Sezioni unite civili; sentenza 13 novembre 1982, n. 6035; Pres. Marchetti, Est. Virgilio, P. M.Sgroi V. (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Angelini Rota) c. Ente autonomoacquedotto pugliese (Avv. G. Guarino, Cocivera). Cassa Comm. trib. centrale 5 aprile 1976, n.4646Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 2 (FEBBRAIO 1983), pp. 367/368-371/372Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174225 .
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PARTE PRIMA
L'amministrazione del tesoro eccepiva il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, assumendo che la giurisdizione appartene va alla Corte dei conti, trattandosi di controversia in materia di
pensione.
Il Consiglio di Stato con la decisione n. 724 dell'I 1 giugno - 28
luglio 1977 affermava la propria giurisdizione osservando quan
to segue: 1) che la giurisdizione della Corte dei conti in mate
ria di pensioni è limitata solo a quanto concerne con immedia
tezza il sorgere, il modificarsi o l'estinguersi totale o parziale del
diritto alla pensione in senso stretto, e non si estende anche agli
assegni accessori, che sono estranei al provvedimento di liquida
zione della pensione e soltanto lo presuppongono; 2) che, con
tenendo e presupponendo, necessariamente, il provvedimento che
dispone il recupero delle somme indebitamente corrisposte un
atto di annullamento di ufficio dei precedenti atti amministra
tivi in base ai quali è stato effettuato il pagamento, si configura un interesse qualificato del privato alla legittimità dell'indicato
provvedimento, soggetto quindi alla giurisdizione generale di
legittimità del Consiglio di Stato; 3) che il provvedimento di an
nullamento di ufficio di un atto amministrativo ha natura discre
zionale, implicando la valutazione circa l'opportunità di rimuo
vere effetti giuridici ed innestati ai rapporti sopravvenuti.
Avverso tale decisione la direzione prov. del tesoro di Roma
ed il ministero del tesoro hanno proposto ricorso con un unico
motivo. La Fattibene si è costituita con controricorso tardivo (in
data 1° maggio 1982), ma nel quale chiede esclusivamente la
compensazione delle spese.
Diritto. — Con l'unico mezzo del ricorso, le amministrazioni
ricorrenti deducono la violazione degli art. 29 e 30 t.u. 26 giu
gno 1924 in. 1054, 13 e 62 ,t.u. 12 luglio 1934 m. 1214, 2 e 3 1. 20
marzo 1865 n. 2248, ali. E, 2033 c.c. in relazione all'art. 360, n.
1, c.p.c. per difetto di giurisdizione; esse sostengono che erronea
mente il Consiglio di Stato avrebbe affermato la propria giurisdi zione senza considerare: 1) che la giurisdizione della Corte dei
conti in materia di pensioni riguarda tutti gli atti che comunque incidano sull'ara o sul quantum del diritto al relativo trattamento
e comprende anche il diritto ai relativi assegni accessori, aventi
funzione integrativa della pensione; 2) che la giurisdizione della
Corte dei conti ha carattere esclusivo e può conoscere anche di
situazioni soggettive non aventi consistenza di diritto; 3) che la
asserita discrezionalità dell'atto che dispone il recupero delle som
me indebitamente pagate riguarderebbe non il provvedimento che accerta l'errata corresponsione degli emolumenti e ne ordina
l'addebito, ma soltanto le modalità di recupero delle somme
pagate.
Queste sezioni unite, nell'espletamento del compito di distin
guere e determinare la sfera propria delle diverse giurisdizioni
degli organi giudiziari, hanno ritenuto che rientrano nella com
petenza giurisdizionale della Corte dei conti, a norma degli art.
13 e 62 t.u. 12 luglio 1934 n. 1214, le controversie relative a
provvedimenti dell'amministrazione che concedono, rifiutano, o
riducono il trattamento di quiescenza, ledendo il diritto dell'ex
dipendente pubblico in ordine all'ara od al quantum della pen
sione (sent. 29 ottobre 1974, n. 3246, Foro it., 1975, I, 344; 28
maggio 1975, n. 2155, id., Rep. 1975, voce Pensione, n. 326 a).
È stato, in particolare, affermato che gli assegni accessori han
no tutti funzione integrativa della pensione in senso stretto, in
quanto diretti ad adeguarne la misura minima alle reali condi
zioni ed esigenze fisiche, economiche e familiari di ogni pensio
nato, quali risultano dalla documentazione che anche a tale sco
po deve essere accolta in sede di istruzione della pratica neces
saria per l'attribuzione del trattamento (sent. 27 febbraio 1976, n.
630, id., 1976, I, 1902); e che le relative controversie non riguar dano un rapporto di pubblico impiego in corso di svolgimento
(devoluto alla giurisdizione del T.A.R. e del Consiglio di Stato),
ma coinvolgono il diritto all'assegno di pensione, o di parti inte
granti del complessivo trattamento di quiescenza del pensionato,
quali appunto l'indennità integrativa e la tredicesima mensilità
(sent. 29 gennaio 1971, n. 221, id., 1971, I, 1282; 12 maggio 1976,
n. 1656, id., Rep. 1976, voce cit., n. 272; 27 ottobre 1979, n. 5507,
id., Rep. 1979, voce cit., ti. 252).
Infine, la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti, sempre ai sensi delle citate norme, è stata affermata pure nel caso di
domanda del pensionato diretta a contestare la legittimità del
provvedimento di recupero di detti assegni, ancorché sotto il
profilo della irripetibilità di quanto riscosso in buona fede, e de
stinato a bisogni alimentari, in considerazione della stretta con
nessione o dipendenza delle relative questioni rispetto alla mate
ria pensionistica (sent. 7 gennaio 1981, n. 77, id., 1981, I, 2008). Ed invero, a conferma e ripetizione di tali principi, basterà
nuovamente rilevare che il trattamento di pensione, spettante al
l'impiegato dopo la cessazione del rapporto di pubblico impiego,
oppure ai suoi parenti aventi diritto a titolo di reversibilità, non attiene alla posizione soggettiva di status del dipendente pubbli co, poiché solo per la disciplina di questo sussiste la competenza
giurisdizionale esclusiva del g.a. (T.A.R. e Consiglio di Stato). Il
diritto a pensione è un diritto soggettivo perfetto del titolare, che
trova bensì la causa nella preesistente o presupposta situazione
di pubblico impiego, ma che inerisce alla fase successiva al detto
rapporto, senza più comportare alcuna diretta applicazione della
disciplina del pregresso status.
Su tale diritto non può perciò estendersi la giurisdizione esclu
siva dei giudici amministrativi suddetti, e sussiste invece quella esclusiva della Corte dei conti.
Per di più, anche la liquidazione e la determinazione della mi sura della pensione, sono concretate in provvedimenti previsti da
specifiche norme di legge, e non integrano affatto degli atti di screzionali della p.a.; pertanto, trattandosi di un rapporto fon dato sui diritti del pensionato e sui corrispondenti obblighi della
p.a., disciplinato esclusivamente da norme di legge, non può sus sistere al riguardo neppure la giurisdizione generale di legitti mità del giudice amministrativo, ma interviene al riguardo solo la giurisdizione piena ed esclusiva della Corte dei conti.
A tale rilievo è pure collegata l'ulteriore considerazione che anche le regole sull'eventuale ripetibilità delle somme che si as sumono erroneamente pagate al pensionato non hanno alcuna connessione con la pretesa esistenza, esattezza, e legittimità di un atto amministrativo che abbia erogato somme che poi si so
stengono non spettanti. Al contrario, anche tali norme sulla spet tanza o meno, e quindi sulla possibilità di conseguire l'eventuale
recupero, di indennità e voci integrative, sono sempre norme
esplicite di legge inerenti al diritto sostanziale del titolare a per cepire o meno tali emolumenti. E quindi anche sotto tale profilo l'unico giudice competente è quello che ha il potere di attribuire e determinare il trattamento pensionistico.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, deve essere dichiarata la
giurisdizione della Corte dei conti sulla controversia, e la sen tenza denunciata del Consiglio di Stato deve essere cassata senza
rinvio, ai sensi dell'art. 382, 3° comma, c.p.c., difettando tale or
gano ed anche quello di primo grado (T.A.R.) della giurisdizio ne in materia. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 13 novembre 1982, n. 6035; Pres. Marchetti, Est. Virgilio, P. M. Sgroi V. (Conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Ange lini Rota) c. Ente autonomo acquedotto pugliese (Avv. G. Guarino, Cocivera). Cassa Comm. trib. centrale 5 aprile 1976, n. 4646.
Società e obbligazioni (imposta sulle) — Ente autonomo acque dotto pugliese — Natura — Esenzione dall'imposta — Esclu sione (R.d. 19 ottobre 1919 n. 2060, che istituisce con sede in Bari un ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'acquedotto pugliese, fissandone l'ordinamento; d.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, t.u. sulle imposte dirette, art. 151).
L'Ente autonomo acquedotto pugliese non rientra fra i consorzi tra enti pubblici territoriali ed è perciò soggetto all'imposta sulle società. (1)
(1) Le sezioni unite — con la decisione su riportata e le altre con formi, da n. 6036 a n. 6041 — intervengono a comporre il singolarissi mo contrasto creatosi nell'ambito della medesima sezione della corte di legittimità: sez. >1 19 luglio 1979, n. 4295, e 9 ottobre 1979, n. 5224, Foro it., 1980, I, 1715.
La dissonanza tra le pronunzie, che si segnalano per l'ampiezza e la coerenza della motivazione, viene risolta in favore di Cass. 4295/ 1979 sulla base di un'attenta indagine esegetica della norma controver sa, cui si aggiunge, quale verifica della soluzione offerta dalle sezioni unite, l'interessante riferimento alla 1. 20 marzo 1975 n. 70, che, nel riordinare gli enti pubblici, include l'Ente autonomo acquedotto pu gliese in una categoria classificatoria a sé stante, distinta da quella dei consorzi tra enti locali e territoriali, separatamente considerata dal legislatore.
Anche in questa vicenda processuale, al pari di quelle che hanno dato luogo al contrasto di giurisprudenza, le commissioni tributarie avevano tutte riconosciuto l'ente quale consorzio tra Stato e province, cosi come lo definiva la 1. istitutiva 26 giugno 1902 n. 245.
Un cenno infine va fatto all'eccezione di incostituzionalità dell'art. 151 t.u. delle imposte dirette, sollevata in extremis nella discussione orale dal convenuto, disattesa senza difficoltà dal collegio giudicante, per una presunta ingiustificata disparità di trattamento tra l'ente de quo e gli altri enti espressamente menzionati dalla norma, operanti alla stregua del primo nel settore dei servizi di pubblico interesse.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — La ricorrente deduce che erronea mente l'Ente autonomo acquedotto pugliese è stato ritenuto ricon
ducibile alla categoria dei soggetti indicati nell'art. 151, lett. c, t. u. n. 645 del 1958, ai fini della esenzione dall'imposta sulle so
cietà, in quanto la norma — menzionando le regioni, le provin ce, i comuni e relativi consorzi — ha inteso riferirsi a questi ultimi (« consorzi ») non in senso ampio e generico, ma con esclusivo riguardo a quelli costituiti tra gli enti pubblici terri toriali o con la partecipazione di tali enti, modellati secondo gli schemi e la disciplina risultanti dalla I. com. e prov. 3 marzo 1934 n. 383. Aggiunge che l'E.A.A.P., a causa della sua origina ria configurazione, già di carattere anomalo rispetto alle conno tazioni tipiche dei consorzi, ma soprattutto in conseguenza della
profonda trasformazione apportata alla struttura dell'ente con il r.d.l. 19 ottobre 1919 n. 2060, è sicuramente privo dei requisiti essenziali per essere annoverato nella categoria dei consorzi
menzionati nella norma agevolativa. Va premesso che la questione della natura dell'ente, agli ef
fetti della sua esenzione dall'imposta sulle società, è stata de
cisa in senso difforme con due sentenze della prima sezione civile
di questa corte (n. 4295 del 19 luglio 1979, e n. 5224 del 9 otto
bre 1979, Foro it., 1980, I, 1715), e perciò lé sezioni unite sono
ora chiamate a comporre il contrasto.
Le indicate sentenze, dopo ampia disamina delle vicende le
gislative sulla istituzione, modificazione e sviluppo operativo dell'Ente autonomo acquedotto pugliese, in correlazione alla nor
mativa tributaria contenuta nel t.u. n. 645 del 1958, hanno suf
fragato le rispettive opposte statuizioni con dovizia di argomen tazioni, le quali — muovendo da prospettive divergenti — sem
brano condurre a conclusioni egualmente coerenti rispetto alla
diversa ottica in cui l'analisi dei due collegi giudicanti è stata
condotta.
Queste sezioni unite ritengono che il contrasto vada risolto
in conformità della sentenza n. 4295 del 12 luglio 1979, in base
a una valutazione interpretativa più strettamente correlata alla
natura dell'indagine che la controversia richiede, la quale s'in
centra sulla definizione della sfera di applicabilità di una norma
di esenzione fiscale, suscettibile di interpretazione estensiva, ma
non anche di quella analogica. Se si muove da questa premessa, la soluzione del problema
non presenta difficoltà.
Nella indagine volta a stabilire il preciso significato, nel t.u.
del 1958, della espressione « le regioni, le province, i comuni e
relativi consorzi », l'interprete non può prescindere dalla consi
derazione che nella terminologia giuridica, tanto in sede legisla tiva e dottrinaria quanto nel settore dell'attività giurisprudenziale, il fenomeno consortile è stato sempre caratterizzato da connota
zioni tipiche che lo hanno nettamente differenziato da altre for
me associative analoghe e, sotto il profilo dinamico, da una nu
merosa serie di attività più o meno affini.
Nella complessa gamma di tale ben definita categoria, un ri lievo particolare assumono i consorzi amministrativi, mentre, nell'ambito di essi, si evidenzia la peculiare figura dei consorzi tra enti pubblici territoriali.
Di fronte a un panorama articolato e variegato dell'istituto
consortile (risultante non solo dal contesto della legislazione, ma anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza) l'interprete deve per ciò ragionevolmente ritenere che il t.u. n. 645/1958, con l'espres sione «regioni, province, comuni e relativi consorzi», abbia in teso riferirsi specificamente alla categoria dei consorzi costituiti tra gli enti pubblici territoriali menzionati o, a tutto concede
re, a quelli caratterizzati prevalentemente dalla partecipazione di tali enti.
L'uso dell'aggettivo « relativi » immediatamente dopo la indi cazione dei tre enti pubblici territoriali esistenti nel nostro ordi namento è chiaramente indicativo della volontà del legislatore di
porre una stretta correlazione, agli effetti della prevista agevola zione fiscale, tra gli enti ammesi al beneficio e i consorzi ai quali si intendeva estendere, ma anche circoscrivere, la concessione
dello stesso beneficio.
Appare dunque evidente che il significato proprio delle parole usate dal legislatore (che costituisce sempre il primo presidio di
orientamento nell'attività ermeneutica) non consente di ritenere
che la disposizione dell'art. 151, lett. c, possa comprendere an
che categorie di consorzi non strettamente rientranti nella ben
definita figura di cui si è detto.
Va inoltre considerato e sottolineato che all'epoca della ema
nazione del t.u. del 1958 sulle imposte dirette si era già vistosa mente verificato, nel settore del perseguimento degli interessi
pubblici, il fenomeno dell'intervento dello Stato attraverso mol
teplici nuove forme operative, soprattutto con la costituzione di
enti pubblici svolgenti specifiche attività di ausilio o integrative
di quella statale e della p. a. in genere; sicché all'interprete non
può sfuggire il peculiare significato che, nell'indicato contesto, as sunsi nella intenzione del legislatore il termine «consorzio», il
quale nel linguaggio tecnico-giuridico aveva e ha un preciso con tenuto concettuale.
Si vuole cioè evidenziare che, nonostante le sopravvenute for me di realizzazione dell'interesse pubblico mediante creazione di nuovi enti, con attribuzione anche di compiti tradizionalmente affidati ai consorzi, il legislatore del 1958 ha mantenuto, agli effetti di cui si discute, la distinzione tra i nuovi organismi e i consorzi, conservando per questi ultimi una separata regolamen tazione.
Allo stesso criterio si è uniformato anche il d.p.r. 29 settem bre 1973 n. 598 (istitutivo dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche) perché l'art. 2, nella elencazione dei soggetti passivi del tributo, sotto la lett. b menziona espressamente i consorzi accanto agli altri enti pubblici e privati.
Esiste dunque nella legislazione, anche recente, una costante differenziazione tra la categoria dei consorzi, in tutte le sue con
figurazioni, e quella degli enti pubblici in genere e di altre forme associative.
Da questa constatazione è agevole dedurre che il legislators ha sempre usato consapevolmente il termine « consorzio » nel suo
significato tecnico-giuridico, e che la regolamentazione di tale
istituto, anche sotto il profilo fiscale, presenta nella normazione un'autonoma rilevanza, la quale definisce e circoscrive la detta
categoria rispetto ad altre aventi connotati analoghi o simili. La conferma del criterio di precisione terminologica cui si è
ispirato il legislatore nell'uso del sostantivo « consorzio » si ri cava anche dall'art. 151 t.u. del 1958, della cui interpretazione si
discute, perché nella norma si fece riferimento (lett. a) ai con sorzi delle società agricole e di consumo, e inoltre (lett. e) ai consorzi di bonifica, miglioramento, irrigazione e per opere idrau
liche, nonché (lett. c e d) ai consorzi relativi agli enti pubblici territoriali, alle aziende dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, a condizione — per questi ultimi — che gestissero di fatto in regime di monopolio servizi di interesse pubblico.
Furono perciò previsti ed elencati particolari tipi di consorzi, mentre la menzione specifica e puntuale di essi sarebbe stata in gran parte superflua se il legislatore avesse inteso concedere
l'agevolazione non già a ben individuate specie di consorzi, ma
genericamente a tutti quelli rientranti nella categoria dei con sorzi amministrativi, essendo evidente che in tal caso sarebbe stato sufficiente l'uso di una espressione letterale sintetica che avesse fatto riferimento alla detta categoria e all'attività di pub blico interesse esplicata dagli enti.
Tutte le considerazioni che precedono hanno carattere deci sivo per la soluzione del caso in esame.
Ai fini che qui interessano non occorre tanto stabilire se l'En te autonomo acquedotto pugliese presentasse originariamente le caratteristiche proprie del consorzio costituito tra enti pubblici territoriali (su questo punto può condividersi l'argomentazione della sentenza n. 5224 del 1979, che ha efficacemente sottolineato la natura di consorzio dell'ente all'atto della sua costituzione, sia nell'essenza oggettiva, sia perché il legislatore lo qualificò ap punto come consorzio), quanto di accertare se dopo la riforma
attuata con il r.d.L 19 ottobre 1919 n. 2060 l'ente abbia mante nuto sufficientemente inalterate le stesse caratteristiche, o se in
vece abbia assunto una diversa configurazione giuridica, atta a renderlo estraneo al fenomeno consortile.
La risposta al quesito è certamente in quest'ultimo senso. Va innanzitutto considerato che non è possibile sminuire l'im
portanza delle espressioni usate dal legislatore nel r.d.l. 19 otto
bre 1919 n. 2060, contenente una completa nuova regolamenta zione dell'ente di cui si discute.
Già nella premessa del detto decreto significativamente si af
ferma « la necessità di trasformare il consorzio in un ente au
tonomo » per la gestione tecnica e amministrativa di molteplici
opere, anche al di là di quelle di competenza dell'originario con
sorzio costituito con la 1. 26 giugno 1902 n. 245.
Il provvedimento legislativo del 1919 mutò anche la denomi
nazione dell'ente e dispose testualmente: « il consorzio assume
rà il nome e le funzioni di Ente autonomo per l'acquedotto pu
gliese ».
E che non si trattò di una semplice modificazione d'ordine for
male è dimostrato dal notevole ampliamento della sfera di atti
vità del nuovo organismo, nel quale — sul piano della struttura
partecipativa — divenne preponderante l'ingerenza dello Stato; sicché alla figura del consorzio in senso tecnico-giuridico (caratte rizzata da pluralità di soggetti, interesse comune, volontà di asso
ciarsi) subentrò e si sostituì un più vasto organo di attività e di
gestione. In sostanza tale organo, pur includendo e assorbendo in
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PARTE PRIMA
sé i compiti già di spettanza del consorzio, nei confronti di que st'ultimo assunse caratteristiche differenziali di non lieve impor tanza.
Queste considerazioni sono già sufficienti per far escludere che l'ente possa essere annoverato, dopo le menzionate modificazioni
strutturali e operative, nella categoria dei consorzi indicati nella
disposizione di agevolazione fiscale.
Anche se tale categoria si ritenesse comprensiva non soltanto dei consorzi « tra » enti pubblici territoriali in senso stretto, ma
altresì di quelli costituiti « con » la partecipazione prevalente dei
detti enti, egualmente gli elementi di differenziazione avanti ri
chiamati resterebbero di tale rilevanza, sotto il profilo della con
figurazione particolare attribuita all'ente con il provvedimento del 1919, da non consentire l'assimilazione tra l'E.A.A.P. e la de
lineata figura di consorzi.
La convalida della esattezza di questa conclusione risulta pe raltro da un argomento legislativo-testuale, valido di per sé a
dimostrare la infondatezza della tesi accolta nella decisione im
pugnata. La 1. 20 marzo 1975 n. 70 (disposizioni sul riordinamento degli
enti pubblici) ha infatti previsto nel 2° comma dell'art. 1 la esclu
sione dall'ambito di applicazione delle nuove norme degli « enti
locali e territoriali e loro consorzi », e nel 3° comma, agli stessi
fini, ha fatto riferimento alla tabella allegata alla legge (conte nente l'elenco di alcuni enti), nella quale, sotto il n. IV - enti
preposti a servizi di pubblico interesse - è menzionato anche l'En
te autonomo acquedotto pugliese. La deduzione è di evidente linearità: se il legislatore, in un
provvedimento di natura ricognitiva sul riordinamento degli enti
pubblici, ha incluso l'E.A.A.P. in una categoria classificatoria con
una propria connotazione, significa chiaramente che non lo ha
qualificato e considerato come rientrante concettualmente nella
categoria dei consorzi tra enti locali e territoriali già prevista
separatamente nel 2° comma dell'art. 1.
In conclusione, per tutte le argomentazioni esposte il ricorso
deve essere accolto.
Nella discussione orale e nelle note di udienza la difesa del
resistente ha sollevato eccezione di incostituzionalità dell'art. 151
t.u. n. 645/1958 per disparità di'trattamento tra l'ente di cui si
discute e altri enti espressamente menzionati nella norma, del
pari operanti nel settore dei servizi di pubblico interesse.
L'eccezione è manifestamente infondata.
Le differenze evidenziate (di struttura, di scopi, di dimensioni
e di attività), esistenti tra l'E.A.A.P. e i consorzi e gli altri enti
specificamente menzionati nella norma agevolativa, rendono pale se che si tratta di fattispecie diverse, in ordine alle quali il legis latore ha operato, ai fini del beneficio tributario, una scelta so
vrana, sicché non è configurabile una disparità di trattamento, nel
senso richiesto dalla Costituzione, mancando il presupposto della
identità delle situazioni soggettive rispetto ad una stessa regola mentazione giuridica, ovvero — capovolgendo i termini del pro blema — noh è ravvisabile un trattamento giuridico differenziato
nei confronti di soggetti aventi identiche caratteristiche. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 9 novem bre 1982, n. 5881; Pres. Mazzacane, Est. Maltese, P. M. Gros si (conci, conf.); Domeniconi (Avv. Ercole, Balestra) c. Soc. Union Transport it. (Avv. Geremia, Grande Stevens, Pelle
rito). Conferma App. Genova 29 dicembre 1979.
Spedizione e spedizioniere — Compenso « à forfait » — Qualifi cazione del contratto — Fattispecie (Cod. civ., art. 1740).
La pattuizione di un compenso à forfait comprensivo della prov
vigione, del rimborso delle spese anticipate e dei compensi per le prestazioni accessorie non è di per sé incompatibile con la
natura del contratto di spedizione, tuttavia costituisce un ele
mento di fatto fondamentale al fine della qualificazione del ne
gozio come spedizione-trasporto anziché come spedizione pura (nella specie, la corte ha ritenuto indenne da censure la deci
sione con cui i giudici di merito avevano riconosciuto l'esi stenza di un contratto di spedizione-trasporto, con l'assunzio ne dei relativi rischi da parte dello spedizioniere-vettore, in
presenza della suddetta clausola di retribuzione forfettaria e
di altra clausola di conferimento allo spedizioniere di un am
pio potere discrezionale nella scelta dei mezzi e delle modalità
di svolgimento del trasporto). (1)
(1) La difficoltà di rinvenire un vero e proprio principio di diritto da enunciare nella massima non toglie alla sentenza riprodotta il me
Svolgimento del processo. — L'Union Transport italiana s.p.a.,
per conto degli esportatori Walker Pen e Imper ing. A. Schieroni
e figli s.p.a., si rivolse all'agenzia marittima trasporti internazio
nali Domeniconi per il trasporto di due partite di merce a Bahrain.
La Domeniconi, a sua volta, incaricò del trasporto la Compagnia mercantile di navigazione.
La merce fui abbandonata a Beirut. Solo dopo sette mesi giun se a destinazione, per iniziativa e a spese degli esportatori.
La Union Transport italiana corrispose a questi ultimi quanto dovuto, con surrogazione nei diritti verso la Domeniconi e la
Compagnia mercantile di navigazione, che citò davanti al Tri
bunnale di Genova, chiendone la condanna al pagamento delle
somme erogate. Il tribunale adito, considerando la Domeniconi non semplice
spedizioniere ma spedizioniere-vettore, ne statuì la condanna, as
solvendo, invece, la Compagnia mercantile dalla domanda dei
rito di aver affrontato il delicato problema di qualificazione con ben altra precisazione ed ampiezza di argomentazioni rispetto alla stringata motivazione dei giudici di secondo grado (App. Genova 29 dicembre 1979, Foro it., Rep. 1980, voce Spedizione e spedizioniere, n. 2, in extenso in Foro pad., 1979, I, 405). '
Nondimeno, poco risalto vien dato agli altri elementi di fatto che insieme alla retribuzione à forfait (di per se stessa non implicante tra sformazione dello spedizioniere in spedizioniere-vettore) avrebbero con dotto i giudici dei gradi precedenti a definire il rapporto come spedi zione-trasporto anziché come spedizione pura, sicché il dubbio — de nunciato dal ricorrente — che la corte d'appello sia incorsa in una
petizione di principio, nel dichiarare non provata la fattispecie di spe dizione pura e perciò esclusa dalla presenza della clausola di com
penso globale, rimane da sciogliere anche dopo la conferma della corte di legittimità.
In assenza di precedenti nella giurisprudenza della Cassazione, i
giudici di merito, in epoca non recente, hanno interpretato in maniera discordante la clausola in esame, attribuendole una diversa incidenza sulla qualificazione del contratto: Trib. Roma 8 gennaio 1948, Foro
it., Rep. 1948, voce Trasporto {contratto), n. 46, ha ravvisato, nella
pattuizione di un compenso globale per tutte le spese inerenti al tra
sporto, l'assunzione, da parte dell'incaricato del trasporto, della veste di spedizioniere-vettore, con gli obblighi e i diritti conseguenti; in una
prospettiva di ricostruzione della volontà delle parti idonea a valoriz zare tutte le circostanze di fatto inerenti allo svolgimento del rappor to, al di là di qualsiasi presunzione (cosi in particolare App. Torino 23 marzo 1948, ibid., n. 38), App. Milano 22 febbraio 1946, id., Rep. 1946, voce cit., n. 13, ha affermato che la pattuizione di una retribu zione globale non altera la natura di contratto di spedizione.
La dottrina più autorevole ritiene la- spedizione à forfait un comune contratto di spedizione (Minervini, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato, diretto da Vassalli, Torino, 1954, 100, che ammette in
generale per il mandato la pattuizione di un compenso forfettario; il
problema è risolto testualmente per la spedizione dall'art. 1740 c. c.). È pertanto ingiustificata una presunzione di spedizioniere-vettore nel
conglobamento di un compenso à forfait — come stabilisce invece
espressamente il § 413 HGB su cui v., in prima approssimazione, Schlegelberger-Scròder, Kommentar HGB5, Munchen, 1977, VI, 569 ss. — « dovendosi indagare caso per caso il contenuto ef
fettivo della volontà delle parti, senza lasciarsi dominare da un
solo indice esteriore » (cosi Asquini, Spedizione (contratto di), voce del Novissimo digesto, 1970, XVII, 1100, il quale può conside rarsi l'artefice della norma in questione corrispondente all'art. 403 del
progetto D'Amelio). Si aggiunge, d'altro canto, che « nella pratica, in presenza di una prefissione contrattuale di spesa o di entrata, occorre — per ravvisarsi mandato, e non ad es. trasporto o compravendita —
una chiara delineazione nel primo senso della volontà delle parti »
(Minervini, cit., 101, sulla scia della dottrina tedesca ivi citata). Analogamente sotto il codice abrogato la dottrina più attenta aveva
già escluso che la semplice pattuizione forfettaria del corrispettivo
comportasse trasformazione dello spedizioniere in vettore (cfr. Asqui
ni, Spedizione, voce del Nuovo digesto, 1940, XII, I, 719; nonché
De Semo, Lo spedizioniere, Roma, 1926, 32) reagendo cosi contro la
tesi di Carnelutti, Figura giuridica dello spedizioniere, in Riv. dir.
comm., 1909, II, 193 e Ancora sulla figura giuridica dello spedizio niere, id., 1910, II, 12, il quale, distinguendo la spedizione dal tra
sporto principalmente secondo la forma del corrispettivo, individuava il compenso à forfait quale elemento caratteristico dello spedizioniere vettore.
Per altri riferimenti bibliografici, v. Buonocore, Il contratto di spe dizione (rassegna di dottrina e giurisprudenza: 1943-1957), in Dir. e
giur., 1957, 609, 619 s.; Rainone, Rilievi sul contratto di mandato e sui
suoi sotto-tipi qualificati, id., 1951, 285, 288 s.; Pereto Griva, Cri teri distintivi tra contratto di trasporto e contratto di spedizione, in Circolaz. e trasp., 1954, 1160; Bile, Il mandato, la commissione, la spe dizione, Roma, 1961, 305 s.
La genesi del contratto di spedizione è ben delineata da Giordano, Mandato. Commissione. Spedizione, in Giur. sistem. civ. e comm., fondata da Sigiavi, Torino, 1969, 712 ss.
Sui caratteri differenziali del contratto di spedizione rispetto a quel lo di trasporto v. da ultimo Cass. 23 giugno 1982, n. 3830, Foro it.,
Mass., 800.
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