugnate, va rigettato. È pacifico che, ai sensi dell'art. 1 t. u. sulle acque ed impianti elettrici,
per la dichiarazione di pubblicità delle acque sorgenti, fluenti e lacuali occorre che le stesse abbiano od acqui stino attitudine ad usi di pubblico generale interesse, ed è
parimenti fuor di contestazione che la pesca rientra tra
gli usi di pubblico generale interesse previsti dalla norma
suddetta, la quale si è astenuta da qualsiasi elencazione
proprio per poter comprendere nell'ambito di applicazione della legge tutti gli usi possibili.
Come ha rilevato questo Supremo collegio nella sentenza 8 marzo 1954, n. 667 (Foro it., 1955, I, 540), tra gli inte ressi pubblici, che la legge sulle acque prevede espressa mente, sono da considerare quelli riguardanti l'agricol tura, l'industria, l'alimentazione e la difesa militare della
Nazione, e poiché anche la pesca è un uso che può assurgere ad importanza notevole per la pubblica alimentazione, non
può a priori escludersi che, concorrendo gli altri requisiti voluti dall'art. 1 sovramenzionato, essa possa contribuire a qualificare le acque, in cui sia possibile esercitarla. A
questi criteri si è ispirato appunto il Tribunale superiore Dell'esaminare la presente fattispecie, in cui la pubblicità
criterio in parola può attribuire ad un'acqua il carattere di pub blica « specie se la pescosità naturale possa essere sfruttata an che a scopi indutriali ». In conformità con la sentenza che si
annota, il Trib. sup. delle acque ha escluso tuttavia la dema
nialità, con sent. 15 marzo 1954 (id., Rep. 1954, voce oit., n. 22), quando la pescosità delle acque sia condizionata all'adempi mento di opere importanti.
Nega invece che la demanialità delle acque possa essere
determinata dalla loro pescosità Trib. sup. acque 13 marzo 1950, id., 1951, I, 216.
Le due sentenze confermate sono riassunte : quella 8 giugno 1957 nel Rep. 1957, voce cit., n. 24, e quella 14 luglio 1959
nel Rep. 1960, voce cit., n. 36. Sulla controversia per il lago di Paola, sorta insieme con
quella di cui si occupa l'annotata sentenza, vedi, da ultimo, Commiss, usi civici di Roma 5 ottobre 1960, retro, 171, con
ampia nota di richiami.
delle aeque può discendere soltanto dalla loro attitudine alla pesca : gli accertamenti compiuti, prima in sede am
ministrativa e poi in sede contenziosa, hanno infatti per messo di escludere ogni altra diversa possibilità di sfrutta mento delle acque dei laghi di Fogliano, Monaci e Capro lace, che, come è stato tassativamente affermato dal con sulente tecnico, non assolvono nemmeno la funzione di
colatoi di bonifica, nè, d'altra parte, sussiste al riguardo contestazione, dato che il ricorso solleva soltanto que stioni attinenti all'uso di pesca.
Ora che le acque dei laghi in esame siano prive di pe scosità naturale, può pure ritenersi pacifico : attraverso le indagini compiute dal consulente tecnico è rimasto in
fatti accertato che i tre laghi, a seguito delle opere idrau liche compiute, rappresentano dei tipici ambienti di acqua salmastra, risultanti da mescolanze variabili di acqua dolce e marina, nei quali il pesce non ha alcuna possibilità di riprodursi e può soggiornarvi soltanto durante un déter
minato periodo del suo ciclo vitale, ditalchè occorrono continue opere dell'uomo sia per mantenere alle acque quel
grado di salinità necessario per la vita e lo sviluppo del pesce, sia per consentire il movimento di entrata e di uscita del
pesce, che ad un certo stadio del suo sviluppo deve ritor nare in mare.
Secondo il ricorrente tutto questo sarebbe, peraltro, irrilevante poiché, egli afferma, le acque hanno attitudine alla pesca anche se sia necessario sistemarle o incrementarle
(rinfrescarle o renderle salmastre) ed anche se siano neces sarie alcune opere (foci a mare, chiaviche, idrovere, lavo
rieri) per favorire l'ingresso del pesce. Obietta, per contro, la resistente che la pesca, ottenibile solo mediante opere ar
tificiali ed operazioni che concretano attività industriali, non può dar luogo ad uso di pubblico generale interesse,
giacché, se l'imprenditore viene ad interrompere la sua
attività, la pesca cessa, onde il pesce non rappresenta più un frutto naturale del fondo, ma il prodotto di un'attività
imprenditoriale che organizza più fattori, naturali alcuni, artificiali altri.
Non può negarsi che, nelle precedenti pronunce in
materia, queste Sezioni unite, pur non affrontando espres samente la questione, abbiano ritenuto decisiva l'esistenza, o meno, di pescosità naturale. Nella già menzionata sen
tenza n. 667 del 1954, relativa ad una delle maggiori Valli
di Comacchio, si osserva infatti che possono qualificarsi
pubbliche le acque nelle quali sia possibile esercitare la
pesca, « specialmente se la pescosità naturale possa essere
sfruttata anche a scopi industriali, con particolari mezzi
per la coltura di determinate categorie di pesci, sì da
conferire allo sfruttamento possibile una ancora più vasta
risonanza di pubblico interesse », e si aggiunge che l'uso
delle acque a scopo di piscicoltura concorre alla pubbli cità delle acque stesse « se tale industria della piscicol tura sia possibile esercitarla in un vastissimo specchio
d'acqua, sfruttandone le peculiari caratteristiche desunte
dalla sua conformazione e dagli elementi organici e inor
ganici che contenga ». Correlativamente, nella sentenza 31 ottobre 1955, n. 3571 (Foro it., Rep. 1955, voce Acque, n. 14 bis), concernente il lago di Cabras, è stato escluso
che l'attitudine ad usi di generale interesse possa derivare
dalla possibilità della pesca, quando questa non possa es
sere esercitata che da un numero limitato di persone e
quando i pesci, in tanto possano affluire dal mare nello
specchio d'acqua, in quanto, di frequente, siano eseguite
importanti e dispendiose opere. Sono tutti rilievi, da cui è lecito desumere quanto meno
un orientamento nel senso che la pescosità naturale abbia
costituito il presupposto per la decisione, positiva nel primo
caso, negativa nel secondo, in ordine alla pubblicità delle
acque. Ma neppure ai fini della presente controversia
occorre porsi il problema e risolverlo, poiché il constatato
difetto di pescosità naturale non rappresenta l'argomento decisivo addotto dal Tribunale superiore per accogliere
l'impugnazione della Società.
Invero il Giudice non si è arrestato a quel rilievo, obiet
tivamente esatto, ma ha immediatamente aggiunto che i
tre laghi presentano una « modesta » pescosità artifi
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1071 PARTE PRIMA 1072
ficiale, dal clie devesi necessariamente dedurre che a fon
damento della pronuncia è stato posto, in realtà, il grado di produttività delle acque, indipendentemente dalla sua
origine, naturale e artificiale.
E questo è senza dubbio un criterio basilare per discri
minare l'acqua pubblica da quella privata, giacché è pub blica quella atta a soddisfare i bisogni della collettività
e non soltanto quelli del proprietario del fondo o di una
ristretta cerchia di persone : invero un'acqua, la quale
presenti, per qualsivoglia motivo, un modesto grado di
pescosità, difetta sicuramente di quella possibilità di soddi
sfacimento dei bisogni pubblici, cui dovrebbe assolvere
la pesca in essa esercitata.
Ma il giudizio che al riguardo sia stato in concreto
espresso si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, che
non è suscettibile di sindacato in questa sede quando sia
sorretto da congrua motivazione : a questo proposito non
può non rilevarsi come la decisione impugnata appaia sal
damente ancorata alle risultanze di un'indagine tecnica, che lo stesso ricorrente definisce dotta e pregevole, ricono
scendone l'attendibilità sul piano scientifico.
Nè il Giudice ha dato rilevanza esclusiva e determinante
all'uso di pesca così com'è attualmente esercitato, trascu
rando il principio basilare che si deve far riferimento alla
possibilità attuale di uso, anche se questo in concreto
manchi : esso, invero, ha ragionato in termini di produt tività delle acque, tenendo conto di quelle che sono le at
tuali possibilità di sfruttamento ed anzi, aggiungendo che
quella modesta pescosità artificiale non appare suscetti
bile di sensibile incremento ; ha avuto riguardo alle con
dizioni attuali della tecnica, senza evidentemente escludere
che in futuro, con il progresso delle cognizioni scientifiche
e lo sviluppo dei mezzi tecnici, possa manifestarsi quel l'attitudine allo sfruttamento per finalità di pubblici ge nerali interessi, di fronte alla quale può dichiararsi la dema
nialità delle acque. Non è poi assolutamente esatto che il Tribunale supe
riore abbia affermato che per la dichiarazione di pubblicità delle acque di un determinato bacino occorre che la pesca in esse esercitata debba essere di tale entità da provvedere all'alimentazione di un'intera città, giacché, lungi dal
fare una simile astratta affermazione, esso ha appuntato la propria attenzione sul quantitativo annuo di pesce rica
vabile dai tre laghi, esprimendo l'avviso che questo sia
troppo modesto per le esigenze della pubblica alimenta
zione : anche qui dunque si è in presenza di un giudizio di fatto, contro il quale vanamente si appuntano le critiche
del ricorrente.
Quanto infine alla pretesa di questo che il giudizio dovesse essere espresso in relazione alla produzione ittica
delle acque dell'intero bacino, compreso il lago di Paola e
i canali adiacenti, o dimostrarne l'inconsistenza, è suffi ciente rilevare : 1) che non sussistono più canali di comu
nicazione tra i vari laghi, come è stato riconosciuto nello
stesso decreto ministeriale impugnato 2) che ad ogni modo il Tribunale superiore ha espresso il suo giudizio in ordine alla produzione ittica ricavabile complessiva mente dai tre laghi ora in questione, senza dar particolare rilevanza alla produzione di ciascuno di essi ; 3) che sulla
natura privata delle acque del lago di Paola si è già for
mato il giudicato a seguito della sentenza 20 giugno 1958, n. 2141 (Foro it., 1959, I, 427) ; 4) che in quel giudizio l'Am
ministrazione dei lavori pubblici ebbe a sostenere la pub blicità del lago di Paola sotto il solo riflesso che esso adem
pisse alla funzione di colatoio di bonifica, facendo acquie scenza alla decisione negativa del giudice di merito in
ordine alla attitudine alla pesca, nonostante che la produt tività di quel lago sia, da sola, superiore a quella, comples siva, dei tre laghi di Fogliano, Monaci e Caprolace.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione 1 civile; sentenza 4 luglio 1961, n. 1604; Pres. ed
est. Di Pilato P., Rei. Di Maio, P. M. Caldakeka
(conci, conf.) ; Opera naz. combattenti (Avv. Mazzone) c. Fall. Coop, operai edili stradali e affini-C.o.e.s.a. (Avv. De Julio).
{Cass. App. Eoma 29 aprile 1960)
Fallimento — Opera naz. combattenti — Finanzia
menti a reduci — Cessione di crediti «prò solvendo» — Azione revoeatoria fallimentare — Inammissibi
lità (R. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del falli
mento, art. 67 ; d. 1. 1. 26 aprile 1946 n. 240, provvi denze a favore dei reduci, art. 182 ; d. m. 21 dicembre
1953, condizioni e modalità relative alla concessione del
credito ai reduci singoli o associati in cooperative, art. 2, 6).
Le disposizioni sulla revoeatoria fallimentare, di cui al
l'art. 67 legge fallimentare, non si applicano, giusta l'ultimo comma di detto articolo, alle cessioni pro solvendo di crediti, effettuate da reduci a garanzia di finanziamenti concessi dall'Opera nazionale dei combattenti per un deter
minato lavoro. (1)
La Corte, ecc. — Con il primo, secondo e sesto mezzo, che sono strettamente connessi, la ricorrente denuncia la viola zione dell'art. 67 legge fall., in relazione al decreto le
gisl. luog. 26 aprile 1946 n. 240, concernente provvidenze a favore dei reduci, ai decreti min. 23 gennaio 1947, 20
agosto 1949 e 21 dicembre 1953, e degli art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. e deduce l'inapplicabilità del cennato art. 67 legge fall., anche a mente dell'ultimo comma dello stesso
articolo, in quanto il finanziamento di esercizio, concesso alla C.o.e.s.a. contro cessione del credito da quest'ultima vantato verso il Ministero dei lavori pubblici, era stato
compiuto in adempimento di un obbligo imposto all'Opera medesima dall'art. 18 decreto legisl. n. 240 del 1946. Ag giunge la ricorrente che la questione era stata specificamente proposta ai Giudici di merito, i quali hanno omesso ogni loro esame su questo punto decisivo.
La doglianza è fondata.
Risulta da tutti gli scritti difensivi di primo e secondo
grado che la ricorrente fondava il suo sistema difensivo sostanzialmente sulla sua natura di ente pubblico, che aveva il dovere e non la facoltà di concedere i finanziamenti ri chiesti dalla C.o.e.s.a. a norma del decreto legisl. n. 240 del 1946, nonché sulla particolare finalità perseguita dalla sua attività finanziatrice, in quanto diretta a soddisfare
quel pubblico interesse tutelato dalla .siicitata norma a
(1) Non risultano precedenti sul caso di specie. Sull'interpretazione del 4a comma dell'art. 2787, su cui
si indugia la sentenza riportata, cons. Cass. 25 ottobre 1956, n. 3932, Foro it., 1957, I, 2017, con nota di richiami, cui adde App. Torino 22 ottobre 1957, id., Rep. 1958, voce Pegno, n. 5.
Sulla cessione pro solvendo, come pegno di crediti, Paz zàglia, Cessione di credito e fallimento del cedente, in Dir. fall,, 1960, II, 940 (che ravvisa un indirizzo giurisprudenziale nel senso di ammettere la cessione come forma indiretta di garan zia, menzionando Cass. 30 maggio 1960, n. 1398, Foro it., Hep. 1960, voce Fallimento, n. 533 e voce Cessione di crediti, n. 4 ; vedi però Cass. 21 gennaio 1960, n. 49, ibid., n. 5) ; Bigiavi, Cessione di contributi statali per la ricostruzione e revoeatoria fallimentare dei pagamenti, in Banca, borsa, ecc., 1958, I, 287 (la cessione ha funzione di pagamento o di garanzia a seconda della volontà delle parti). Detto studio è stato originato dalla sentenza Cass. 30 ottobre 1956, n. 4057, annotata da Batistoni Ferrara, in Foro it., 1957, I, 1975 e da Redenti, in Dir. fall., 1957, II, 281.
Sui limiti della revoeatoria per i mutui concessi dalla Se zione speciale per il credito alle medie e piccole industrie della Banca naz. del lavoro, v. Cass. 16 giugno 1961, n. 1408, infra, 1086, con nota di richiami.
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