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Sezioni unite civili; sentenza 14 aprile 1984, n. 2411; Pres. Gambogi Est. Parisi, P. M. Fabi...

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Sezioni unite civili; sentenza 14 aprile 1984, n. 2411; Pres. Gambogi Est. Parisi, P. M. Fabi (concl. diff.); Marrone (Avv. Cervati, Flick) c. Consiglio superiore della magistratura ed altri. Cassa Cons. sup. magistratura, sez. disciplinare, 19 novembre 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 5 (MAGGIO 1984), pp. 1205/1206-1227/1228 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175677 . Accessed: 28/06/2014 16:18 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 16:18:33 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 14 aprile 1984, n. 2411; Pres. Gambogi Est. Parisi, P. M. Fabi(concl. diff.); Marrone (Avv. Cervati, Flick) c. Consiglio superiore della magistratura ed altri.Cassa Cons. sup. magistratura, sez. disciplinare, 19 novembre 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 5 (MAGGIO 1984), pp. 1205/1206-1227/1228Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175677 .

Accessed: 28/06/2014 16:18

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

compromesse le potestà pubblicistiche che in materia competono inderogabilmente all'autorità amministrativa. Il che consente di riscontrare ancora una volta, in linea con la più attenta dottrina, che il contratto come categoria giuridica generale (come del resto la proprietà e l'impresa), pur avendo ricevuto in origine una

applicazione limitata ai rapporti interindividuali secondo lo sche ma puramente privatistico, ha finito per estendere la sua area di

applicazione anche al diritto pubblico, come del resto è testimo

niato dalla elaborazione giurisprudenziale delle concessioni-con

tratto, in cui parimenti si è coordinata la categoria del contratto

con i poteri discrezionali che l'ordinamento attribuisce alla p.a. nell'interesse generale. 11 che non è contraddetto, ma anzi riceve

testuale conferma dalla formulazione dell'art. 8 1. 765/67, secondo

cui sono fatte salve le convenzioni urbanistiche anteriori, nel

senso che, anche dopo l'entrata in vigore della legge anzidetta, le

convenzioni medesime conservano la propria validità ed efficacia

pur non essendo state adottate con il procedimento da questa

legge previsto.

Ciò tuttavia non esclude ma anzi logicamente ammette che le

convenzioni urbanistiche prese in considerazione dalla legge deb

bano cedere nei limiti in cui siano incompatibili con il legittimo esercizio dei poteri pubblicistici che competano istituzionalmente

alla p.a. Tirando le file del discorso che precede deve quindi ribadirsi

che la convenzione di lottizzazione è un contratto e che essa in

quanto tale è idonea, secondo la propria funzione giuridica, a

creare per entrambe le parti contraenti il vincolo negoziale.

Tuttavia, vertendosi in materia in cui sussistono potestà pub bliche indisponibili, è possibile che i diritti soggettivi perfetti che

dal contratto derivano per la parte privata subiscono l'influsso di

vicende che attengono, dall'esterno del contratto, alle cennate

potestà discrezionali dell'ente pubblico. Ne consegue che l'esercizio della potestà amministrativa può

incidere sul contenuto del diritto soggettivo perfetto spettante al

privato, degradandolo a mero interesse legittimo, per la prevalen za che deve riconoscersi all'interesse pubblico rispetto a quello individuale e perciò egoistico del contraente privato.

Né ciò implica una disposizione dei poteri pubblici che compe tono alla p.a. e che sono per definizione indispensabili, in quanto il vincolo negoziale viene assunto dall'autorità amministrativa sulla

base di una valutazione che ha per oggetto l'assetto urbanistico

del territorio esistente all'atto della stipula della convenzione con

la parte privata. L'ente pubblico, tuttavia, conserva integra la potestà di variare

ed adeguare gli strumenti urbanistici vigenti alle mutate esigenze dell'interesse pubblico, di modo che deve ritenersi che il sinal

lagma negoziale derivante dalla convenzione di lottizzazione sia

assunto dalla p.a. rebus sic stantibus e che quindi l'esercizio di

quei poteri di diritto pubblico le consentano di incidere sullo

stesso contenuto della situazione soggettiva spettante al privato. Ciò tuttavia implica che quando ciò si verifica, la tutela giurisdi zionale di quest'ultimo non si esaurisce con il ricorso al giudice amministrativo al fine di ottenere l'annullamento dell'atto che ha

leso il suo interesse (nel oaso di specie attraverso la revisione

del piano regolatore che ha modificato i limiti dello ius ae

dificandi) — cosi come erroneamente ritenuto dalla impugnata sentenza — ma compete al privato, se ed in quanto sia accertata

nella sede giurisdizionale competente la illegittimità dell'azione

amministrativa, la possibilità di adire il giudice ordinario con

l'azione risarcitoria, in seguito alla reintegrazione che la sua sfera

giuridica subisce con la reviviscenza del diritto soggettivo perfetto

conseguente all'annullamento dell'atto lesivo (cfr., per uno spunto in senso conforme, sez. un. 2433/83, cit.).

Da quanto precede si possono trarre utili elementi di giudizio

per la decisione del ricorso.

Poiché — come è pacifico tra le parti — il comune di Porto S.

Giorgio ha dopo la stipula della convenzione di lottizzazione

modificato gli strumenti urbanistici procedendo ad una revisione

del piano regolatore del 1959, secondo proprie scelte discrezionali

di diritto pubblico, non compromesse, se legittimamente esercita

te, dalla esistenza del contratto, ne consegue che rettamente la

corte ha ravvisato nel caso di specie il difetto di giurisdizione del

giudice ordinario in applicazione di un principio costantemente

ribadito dalle sezioni unite, che fa leva, com'è noto in tema di

riparto delle giurisdizioni, sul criterio del petitum sostanziale

(petitum in relazione alla causa petendi). E poiché di fronte

all'esercizio degli accennati poteri pubblicistici, la posizione sog

gettiva della parte privata è degradata ad interesse legittimo,

giustamente i giudici del merito hanno negato la giurisdizione del

giudice ordinario. Rimane tuttavia salva per i ricorrenti nella

ipotesi di accoglimento delle loro istanze nella competente sede

giurisdizionale — come si è accennato — la possibilità di adire il

giudice ordinario ove si verifichi la reviviscenza del loro diritto

soggettivo all'adeguamento della convenzione anche per quanto concerne il rilascio delle concessioni edilizie secondo le previsioni ivi contenute.

Va da sé, infine, che ove al contrario sia riconosciuta dal

giudice amministrativo la legittimità dei provvedimenti impugnati in quella sede, i contraenti privati potranno adire il giudice ordinario, per sottrarsi ad ulteriori adempimenti di obblighi contrattuali e far valere pretese che si ricolleghino al pregresso

adempimento degli obblighi stessi, anche sotto il profilo della

ripetizione d'indebito o dell'arricchimento senza causa (cfr. sez.

un. n. 4833/80, cit.). In conclusione, sottraendosi la sentenza impugnata alle propo

ste censure, corretta la motivazione nei sensi accennati (art. 384

c.p.c.), il ricorso deve essere respinto. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 14 apri le 1984, n. 2411; Pres. Gambogi Est. Parisi, P. M. Fabi (conci,

diff.); Marrone (Avv. Cervati, Flick) c. Consiglio superiore della magistratura ed altri. Cassa Cons. sup. magistratura, sez.

disciplinare, 19 novembre 1982.

Ordinamento giudiziario — Sezione disciplinare del Consiglio su

periore della magistratura — Composizione — Magistrati di

cassazione abilitati e non alle funzioni direttive superiori — Le

gittimità (L. 24 marzo 1958 n. 195, norme sulla costituzione e

sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, art. 1, 23; 1. 22 dicembre 1975 n. 695, riforma della composizio ne e del sistema elettorale del Consiglio superiore della magi

stratura, art. 3; 1. 3 gennaio 1981 n. 1, modificazioni alla 1. 24

marzo 1958 n. 195 e al d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, sulla

costituzione ed il funzionamento del Consiglio superiore della

magistratura, art. 1). Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro ma

gistrati — Contestazione dell'addebito — Necessità di una rigo rosa e circostanziata indicazione — Fattispecie (R.d. leg. 31

maggio 1946 n. 511, guarentigie della magistratura, art. 18).

Non è illegittima la composizione della sezione disciplinare del

Consiglio superiore della magistratura qualora del relativo col

legio facciano parte due consiglieri di cassazione esercenti le

relative funzioni, ancorché entrambi dichiarati idonei all'eserci

zio delle funzioni direttive superiori. (1) L'art. 18 r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511 impone, a salvaguardia

del diritto di difesa dell'incolpato, di sopperire alla incompleta

tipicizzazione normativa delle varie fattispecie che possono dar

luogo ad illecito disciplinare, con una rigorosa e circostanziata

indicazione, nella contestazione dell'addebito, della specifica natura della condotta e del profilo sotto cui la stessa viene

addebitata, in modo che possa essere agevolmente individuato

dall'incolpato il particolare ed esatto aspetto sotto cui la sua

condotta dovrà essere vagliata (nella specie, è stata cassata la

decisione della sezione disciplinare del C.S.M. per la quale l'og

getto della contestazione si fondava su presunti giudizi offensivi

espressi dall'incolpato sull'operato della magistratura, mentre

la dichiarazione di responsabilità disciplinare era fatta derivare

dall'accertata violazione del dovere di fedeltà). (2)

(1, 5) La decisione 19 novembre 1982 della sez. disciplinare del

Consiglio superiore della magistratura, cassata da Cass. 2411/84 è

riportata in Foro it., 1983. Ili, 416, con nota di richiami. In termini v. Cass. 28 ottobre 1983, n. 6377, id., 1983, I, 2681, con

nota di richiami e osservazioni di Pizzorusso, nonché Cass. 9 maggio 1984, n. 2823, inedita.

(2) Nel senso che la natura non tipizzata dell'illecito disciplinare di

cui all'art. 18 r.d. leg. 511/46 esige per contrappeso, per recupero della

esigenza di difesa, che l'adeguatezza della contestazione dell'accusa e la piena corrispondenza fra la detta contestazione e la sentenza siano valutate con estremo rigore, v. Cass. 8 marzo 1977, n. 943, Foro it.,

Rep. 1977, voce Ordinamento giudiziario, n. 113, la quale ha ritenuto che la contestazione dell'accusa non solo è nulla quando vi sia incertezza assoluta sui fatti che ne sono soggetto, ma può apparire inadeguata nel

caso che lasci incertezza perché l'essenza dei fatti non è colta con riferimento alla specifica natura della condotta addebitata come lesiva del prestigio dell'ordine giudiziario ed alla specifica lesione di

questo. Per l'infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 18 r.d.

leg. 511/46, cfr. Corte cost. 8 giugno 1981, n. 100, id., 1981, I, 2360, con nota di Cantisani, commentata da Figi, in Ciust. civ., 1981, I, 2167, e da Grasso, in Giur. costit., 1981, I, 843.

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1207 PARTE PRIMA 1208

II

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 2 apri le 1984, n. 2144; Pres. Gambogi, Est. Quaglionf., P. M. Miccio

(conci, diff.); Pietroni >(Avv. Prosperetti, Giarda) c. Min. gra zia e giustizia (Avv. dello Stato Caramazza) ed altri. Cassa

Cons. sup. magistratura, sez. disciplinare, 10 gennaio 1983.

Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro ma

gistrati — Termine di decadenza — Emissione entro il termine

della sentenza disciplinare — Sufficienza (L. 3 gennaio 1981

n. 1, art. 12). Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro ma

gistrati — Termine di decadenza di due anni riferito alla decisio

ne non irrevocabile di merito — Mancata attribuzione di effica

cia retroattiva — Questione manifestamente infondata di costi

tuzionalità (Cost., art. 3, 24, 102, 104, 107; 1. 3 gennaio 1981

n. 1, art. 12, 13). Ordinamento giudiziario — Sezione disciplinare del Consiglio su

periore della magistratura — Composizione — Magistrati di

cassazione abilitati e non alle funzioni direttive superiori —

Legittimità (L. 24 marzo 1958 n. 195, art. 1, 23; 1. 22 dicem

bre 1975 n. 695, art. 3; 1. 3 gennaio 1981 n. 1, art. 1). Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro ma

gistrati — Irrogazione della sanzione disciplinare — Necessità

di compiuta motivazione in ordine all'adeguatezza della sanzio

ne inflitta — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 360; cod. proc.

pen., art. 475, 524; r.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, art. 18, 19, 35). Ordinamento giudiziario — Consiglio superiore della magistratura

— Sospensione cautelare di magistrato — Provvedimento emesso

successivamente all'emanazione della sentenza della sezione di

sciplinare — Legittimità (R.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, art.

30; d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, disposizioni di attuazione

e di coordinamento della 1. 24 marzo 1958 n. 195 e disposizioni

transitorie, art. 57, 60).

Ad evitare l'estinzione del procedimento disciplinare per il decor

so del termine di decadenza di due anni dalla comunicazione

all'incolpato dell'inizio dell'azione, introdotto dall'art. 12 l. 3

gennaio 1981 n. 1, è necessario e sufficiente che entro tale

termine sia avvenuta la conclusione del giudizio disciplinare avanti l'apposita sezione del C.S.M., essendo indifferenti i tempi di sviluppo dell'ulteriore fase processuale conseguente all'impu

gnazione proposta dall'incolpato o dal pubblico ministero. (3) È manifestamente infondata la questione di legittimità costituziona

le degli art. 12, 4° comma, 13 l. 3 gennaio 1981 n. 1, nelle parti in cui riferiscono il termine di decadenza di due anni, dalla co

municazione all'incolpato dell'inizio della azione disciplinare, alla

decisione non irrevocabile di merito della sezione disciplinare del C.S.M. e non estendono l'efficacia della legge ai proce dimenti disciplinari iniziati prima della sua entrata in vigore, in

riferimento agli art. 3, 24, 102, 2° comma, 104, 1° comma, e 107

Cost. (4)

Non è illegittima la composizione della sezione disciplinare del

Consiglio superiore della magistratura qualora del relativo col

legio facciano parte due consiglieri di cassazione esercenti le

relative funzioni, ancorché entrambi dichiarati idonei all'eserci

zio delle funzioni direttive superiori. (5) L'esercizio del potere disciplinare, spettante all'organo disciplina

re, di infliggere la sanzione ritenuta più corrispondente alla

consistenza, alla natura ed alla gravità delle incolpazioni, non

si sottrae al dovere di una compiuta e razionale motivazione in

ordine all'adeguatezza della sanzione inflitta (nella specie è

stata cassata la decisione della sezione disciplinare del C.S.M.

con cui era stata irrogata la sanzione della rimozione, motivata

con riguardo ai rapporti dell'incolpato con la mafia, mentre

l'attività dello stesso risultava espressa ed esaurita ai margini, ma fuori dagli intrighi di tipo mafioso ed unicamente tesa

all'acquisizione di meschini vantaggi personali). (6)

(3-4) Nello stesso senso si è espresso pure il Cons, superiore della

magistratura, sez. disciplinare, 8 luglio 1983, Foro it., 1983, III, 465, con nota di richiami.

(6) Per la necessità di un'approfondita motivazione per l'irrogazione di sanzioni disciplinari da parte della sez. disciplinare del C.S.M. v., da ultimo, Cass. 20 luglio 1983, n. 4983, Foro it., 1983, I, 3047, con nota di richiami, la quale ha escluso che tale necessità valga per l'adozione della misura cautelare di sospensione di un magistrato dalle funzioni e dallo stipendio.

(7-8) In termini v. Cass. 20 luglio 1983, n. 4998, cit.

(9) Per l'affermazione secondo cui, ai fini del rispetto del diritto di difesa nei procedimenti disciplinari contro magistrati, non è necessario che abbia luogo una formale convocazione dell'incolpato mediante citazione o decreto, ma è sufficiente che egli sia ammesso ad esporre di persona le sue discolpe e non è richiesto l'intervento del p.m.

Il provvedimento di sospensione di un magistrato dalle funzioni e

dallo stipendio, ai sensi dell'art. 30 r.d. leg. 31 maggio 1946 n.

511, è applicabile fino al momento in cui il procedimento

disciplinare non sia terminato con decisione divenuta definitiva a seguito della conferma della sentenza della sezione disciplina re del C.S.M. da parte della Cassazione o per scadenza del

termine per proporre il ricorso. (7)

III

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 21 marzo

1984, n. 1897; Pres. Gambogi, Est. Parisi, P. M. Fabi (conci,

conf.); Pone (Aw. Tamburello) c. Min. grazia e giustizia (Avv. dello Stato Caramazza) ed altri. Conferma Cons. sup.

magistratura, sez. disciplinare, 24 febbraio 1983.

Ordinamento giudiziario — Consiglio superiore della magistra tura — Sospensione cautelare di magistrato — Provvedimento

emesso dopo l'emanazione della sentenza della sezione disci

plinare — Legittimità (R.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, art.

30; d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, art. 57, 60). Ordinamento giudiziario — Consiglio superiore della magistra

tura — Procedimento cautelare disciplinare — Garanzie di di

fesa dell'incolpato — Possibilità concreta di discolparsi e di

essere udito personalmente — Sufficienza — Fattispecie (Cost., art. 24; r.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, art. 30, 34; d.p.r. 16

settembre 1958 n. 916, art. 57). Ordinamento giudiziario — Consiglio superiore della magistra

tura — Provvedimento di sospensione cautelare dalle funzioni

e dallo stipendio — Magistrato già sollevato temporaneamente dalle funzioni per altro titolo — Applicabilità (Cost., art. 107;

r.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, art. 30; d.p.r. 16 settembre 1958

n. 916, art. 57).

La potestà della sezione disciplinare del C.S.M. di sospendere cautelarmente il magistrato sottoposto a procedimento discipli

nare, ai sensi dell'art. 30 r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511,

sussiste per tutta la durata del procedimento, il quale deve

ritenersi pendente sino al momento della sua definitiva conclu

sione, che si verifica solo con il decorso del termine per

proporre ricorso alle sezioni unite della Cassazione o con

l'esaurimento del relativo giudizio. (8)

Il procedimento cautelare disciplinare a carico dei magistrati non

richiede né l'intervento del p.m. nell'adunanza in cui si prov vede né la formale convocazione dell'incolpato, ma esige sol

tanto che quest'ultimo abbia avuto la concreta possibilità di

discolparsi e di esporre le sue ragioni mediante audizione

personale e l'eventuale assistenza tecnica di altro magistrato

(nella specie è stato escluso che le ragioni di salute che

avevano giustificato la concessione di un mese dì congedo

straordinario, e su cui era fondata una successiva domanda di

aspettativa, potessero, in difetto di una specifica istanza di

rinvio, costituire legittimo impedimento all'audizione personale

dell'incolpato). (9) Il fatto che un magistrato sia già temporaneamente sollevato dalle

funzioni per altro titolo (congedo straordinario, aspettativa, ecc.), suscettibile di venir meno anche a seguito di semplice rinuncia dell'interessato, non è impeditivo dell'applicazione del

all'adunanza nella quale si provvede, v. Cass. 20 dicembre 1972, n.

3627, Foro it., 1973, I, 2542, con nota di richiami. Per la nullità del provvedimento di sospensione cautelare emesso

dalla sez. disciplinare senza che sia stato sentito il magistrato incolpa to, v. Cass. 25 gennaio 1977, n. 356, id., 1977, I, 1180, con nota di richiami, commentata da M. Finocchiaro, in Giust. civ., 1977, I, 1002.

In ordine alle modalità di provare il legittimo impedimento del

magistrato incolpato a comparire, cfr. Cass. 15 aprile 1978, n. 1179, Foro it., 1978, I, 822, con nota di richiami, nel senso che non è censurabile in Cassazione, se congruamente motivata, la decisione della sez. discipli nare che respinge l'istanza di rinvio dell'udienza presentata dall'incol

pato (nella specie era stato escluso che l'attualità di un assoluto

impedimento a comparire potesse desumersi dall'avvenuta concessione di congedo straordinario); Cass. 20 giugno 1977, n. 2563, id., Rep. 1977, voce Ordinamento giudiziario, n. 119, secondo cui tale prova può essere legittimamente ravvisata anche in una comunicazione

telegrafica. Più in generale, in ordine alle garanzie di difesa dell'incolpato nel

procedimento disciplinare davanti alla sez. disciplinare del C.S.M., cfr. Cass. 20 aprile 1978, n. 1889, id., 1978, I, 1102, con nota di richiami, per l'applicabilità dell'art. 369 c.p.p. secondo cui prima della richiesta di citazione a giudizio l'imputato deve essere interrogato sul fatto a pena di nullità; Cass. 7 dicembre 1976, n. 4544, id., Rep. 1976, voce cit., n. 89, circa la mancata possibilità dell'incolpato di esercitare qualsiasi forma di difesa nel procedimento disciplinare conseguenziale a con danne penali; Cass. 21 aprile 1975, n. 1516, id., Rep. 1975, voce cit., n. 50.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

provvedimento cautelativo della sospensione dello stesso dalle

funzioni e dallo stipendio <10)

I

Motivi della decisione. — In ordine logico deve precedere l'esame del quarto mezzo con cui si denuncia un vizio avente

carattere preliminare ed assorbente rispetto a tutte le altre censure

che vengono proposte dal ricorrente, consistente nell'asserita nulli

tà del procedimento e della sentenza impugnata per la irregolare

composizione della sezione disciplinare — da cui la stessa senten

za è stata pronunciata — per avere di essa fatto parte due

magistrati, entrambi dichiarati idonei alle funzioni direttive supe

riori, in violazione delle disposizioni legislative vigenti in materia

(art. 4 1. n. 195 del 1958, modificata dalla 1. n. 1198 del 1967, sostituito dall'art. 1 1. 3 gennaio 1981 n. 1) che prevedono invece

due magistrati di cassazione, di cui uno soltanto idoneo all'eser

cizio delle funzioni direttive superiori. Con lo stesso mezzo si deduce, altresì, che la irregolare

composizione della sezione disciplinare deriverebbe, inoltre, nella

specie anche dall'essere stati i membri togati dell'attuale Consiglio

superiore eletti in base a criteri difformi dai principi enunciati

nelle note sentenze della Corte costituzionale.

Il quarto mezzo è privo di consistenza. Al riguardo va in

primo luogo osservato che la doglianza che si rinviene nell'ultima

parte del mezzo, per la sua assoluta indeterminatezza, non

consente di individuare con la certezza richiesta per l'ammissibili

tà della censura, le ragioni che, secondo il ricorrente, potrebbero rendere illegittima — per vizi evidentemente connessi all'elettora

to passivo in relazione alla posizione rivestita da ciascun candida

to nel momento in cui furono indette le elezioni — la avvenuta

elezione dei membri togati che fanno parte dell'attuale Consiglio

superiore della magistratura, da cui sono stati estratti i compo nenti della sezione disciplinare che ha pronunciato la sentenza

impugnata. Il ricorrente si è limitato, infatti, a fare un generico richiamo

alle « note sentenze della Corte costituzionale » (da identificare

presumibilmente con le sent. nn. 86 e 87 del 10 maggio 1982

(Foro it., 1982, I, 1495), senza alcun riferimento né alle norme

dichiarate incostituzionali né ai principi che hanno giustificato la

declaratoria di incostituzionalità delle medesime norme, in guisa da

potere riscontrare se nella specie — a seguito dell'applicazione di

quelle norme o della violazione di quei principi — sono derivate

conseguenze rilevanti sulla regolare costituzione dell'organo, in

relazione ai criteri che sono stati seguiti per la elezione dei

membri togati dell'attuale consiglio e alla posizione concretamente

rivestita da ciascun candidato.

La residua parte del mezzo si limita a riproporre questioni che

sono state recentemente esaminate da queste sezioni unite, senza

addurre peraltro alcun elemento che possa condurre a una

soluzione diversa da quella che è stata già adottata.

Con la sent. n. 6377 del 28 ottobre 1983 (id., 1983, I, 2681) —

sulla falsariga di quanto già affermato nelle sent. n. 6036 del

1981 (id., Rep. 1982, voce Ordinamento giudiziario, n. 48) e n.

1779 del 1978 (id., 1978, I, 821) e in conformità dell'orientamento

che è stato seguito anche successivamente nella sentenza in corso

di pubblicazione concernente il ricorso Pietroni n. 2499/83 (id.,

1984, I, 1207) preso in decisione all'udienza del 3 novembre 1983

è stato infatti ritenuto che sulla validità della composizione del

Consiglio superiore della magistratura e della sua sezione disci

plinare non incide la circostanza che i membri appartenenti alla

categoria dei magistrati di cassazione, tutti o comunque più dei

due previsti dal sistema elettorale, abbiano conseguito la dichia

razione di idoneità alle funzioni direttive superiori, atteso che, nella disciplina fissata dagli art. 1 e 23 1. 24 marzo 1958 n. 195, con le modifiche introdotte dalla 1. 22 dicembre 1975 n. 695 e

dalla 1. 3 gennaio 1981 n. 1, nel testo risultante dopo la sentenza

della Corte costituzionale n. 87 del 10 maggio 1982, la diver

sificazione dei magistrati in categorie spiega rilievo, al fine indica

to, solo con riguardo alla distinzione tra magistrati di merito e

magistrati di legittimità, e non anche nell'ambito dei magistrati di

legittimità, con riferimento alla distinzione tra magistrati idonei o

meno alle funzioni direttive superiori. Pertanto il quarto mezzo deve essere rigettato.

(10) Nel senso che il provvedimento cautelare di sospensione dalla

funzione e dallo stipendio di un magistrato, pur se formalmente

autonomo, rispetto al procedimento penale ed a quello disciplinare, è

tuttavia necessariamente collegato a tali procedimenti ed ha carattere strumentale rispetto ad essi, v. Cass. 11 novembre 1974, n. 3499, Foro

it., Rep. 1974, voce Ordinamento giudiziario, n. 61, la quale ha dichiarato cessata la materia del contendere nel caso di provvedimento di

sospensione di un magistrato poi collocato a riposo per limiti di età.

Deve quindi procedersi all'esame del secondo mezzo, la cui

censura precede in ordine logico e giuridico quella che è stata

proposta con il primo mezzo, riflettente l'omesso esame da parte della sezione disciplinare della condotta dell'incolpato secondo

una visione globale che non tenesse conto soltanto di un singolo remoto episodio, avulso dai numerosi riconoscimenti lusinghieri che in più occasioni e in temi diversi gli erano stati rivolti da

parte dei capi degli uffici nei quali egli aveva operato, nonché di fetto di motivazione su altri elementi che si assumono decisivi

per potere configurare la violazione del dovere di fedeltà, che è stato accertato a carico del ricorrente.

Con il secondo mezzo si denuncia infatti la mancata corrispon denza tra quest'ultimo addebito — per il quale è stata inflitta la sanzione disciplinare e che sarebbe ascrivibile al Marrone quale autore della citata introduzione al manuale di autodifesa legale del militante, considerata nel suo contenuto complessivo e in

collegamento con il testo del manuale — e il capo di incolpazio ne che gli era stato precedentemente contestato, riflettente invece unicamente ed esclusivamente il diverso addebito di aver formu lato mediante la redazione della citata introduzione giudizi offen sivi sull'operato della magistratura; e la conseguente nullità della decisione che è stata adottata per violazione del diritto di

difesa, tenuto conto che la responsabilità disciplinare del Marrone sarebbe stata accertata in base al parametro della violazione del dovere di fedeltà e di lealtà, diverso dall'originaria imputazione concernente la formulazione di giudizi offensivi, e rispetto al

quale al Marrone non sarebbe stata quindi consentita la possibili tà di difendersi, non avendo le successive contestazioni rivoltegli in sede istruttoria o anche dibattimentale modificato la originaria imputazione.

Deduce inoltre la difesa del ricorrente che l'avvenuta contesta zione dell'addebito per il quale il Marrone è stato condannato non potrebbe, d'altra parte, neppure desumersi né dalle dichiara zioni rese dal Marrone circa la mancanza di collegamento tra l'introduzione e il manuale — trattandosi di dichiarazioni sponta nee, non conseguenti a contestazioni, ma rese in modo sintetico e soltanto esplicativo ed accessorio rispetto a una difesa rivolta esclusivamente all'accusa di avere formulato giudizi offensivi

sull'operato della magistratura —; né dalla norma violata (art. 18 r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511) che non contiene alcun accenno al dovere di fedeltà; né dall'ordinanza 21 novembre 1980 di remissione degli atti alla Corte costituzionale, laddove il dovere di fedeltà, e la sua possibile non compatibilità con il diritto di libera manifestazione del pensiero, era stato bensì richiamato, ma

sempre con riferimento ai « giudizi offensivi sull'operato della

magistratura », che sarebbero stati espressi nell'introduzione al manuale.

Il secondo mezzo è fondato. Al riguardo va premesso che come risulta dalla epigrafe della sentenza impugnata il dott. Marrone venne « incolpato di avere mancato ai suoi doveri (art. 18 r.d.

leg. 31 maggio 1946 n. 5111) per avere tenuto una condotta non consona alla qualità di magistrato redigendo l'introduzione al volume

' Manuale di autodifesa legale del militante

' edito nel

1975 dalla casa editrice Savelli in cui formulava giudizi offensivi

sull'operato della magistratura ».

Con ordinanza in data 21 novembre 1980 la sezione disciplina re, ritenuto che l'art. 18 del r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511, nella

parte in cui richiama i doveri del magistrato fa riferimento al dovere di fedeltà al proprio ufficio e rilevato che siffatto dovere, pur trovando fondamento negli art. 54, 2° comma, 98, 1° comma, Cost., poteva essere in obiettivo contrasto con l'eventuale eserci zio del diritto di libera manifestazione del proprio pensiero, a sua volta garantito dall'art. 21 Cost., disponeva la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimità del citato art. 18 r.d. leg. n. 511 del 1946, in relazione agli art. 21, 1°

comma, 54, 2° comma, e 98, 1° comma, Cost., considerata la rilevanza della questione nel giudizio disciplinare iniziato a carico del Marrone laddove la violazione dei doveri del magistrato era stata appunto riferita all'avere egli redatto una introduzione al manuale di autodifesa legale del militante, contenente giudizi offensivi sull'operato della magistratura.

A sua volta la Corte costituzionale, con ordinanza n. 200 del

17 dicembre 1981 (id., Rep. 1982, voce cit., n. 119) dichiarava

infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art.

18, alla stregua di quanto già deciso con sent. n. 100 dell'8

giugno 1981 (id., 1981, I, 2360).

Con tale sentenza, la Corte costituzionale — dopo avere

rilevato la impossibilità di tipicizzare l'illecito disciplinare previ sto dalla citata norma, in relazione ai valori da questa tutelati

(fiducia e considerazione di cui deve godere ciascun magistrato, pre

stigio dell'ordine giudiziario), dovendosi fare riferimento a principi

deontologici che non consentono di essere ricompresi in schemi

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1211 PARTE PRIMA 1212

rigidamente preordinati per sanzionare, con norme di chiusura, tutti i comportamenti capaci di ledere la reputazione del singolo

magistrato o la dignità dell'ordine al quale egli appartiene, posto che un'indicazione tassativa avrebbe potuto rendere legittimi

comportamenti non previsti, ma egualmente lesivi dei valori su

indicati — riteneva che la portata generale della norma su

indicata non poteva considerarsi in contrasto con il principio di

legalità, potendo tale principio essere attuato non soltanto con la

rigorosa e tassativa descrizione della fattispecie, ma anche con

l'uso di espressioni sufficienti per individuare con certezza il

precetto e per giudicare se una determinata condotta l'abbia o

meno violato.

Con la stessa sentenza fu rilevato, altresì, che i magistrati godono degli stessi diritti di libertà garantiti a ogni altro cittadi

no; ma che tuttavia, in relazione alle funzioni esercitate e alla

qualifica rivestita — che per dettato costituzionale (art. 101, 2°

comma, e 104, 1° comma, Cost.) impongono ai magistrati di essere imparziali e indipendenti: valori che vanno tutelati oltre

che con riferimento al concreto esercizio delle funzioni, anche

come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento del magistrato onde evitare che possa fondatamente dubitarsi della sua indipendenza e imparzialità — la libertà di manifesta zione del pensiero del magistrato deve essere opportunamente bilanciata con l'esigenza di tutelare, in funzione dei suddetti

valori di imparzialità e indipendenza, la considerazione di cui il

magistrato deve godere presso la pubblica opinione, per assicura re la dignità e il cosiddetto prestigio dell'intero ordine, che si realizza appunto nella fiducia che i cittadini ripongono nella funzione giudiziaria e nella conseguente credibilità di essa, risul tando quindi vietato soltanto l'esercizio anomalo e cioè l'abuso di

quella libertà che viene a configurarsi allorquando vengono lesi

gli altri valori su indicati.

Al riguardo queste sezioni unite avevano già avuto occasione di sottolineare che la particolare natura dell'illecito disciplinare di cui al citato art. 18 r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511, in considerazione dell'opportunità, ravvisata dall'ordinamento, di ri mettere la configurazione alla sensibilità deontologica dell'ordine

giudiziario in via di normazione spontanea, esige per contrappeso, per recupero dell'esigenza di difesa, che l'adeguatezza della contestazione dell'accusa e la piena corrispondenza fra la detta contestazione e la decisione che viene adottata siano valutate con

particolare rigore, occorrendo che la contestazione, oltre a non

rendere incerta la materialità dei fatti addebitati, consenta anche

di cogliere e di individuare l'essenza dei fatti con riferimento alla

specifica natura della condotta addebitata come lesiva del presti gio dell'ordine giudiziario, in relazione ai valori con detta norma

tutelati (sent. n. 943 del 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 133). In applicazione dei principi da ultimo richiamati, non può

dubitarsi che l'addebito ascritto al Marrone di avere tenuto, in

violazione dei suoi doveri, una condotta non consona alla sua

qualità di magistrato, redigendo la introduzione al volume « Ma

nuale di autodifesa legale del militante » edito nel 1975 dalla casa

Savelli, in cui formulava giudizi offensivi sull'operato della magi stratura, pur consentendo di individuare la materialità dei fatti

addebitati, costituiva tuttavia, in relazione alla specifica contesta

zione rivoltagli di avere egli in tal modo formulato giudizi offensivi sull'operato della magistratura, una contestazione inade

guata o quanto meno non univoca rispetto al diverso e più ampio

profilo della violazione del dovere di fedeltà che, in base agli stessi fatti, è stato successivamente preso in considerazione dalla

sezione disciplinare per qualificare la specifica natura della con

dotta riprovevole che, a conclusione del procedimento, è stata poi in concreto addebitata al Marrone e in rapporto alla quale è

stata accertata la sua responsabilità disciplinare.

La norma sancita riguardo alla responsabilità dei magistrati nel

citato art. 18 del r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511, per l'ampia

portata che ad essa deriva dal rilevato difetto di tipiclzzazione normativa delle molteplici ipotesi in essa alternativamente previ ste — che si riferiscono infatti al « magistrato che manchi ai suoi

doveri o tenga in ufficio o fuori una condotta tale che lo renda

immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve

godere o che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario » —

impone infatti, come si è detto, di sopperire, a salvaguardia del

diritto di difesa dell'incolpato, alla incompleta tipicizzazione nor

mativa delle varie fattispecie che possono dare luogo e in cui

può configurarsi l'illecito disciplinare previsto dalla citata norma, con una rigorosa e circostanziata indicazione, nella contestazione

dell'addebito, della specifica natura della condotta e del profilo sotto cui la stessa viene addebitata in guisa che possa essere

agevolmente individuato dall'incolpato il particolare ed esatto

aspetto sotto cui la sua condotta dovrà essere vagliata in quanto asseritamente lesiva dei valori protetti dalla norma su indicata.

La mancata corrispondenza tra l'oggetto della contestazione —

che ponendo in risalto i giudizi offensivi espressi dal Marrone

sull'operato della magistratura nella citata introduzione da lui

redatta al « Manuale di autodifesa legale del militante » induceva

indubbiamente a circoscrivere l'addebito ascritto al Marrone di

avere tenuto, in violazione dei suoi doveri, una condotta non

consona alla sua qualità di magistrato e a subordinare la fonda

tezza del medesimo addebito all'accertamento del carattere offen

sivo o meno dei giudizi da lui espressi sull'operato della magi stratura — e la decisione che è stata adottata — che ha dichiarato la responsabilità disciplinare del Marrone, facendola

derivare dall'accertata violazione del dovere di fedeltà: violazione indubbiamente più grave che per le evidenti maggiori implicazio ni derivanti a carico dell'incolpato avrebbe sicuramente comporta to più ampi oneri difensivi per le necessità connesse a una più penetrante valutazione della sua attività — è stata del resto avvertita dalla stessa sezione disciplinare allorché la stessa si è

indugiata a dimostrare, prima di esaminare il merito della conte

stazione, che all'inciso finale della incolpazione — facente riferi mento alla formulazione di giudizi offensivi sull'operato della

magistratura — non potesse attribuirsi un'efficacia riduttiva della contestazione in guisa da pervenire a un'amputazione dei conte nuti del predetto art. 18, diversi dal superamento dei limiti entro cui è consentita la critica a provvedimenti giurisdizionali.

11 rilevato vizio della mancata corrispondenza tra l'oggetto della contestazione e la decisione che è stata adottata non può ritenersi superato neppure dal tenore dell'ordinanza con cui la sezione disciplinare ha sollevato la questione di legittimità costi tuzionale del citato art. 18, in relazione al diritto di libera manifestazione del proprio pensiero, garantito dall'art. 21 Cost., trattandosi di questione che sarebbe stata in ogni caso rilevante anche per decidere sull'addebito che era stato originariamente contestato all'incolpato, e che non poteva pertanto valere — per la sua non univocità — a modificare il capo di incolpazione.

Dai precedenti rilievi resta necessariamente travolta anche l'ul tima argomentazione, su cui la sezione disciplinare si è fondata allorché ha desunto l'avvenuta percezione, da parte del Marrone, della contestazione della violazione del dovere di fedeltà, dalle affermazioni da lui fatte per « isolare » l'introduzione dal testo del manuale, trattandosi di argomentazione evidentemente in sufficiente per suffragare la presupposta percezione da parte del Marrone della contestazione dell'addebito per il quale è stata poi accertata e dichiarata la sua responsabilità disciplinare, potendo il rilevato tentativo essere stato fatto dall'incolpato al limitato e diverso fine di dimostrare più agevolmente il carattere non offensivo delle espressioni, che erano state da lui adoperate nella

introduzione, onde consentirne una valutazione autonoma e di

sgiunta dal testo del « Manuale », in base ai parametri che

regolano l'esercizio del diritto di critica e di libera manifestazione del pensiero.

L'accoglimento del secondo mezzo comporta l'assorbimento —

oltre che del primo mezzo, già innanzi richiamato — anche del terzo e del quinto mezzo, con cui si censura la decisione

impugnata per avere la sezione disciplinare ricompreso erronea mente tra gli specifici doveri del magistrato quello della fedeltà e

per non avere, d'altra parte, tenuto conto che il Marrone, nel sottoscrivere l'introduzione, non aveva mai fatto cenno della sua

qualità di magistrato e non aveva pertanto attentato in alcun

modo, con il suo comportamento, ai sopra rilevati valori connessi, anche solo indirettamente, alla tutela della indipendenza, impar zialità e dignità dell'ordine giudiziario (terzo motivo); e per avere, inoltre, inflitto al Marrone la sanzione accessoria del trasferimento di ufficio, senza considerare che tale sanzione —

dovendo essere finalizzata al buon funzionamento dell'ordine

giudiziario — non poteva trovare applicazione con riferimento ad un fatto episodico, che rimontava ad otto anni prima.

Le censure proposte con il primo, il terzo e il quinto mezzo non hanno infatti ragione di essere esaminate, una volta che, in

accoglimento del secondo mezzo, la decisione impugnata viene annullata radicalmente per un vizio di carattere formale — quale è appunto la mancata contestazione dell'addebito — in guisa da escludere la rilevanza di tutti gli altri eventuali asseriti vizi, da cui la stessa decisione potesse essere inficiata.

Pertanto il ricorso deve essere accolto nei limiti precedentemen te indicati. La decisione impugnata va conseguentemente cassata con rinvio della causa alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. {Omissis)

II

Svolgimento del processo. — Nel luglio del 1971 — dopo l'arresto in Roma di certo Natale Rimi imputato di associazione

per delinquere nel processo in corso di istruttoria nella procura

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

della repubblica di Palermo a carico di diversi personaggi mafiosi — si accertò che il Rimi era stato distaccato dal comune di Alcamo alla regione Lazio dietro interessamento svolto, presso l'allora presidente della regione on. Mechelli, da Italo Ialongo, pregiudicato, consulente tributario (sebbene non iscritto in alcun albo professionale) del noto mafioso Frank Coppola, all'epoca abitante in Pomezia. Emerse, in quella circostanza, e ne fu dato

ampio risalto nella stampa nazionale, che il dott. Romolo Pietro

ni, allora sostituto procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma e consulente giuridico della commissione parlamentare antimafia, aveva intrattenuto negli anni precedenti rapporti di

amicizia con lo Ialongo, suo conterraneo, e che il primo — con il

sospetto ruolo di sostegno — aveva accompagnato dall'on. Me

chelli il secondo, il quale avrebbe cercato di giustificarsi per la

situazione determinatasi a seguito dell'arresto del Rimi, da lui raccomandato. Si apprese, inoltre, che il dott. Pietroni nel maggio del 1970 si era recato a Palermo, con l'incarico di seguire l'andamento del processo in corso presso la locale corte d'appello a carico di numerosi esponenti mafiosi, fra cui Frank Coppola, accompagnandosi allo Iaolongo il quale doveva incontrare in

quella città il difensore del Coppola, e che lo stesso magistrato aveva ricevuto, da un funzionario di polizia, sollecitazioni ad influire sullo Ialongo affinché avesse convinto il Coppola a

indirizzare le indagini in corso per la ricerca del noto mafioso latitante Luciano Leggio nonché confidenze dallo Ialongo circa

analoghe dirette solleoitazioni fattegli da quel funzionario.

Nel marzo del 1972 il procuratore generale presso la Corte di cassazione promosse l'azione disciplinare nei confronti del dott. Pietroni ed il relativo procedimento (iscritto al n. 271) dette

luogo alle prime otto imputazioni articolate sotto le lettere da a) a h).

Venne anche iniziato un processo penale avanti al Tribunale di

Spoleto a carico del dott. Pietroni, dello Ialongo, del Coppola e di altri per i reati di corruzione, di rivelazione di segreti di ufficio e di interesse privato in atti di ufficio in ordine a fatti

diversi da quelli su cennati ma riguardanti pur sempre i rapporti fra il Pietroni e lo Ialongo. All'esito dell'istruttoria, il giudice istruttore del Tribunale di Spoleto, con sent. 20 giugno 1977,

prosciolse il dott. Pietroni dalla imputazione di concorso in

corruzione attiva per non aver commesso il fatto e, con successi

va sentenza del 24 aprile 1978, dichiarò non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine al reato di rivelazione di

segreti di ufficio perché il fatto non sussiste mentre lo rinviò a

giudizio per rispondere, unitamente allo Ialongo e al Coppola, del

reato di corruzione passiva continuata. Con sentenza 19 ottobre

1978 del Tribunale di Spoleto, confermata dalla sentenza 4 aprile 1979 della Corte d'appello di Perugia, gli imputati furono poi assolti perché il fatto non sussiste.

Frattanto, nel settembre del 1976, il procuratore generale

presso la Corte di cassazione aveva iniziato altro procedimento

disciplinare (iscritto al n. 420) a carico del dott. Pietroni per fatti

emersi nell'ambito dell'istruttoria penale svolta presso il Tribunale

di Spoleto, procedimento che — sospeso sino alla definizione del

processo penale — prosegui' dando luogo ad altri undici addebiti

specificati con la loro numerazione progressiva. Riuniti i due procedimenti, la sezione disciplinare del C.S.M.,

dopo aver individuato le imputazioni rispetto alle quali faceva

stato l'accertamento dei fatti compiuto nel giudizio penale, ai sensi dell'art. 29 r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511, e dopo aver valutato le risultanze istruttorie in ordine agli altri addebiti,

prosciolse, con sentenza 22 giugno 1981, il dott. Pietroni da tutte

le imputazioni « perché il fatto non sussiste » ovvero « perché il

fatto non costituisce illecito disciplinare » e, per due di esse, con

formula dubitativa.

Il procuratore generale presso la Corte di cassazione propose ricorso alla sezioni unite della corte, investendo specificamente, con i motivi, la pronuncia relativa a sei capi di accusa e il dott.

Pietroni propose ricorse incidentale, dolendosi dell'assoluzione per insufficienza di prove da due addebiti.

La -Corte di cassazione, a sezioni unite, con sent. 15 luglio 1982- 15 novembre 1982, n. 6085 (Foro it., 1983, I, 680) —

rilevata la nullità insanabile della sentenza impugnata per l'irrego lare composizione del collegio giudicante a seguito della decisione

10 maggio 1982, n. 87 (id., 1982, I, 1495) della Corte costituzio

nale — cassò detta sentenza in ordine ai capi che avevano

formato oggetto di ricorso e rinviò il procedimento, per un nuovo

esame, alla sezione disciplinare del C.S.M. in diversa composizio ne.

Con nuovo decreto di citazione in data 11 dicembre 1982, contenente l'indicazione di tutti gli originari capi di accusa, il

dott. Pietroni venne convocato avanti alla sezione disciplinare per 11 giorno 10 gennaio 1983. Con sentenza resa in questa stessa

data il collegio giudicante, provvedendo sulle eccezioni prelimina ri della difesa, dichiarò non doversi procedere in ordine ai dodici

capi di imputazione per i quali il procuratore generale non aveva

proposto ricorso, perché l'azione disciplinare non poteva essere eser

citata per precedente giudicato. Quindi, ordinò di procedersi oltre

nel dibattimento, rigettando l'eccezione dell'incolpato di violazio ne dei diritti di difesa per l'avvenuta contestazione di tutti gli

originari capi di accusa, che avrebbe, a suo avviso, determinato

incertezza sulle uniche incolpazioni di cui egli era chiamato a

rispondere.

Infine, con sentenza pronunciata il 10 gennaio 1983, la sezione

disciplinare del C.S.M. dichiarò il dott. Pietroni responsabile di sei incolpazioni e gli inflisse la sanzione disciplinare della rimo

zione mentre lo assolse del settimo capo di accusa essendo

risultati esclusi i relativi addebiti. Succesivamente, con ordinanza

emessa il 21 gennaio 1983 la stessa sezione disciplinare, ritenuta

sussistente l'esigenza cautelare in relazione alla gravità e natura

dei fatti per cui era stata irrogata la sanzione della rimozione,

dispose la sospensione provvisoria dalle funzioni e dallo stipendio del dott. Pietroni, attribuendogli un assegno alimentare.

Con atto 25-26 maggio 1983 di dott. Pietroni ha proposto ricorso alle sezioni unite della Córte di cassazione, sulla base di

cinque motivi, chiedendo l'annullamento della sent. 10 gennaio 1983, della sent. 15 luglio 1982, del decreto di citazione a

giudizio 11 dicembre 1982 e dell'ordinanza dibattimentale 10

gennaio 1983. Con atto 17 marzo 1983 il dott. Pietroni ha anche

proposto ricorso alle sezioni unite, sulla base di quattro mezzi, avverso l'ordinanza 21 gennaio 1983 con la quale è stata disposta la sospensione del ricorrente dalle funzioni e dallo stipendio. Il ministero di grazia e giustizia ha resistito a quest'ultima impugna tiva con controricorso e memoria. Il Pietroni ha presentato una memoria a sostegno del primo ricorso.

Motivi della decisione. — Nella decisione in data 10 gennaio 1983, impugnata dal Pietroni, la sezione disciplinare ha premesso alcune considerazioni di carattere generale in ordine ai limiti dell'efficacia vincolante che, nel procedimento disciplinare, deve

attribuirsi, ai sensi dell'art. 29 r. d. leg. 31 maggio 1946 n. 511, all'accertamento dei fatti risultanti da sentenze penali passate in

giudicato, nel senso che l'autorità del giudicato vale solo per i fatti materiali accertati nella loro realtà oggettiva e in funzione della pronuncia emessa, non anche per altri fatti non esaminati e

per il materiale probatorio non sottoposto a valutazione critica. La sezione disciplinare ha, quindi, osservato: che le sentenze

penali avevano concentrato l'indagine sulla esistenza di uno degli elementi costitutivi del delitto di corruzione, cioè sull'esistenza di uno specifico dovere di ufficio del dott. Pietroni, alla cui viola zione potesse essere collegato il fatto contestato e che tale

indagine avevano risolto in senso negativo; che, quanto all'episo dio della partecipazione del Pietroni, quale rappresentante del p.m., all'udienza del 21 dicembre 1970, nella discussione, avanti alla Corte d'appello di Roma, del procedimento di prevenzione a carico di Frank Coppola, il Tribunale di Spoleto e la corte di

Perugia ne avevano escluso la rilevanza penale solo per il difetto di prova circa il patto di corruzione; che neppure poteva considerarsi coperto dal giudicato un semplice apprezzamento, oltre tutto incidentale e generico, di inattendibilità delle annota zioni contenuto nelle agende dello Ialongo, ma solo l'accertamen to dell'insussistenza di rapporti diretti fra il dott. Pietroni e Frank Coppola.

Passando, poi, -all'esame dei capi di incolpazione rimasti a carico del Pietroni dopo la prima sentenza di questa corte, la sezione disciplinare ha, innanzitutto, affrontato i problemi con nessi con l'addebito di cui al capo a), quello cioè di avere il Pietroni mancato ai doveri del suo ufficio e tenuto un comporta mento tale da compromettere il prestigio dell'ordine giudiziario per avere, malgrado fosse investito dall'incarico di consulente

giuridico della commissione antimafia, intrattenuto relazioni ami chevoli con Italo Ialongo anche dopo essere venuto a conoscenza dei rapporti, quanto meno di quelli professionali, esistenti da

lungo tempo fra lo Ialongo medesimo ed il noto mafioso Frank

Coppola, sospettato dalla polizia di conoscere il nascondiglio del latitante Leggio.

Ha ritenuto, al riguardo, la sezione disciplinare che fosse rimasta provata l'esistenza di frequenti rapporti e di una totale

familiarità fra l'incolpato e lo Ialongo, ritrovatisi nel 1951, risultando ciò confermato anche attraverso intercettazioni telefoni

che eseguite sull'apparecchio dello Ialongo nel quadro delle

indagini connesse all'irreperibilità di Luciano Leggio; e, quanto alla personalità dello Ialongo, ha considerato che i provvedi menti del Tribunale e della Corte d'appello di Roma — sebbene

avessero ritenuto non raggiunta la prova della sua appartenenza alla mafia, negando, quindi l'applicabilità di una misura di

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1215 PARTE PRIMA 1216

prevenzione — avevano messo in rilievo gli stretti legami, non solo professionali, dello Ialongo con il Coppola ed il Rimi, nonché la personalità equivoca e di dubbia moralità dello Ialongo sul quale permanevano sospetti di appartenenza ad associazione mafiosa. Ciò premesso, e dopo avere riferito della intensa perico losità della persona di Frank Coppola, cui nell'aprile del 1970 il Tribunale di Roma aveva applicato la misura della sorveglianza speciale della p.s. per la durata di tre anni, la sezione disciplinare ha ritenuto assolutamente non credibile che proprio il dott.

Pietroni, in stretti rapporti di familiarità con lo Ialongo, ignorasse essere costui il consulente fiscale del Coppola e forse il suo uomo di fiducia; e, infatti, il Pietroni aveva finito con l'ammettere, almeno in parte, la circostanza sebbene avesse collocato la conoscenza di tale rapporto in epoca posteriore al viaggio di Palermo fatto da lui insieme allo Ialongo, in ciò sostenuto dall'alloro procuratore generale della corte di Roma dott. Spa gnuolo, cui tuttavia la sezione disciplinare giudica di non poter dare credito, sia perché costantemente in polemica con la com missione parlamentare antimafia, sia per il rapporto fiduciario che lo legava all'incolpato, sia per le vicende che lo coinvolsero nell'affare Sindona e che determinarono la sua rimozione. Ritenu

to, quindi, che il Pietroni, in queste circostanze, aveva continuato a mantenere relazioni amichevoli con lo Ialongo anche dopo avere appreso delle iniziative del questore Mangano presso questo ultimo, la sezione disciplinare ha concluso che ciò comportava una grave violazione dei doveri del proprio ufficio e la com

promissione del prestigio dell'ordine giudiziario resa ancor più rilevante dall'incarico che il magistrato rivestiva, in quanto tale, di consulente della commissione antimafia.

Con il capo b) dell'incolpazione, si è addebitato al Pietroni di

avere mancato ai doveri del suo ufficio e tenuto un comporta mento tale da compromettere il prestigio dell'ordine giudiziario

per essersi, nel maggio del 1970, recato a Palermo, incaricato

dalla commissione antimafia di assumere, fra l'altro, notizie sullo stato di un grave procedimento penale per traffico di stupefacenti a carico di Frank Coppola e di altri numerosi coimputati, accom

pagnandosi nel viaggio allo Ialongo, il quale a Palermo s'incontrò con l'avv. Cottone, legale del Coppola.

Ha osservato, in proposito, il giudice disciplinare che appariva, a dir poco, del tutto imprudente, per il Pietroni, consulente della commissione antimafia, compiere il viaggio a Palermo e alloggiare nello stesso albergo con il consulente fiscale del Coppola proprio nell'imminenza della discussione in appello del processo penale che riguardava quest'ultimo, giacché era rimasto accertato che

all'epoca il dott. Pietroni conosceva certamente almeno i rappor ti professionali intercorrenti fra lo Ialongo ed il Coppola.

L'incolpazione di cui al capo c) riguarda l'infrazione dei doveri dell'ufficio e la tenuta di un comportamento tale da compromette re il prestigio dell'ordine giudiziario per avere il Pietroni omesso di informare tempestivamente la commissione antimafia delle

pressioni che erano state dal questore Mangano esercitate, prima (dicembre 1969-gennaio 1970), direttamente sullo Ialongo — il

quale gliene parlò — e poi tentato, sempre nei confronti dello

stesso Ialongo, per il tramite del generale di p.s. De Gaetano

(marzo 1971) e, da ultimo, per il tramite di esso Pietroni

(maggio-giugno 1971) al fine di indurlo a collaborare con la

polizia nella ricerca del Leggio.

Ha ritenuto, sul punto, la sezione disciplinare che la possibilità,

profilatasi, di contribuire al rintraccio e alla cattura del Leggio avrebbe dovuto indurre il Pietroni a mettere la commissione antimafia al corrente di tale possibilità e della imbarazzante situazione nella quale egli si era venuto a trovare per le iniziative del questore Mangano.

Per completare la rassegna dei capi di incolpazione relativi al

procedimento disciplinare n. 271, va ora preso in esame l'addebi

to di cui alla lett. e), dal quale il Pietroni era stato prosciolto per insufficienza di prove con la sentenza 22 giugno 1981 della

sezione disciplinare, impugnata sul punto dal solo Pietroni e non

anche dal procuratore generale. Quel capo di incolpazione ri

guardava la mancanza del Pietroni ai doveri del suo ufficio e la

tenuta di un comportamento tale da compromettere il prestigio dell'ordine giudiziario per avere egli, il 15 luglio 1971, quando,

per sua stessa dichiarazione, nutriva ormai sospetti sull'intensità e sulla qualità dei rapporti esistenti fra il Coppola e lo Ialongo, accompagnato negli uffici della regione Lazio quest'ultimo, il

quale si recava dall'ex presidente Girolamo Mechelli per espri

mergli il suo rammarico per il recentissimo arresto di Natale

Rimi, di cui egli stesso aveva caldeggiato il distacco alla regione suddetta.

Ebbene la sezione disciplinare, con un più severo giudizio

espresso sull'episodio, ha ritenuto il Pietroni responsabile anche di tale addebito, osservando che dalla prima deposizione resa dal

dott. Vitellaro, capo di gabinetto dell'ori. Mechelli, e dalla testi

monianza di quest'ultimo, resa a breve distanza dai fatti, era

emerso che scopo precipuo dell'incontro, avvenuto il 15 luglio 1971 nell'ufficio del presidente della regione Lazio, fu quello, dichiarato dallo Ialongo al Vitellaro, di scusarsi con l'on. Mechel

li per le difficoltà procurategli con il distacco, da lui caldeggiato, di Natale Rimi alla regione; e, malgrado ciò, il Pietroni non

aveva esitato ad accompagnarlo quasi col ruolo di sostegno morale per lo Ialongo.

Le incolpazioni del procedimento disciplinare n. 420 rimaste a

carico del dott. Pietroni dopo la prima fase processuale, conclusa

si con la precedente sentenza di queste sezioni unite, erano tre, ma solo su due di esse la sezione disciplinare ha espresso un

giudizio di colpevolezza, e precisamente sugli addebiti di avere, nella sua qualità di sostituto procuratore generale presso la Corte

d'appello di Roma e di consulente giuridico della commissione

antimafia, violato i propri doveri di magistrato e per avere tenuto

un comportamento tale da compromettere il prestigio dell'ordine

giudiziario ai sensi dell'art. 18 r. d. leg. 31 maggio 1946 n. 511, 1)

perché ometteva di produrre formale dichiarazione di astensione

in relazione all'incarico di rappresentare il p.m. all'udienza del 21

dicembre 1970 dinanzi alla Corte d'appello di Roma, ove doveva essere discusso il ricorso proposto da Francesco Paolo Coppola contro il decreto del Tribunale di Roma che gli aveva applicato una misura di prevenzione, malgrado sussistessero gravi ragioni di

convenienza costituite dal fatto di avere compilato una memoria

difensiva in favore del Coppola in primo grado ed i motivi di

appello dello stesso contro il provvedimento del tribunale non

ché dai rapporti di amicizia intercorrenti con Italo Ialongo, consulente del Coppola, e del suo incarico di consulente giuridico della commissione antimafia (capo n. 3 della rubrica); 2) perché riceveva da Italo Ialongo le seguenti somme di denaro: il 25

giugno 1970, lire 1.000.000 in contanti ed un frigorifero del valore di lire 69.000; il 26 giugno 1970, 1.000 dollari statunitensi; il 12 ottobre 1970, una lavatrice del valore di lire 69.000; il 6

novembre 1970, 100 sterline inglesi; il 24 dicembre 1970, lire

500.000; il 14 luglio 1971, 1.000 dollari statunitensi (capo n. 8 della rubrica).

Sulla prima incolpazione — senza tenere conto delle circostan ze relative alla redazione della memoria difensiva e dei motivi

d'appello, essendo stato il Pietroni già prosciolto dai relativi addebiti — la sezione disciplinare ha considerato che l'intensità dei rapporti Ialongo - Coppola era venuta a conoscenza del dott. Pietroni in tutta la sua evidenza e negli aspetti più preoccupanti quando il primo riferì al magistrato suo amico delle iniziative prese nei suoi confronti dal questore Mangano, ciò che avvenne diversi mesi prima dell'udienza 21 dicembre 1970, per cui — anche a causa della profondità dei rapporti esistenti fra il Pietroni e lo Ialongo — nessuna giustificazione (neppure quella, tardiva e indimostrata, del conferimento dell'incarico all'ultimo momento da parte dall'avvocato generale dott. Savietti che avreb be conosciuto i suoi rapporti di amicizia con do Ialongo) poteva diminuire la scorrettezza insita nel fatto di non essersi astenuto dall'intervenire come p.m. in quel procedimento.

Sulla seconda incolpazione, la sezione disciplinare, premesso che nessuna pronuncia in sede penale era stata emessa sui fatti materiali in discussione, ha proceduto ad una meticolosa ricostru zione dei versamenti in denaro effettuati dallo Ialongo in favore del Pietroni sulla base di documenti sequestrati nell'abitazione e nello studio del primo, in particolare sulla base delle matrici

degli assegni in cui si potevano individuare riferimenti all'incol

pato, confrontando tali operazioni con la consistenza ed i movi menti di danaro rilevati nei tre conti correnti bancari intestati al

Pietroni; ha anche valutato le motivazioni addotte da quest'ulti mo in ordine a ciascun versamento eseguito in suo favore (per cambio di valuta che lo Ialongo poteva effettuare a migliori condizioni, per anticipazioni nell'acquisto di elettrodomestici che

il predetto poteva ottenere a prezzi più vantaggiosi) ed il

tentativo compiuto dall'incolpato per giustificare, attraverso la

testimonianza, risultata falsa, del cognato dott. Fernando Camma

rota, i versamenti di somme nei propri conti correnti che appari vano di dubbia provenienza. Ha, quindi, conclusivamente ritenuto la sezione disciplinare che il dott. Pietroni avesse accettato, senza restituire nulla, sia in contanti, sia in beni mobili, sia in valuta

straniera, cifre singolarmente e complessivamente rilevanti e che, a prescindere dalle motivazioni per le quali lo Ialongo era stato cosi prodigo nei confronti del Pietroni, ciò non poteva non determinare una condizione di soggezione e di riconoscenza del

magistrato, consulente della commissione antimafia, nei confronti dello Ialongo, uomo di fiducia del noto mafioso Frank Coppola con la conseguente grave mancanza ad un dovere deontologico e la compromissione del prestigio dell'ordine giudiziario.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Non mette conto di riferire circa la terza incolpazione del

procedimento disciplinare n. 420 (quella corrispondente al capo 10 della rubrica) perché dalla stessa il dott. Pietroni è stato

prosciolto e non se ne discute più in questa sede.

Premessa, in tal modo, l'esposizione degli addebiti disciplinari per i quali si è proceduto a carico del dott. Pietroni e delle

motivazioni essenziali su cui la sezione disciplinare ha fondato il

proprio giudizio, debbono ora, innanzitutto, essere riuniti i due

ricorsi che investono, rispettivamente, la sentenza 10 gennaio 1983, con la quale è stata inflitta al Pietroni la sanzione della

rimozione, ed il provvedimento 21 gennaio 1983 con cui è stata

disposta la sua sospensione provvisoria dalle funzioni e dallo

stipendio. I due ricorsi, infatti, sono fra loro evidentemente

connessi e prospettano anche alcune questioni identiche.

Col primo motivo di entrambi i ricorsi si sostiene che il

procedimento disciplinare sarebbe estinto ai sensi dell'art. 12, 4°

comma, e dell'art. 13 1. 3 gennaio 1981 n. 1 in relazione all'art.

152 c.p.p. giacché, in forza delle predette norme, per i fatti per i

quali sia in corso il procedimento disciplinare alla data di

entrata in vigore della 1. n. 1/81, v'è l'obbligo della pronuncia della « sentenza » entro due anni da quella data. e, perciò, entro

11 20 gennaio 1983, in mancanza di che il procedimento deve

essere dichiarato estinto. Sostiene il ricorrente che per la sentenza

cui la legge si riferisce, senza altra qualificazione, debba necessa

riamente intendersi la sentenza definitiva o irrevocabile, perché:

a) il legislatore adotta quella locuzione ogni qualvolta voglia riferirsi agli effetti della sentenza irrevocabile; b) il procedimento deve ritenersi ancora in corso sino alla sua conclusione definiti

va; c) il termine di due anni previsto fra il decreto di citazione e

la pronuncia della sola prima sentenza sarebbe ingiustificatamente

troppo ampio per la celebrazione del solo dibattimento avanti

alla sezione disciplinare del C.S.M.; d) dall'iter parlamentare delle

norme considerate si desume che l'intento del legislatore era

quello di impedire la durata indefinita dei procedimenti discipli

nari, ciò che tuttavia si verificherebbe egualmente se si desse a

quelle norme l'interpretazione che comporta il loro riferimento

alle sentenze non definitive emesse dalla sezione disciplinare. La tesi sostenuta dal ricorrente è infondata.

Il 9° comma dell'art. 59 d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, come modificato dall'art. 12 1. 3 gennaio 1981 n. 1, stabilisce che

entro due anni dalla comunicazione del decreto che fissa la

udienza di discussione del procedimento disciplinare deve essere

pronunciata la sentenza e che l'inosservanza del detto termine ne

comporta l'estinzione. La corte — conformandosi alle molteplici

argomentazioni addotte dal procuratoe generale — ritiene che il

provvedimento denominato « sentenza », senza altra specificazione, sia la sentenza non irrevocabile di merito e che, pertanto, ad

evitare l'estinzione del procedimento, sia necessaria e sufficiente

la conclusione del giudizio disciplinare avanti all'apposita sezione

del Consiglio superiore della magistratura, essendo indifferenti i

tempi di sviluppo dell'ulteriore fase processuale conseguente al

l'impugnazione proposta dall'incolpato ovvero dal p.m.

Anzitutto, allorché il legislatore ha inteso collegare l'attribuzio

ne di un potere o la produzione di certi effetti giuridici alla

pronuncia di una sentenza irrevocabile, lo ha espressamente

previsto (es. negli art. 669 e 272 c.p.p.). Inoltre, sotto il profilo della collocazione sistematica della norma, l'art. 12 1. 3 gennaio 1981 n. 1 si è limitato ad inserire la disposizione controversa ed altri cinque comma nell'art. 59 d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, dal cui contesto non si può, dunque, prescindere; e poiché l'art. 59 ha per oggetto l'esercizio dell'azione disciplinare da parte del

procuratore generale presso la Corte di cassazione e la fase del

giudizio avanti alla sezione disciplinare, il termine « sentenza »

adottato dalla norma non può che riferirsi alla decisione da

emanarsi dalla detta sezione. La fase successiva, meramente

eventuale, del procedimento avanti alle sezioni unite della Cassa

zione rimane disciplinata dall'art. 60 d.p.r. 16 settembre 1958 n.

916 nella sua originaria formulazione per cui è ragionevole dedurne che, ove il legislatore avesse voluto collegare la sanzione

dell'estinzione del procedimento alla pronuncia definitiva, avrebbe

dovuto introdurre un'adeguata modifica anche all'art. 60.

La norma, cosi interpretata, è anche conforme alla finalità,

perseguita dal legislatore, di imporre lo svolgimento delle indagini necessarie nell'immediatezza dei fatti addebitati all'inquisito e la

più sollecita pronuncia della decisione di merito da parte dell'au

torevole organo di autogoverno della magistratura. D'altro canto, deve realisticamente considerarsi che il legislatore non può non

avere valutato l'assoluta insufficienza del periodo di due anni dal

decreto di fissazione della discussione orale per lo svolgimento di

una serie di attività, quali la celebrazione della fase dibattimenta

le avanti alla sezione disciplinare, la stesura della relativa senten

za, la sua comunicazione all'incolpato, la proposizione del grava

li. Foro Italiano — 1984 — Parte I- 79.

me e lo svolgimento del giudizio di cassazione, con l'ineluttabile

conseguenza che, nell'ipotesi di ricorso del magistrato ovvero del

procuratore generale avverso la decisione della sezione disciplina re, il procedimento si sarebbe sicuramente estinto.

Le su estese argomentazioni inducono a ritenere che il prov vedimento denominato semplicemente « sentenza » nella norma in discorso non possa essere altro che la sentenza emessa dalla

sezione disciplinare, a meno di non voler pervenire alla conclu

sione assurda di escludere, in ogni caso, la possibilità di accerta

mento della responsabilità disciplinare dei magistrati, il che rende inutile ogni confronto con le fasi e le vicende dell'/ter parla mentare seguito dalle norme in questione.

È del pari manifesta l'infondatezza della questione di legittimi tà costituzionale degli art. 12, 4° comma, e 13 1. 3 gennaio 1981 n. 1, per il significato loro attribuito da questa corte, sotto il

profilo della disparità di trattamento fra i magistrati e gli altri

dipendenti dello Stato (art. 3 Cost.), della maggiore diffi coltà che il decorso del tempo può -arrecare all'esercizio della difesa (art. 24 Cost.), della mancata indipendenza del giudice sottoposto a procedimento disciplinare per l'indefinita pendenza di questo (art. 102, 2° comma, e art. 104, 1° comma, Cost.) nonché dell'illimitato protrarsi della sospensione dal servizio (art. 107 Cost.)

A parte il rilievo, di ben diverso segno, che non potrebbe considerarsi conforme ai principi della Costituzione una lettura della norma conducente fatalmente all'esclusione della possibilità di accertamento della responsabilità dei magistrati, si osserva, anzitutto, che i principi cui si ispira la sentenza della Corte costituzionale 22 giugno 1976, n. 145 {id., 1976, I, 1773) sono determinanti per ritenere infondata la questione proposta. Invero,

dopo un articolato riferimento alla vigente legislazione in tema di

responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti e degli esercen ti le libere professioni, rispetto ai quali talora è accolto il

principio dell'imprescrittibilità dell'azione disciplinare e, tal'altra, sono stabiliti termini diversi di prescrizione e dopo avere rilevato come solo per i procedimenti disciplinari riguardanti alcune

categorie di pubblici dipendenti e di professionisti siano prefissati termini per il loro inizio, il loro svolgimento e la loro definizione, la Corte costituzionale ha ritenuto che la discrezionalità legislati va in tema di responsabilità disciplinare si estenda legittimamente in un ambito larghissimo, trattandosi di operare una valutazione

comparativa fra due contrapposti interessi quali la tutela del

prestigio della funzione esercitata e l'adeguata difesa dei diritti dei singoli, per cui la difformità di disciplina si giustifica in

ragione della preminenza attribuita, in seno a ciascuna categoria, all'una o all'altra delle esigenze da soddisfare.

Per quanto riguarda, in particolare, i magistrati dell'ordine

giudiziario, la Corte costituzionale ha osservato che il legislatore ha ritenuto prevalente l'interesse di tutela del prestigio della

funzione che trova sicuro riconoscimento nella Costituzione (con la conseguente insussistenza della contrarietà della norma all'art. 3 Cost.) tanto più in quanto le infrazioni disciplinari dei

magistrati formano oggetto di un giudizio che offre la più ampia

garanzia di esercizio dei diritti di difesa sia per le modalità del

suo svolgimento, sia per la composizione della sezione disciplina re, donde l'infondatezza della questione di legittimità proposta con riferimento all'art. 24 Cost. La Corte costituzionale ha anche

ritenuto che non possa dirsi lesa l'indipendenza del magistrato e turbata la necessaria sua serenità per essere egli esposto, senza limiti di tempo, all'azione disciplinare, cosi come — è lecito

aggiungere in base ad analoghi criteri di valutazione — non può ritenersi compromessa l'indipendenza del giudice per il protrarsi della sospensione del servizio: la questione proposta è, dunque, manifestamente infondata anche con riguardo agli art. 102, 104 e

107 Cost.

Né è a dire che possa sostenersi l'illegittimità costituzionale

della normativa di cui alla 1. 3 gennaio 1981 n. 1 per la diversità

di trattamento riservata ai magistrati già sottoposti a procedimen to disciplinare alla data di entrata in vigore della legge rispetto a

quelli che vengono inquisiti in epoca successiva sotto il duplice

profilo dedotto dal ricorrente: a) che per i primi il biennio entro

cui la sezione disciplinare deve pronunciare la decisione decorre

dalla data di entrata in vigore della legge cioè dal 20 gennaio 1981, anziché dalla comunicazione del decreto che fissa la discus

sione orale; b) che solo i procedimenti disciplinari iniziati dopo

quella data si estinguono se entro un anno dal loro inizio non sia

stato comunicato il decreto che fissa la discussione orale (art. 12, 4° comma), sicché i procedimenti in corso al 20 gennaio 1981

potrebbero avere una durata estremamente più lunga, com'è

avvenuto nel caso del dott. Pietroni. In realtà, se ben si riguarda, la questione sollevata sotto entrambi i profili non prospetta tanto

l'illegittimità costituzionale della normativa per la disparità di

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1219 PARTE PRIMA 1220

trattamento fatta dalla nuova legge a situazioni identiche, ma

piuttosto per la diversa disciplina cui sono risultati ovviamente

soggetti i procedimenti disciplinari, a seconda che siano iniziati

prima o dopo l'entrata in vigore della 1. 3 gennaio 1981 n. 1, il

che è quanto dire che la censura concerne, in sostanza, la

mancata attribuzione di efficacia retroattiva alla nuova legge, la

quale ha introdotto termini sollecitatori per alcune fasi dei

procedimenti disciplinari a carico dei magistrati. Senonché in

questa, più vera, prospettiva il legislatore ha operato nell'ambito

dei propri poteri istituzionali, tenendo conto dell'impossibilità di

incidere sulle fasi procedurali già esaurite e ripristinando, ove

possibile, la sostanziale parità di trattamento delle diverse situa

zioni, rispetto alla nuova normativa, con opportune norme transi

torie onde non si profila, nella materia, alcuna questione di

sospetta illegittimità costituzionale.

Col secondo mezzo del ricorso, proposto avverso la sentenza 10

gennaio 1983 della sezione disciplinare, il ricorrente denuncia la

nullità assoluta ed insanabile della sentenza impugnata, oltre che

di tutti gli atti compiuti dal giudice disciplinare per l'illegittima sua costituzione, a norma degli art. 1 1. 3 gennaio 1981 n. 1 e 104, 4° comma, Cost, in relazione agli art. 185, n. 1, e 524, n. 3, c.p.p. e

360, n. 1, c.p.c. Sostiene il ricorrente che, a sensi dell'art. 1 1. 3

gennaio 1981 n. 1 — sostitutivo del testo modificato dall'art. 4 1.

24 marzo 1958 n. 195 — debbono fare parte della sezione

disciplinare del C.S.M., fra gli altri, « due magistrati di Corte di

cassazione, di cui uno dichiarato idoneo alle funzioni direttive

superiori », ond'è che l'altro magistrato di cassazione non deve

avere conseguito tale qualifica.

La censura è infondata per le ragioni già ampiamente svolte da

queste sezioni unite nella sentenza 28 ottobre 1983, n. 6377 (id., 1983, I, 2681).

Secondo l'organizzazione e la disciplina del Consiglio superiore della magistratura risultanti dalla 1. 24 marzo 1958 n. 195, fanno

parte del consiglio stesso, quali componenti elettivi, oltre ai

magistrati di cassazione, i magistrati di appello e quelli di

tribunale, realizzandosi in tal modo il principio della rappresen tabilità degli appartenenti alle varie categorie (art. 104, 4° com

ma, Cost.) nell'organo di autogoverno della magistratura. In successione di tempo, prima la 1. 25 luglio 1966 n. 570 e poi la 1. 20 dicembre 1973 n. 831 introdussero di sistema di progressione dei magistrati in carriera a ruoli aperti, consentendo, rispettiva mente, le nomine a magistrato di appello e a magistrato di cassazione — con l'immediata attribuzione dei relativi benefici economici — indipendentemente dalla disponibilità dei posti cor

rispondenti a quelle funzioni; oiò determinò l'anomalia dell'ele zione al Consiglio superiore della magistratura, in rappresentanza della categoria dei magistrati di cassazione, di magistrati che avevano conseguito la relativa nomina senza essere investiti dalle

funzioni corrispondenti.

In riferimento a tale situazione, la Corte costituzionale con

sent. 10 maggio 1982, n. 67, cit., ha, fra l'altro, dichiarato

illegittimo, per contrasto con gli art. 96 e 107 Cost., l'art. 7 1. 20

dicembre 1973 n. 831 nella parte in cui prevede che la valutazio

ne favorevole comporti la nomina a magistrato di cassazione anziché la sola attribuzione del corrispondente trattamento eco

nomico e la dichiarazione dell'idoneità ad essere ulteriormente

valutato per ottenere la successiva nomina con la contestuale

assegnazione ad un posto vacante del ruolo: ciò, sul preminente rilievo delle funzioni attribuite dall'art. Ill Cost, alla Corte

suprema di cassazione, i cui componenti vengono considerati

distintamente solo in quanto investiti delle funzioni di giudici di diritto. In coerenza a tale principio, la Corte costituzionale con

l'altra coeva sent. 10 maggio 1982, n. 86 (id., 1982, I, 1497), ai fini dell'elettorato passivo per il C.S.M., ha riconosciuto rilevanza costituzionale unicamente alla dicotomia fra magistrati di merito

e magistrati di legittimità in quanto spetta al legislatore ordinario la scelta dei criteri di distribuzione dei posti in seno al consiglio nell'ambito dei predetti gruppi di magistrati, salvo il rispetto del

principio dell'effettivo svolgimento delle funzioni di magistrato di

cassazione da parte degli eletti in rappresentanza di questa

categoria.

Ebbene, per un'esatta interpretazione della norma secondo la

quale fanno parte della sezione disciplinare « due magistrati di

cassazione, di cui uno dichiarato idoneo alle funzioni direttive

superiori » è decisivo il rilievo che l'intera complessa legislazione che ha regolato, attraverso diverse successive modifiche, le elezio

ni del Consiglio superiore della magistratura, si incentra pur

sempre — come osserva la Corte costituzioanle nella sentenza n. 67 del 1982 — nell'articolazione dell'ordine giudiziario in tre

fondamentali categorie, rispettivamente costituite dai magistrati di

tribunale, dai magistrati di corte d'appello e dai magistrati di

cassazione: già l'art. 1 1. 24 maggio 1951 n. 392 stabiliva la

suddetta tripartizione dei magistrati ordinari, la quale è stata ed è

tuttora la premessa delle varie leggi succedutesi dal 1958 in poi

per regolare la costituzione ed il funzionamento del Consiglio

superiore. Sottolinea, in proposito, la Corte costituzionale nella

cennata sentenza che l'art. 23, 1" comma, 1. 24 marzo 1958 n. 195

presuppone la ripartizione stessa, pur dando un distinto rilievo ai

magistrati di cassazione con ufficio direttivo, e che su questa linea continuano a procedere la 1. 18 dicembre 1967 n. 1198, l'art.

3 1. 22 dicembre 1975 n. 695 ed anche l'art. 18 1. 3 gennaio 1981

n. 1. Si osserva, peraltro, che la tripartizione adottata dal

legislatore ordinario tiene conto, per quanto riguarda in specie i

magistrati di cassazione, della sostanziale identità delle funzioni esercitate da questi ultimi, siano o meno riconosciuti idonei alle funzioni direttive superiori, e che l'art. 1 1. 3 gennaio 1981 n. 1, come già l'art. 1 1. n. 695/75, ha modificato la 1. 24 marzo 1958 n. 195, non richiedendo più la partecipazione al C.S.M. e alla sezione disciplinare di magistrati di cassazione titolari di uffici

direttivi (art. 23), bensì l'intervento di magistrati di tale categoria semplicemente dichiarati idonei a ricoprire incarichi superiori, per cui, anche sotto questo profilo, è priva di fondamento la distin zone prospettata dal ricorrente ai fini della ritenuta illegittima composizione dell'organo giudicante.

Alla stregua delle su estese considerazioni ed in conformità a

quanto già deciso da queste sezioni unite con la sent. n. 6377 del 1983, è da ritenere in definitiva che l'art. 1 1. 3 gennaio 1981 n. 1, sostitutivo dell'art. 4 1. n. 195/58, non richieda la necessaria inclusione nella sezione disciplinare di un magistrato di cassazio ne ordinario e di uno dichiarato idoneo alle funzioni direttive

superiori, mentre di esso debbono sempre fare parte due magi strati di cassazione di cui almeno uno abbia ottenuto l'idoneità alle funzioni direttive superiori.

Col terzo motivo del medesimo ricorso il dott. Pietroni denun cia la violazione degli art. 90, 185, n. 3, 412, 544, 5° comma, 545, 1°, 2° e 3° comma, c.p.p. e 360, nn. 3 e 4, c.p.c., sostenendo la nullità del decreto di citazione a giudizio nonché, conseguente mente, della ordinanza dibattimentale 10 gennaio 1983 e delle due sentenze emesse dalla sezione disciplinare 1) perché si sarebbe formato il giudicato in ordine alla legittima composizione del collegio giudicante e alla legittimità del rapporto processuale svoltosi nella precedente fase del giudizio; 2) per l'illegittimità degli effetti che sarebbero stati attribuiti dalla sezione disciplinare al rinvio del procedimento ad essa da parte delle sezioni unite, avendo il giudice disciplinare pronunciato su tutte le originarie incolpazioni; 3) perché la sezione disciplinare ha, dapprima, chiamato il ricorrente a rispondere di diciannove anziché di sette

capi di incolpazione, con la conseguente incertezza circa gli addebiti per i quali doveva rinnovarsi il giudizio ed ha, poi, giudicato su tutti tali addebiti sebbene fosse funzionalmente

incompetente, determinando essa stessa le parti della precedente sua decisione che dovevano ritenersi coperte dal giudicato e le

parti per le quali doveva considerarsi eseguito il rinvio dalle sezioni unite alla Cassazione, attraverso l'interpretazione del ri

corso, non sufficientemente chiaro, proposto dal procuratore gene rale.

Anche tale mezzo, nelle sue articolate censure, è privo di fondamento.

Sul primo punto è appena il caso di rammentare che il vizio di costituzione del collegio giudicante è rilevabile anche d'ufficio in

ogni stato e grado del processo quando contro le decisioni

pronunciate dal collegio viziosamente costituito sia stata proposta tempestiva impugnazione, sicché non sia più invocabile il limite del giudicato.

Neppure le altre censure meritano consenso. Nel decreto di citazione a comparire avanti alla sezione disciplinare emesso I'll dicembre 1982 e notificato il giorno 20 successivo erano bensì

riportate tutte le originarie incolpazioni ascritte al dott. Pietroni, ma in esso erano, in seguito, anche riferite le ulteriori vicende

processuali, dal contenuto della sentenza assolutoria in data 22

giugno 1981 al gravame proposto dal procuratore generale e alla sent. 15 novembre 1982, n. 6085 delle sezioni unite, con la

precisazione che queste avevano cassato la sentenza della sezione

disciplinare limitatamente ai capi oggetto di ricorso per cassazio

ne, peraltro agevolmente individuabili attraverso l'esame degli atti di impugnazione del procuratore generale e del Pietroni. Deve, pertanto, escludersi che la notificazione di un tale decreto di citazione potesse ingenerare incertezza sui fatti per i quali l'orga no disciplinare intendeva procedere contro il magistrato inquisito, né può ritenersi che si sia verificata lesione all'esercizio dei diritti di difesa da parte dell'incolpato al quale è stato, invece, consenti to di prendere piena cognizione dello stato del procedimento a suo carico e di apprestare, quindi, tutti i mezzi consentiti per opporsi alle accuse mossegli.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Non ha inciso sul regolare iter del procedimento la sentenza emessa il 10 gennaio 1983 dalla sezione disciplinare con cui —

dopo un rinnovato, approfondito e puntuale esame delle varie fasi del processo e dello stato nel quale questo era pervenuto in

sede di rinvio dalla Cassazione — l'organo disciplinare ha dichia

rato, a norma dell'art. 35 r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511, di non

doversi procedere contro il dott. Romolo Pietroni in ordine ai

capi di incolpazione d), /), g) ed h) del procedimento n. 271

nonché in ordine ai capi 1, 2, 4, 5, 6, 7, 9 e 11 del procedimento n. 420 perché l'azione disciplinare non poteva essere esercitata

per precedente giudicato. L'azione disciplinare è stata, quindi, ritualmente proseguita per i restanti capi di incolpazione relati

vamente ai quali avevano proposto ricorso alle sezioni unite della Cassazione il procuratore generale e lo stesso Pietroni.

Col quarto motivo il ricorrente impugna la dichiarazione della

propria responsabilità disciplinare, denunciando la violazione del l'art. 479, 2° e 3° comma, c.p.p., in relazione agli art. 524, nn. 1 e

3, c.p.p. e 360, nn. 3 e 5, c.p.c. nonché la violazione dell'art. 29, ult. comma, r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511 in relazione agli art. 475, n. 3, c.p.p., 360, nn. 3 e 5, c.p.c. e 524, n. 1, c.p.p. Si duole ancora il ricorrente dell'omessa, insufficiente e contraddittoria

motivazione (art. 475, n. 3, c.p.p. in relazione agli art. 524, nn. 1

e 3, c.p.p. e 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) per avere la sezione

disciplinare, in contrasto con la precedente sentenza assolutoria e in violazione del giudicato penale, attribuito un carattere quasi mafioso ad un normale rapporto di amicizia fra l'incolpato ed un

conoscente d'infanzia sul presupposto che lo Ialongo fosse sogget to mafioso, con la conseguenza che anche i rapporti fra lo

Ialongo ed il Pietroni ne sarebbero rimasti inquinati. Senonché, lamenta il ricorrente, i giudici disciplinari non avrebbero tenuto

conto del fatto che lo Ialongo era stato considerato soggetto estraneo alla mafia sia dalle sentenze penali del Tribunale di

Spoleto e della Corte d'appello di Perugia sia dalle sentenze che

avevano ritenuto inapplicabili allo stesso le misure di prevenzione

proposte dalla questura di Roma; quei giudici, inoltre, avrebbero

anche svalorizzato, senza giustificato motivo, le deposizioni testi

moniali, rese in suo favore dal questore Mangano e dall'ex

procuratore generale della Corte d'appello di Roma dott. Spa

gnuolo. Su tali asserite distorsioni delle risultanze processuali e

sull'incondizionato credito attribuito alla relazione della commis

sione antimafia la sentenza impugnata avrebbe poi basato

l'affermazione di non ritenere credibile che l'incolpato ignorasse i

rapporti professionali e le più intense relazioni esistenti fra lo

Ialongo ed il Coppola. Inoltre, a parte l'inutilizzabilità delle

bobine relative alle intercettazioni effettuate sull'utenza telefonica

dello Ialongo, la familiarità dei rapporti con costui, risultante da

quelle conversazioni, era anteriore all'epoca in cui il ricorrente

aveva appreso l'esistenza di rapporti fra lo Ialongo e il Coppola.

In ordine agli altri capi di incolpazione, il Pietroni osserva:

che l'occasionalità del viaggio fatto a Palermo insieme allo

Ialongo non poteva essere disattesa con il ricorso a semplici deduzioni basate sulla dimestichezza dei loro rapporti; che nessun

obbligo, nemmeno morale, incombeva su lui di avvertire la

commissione parlamentare antimafia circa le iniziative poste in

essere dal questore Mangano per conoscere il luogo dove si

nascondeva il latitante Leggio; che illogicamente la sentenza

impugnata aveva disatteso l'assunto dell'incolpato secondo cui egli si era recato con lo Ialongo a trovare l'on. Mechelli unicamente

per raccomandargli il distacco del cognato alla regione Lazio; che

non poteva ravvisarsi alcun illecito disciplinare nella mancata

dichiarazione di astensione di esso Pietroni dall'incarico ricevuto

di rappresentare il p.m. nel procedimento contro il Coppola avanti alla Corte d'appello di Roma, sezione per l'applicazione delle misure di sicurezza, in quanto l'amicizia fra lui e lo Ialongo non costituiva una grave ragione di convenienza per astenersi; che le sentenze penali avevano escluso ogni collegamento dei

versamenti in denaro e della consegna dei due elettrodomestici

dallo Ialongo al Pietroni con gli atti di ufficio di quest'ultimo, affermando che si era trattato di piccoli favori, peraltro leciti, fatti dal primo al secondo al fine di procurargli valuta estera

nell'imminenza di viaggi e allo scopo di consentirgli l'acquisto, a

prezzi di favore, degli elettrodomestici presso un commerciante

suo amico, ma che i corrispondenti importi erano stati poi restituiti allo Ialongo, onde sembrava irrazionale ritenere, sotto il

profilo disciplinare, che ciò avrebbe comportato uno stato futuro

di soggezione e di riconoscenza del Pietroni nei confronti dello

Ialongo, le cui dichiarazioni sui fatti erano state ingiustamente

considerate inattendibili.

Orbene, se si pongono a raffronto le argomentazioni sintetica

mente riferite, poste dalla sezione disciplinare a base dell'afferma

zione di responsabilità del Pietroni con le censure contrapposte dal ricorrente per ogni singolo fatto addebitatogli, apparirà evi

dente che le critiche mosse alla sentenza impugnata si esauriscono

in una molteplice serie di contestazioni che attengono all'accerta

mento dei fatti materiali oggetto dei singoli capi di accusa, alla

coordinazione e all'apprezzamento delle risultanze processuali, all'attendibilità dei testi escussi e all'affidabilità delle altre fonti di

prova: si tratta, in definitiva, di censure che attengono al

giudizio di merito espresso dall'organo disciplinare in ordine alla

realtà dei fatti ascritti all'incolpato, all'effettivo svolgimento delle

vicende costituenti illeciti disciplinari, alla partecipazione concreta e consapevole ad esse del Pietroni, sicché tutte tali censure si

appuntano su accertamenti di fatto e valutazioni di merito

espressi nell'ambito di un giudizio istituzionalmente riservato alla

sezione disciplinare del consiglio.

È vano e inammissibile in questa sede il tentativo compiuto dal ricorrente di incrinare il rigore logico con cui i giudici disciplinari hanno accertato la lunga e totale dimestichezza dei

rapporti intrattenuti dal dott. Pietroni con un personaggio equi voco, pregiudicato, intimamente connesso con elementi della mafia nonché l'anteriore conoscenza nell'incolpato delle sospette relazioni costantemente tenute dal suo amico Ialongo con un

soggetto del peggiore stampo mafioso, come Frank Coppola, sotto la copertura di un'assistenza professionale cui lo Ialongo non era abilitato.

Le critiche del ricorrente non valgono neppure ad interrompere il filo logico che, attraverso serrate argomentazioni, ha condotto i

giudici disciplinari ad accertare la sussistenza di fatti e compor tamenti specifici, censurabili sotto il profilo della correttezza e

deontologia professionale, quali il viaggio compiuto a Palermo dal Pietroni insieme allo Ialongo, malgrado la consapevole contrappo sizione delle finalità cui ciascuno di essi era dedito, essendo il

primo investito dell'incarico di conferire un qualificato apporto di informazioni e consulenze alla commissione parlamentare anti

mafia, ed essendo il secondo impegnato a coprire un personaggio mafioso quale Frank Coppola, talora nelle vicende giudiziarie —

come in occasione dell'incontro dello Ialongo con il legale di

quest'ultimo a Palermo — e tal'altra nelle oscure operazioni finanziarie cui il Coppola era interessato.

Proprio da tale etorodossa dimestichezza di rapporti la sezione

disciplinare ha tratto argomento per censurare l'anomala condotta del Pietroni il quale — sebbene personalmente coinvolto nelle trame tese dagli organi di polizia per il rintraccio e la cattura del mafioso Luciano Leggio — si astenne dal darne notizia alla commissione antimafia cui, invece, era tenuto, quale suo consu

lente, a trasmettere ogni utile informazione. Scorrettezze di pari intensità la sezione disciplinare ha colto, con giusto criterio di

valutazione, nel comportamento tenuto dal Pietroni il quale, ormai invischiato nelle trame e negli interessi dello Ialongo, non si peritò di accompagnarlo nella visita al presidente della regione Lazio, offrendosi cosi, chiaramente, di coonestare la presunta buona fede protestata dallo Ialongo all'on. Mechelli in ordine all'assunzione del mafioso Natale Rimi da lui, a suo tempo, efficacemente sostenuta; e lo stesso è a dire della non degna condotta del Pietroni che — secondo il giusto avviso della sezione disciplinare — indipendentemente dalle circostanze in cui l'incarico gli fu conferito, avrebbe dovuto astenersi dal rappresen tare l'ufficio del p.m. nel procedimento per le misure di preven zione di p.s. a carico del Coppola, assistito e protetto dal suo amico Ialongo. In realtà l'organo disciplinare, con una valutazio ne razionale che sfugge alle labili critiche del ricorrente, ha ravvisato nell'ultimo capo di accusa relativo alle anticipazioni di danaro e alla fornitura di due elettrodomestici, da parte dello

Ialongo al Pietroni, l'episodio illuminante del concreto vincolo di interessi esistente fra i due che, nelle circostanze del viaggio a

Palermo, della visita all'on. Mechelli, delle notizie non fornite alla commissione antimafia e del processo di prevenzione contro Frank Coppola, indussero il Pietroni a scegliere di tenere il

comportamento meno consono alle duplici funzioni rivestite di

magistrato del p.m. e di consulente giuridico della commissione

parlamentare antimafia. Né può cadere alcun dubbio sulla corret tezza del giudizio che tutti i fatti riferiti, accertati con assoluto

rigore d'indagine dalla sezione disciplinare, rappresentino singo larmente e nel loro complesso una consapevole, grave violenza, da parte del dott. Pietroni, dai doveri del proprio ufficio con

conseguente compromissione del prestigio dell'ordine giudiziario anche in virtù delle perplessità, delle reazioni e dello sdegno suscitati in seno alle istituzioni, presso gli organi della stampa e, in definitiva, nella pubblica opinione.

Mentre il quarto motivo del ricorso proposto avverso la senten za di merito deve essere respinto per le ragioni anzidette, la corte reputa meritevole di accoglimento il quinto mezzo col

quale il ricorrente, in ordine alla sanzione inflittagli, denuncia

l'inosservanza dell'art. 524, n. 1, c.p.p. in relazione alla mancata

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1223 PARTE PRIMA 1224

applicazione degli art. 132 e 133 c.p. nonché la violazione

dell'obbligo della motivazione (art. 18, 19, 35, ult. comma, r.d.

leg. 31 maggio 1946 n. 511 in relazione agli art. 75, n. 3, 524, nn. 1 e 3, c.p.p. e 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Lamenta, in particolare, il ricorrente che — non essendo a lui contestato di avere avuto

rapporti con personaggi mafiosi, ciò che peraltro era rimasto

confermato dall'inchiesta svolta a suo carico e dall'esito del

procedimento di prevenzione conclusosi con il proscioglimento dello Ialongo, ritenuto estraneo alla mafia — sia illogica e

sproporzionata la sanzione espulsiva inflittagli, la quale, comunque, non sarebbe giustificata dalle argomentazioni addotte che si

sostanziano nel comportamento processuale dell'incolpato, nel

giudizio critico espresso dalla commissione antimafia nonché nella

gravità del problema riguardante i rapporti tra mafia e poteri

pubblici. La censura è fondata per quanto di ragione. L'esercizio del

potere discrezionale, spettante all'organo disciplinare, di infliggere la sanzione ritenuta più corrispondente alla consistenza, alla

natura e alla gravità delle incolpazioni ascrittegli, non si sottrae

al dovere di una compiuta e razionale motivazione in ordine

all'adeguatezza della sanzione inflitta.

Senza sminuire l'importanza che deve e dovrà avere, nella

scelta della sanzione, il deprecabile comportamento processuale del Pietroni, giunto a « costruire nei dettagli i presupposti di una

falsa testimonianza », come ha ritenuto la sezione disciplinare con riferimento alle dichiarazioni prima rese e poi ritrattate dal dott.

Cammarota, cognato del Pietroni, non può non rilevarsi che le allarmate relazioni della commissione parlamentare antimafia e l'attualità del problema dei rapporti tra mafia e pubblici poteri —

ancorché pertinenti in ordine allo sfondo delle macchinazioni mafiose su cui si svolgono le vicende ascritte all'incolpato — non si coordinano funzionalmente alla valutazione oggettiva dei fatti. In realtà, nell'apprezzamento degli episodi, delle circostanze e delle implicazioni pregiudizievoli connesse alla condotta del Pie

troni, disciplinarmente censurabile, non si può andare al di là

degli accertamenti che risultano dalle sentenze penali e dalle stesse decisioni contenute nelle due successive sentenze della sezione disciplinare sicché l'attività dell'incolpato risulta espressa ed esaurita ai margini, ma fuori degli intrighi di tipo mafioso e unicamente tesa all'acquisizione di meschini vantaggi personali.

La sentenza 10 gennaio 1983 va, quindi, cassata sul punto della sanzione inflitta al dott. Pietroni, col conseguenziale rinvio del

processo alla medesima sezione disciplinare del C.S.M. per un nuovo giudizio.

Passando all'esame dei motivi del ricorso proposto dal Pietroni contro l'ordinanza della sezione disciplinare in data 21 gennaio 1983 ed avendo già respinto il primo di essi, va ora trattato il secondo mezzo col quale il ricorrente ne denuncia la nullità per difetto assoluto di potere e violazione di legge (art. 360, nn. 1 e

3, c.p.c. e 524, nn. 1 e 2, c.p.p. in relazione all'art. 20 r.d. leg. 31

maggio 1946 n. 511 e all'art. 107, 1° comma, Cost.) sotto il

duplice profilo: a) perché il potere di adottare la misura cautela

re, nella specie quella della sospensione dal servizio, appartiene al

giudice dell'istruzione e al giudice del dibattimento nella sola fase della discussione orale, mentre manca nella 1. n. 511 del 1946

qualsiasi previsione circa l'organo competente ad adottarla nella fase successiva all'emanazione della sentenza; b) perché la so

spensione dalle funzioni e dallo stipendio deve essere richiesta, a norma degli art. 30 r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511 e 57 d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916 dal ministro di grazia e giustizia ovvero dal procuratore generale della Corte di cassazione, fermo restando che anche tali organi non hanno più il potere di farne richiesta

dopo l'emanazione della sentenza disciplinare onde, sotto questo profilo, è come se fosse stata adottata una misura punitiva non

prevista, con conseguenziale violazione dell'art. 107 Cost.

La censura è infondata nelle sue complesse articolazioni. Risul

ta, al riguardo, decisivo il rilievo che il r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511 e successive modificazioni regolano organicamente il pro cedimento disciplinare contro i magistrati per cui il riferimento alle norme del processo penale e ai principi del diritto processua le generale è possibile e doveroso solo allorquando, per le lacune esistenti nel particolare sistema considerato, si manifesti l'esigenza del ricorso a quelle norme e a quei principi ai fini dell'integra zione dell'ordinamento lacunoso. Per contro, nel caso in esame, l'art. 30 r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511 stabilisce, in termini

inequivoci, che il giudice disciplinare può disporre la sospensione provvisoria dell'incolpato dalle funzioni e dallo stipendio « all'ini zio e nel corso del procedimento », laddove è chiaro che il

provvedimento sospensivo è attuabile — come già ritenuto da

queste sezioni unite con la sentenza 20 luglio 1983, n. 4998 (id., 1983, I, 3047) — fin quando il processo disciplinare non sia terminato con decisione divenuta definitiva; tale interpretazione è,

del resto, rispondente alla ratio legis, dato il carattere strumentale

proprio della sospensione provvisoria dal servizio rispetto al

conseguimento delle finalità cui la sanzione disciplinare è rivolta.

Dalla lettera della norma si trae altresì la certezza che il

giudice disciplinare può autonomamente assumere l'iniziativa di

applicare la sospensione del magistrato inquisito dalle funzioni e

dallo stipendio, giacché il potere riconosciutogli, dal 4° comma

dello stesso art. 30, di agire di ufficio per la revoca della

sospensione, per la concessione dell'assegno alimentare negato o

per la modifica della misura di quello concesso dimostra l'intento

del legislatore di attribuire al giudice disciplinare la più ampia iniziativa in materia.

È infondato anche il terzo motivo del ricorso proposto contro

l'ordinanza 21 gennaio 1983, con cui il ricorrente deduce la

violazione dell'art. 17, ult. comma, 1. 24 marzo 1958 n. 195 in

relazione agli art. 360, n. 3, c.p.c. e 524, n. 1, c.p.p. sotto il

profilo che — anche ammesso il potere della sezione disciplinare di disporre la sospensione cautelare del magistrato dopo la

pronuncia della sentenza che ne afferma la responsabilità — il

principio, stabilito nel predetto art. 17, dell'effetto sospensivo dell'impugnazione vieterebbe di porre a base di un provvedimen to, ancorché cautelare, ma comunque incidente sullo status del

magistrato, le statuizioni di una sentenza non ancora passata in

giudicato. In realtà, il riferimento contenuto nella parte motiva dell'ordinanza « alla natura e gravità dei fatti per cui è stata

erogata la sanzione della rimozione », quale ragione giustificatrice

dell'esigenza di disporre la misura cautelare appare chiaramente finalizzato a porre in rilievo l'entità dei capi d'accusa per i quali il Pietroni era stato ritenuto responsabile e l'importanza delle

prove acquisite a suo carico che, se erano tali da giustificarne la

condanna, a maggior ragione dovevano ritenersi sufficienti ad

applicargli cautelarmente la sospensione dalle funzioni e dallo

stipendio « anche con riferimento alle funzioni svolte dall'incolpa to ».

In questa più esatta e realistica prospettiva, è vano il tentativo del ricorrente di ravvisare l'effettiva ed unica ragione giustificatri ce della misura cautelare nell'erogazione della massima sanzione

disciplinare e nella presunta definitività di tale pronuncia. Da ultimo, non merita consenso neppure il quarto mezzo con

cui il Pietroni denuncia l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione dell'ordinanza impugnata (art. 360, n. 5, c.p.c. e 524, n. 3, c.p.p. in relazione all'art. 475, n. 3, c.p.p.) per avere la sezione disciplinare disatteso l'eccezione di estinzione del proce dimento con una proposizione esclusivamente enunciativa della decisione adottata, per avere lo stesso collegio ritenuto la propria giurisdizione, malgrado l'effetto sospensivo dell'impugnazione già proposta dall'incolpato, con il semplice richiamo all'autonomia dell'azione cautelare esperita e, infine, per essersi la sezione

disciplinare limitata ad enunciare la natura e la gravità dei fatti in ordine ai quali era stata affermata la responsabilità disciplinare del Pietroni, senza uno specifico riferimento a tali accuse.

Premesso che i provvedimenti pronunciati in forma di ordinan

za, ed in specie quelli che dispongono misure cautelari, hanno i

requisiti essenziali per la loro validità se succintamente motivati, si osserva, quanto alla prima eccezione, che soddisfa tale esigenza il richiamo fatto, dal giudice disciplinare, all'espressione letterale dell'art. 12 1. 3 gennaio 1981 n. 1 e alla pronuncia della sentenza, quivi prevista, intervenuta nei termini di legge; che altrettanto

esplicativa dell'opinione dell'organo decidente appare l'affermata autonomia dell'azione promossa per l'applicazione dell'opportuna misura cautelare al fine di disattendere l'eccezione di carenza di

giurisdizione; che, infine, a dimostrare la natura e la gravità dei fatti per i quali la sezione disciplinare ha ritenuto l'esigenza di

disporre la sospensione dell'incolpato dalle funzioni e dallo sti

pendio era sufficiente il rinvio all'ampia motivazione della senten za con cui allo stesso era stata inflitta la sanzione espulsiva.

In definitiva, il ricorso avverso l'ordinanza 21 gennaio 1983 dev'essere integralmente respinto, così come vanno rigettati i

primi quattro motivi del ricorso contro la sentenza 10 gennaio 1983. L'accoglimento del quinto mezzo di quest'ultimo ricorso

comporta la cassazione della sentenza impugnata limitatamente al

punto della sanzione inflitta, con il rinvio del processo alla stessa sezione disciplinare per un nuovo giudizio. (Omissis)

ILI

Svolgimento del processo. — Con sentenza emessa all'udienza del 9 febbraio 1983 la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura infliggeva al magistrato dott. Domenico Pone la sanzione disciplinare della rimozione.

Il successivo 15 febbraio dello stesso anno il ministero di

grazia e giustizia, ritenendo che per la gravità della sanzione inflitta il predetto magistrato non potesse, nelle more del proce

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1225 PARTE PRIMA 1226

dimento, continuare ad esercitare le sue funzioni nelle condizioni

richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario, avanzava richiesta

perché il medesimo fosse sospeso provvisoriamente dalle funzioni

e dallo stipendio ai sensi dell'art. 30 r.d. leg. 31 maggio 1946 n.

511.

In seguito a tale richiesta il presidente della sezione disciplina re, con decreto del 16 febbraio 1983, comunicato personalmente all'interessato — con l'espressa avvertenza che costui avrebbe

potuto presentarsi e farsi assistere da altro magistrato a norma

dell'art. 34, 1° cpv., r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511, per essere

sentito dal collegio giudicante — fissava l'adunanza del 24

febbraio 1983, ore 17, per deliberare sui richiesti ulteriori prov vedimenti in camera di consiglio.

In detta seduta, in assenza del dott. Pone, la sezione disciplina re pronunciava ordinanza con la quale disponeva la sospensione

provvisoria del predetto magistrato dalle funzioni e dallo stipen

dio, attribuendogli un assegno alimentare pari ai due terzi dello

stipendio stesso e delle altre competenze di carattere continuativo.

Avverso tale ordinanza, con atto notificato al ministero di

grazia e giustizia, al procuratore generale presso questa corte e al

Consiglio superiore della magistratura, ricorre alle sezioni unite di

questa corte stessa il dott. Domenico Pone, deducendo quattro motivi di annullamento, illustrati con memoria. Il ministero di

grazia e giustizia resiste con controricorso.

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo si denuncia la

nullità del provvedimento impugnato e dei relativi atti processuali ex art. 156 c.p.c. per violazione degli art. 12 e 15 disp. sulla

legge in generale in riferimento agli art. 19, 1° comma, 30, 1° e

3° comma, 31, 32, 33, 34, 35, 43, 1° comma, r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511 nonché agli art. 10, n. 3, 14, n. 1, 42, 1° comma, 1. 24

marzo 1958 n. 195 e all'art. 57 d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916 e

si censura la impugnata decisione per avere la sezione disciplina re applicato nei confronti del dott. Pone la misura cautelare della

sospensione cautelare della sospensione provvisoria dalle funzioni

e dallo stipendio dopo che era stata già pronunciata la sentenza

disciplinare. Ed invero, secondo il ricorrente, la sospensione del magistrato

sottoposto a procedimento disciplinare potrebbe essere disposta a

norma del citato art. 30 r.d.leg. n. 511/46 solo all'inizio o nel

corso del procedimento — o, in caso di urgenza, anche prima, ma a condizione che sia chiesto contemporaneamente il giudizio — e non anche dopo la conclusione del procedimento disciplina re.

Si deduce, inoltre, che nella specie non avrebbe potuto neppure ritenersi applicabile la sospensione preventiva del magistrato

sottoposto a procedimento penale, prevista dal successivo art. 31

dello stesso r.d. leg. n. 511, non essendo stato il dott. Pone mai

perseguito penalmente.

Con il terzo mezzo — che per la stretta connessione delle

questioni prospettate può essere esaminato congiuntamente con il

precedente — si denuncia poi un'ulteriore violazione dei citati

art. 30 r.d. leg. n. 511/46 e 57 d.p.r. 916/58, per avere la sezione

disciplinare deliberato con la impugnata ordinanza la misura

cautelativa della sospensione sebbene avesse già esaurito, a segui to dell'avvenuta conclusione del procedimento disciplinare, ogni

potere decisionale al riguardo, con conseguente violazione del

principio dell'inamovibilità dei magistrati sancito dall'art. 107, 1°

comma, Cost.

Le censure proposte con il primo e il terzo mezzo sono prive di consistenza.

Le ragioni che giustificano la misura della sospensione cautelare

prevista dall'art. 30 r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511 a carico del

magistrato sottoposto a procedimento disciplinare sussistono inve

ro — legittimando l'esercizio della relativa potestà da parte della

sezione disciplinare — per tutta la durata del procedimento, il

quale deve ritenersi pendente sino al momento della sua definiti

va conclusione, che si verifica solo con il decorso del termine per

proporre impugnazione davanti alle sezioni unite della Corte di

cassazione con l'esaurimento del relativo giudizio (art. 17, ult.

comma, 1. n. 195/58, art. 60 d.p.r. 916/58). Come questa corte ha già avuto occasione di rilevare (v. sent.

31 luglio 1954, n. 2204, Foro it., 1964, I, 1565; 20 luglio 1983, n.

4998, id., 1983, I, 3047), la permanenza della potestà cautelare

negli organi che sono ad essa originariamente e istituzionalmente

preposti per tutto il tempo in cui si protrae il procedimento

disciplinare risulta giustificata (tenuto conto che l'efficacia dei

provvedimenti disciplinari emessi del Consiglio superiore della

magistratura resta sospeso sino all'esito del ricorso alle sezioni

unite di questa corte e che, nelle more di tale ricorso, avente

carattere straordinario e non devolutivo, in quanto limitato al

solo riscontro della legittimità formale e sostanziale della deci

sione che è stata adottata dalla sezione disciplinare, questa corte

non è competente ad esercitare, in via diretta e surrogatoria, gli accennati poteri cautelativi) dall'esigenza di evitare che la perma nenza nell'esercizio delle sue funzioni del magistrato sottoposto a

procedimento disciplinare possa riverberarsi negativamente sul

l'ufficio nel quale egli è inserito, anche in relazione ai possibili motivi di sfiducia che potrebbero incrinare l'incondizionato rispet to di cui deve essere circondata la funzione da lui esercitata.

La possibilità di sospendere legittimamente in via cautelativa dalle funzioni e dallo stipendio il magistrato sottoposto a proce dimento disciplinare anche dopo la emanazione della sentenza con cui gli è stata inflitta la sanzione della rimozione finché la sentenza stessa non sia passata in giudicato — contrariamente a

quanto afferma il ricorrente — risulta quindi suffragata da un

complesso di ragioni di carattere formale e sostanziale, connesse alla natura e finalità della sospensione cautelare.

Questa costituisce invero un provvedimento tipico e per taluni

aspetti autonomo del procedimento disciplinare che può risultare

ampiamente giustificato anche — e particolarmente — dalla più avvertita esigenza che, in ciascun caso concreto, può venirsi a

configurare dopo la pronuncia di colpevolezza, di non consentire che il magistrato permanga in servizio e continui nell'ulteriore

svolgimento delle funzioni, una volta che nel procedimento di

sciplinare sia stata accertata, sia pure con decisione non ancora

definitiva, la sua responsabilità; senza che possa in contrario obiettarsi che ciò varrebbe ad eludere la su rilevata efficacia

sospensiva del provvedimento disciplinare, conseguente per legge al ricorso per cassazione — pur in difetto di espresse norme che 10 consentano — considerati i diversi contenuti e natura e la non indentità degli effetti della sanzione inflitta con la sentenza

disciplinare e delle misure che vengono in via provvisoria adotta te col provvedimento cautelare.

Pertanto il primo e il terzo mezzo devono essere rigettati. Con il secondo mezzo si denuncia una ulteriore violazione degli

art. 30, 1° comma, e 34, 2° e 3° comma, r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511, nonché dell'art. 24, 2° comma, Cost, e 167 bis c.p.p. in

relazione agli art. 156 e 157 c.p.c. e 185, n. 3, 1° comma,

c.p.p. con conseguente violazione del diritto di difesa e del

principio del contraddittorio: a) per avere la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura omesso di comunicare — sia pure a mezzo telefono — al difensore del dott. Pone la

udienza fissata per il 24 febbraio 1983 alle ore 17 per deliberare, in via di urgenza, il provvedimento cautelativo della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio: b) e per avere inoltre deliberato 11 medesimo provvedimento in assenza del dott. Pone, pur essen

do a conoscenza che quest'ultimo — che si trovava in congedo straordinario per ragioni di salute, consessogli in base a domanda

presentata al presidente della corte d'appello e comunicata al

Consiglio superiore il 15 febbraio 1983 — era impedito a compa rire per ragioni di malattia, ampiamente documentate con cer

tificato medico nella richiesta di aspettativa inoltrata allo stesso

Consiglio superiore della magistratura in data 3 febbraio 1983 ed

accertate con visita fiscale nella prima decade del mese di

febbraio 1983.

Anche le censure proposte con il secondo mezzo sono infon

date.

Il procedimento cautelare disciplinare a carico dei magistrati è

regolato dalle speciali norme dell'art. 30 d. leg. 31 maggio 1946 n.

511 e dall'art. 57 d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, le quali non

richiedono né l'intervento del p.m. nell'adunanza in cui si prov vede, né la formale convocazione dell'incolpato mediante citazio

ne e decreto col rispetto di termini prestabiliti, ma esigono soltanto — perché possa ritenersi rispettato il principio del contraddittorio

e il diritto di difesa dell'incolpato — che quest'ultimo abbia

avuto la concreta possibilità di discolparsi e di esporre le sue

ragioni mediante la sua audizione personale e l'eventuale assi

stenza tecnica di un altro magistrato (v. sent. 20 dicembre 1972, n. 3627, id., 1973, I, 2542; 15 aprile 1978, n. 1779, id., 1978, I,

822). Nella specie non è contestato che il decreto del presidente

della sezione disciplinare del 16 febbraio 1983 con cui venne

fissata l'udienza del 24 febbraio 1983 per deliberare sulla richiesta

sospensione cautelativa dalle funzioni e dallo stipendio avanzata

dal ministro di grazia e giustizia il 15 febbraio 1983, venne

tempestivamente comunicata personalmente al dott. Pone, con

l'espressa avvertenza che il medesimo avrebbe potuto presentarsi e farsi assistere da un altro magistrato a norma dell'art. 34, 1°

cpv., r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511, per essere sentito dal

collegio giudicante; e non è neppure contestato che nessuna

istanza di differimento venne mai avanzata dal dott. Pone, in

relazione alla impossibilità in cui egli si sarebbe trovato in

conseguenza delle sue precarie condizioni di salute di presentarsi all'udienza su indicata con la eventuale assistenza di un altro

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Page 13: Sezioni unite civili; sentenza 14 aprile 1984, n. 2411; Pres. Gambogi Est. Parisi, P. M. Fabi (concl. diff.); Marrone (Avv. Cervati, Flick) c. Consiglio superiore della magistratura

1227 PARTE PRIMA 1228

magistrato, a norma del combinato disposto degli art. 30 e 34, 2°

comma, r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511 e 57 d.p.r. 16 settembre

1958 n. 916.

Appare quindi evidente che anche le doglianze che sono state

avanzate con il secondo mezzo risultano inconsistenti, tenuto

conto, da un lato, che la rilevata autonomia che al provvedimen to cautelativo della sospensione va riconosciuta nell'ambito del

procedimento disciplinare non postulava necessariamente che il

magistrato già designato dal dott. Pone per farsi assistere nelle

contestazioni mossegli nel procedimento disciplinare dovesse svol

gere ed estendere la sua assistenza pur in difetto di una rinnova

ta richiesta del dott. Pone, all'ulteriore e distinta fase del proce dimento che era stata instaurata a seguito della successiva richie

sta del ministro di grazia e giustizia, riflettente l'adozione del

provvedimento cautelativo della sospensione in guisa che l'udien

za stabilita per decidere in merito alla predetta richiesta, oltre

che al dott. Pone, dovesse essere a lui comunicata, a cura dei

competenti organi del Consiglio superiore della magistratura; e

tenuto conto, dall'altro, che le ragioni di salute che avevano

giustificato la concessione del mese di congedo straordinario e su

cui era stata fondata la successiva domanda di aspettativa non

potevano concretare senz'altro, in difetto di una specifica istanza

di rinvio da parte del dott. Pone motivata dalla impossibilità di

presentarsi all'udienza stabilita, sia pure mediante un puro e

semplice richiamo alle sue già denunciate infermità, un legittimo

impedimento all'audizione personale del dott. Pone — rilevabile

d'ufficio — con conseguente impossibilità di dare corso allo

speciale procedimento cautelativo per tutta la durata dell'infermi

tà che era stata denunciata a sostegno della domanda di aspetta tiva.

Con il quarto e ultimo mezzo si censura, infine, l'impugnato

provvedimento di sospensione in quanto emanato in difetto del

presupposto dell'urgenza, inderogabilmente richiesto dall'art. 30, 3° comma, r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511 e 57 d.p.r. 16

settembre 1958 n. 916, con conseguente abuso del potere di sospen sione e violazione del principio sancito dall'art. 107 Cost. —

secondo cui i magistrati, senza il loro consenso, non possono essere sospesi dal servizio se non in seguito a decisione del

Consiglio superiore della magistratura, adottata per i motivi e

con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario —

tenuto conto che nel momento in cui è stata disposta la sospen sione il dott. Pone si trovava in congedo straordinario per malattia ed era in attesa della aspettativa per motivi di salute e

non esercitava quindi nessuna funzione giurisdizionale.

Anche tale quarto mezzo è infondato. Ed invero il requisito della urgenza, a cui allude il ricorrente, si riferisce all'ipotesi previ sta dagli art. 30, 3° comma, r.d. leg. 31 maggio 1946 n. 511 e 57

d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916 dal medesimo ricorrente richiama

ta, ipotesi in cui il provvedimento cautelativo della sospensione

provvisoria dalle funzioni e dallo stipendio può essere appunto richiesta e disposta « in caso di urgenza » anche prima che sia

stato iniziato il procedimento disciplinare (a condizione che venga

peraltro promosso contemporaneamente il giudizio disciplinare), e

non anche nella diversa ipotesi in cui il provvedimento di

sospensione venga richiesto nel corso del procedimento disciplina re, come appunto si era verificato nella concreta fattispecie.

Inoltre il provvedimento cautelativo di sospensione del magi strato dalle funzioni e dallo stipendio, sia pure in via provvisoria e con effetti destinati ad essere quindi assorbiti o travolti

dall'esito del giudizio disciplinare (dopo il passaggio in giudicato della relativa sentenza), incide pur sempre per la sua natura sullo

stato giuridico ed economico del magistrato, e produce quindi effetti e limitazioni a carico del magistrato che si protraggono virtualmente sino alla definitiva conclusione del giudizio discipli nare.

Tali effetti e limitazioni, per il loro particolare contenuto del

tutto autonomo e non coincidente con gli effetti giuridici ed

economici che possono altrimenti derivare dal fatto che il ma

gistrato si trovi, nel momento in cui deve essere adottato il

provvedimento cautelativo della sospensione, già sollevato tempo raneamente dalle sue funzioni per altro titolo (congedo straordina

rio, aspettativa, ecc.) suscettibile di venir meno anche a seguito di semplice rinuncia dell'interessato, non possono essere quindi

impediti da tale fatto.

Ne consegue che il ricorso del dott. Pone deve essere rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 9 apri le 1984, n. 2274; Pres. Mazzacane, Est. R. Sgroi, P. M. Fabi

(conci, conf.); Romani (Avv. Zangari) c. Fall. soc. Fiorentini; Fall. soc. Fiorentini (Avv. Dell'Olio) c. Romani. Dichiara

inammissibile ricorso avverso Trib. Roma 11 ottobre 1379.

Fallimento — Stato passivo — Opposizione — Crediti di lavoro — Impugnazione — Termini — Ricorso per cassazione — Di

chiarazione d'incostituzionalità — Effetti — Fattispecie (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 99).

È tempestiva, stante il principio dell'efficacia retroattiva delle

pronunce di accoglimento della Corte costituzionale, l'impugna

zione, proposta anteriormente alla sentenza (n. 152/80) dichia

rativa dell'incostituzionalità dell'art. 99, 5" comma, l. fall., avverso la sentenza resa in sede di opposizione allo stato

passivo e non notificata, nel termine di un anno dalla sua

pubblicazione. (1) È inammissibile, in base al medesimo principio, il ricorso per

cassazione proposto avverso la sentenza del tribunale fallimen tare in sede di opposizione allo stato passivo su crediti di

lavoro e previdenza e assistenza obbligatorie, anteriormente alla

dichiarazione d'incostituzionalità (sent. n. 69/82) dell'art. 99, 6"

comma, I. fall, (in obiter dictum si precisa che l'appello potrà essere proposto nel termine di legge decorrente dalla comunica

zione della sentenza della Corte di cassazione). (2)

(1-2) I contrastanti precedenti che hanno indotto le sezioni unite della Corte di cassazione ad intervenire sul punto dell'efficacia nel tempo delle sentenze della Corte costituzionale sono ricordati nelle note Effetti delle sentenze d'incostituzionalità di norme processuali: nuovi profili, in Foro it., 1983, 1, 1294 e Ancora sugli effetti della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 26 I. fall., ibid., 2708, nelle quali si sono esaminati i complessi problemi posti dalla dichiarazione

d'illegittimità costituzionale dell'art. 99, 5° comma, 1. fall., nella parte in cui prevedeva che i termini per impugnare le sentenze rese su

opposizione allo stato passivo decorressero dall'affissione delle stesse alla porta esterna del tribunale (Corte cost. 27 novembre 1980, n. 152, id., 1981, I, 2), dell'art. 26 1. fall, relativamente alla disciplina del reclamo in esso previsto, in quanto esperibile avverso i provvedimenti del g.d. in materia di piani di riparto dell'attivo (Corte cost. 23 marzo 1981, n. 42, ibid., 1228) e dell'art. 99, 6° comma, 1. fall, nella parte in cui prevedeva l'inappellabilità delle sentenze rese, in sede di opposi zione allo stato passivo, su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie (Corte cost. 3 aprile 1982, n. 69, id., 1982, I, 1213).

Alle numerose sentenze indicate nelle dette note vanno aggiunte le

più recenti Cass. 12 novembre 1983, n. 6733, id., 1984, I, 88; 16

maggio 1983, n. 3364, id., Mass., 701, relative a fattispecie in cui trovava applicazione l'art. 99, 6° comma, 1. fall.; 26 febbraio 1983, n. 1472, ibid., 304 e 9 giugno 1983, n. 3953, ibid., 827, relative invece a casi regolati dall'art. 99, 5° comma, 1. fall.

L'occasione particolarmente propizia per l'intervento delle sezioni unite è stata offerta da una fattispecie concreta che presentava la

peculiarità di richiedere l'applicazione tanto del 5° quanto del 6° comma dell'art. 99 1. fall., nelle parti dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, con effetti diametralmente opposti e per cosi dire « incro ciati » quanto ai contrastanti interessi delle parti in giudizio. 11 ricorrente, infatti, aveva prosposto impugnazione entro il termine annuale ex art. 327 c.p.c., ma oltre quello brevissimo decorrente dall'affissione della sentenza alla porta esterna del tribunale ai sensi dell'art. 99, 5° comma, nel testo anteriore alla sentenza della Corte cost. n. 152/80; il ricorso, pertanto, poteva essere ritenuto tempestivo solo se si fosse attribuita efficacia retroattiva alla detta pronuncia d'incostituzionalità, tesi questa che risultava quindi favorevole al ricorrente ed idonea a garantire il suo diritto alla difesa. D'altronde però lo stesso ricorrente aveva proposto impugnazione per cassazione avverso sentenza che, a seguito della pronuncia della Consulta n. 69/82, si è rivelata invece appellabile; conseguentemente egli aveva interesse ad affermare l'efficacia irretroattiva di tale ulteriore dichiara zione d'incostituzionalità, per evitare una declaratoria d'inammissibilità del ricorso per cassazione da lui proposto.

È superfluo osservare che la posizione del resistente aveva caratteri stiche speculari e s'imbatteva perciò anch'essa nelle medesime con traddizioni interne (nel caso concreto, tuttavia, detta parte fondava la propria eccezione d'inammissibilità del ricorso non sull'irretroattività della sent. n. 152/80 e sull'intervenuta decorrenza del termine dal l'affissione, bensì sull'esaurimento del termine annuale ridotto alla

metà). Caso, quindi, esemplare, affrontato, ci sembra, con chiarezza d'intenti

da parte delle sezioni unite, le quali dopo aver ripercorso l'iter logico ed interpretativo che ha condotto a ritenere applicabile all'impugnazio ne ex art. 99 1. fall, la disciplina di cui agli art. 326 e 327 c.p.c., integrata con la sola riduzione del termine breve alla metà (per ulteriori riferimenti, Effetti, cit„ par. 2, cui adde Cass. 26 febbraio 1983, n. 1472, e 9 giugno 1983, n. 3953, cit.), non hanno esitato ad esten dere gli effetti della sentenza della Corte cost. n. 152/80 alla situa zione in esame.

Vero è che tale soluzione non presentava in sé alcuna controindica zione ed infatti, non essendo stata notificata la sentenza da impugnare,

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