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sezioni unite civili; sentenza 14 febbraio 1995, n. 1571; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M. Di...

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sezioni unite civili; sentenza 14 febbraio 1995, n. 1571; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M. Di Renzo (concl. conf.); Ruggeri (Avv. Riccardi) c. Comune di Bari ed altri (Avv. Noya). Cassa App. Bari 28 gennaio 1993 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 1 (GENNAIO 1996), pp. 215/216-221/222 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190602 . Accessed: 25/06/2014 05:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 05:39:37 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 14 febbraio 1995, n. 1571; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M. DiRenzo (concl. conf.); Ruggeri (Avv. Riccardi) c. Comune di Bari ed altri (Avv. Noya). Cassa App.Bari 28 gennaio 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 1 (GENNAIO 1996), pp. 215/216-221/222Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190602 .

Accessed: 25/06/2014 05:39

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PARTE PRIMA

Il ricorso è fondato. A sensi dell'art. 11, 5° comma, I. 8

marzo 1968 n. 152 (recante nuove norme in materia previden ziale per il personale degli enti locali), la retribuzione contribu

tiva utile per il computo dell'indennità premio di servizio (cfr. art. 4, 1 ° comma, 1. cit.) «è costituita dallo stipendio o salario

comprensivo degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura, spettanti per legge o regola mento e formanti parte integrante ed essenziale dello stipendio

stesso»; laddove quest'ultima locuzione («spettanti per legge o

regolamento e formanti parte integrante ed essenziale dello sti

pendio stesso») va riferita agli aumenti periodici, alla tredicesi ma mensilità e agli assegni in natura, che sono da ricondurre

alla nozione di retribuzione contributiva solo in quanto spettino

per legge o regolamento e formino altresì parte integrante ed

essenziale dello stipendio ovvero del salario.

Il riferito tenore del disposto legislativo non conforta quel l'indirizzo giurisprudenziale che ha ritenuto di poter leggere l'art.

11,5° comma, cit., conferendo alla voce «stipendio» (o «sala

rio») — che ivi si rinviene — l'accezione più ampia, «compren siva anche degli emolumenti i quali, ancorché esclusi dalla retri

buzione contributiva ad opera degli accordi nazionali di lavoro

o non menzionati nello stesso art. 11, siano corrisposti in via

continuativa in connessione con le normali prestazioni lavorati

ve» (cosi Cass. 9 aprile 1993, n. 4296, Foro it., Rep. 1993, voce Sanitario, n. 286; ed in sostanziale conformità Cass. 22

giugno 1988, n. 4268, id., Rep. 1988, voce Impiegato degli enti

locali, n. 207; 21 febbraio 1990, n. 1271, id., Rep. 1990, voce cit., n. 252; 3 marzo 1990, n. 1678, ibid., n. 253; 27 novembre

1992, n. 12661, id., Rep. 1992, voce Sanitario, n. 383). Dalla surriportata dictio legis chiaramente invece si evince che

il legislatore del 1968 non ha inteso ricondurre all'ambito della

retribuzione contributiva, ai fini del computo dell'indennità pre mio di servizio, indiscriminatamente tutte le componenti del trat

tamento retributivo del lavoratore, e ancor meno «la somma

degli emolumenti fissi e continuativi dovuti come remunerazio

ne dell'attività lavorativa» (secondo la definizione di retribuzio

ne contributiva reperibile — e però a fini diversi da quelli che

qui interessano — nell'art. 30 d.l. 28 febbraio 1983 n. 55, con

vertito, con modificazioni, in 1. 26 aprile 1983 n. 131, che ha

provveduto ad ampliare, per le casse pensioni dipendenti enti

locali, sanitari ed insegnanti degli istituti di previdenza, la no

zione data dall'art. 12 1. 11 aprile 1955 n. 379). Nella formulazione dell'art. 11, 5° comma, 1. 8 marzo 1968

n. 152, il nomen iuris di «stipendio» (o «salario») esige un'in terpretazione di segno restrittivo; se cosi non fosse, ossia se con

il parlare di stipendio e salario si fosse inteso designare il com

plessivo trattamento retributivo del lavoratore, superflua ed il

logica risulterebbe la specifica menzione degli aumenti periodi ci, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natu

ra come elementi dello stipendio o del salario da ricondurre

nell'ambito della retribuzione contributiva. La circostanza che

il legislatore del 1968 abbia avvertito l'esigenza di includere nel

lo stipendio o nel salario, da valere quale «retribuzione contri

butiva» utile al computo dell'indennità premio di servizio, sol tanto gli aumenti periodici, la tredecesima mensilità e gli asse

gni in natura, e non anche altri emolumenti seppure aventi

carattere indubbiamente retributivo, significa esclusione dallo

stipendio o salario, ai fini anzidetti (idest dalla retribuzione con

tributiva), di ogni voce del trattamento retributivo globale del

lavoratore non espressamente menzionata. Deve allora condividersi l'orientamento in forza del quale la

tassatività dell'elenco, di cui al 5° comma dell'art. 11 1. n. 152

del 1968, «comporta l'impossibilità di ricomprendere nella re

tribuzione contributiva emolumenti diversi da quelli testualmente

elencati» (Cass. 23 gennaio 1987, n. 654, id., Rep. 1987, voce

Impiegato degli enti locali, n. 179; 4 ottobre 1989, n. 3991, id., Rep. 1989, voce cit., n. 285).

Ed a fortiori non potrebbe giammai ricomprendersi nella no

zione di retribuzione contributiva utile, ai sensi del citato dispo sto di legge, un assegno che, appunto per essere ad personam, non soltanto si pone come del tutto estraneo agli emolumenti

specificamente elencati dalla norma, ma a rigore non può nem meno dirsi «spettante per legge o regolamento e formante parte

integrante ed essenziale dello stipendio». Alla stregua delle osservazioni che precedono il ricorso dell'I

nadel è meritevole di accoglimento. La sentenza impugnata de

ve essere cassata. Il giudice di rinvio, che si designa opportuna

II Foro Italiano — 1996.

mente nel Tribunale di Brescia, sez. lavoro, farà applicazione del seguente principio di diritto:

«La retribuzione contributiva cui, ai sensi del 1° comma del

l'art. 4 della legge, si commisura l'indennità premio di servizio,

è costituita, in virtù di quanto disposto dall'art. 11,5° comma, 1. cit., "dallo stipendio o salario comprensivo degli aumenti pe riodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in

natura, spettanti per legge o regolamento e formanti parte inte

grante ed essenziale dello stipendio stesso", mentre poi il carat

tere tassativo dell'elencazione preclude la possibilità di ricom

prendere nella nozione di retribuzione contributiva, ai fini anzi

detti, emolumenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli testualmente

menzionati dalla norma, come un assegno denominato ad per

sonam, quantunque rientrante nel globale trattamento retributi

vo del lavoratore e da lui percepito regolarmente e costante

mente durante lo svolgimento del rapporto».

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 14 feb braio 1995, n. 1571; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M.

Di Renzo (conci, conf.); Ruggeri (Avv. Riccardi) c. Comu

ne di Bari ed altri (Aw. Noya). Cassa App. Bari 28 gennaio 1993.

Edilizia e urbanistica — Ordinanza di demolizione — Impugna zione — Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (L. 28 febbraio 1977 n. 10, norme per l'edificabilità dei suoli, art. 16; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia di con

trollo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sa

natoria delle opere edilizie, art. 7).

Usufrutto, uso e abitazione — Usufrutto — Destinazione eco

nomica dell'immobile — Alterazione — Responsabilità del

l'usufruttuario — Risarcimento in forma specifica (Cod. civ., art. 978, 981, 986, 1001, 1015, 1176, 1218, 2058).

Usufrutto, uso e abitazione — Usufrutto — Obbligo di prestare

cauzione — Domanda di accertamento (Cod. civ., art. 978,

1002).

I ricorsi contro le ordinanze di demolizione emesse dal sindaco

per le opere realizzate in assenza di concessione rientrano nel

la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (1) L'usufruttuario che, eseguendo opere, alteri l'originaria desti

nazione economica dell'immobile si rende inadempiente al

l'obbligazione di godere della cosa con la diligenza del buon

padre di famiglia e, essendo tenuto ad indennizzare il nudo

proprietario, può essere condannato al risarcimento del dan

no in forma specifica. (2)

(1) Conf. Cass. 5 settembre 1989, n. 3840, Foro it., Rep. 1989, voce

Edilizia e urbanistica, n. 756; 16 giugno 1983, n. 4119, id., Rep. 1983, voce cit., n. 809. La giurisdizione esclusiva in materia di impugnazione di ordinanze irrogative di sanzioni amministrative in materia urbanisti

ca, non solo ripristinatorie, ma anche pecuniarie (Cass. 3 maggio 1991, n. 4872, id., Rep. 1991, voce cit., n. 580), è stata ribadita pur dopo l'entrata in vigore della 1. 28 febbraio 1985 n. 47, che nulla ha innovato sul punto (Cass. 9 luglio 1991, n. 7549, id., Rep. 1991, voce cit., n.

582), e si estende all'eventuale domanda di risarcimento del danno per illegittimità dell'ordinanza di demolizione, nella quale si censuri lo scor retto uso del potere sanzionatone (Cass. 26 luglio 1990, n. 7555, id., Rep. 1990, voce cit., n. 620), nonché alla domanda di riduzione della somma pretesa dal comune a titolo rimborso spese per l'eseguita demo lizione d'ufficio (Cass. 23 febbraio 1990, n. 1392, id., 1990, I, 1210, con nota di C.M. Barone), oltre che alla riconvenzionale della stessa amministrazione per gli interessi ed il maggior danno da mora debendi, in quanto strettamente connessi con la determinazione del quantum del la sanzione. Sull'acquisizione gratuita al patrimonio comunale, v., da

ultimo, Cass. 6 maggio 1994, n. 4387, id., 1995, I, 1078, con nota di richiami, sulla natura dichiarativa del provvedimento.

(2) Anche riguardo al problema dell'abuso del diritto da parte dell'u

sufruttuario, il giudice di legittimità conferma un indirizzo già espresso

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il nudo proprietario, ancorché abbia consentito a che l'usufrut tuario consegua il possesso dei beni senza previa prestazione di idonea garanzia, può proporre domanda ricognitiva del

l'obbligo per l'usufruttuario di prestarla. (3)

Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Il primo motivo at tiene alla giurisdizione (art. 360, n. 1, c.p.c., in relazione al

l'art. 16 1. 28 gennaio 1977, n. 10). La ricorrente richiama la sentenza 15 luglio 1991, n. 345 (,Fo

ro it., 1992, I, 3), con cui la Corte costituzionale ha dichiarato

non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di

in passato, censurando la decisione che aveva escluso tale abuso perché le modificazioni apportate all'immobile non ne avevano comportato il deterioramento. In altri termini, il giudice di merito si è limitato «a considerare le trasformazioni eseguite sull'immobile da un punto di vi

sta oggettivo e non in relazione alla sua precedente destinazione ad au torimessa». Al contrario, la destinazione economica della cosa, di cui

agli art. 981 e 986 c.c., è quella prevista dal nudo proprietario e non

quella per la quale la cosa sarebbe astrattamente idonea. In tal senso, Cass. 18 novembre 1964, n. 2754, Foro it., 1965, I, 32; 19 giugno 1962, n. 1550, id., 1962, I, 1946; 22 ottobre 1958, n. 3400, id., Rep. 1958, voce Usufrutto, n. 12.

Ciò non toglie che nella facoltà di godimento spettante all'usufrut tuario rientri il diritto di apportare alla cosa miglioramenti e addizioni volti a consentirne una più adeguata utilizzazione. Inoltre, Cass. 11 novembre 1961, n. 2640, id., Rep. 1961, voce cit., n. 6, ha incluso

anche le costruzioni tra le addizioni legittime, ma sempre nel rispetto del limite della destinazione economica data dal nudo proprietario.

La mancata osservanza di questo limite comporta la decadenza del diritto: v. Cass. 18 giugno 1971, n. 1878, id., Rep. 1971, voce cit., n. 3; 27 marzo 1970, n. 854, id., Rep. 1970, voce cit., n. 2.

Il fondamento normativo di queste pronunce è l'art. 1015 c.c. In

realtà, questa disposizione, che ricalca l'art. 516 del codice del 1865, non prevede espressamente, tra le ipotesi di decadenza, la mutata desti nazione economica della cosa, ma enumera soltanto l'alienazione della

proprietà dei beni, il loro deterioramento od il relativo perimento per mancanza di riparazioni ordinarie. Ciò nonostante, da sempre, questa elencazione è stata considerata solo esemplificativa. V. in questo senso, tra i tanti, Carnacini, Sull'abuso dell'usufruttuario, in Resp. civ., 1988, 470, 474. Del resto, poiché la stessa norma richiamata prevede accanto alla decadenza altre sanzioni, si deve ritenere che la soluzione più radi cale sia applicabile solo quando il comportamento dell'usufruttuario

abbia arrecato un grave pregiudizio alla proprietà. Cosi, Cass. 2 marzo

1976, n. 699, Foro it.. Rep. 1976, voce cit., n. 11; 18 giugno 1971, n. 1878, cit.; 27 marzo 1970, 854, cit.

Secondo la dottrina dominante, tale restituzione, non avendo natura

di pena, non può cumularsi con il risarcimento dei danni: v., per tutti,

Carnacini, op. cit., 476. Questo orientamento trova accoglimento nel la sentenza in epigrafe, ove si afferma che «perdita» e «modificazione del contenuto del proprio diritto per l'usufruttuario, non esauriscono la valenza negativa del suo comportamento, non escludono cioè che l'usufruttuario sia tenuto al risarcimento del danno in confronto del

nudo proprietario se dall'alterazione della destinazione economica del

bene sia appunto derivato un danno». Ciò perché l'usufruttuario, nel

mutare la destinazione economica del bene, viene meno all'obbligo di

godere della cosa con la diligenza del buon padre di famiglia. Cosi, Cass. 25 giugno 1968, n. 2200, Foro it., 1968, I, 1719, con nota di G. Branca. Questo inadempimento ex art. 1218 c.c. comporta un ri sarcimento del danno che, secondo una diffusa interpretazione dell'art. 2058 c.c., può avvenire anche in forma specifica. In questo senso: Cass. 1° febbraio 1993, n. 1221, id., Rep. 1993, voce Esecuzione forzata di

obblighi di fare o di non fare, n. 1; 16 dicembre 1988, n. 6856, id., Rep. 1988, voce Danni civili, n. 58; 26 giugno 1984, n. 3739, id., Rep. 1984, voce cit., n. Ili; 7 maggio 1984, n. 2763, ibid., voce Appalto, n. 41.

(3) Secondo quanto finora esposto, è possibile presentare domanda di condanna alla prestazione della garanzia anche in base all'art. 1015

c.c.; ma, ove il giudice di rinvio dovesse rigettarla, egli dovrà comun

que prendere in esame la domanda proposta in virtù dell'art. 1002 c.c.

Infatti, anche se il nudo proprietario avesse consentito all'usufruttuario di conseguire il possesso dei beni senza previa prestazione di idonea

garanzia, potrebbe comunque proporre domanda di accertamento del

l'obbligo dell'usufruttuario di prestarla. Per una volta ancora, nulla di nuovo sotto il sole. Invero la Cassa

zione, già con sent. 22 aprile 1986, n. 2817, Foro it., Rep. 1986, voce

Usufrutto, n. 2, aveva stabilito che in un tale comportamento non può ravvisarsi rinuncia implicita alla garanzia e perciò il nudo proprietario può agire in giudizio per ottenerla.

Per concludere, può essere interessante osservare che il giudice di

rinvio, nel decidere del merito della domanda, dovrebbe tenere conto

di quanto stabilito da Cass. 25 giugno 1968, n. 2200, cit., in virtù della

quale, se l'immobile, dopo la costituzione dell'usufrutto, è stato dato

in locazione dall'usufruttario, questi non è tenuto a prestare garanzia al nudo proprietario.

Il Foro Italiano — 1996.

legittimità costituzionale dell'art. 7, 3° comma, 1. 28 febbraio

1985 n. 47, che era stata sollevata dal Tar del Lazio in riferi

mento agli art. 3 e 42 Cost.: osserva che, alla stregua di tale

decisione, l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale costi

tuisce una sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza

all'ingiunzione a demolire; come tale si riferisce esclusivamente al responsabile dell'abuso, mentre non può operare nella sfera

di altri soggetti ed in particolare nei confronti del proprietario

dell'area, quando risulti, in modo inequivocabile, la sua com

pleta estraneità al compimento dell'opera abusiva. La ricorren

te sostiene che la sua estraneità all'abuso edilizio era pacifica in base alle stesse risultanze dell'ordinanza sindacale, che era

stata emessa in suo danno in quanto nuda proprietaria e sul

presupposto che fosse perciò necessario estendere in suo con

fronto i provvedimenti già adottati contro l'usufruttuaria.

Il motivo non è fondato, perché, come è stato ritenuto dalla

corte d'appello nella sentenza impugnata, la domanda proposta contro il comune di Bari rientra tra le controversie devolute

alla competenza dei tribunali amministrativi regionali in sede

di giurisdizione esclusiva, quale configurata dall'art. 16 1. 28

gennaio 1977 n. 10.

I ricorsi contro i provvedimenti preveduti dall'art. 7 1. 28 feb

braio 1985 n. 47 rientrano nell'ambito di applicazione dell'art.

16 cit.: come è espressamente stabilito dall'art. 2 1. n. 47 del

1985, le disposizioni dettate dall'art. 7 della stessa legge hanno

sostituito quelle di cui all'art. 15 1. 28 gennaio 1977 n. 10, ri

chiamate dall'art. 16 di quest'ultima (sez. un. 5 settembre 1989, n. 3840, id., Rep. 1989, voce Edilizia e urbanistica, n. 756).

L'art. 16 1. n. 10 del 1977, secondo la costante interpretazio ne di questa corte, configura una fattispecie di giurisdizione esclu

siva (sez. un. 27 maggio 1980, n. 4831, id., 1981, I, 443). L'ambito della giurisdizione esclusiva non trova limite in ciò,

che i provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione pos sano esserlo stati in situazione di carenza di potere (sez. un.

19 ottobre 1990, n. 10177, id., Rep. 1991, voce Sanità pubblica, n. 245), giacché, quando una materia è attribuita alla giurisdi zione esclusiva del giudice amministrativo, spetta a questo co

noscere sia di situazioni di interesse legittimo sia di situazioni di diritto soggettivo e d'ogni effetto che in rapporto a tali situa

zioni sia ricollegabile a provvedimenti atti e comportamenti del

l'amministrazione, con la sola eccezione delle questioni attinen

ti a diritti patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di illegitti mità dell'atto o provvedimento contro cui si ricorre e delle altre

espressamente indicate dagli art. 7, 3° comma, 1. 6 dicembre

1971 n. 1034 e 30, 2° comma, r.d. 26 giugno 1924 n. 1054.

L'affermazione che il sindaco abbia agito in carenza di pote re non è dunque sufficiente ad attrarre la controversia alla com

petenza giurisdizionale del giudice ordinario. L'affermazione non è peraltro corrispondente a diritto.

L'art. 7 1. 28 febbraio 1985 n. 47 — secondo l'interpretazione che consente di ritenere quanto in esso disposto compatibile con

gli art. 3 e 42 Cost. — non esclude in assoluto che l'ingiunzione a demolire possa essere rivolta contro il nudo proprietario del

l'immobile investito dall'abuso edilizio, giacché consente di eser

citare il potere repressivo anche contro costui, se non risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compi mento dell'opera abusiva e tale estraneità, per configurarsi, ri

chiede anche che, venuto a conoscenza dell'abuso, il nudo pro

prietario si sia adoperato per impedire l'abuso utilizzando i mezzi

offertegli dall'ordinamento (Corte cost. 345/91, cit.). La corte d'appello ha perciò correttamente osservato che si

fa questione di illegittimo esercizio del potere anche quando si afferma che già dal provvedimento impugnato risulta che non

è stato compiuto un accertamento sulla concreta imputabilità dell'abuso edilizio a soggetto diverso da quello che ha assunto

l'iniziativa di eseguire la costruzione. 3. - Il secondo motivo denunzia vizi di violazione di norme

di diritto e difetto di motivazione su punto decisivo della con

troversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., in relazione all'art. 1015 c.c.).

la ricorrente sostiene che la corte d'appello sarebbe incorsa

nel vizio di difetto di motivazione quando ha omesso di valuta re se non costituisse un'ipotesi di abuso del diritto l'avere l'usu

fruttuaria modificato la destinazione economica del bene — da

autorimessa a supermercato — eliminando gli impianti ad essa

inerenti. La corte d'appello avrebbe poi illogicamente conside

rato inesistente una delle ipotesi di grave abuso descritte dal

l'art. 1015 c.c., in un caso in cui conseguenza della condotta

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PARTE PRIMA

dell'usufruttuario era stata la perdita del bene per effetto del

l'acquisizione al patrimonio comunale dispostane dal sindaco.

Si ricollegano a queste censure quelle svolte con il quarto mo

tivo per denunziare la violazione e falsa applicazione degli art.

981, 1015 e 2043 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.). La ricorrente osserva che, a norma dell'art. 981 c.c., l'usu

fruttuario deve rispettare la destinazione economica del bene,

sicché l'esecuzione di opere che alterino tale destinazione — e

che non possono configurarsi come miglioramenti per essere sog

gette a demolizione — costituisce violazione di tale obbligo e

per sé giustifica una condanna alla riduzione in pristino.

La ricorrente osserva ancora che la corte d'appello ha affer

mato che il comportamento dell'usufruttuario può configurare

una fattispecie di illecito civile e però ha ritenuto di non poter

affermare su tale base la responsabilità dell'usufruttuaria per

ché non sarebbero stati né dedotti né provati gli elementi essen

ziali del fatto illecito: senonché — sostiene la ricorrente — i

fatti erano stati dedotti ed il loro inquadramento giuridico sa

rebbe spettato al giudice, mentre allo scopo di poterli provare

ella aveva chiesto fosse ordinaro al comune di esibire l'istanza

relativa al rilascio dell'autorizzazione per l'intervento di manu

tenzione straordinaria dell'immobile, su cui era stata apposta

la propria firma falsificata dall'usufruttuaria, come sarebbe stato

possibile dimostrare nel prosieguo del giudizio. La corte osserva pregiudizialmente che, nell'esame di queste

e delle altre censure proposte con il ricorso, nessun rilievo può

assumere la sentenza resa in sede penale dalla Corte d'appello

di Bari: l'attuale resistente avrebbe dovuto opporre nella fase

di merito l'eventuale autorità di tale giudicato ed impugnare

con ricorso incidentale la sentenza che l'avesse erroneamente

disconosciuta, ma la sentenza non ha esaminato la questione

né l'attuale resistente l'ha impugnata.

Le censure appena riassunte sono in parte fondate per le ra

gioni di seguito esposte. L'art. 981, 1° comma, c.c. dispone che l'usufruttuario ha

diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione

economica. L'art. 986, 1° comma, nel disporre che l'usufrut

tuario può eseguire addizioni, pone il limite che esse non ne

alterino la destinazione economica.

L'art. 1001, 2° comma, c.c. impone all'usufruttuario l'obbli

go di usare nel godimento della cosa la diligenza del buon padre

di famiglia (art. 1176, 1° comma, c.c.): obbligo che — come è stato osservato — «implica l'esigenza di mantenere il godi

mento nel limite necessario per la conservazione dell'integrità

materiale della cosa e della sua originaria destinazione economi

ca, al fine di poter restituire la cosa medesima, al termine del

l'usufrutto, inalterata nella sua essenza materiale e nella sua

sostanza economica».

Il limite al diritto che l'usufruttuario ha di godere della cosa,

limite rappresentato dal dovere di rispettarne la destinazione eco

nomica, dà luogo ad una sua obbligazione verso il nudo pro

prietario. L'usufruttuario che imprime al bene una destinazione econo

mica diversa da quella in atto al momento in cui è sorto il suo

diritto di goderne o che eseguendo opere su questa, ancorché

rimuovibili, ne alteri la primitiva destinazione fa un uso del

bene che non gli è consentito e perciò tiene una condotta che

è rilevante ai fini dell'applicazione delle disposizioni dettate dai

commi 1° e 2° dell'art. 1015 c.c. in relazione alla gravità delle

conseguenze che in concreto ne derivino.

La possibile applicazione di queste sanzioni in caso di manca

to rispetto dell'obbligazione che l'usufruttuario ha verso il nu

do proprietario, sanzioni di cui il nudo proprietario ha il potere di provocare l'applicazione e che si traducono nella perdita o

modificazione del contenuto del proprio diritto per l'usufrut

tuario, non esauriscono la valenza negativa del suo comporta mento, non escludono cioè che l'usufruttuario sia tenuto al ri

sarcimento del danno in confronto del nudo proprietario, se

dalla alterazione della destinazione economica del bene sia ap

punto derivato un danno (in tema di responsabilità dell'usufrut

tuario per non aver impiegato l'ordinaria diligenza nel godi mento del bene, Cass. 28 giugno 1968, n. 2200, id., 1968, I, 1719). Ciò deriva dalla applicazione dell'art. 1218 c.c.

La presenza di un danno consente poi che il risarcimento ne

avvenga in forma specifica, in base all'art. 2058 c.c., applicabi

li. Foro Italiano — 1996.

le non solo nel campo delle obbligazioni per risarcimento del

danno da fatto illecito (Cass. 1° febbraio 1993, n. 1221, id.,

Rep. 1993, voce Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non

fare, n. 1; 16 dicembre 1988, n. 6856, id., Rep. 1988, voce

Danni civili, n. 58; 26 giugno 1984, n. 3739, id., Rep. 1984, voce cit., n. Ili; 7 maggio 1984, n. 2763, ibid., voce Appalto, n. 41, tra le più recenti).

Orbene, la corte d'appello, ripetendo la motivazione del tri

bunale, non ha preso in considerazione l'allegazione della par

te, la quale aveva sostenuto che l'usufruttuaria, consentendo

alla conduttrice di adattare a supermercato i locali prima desti

nati ad autorimessa, ne aveva modificato la destinazione econo

mica e si è limitata a considerare le trasformazioni eseguite sul

l'immobile da un punto di vista oggettivo e non in relazione

alla sua precedente destinazione ad autorimessa.

La sentenza impugnata presenta dunque, sotto l'aspetto pri

ma considerato, il vizio di difetto di motivazione su punto deci

sivo della controversia.

La corte d'appello, infine, ha affermato che la condanna del

l'usufruttuario a rimettere in pristino l'immobile, previa elimi

nazione delle opere abusive, non trova fondamento nella disci

plina dei rapporti tra nudo proprietario ed usufruttuario appre

stata dalla norma dettata dall'art. 1015 c.c.

L'affermazione della corte d'appello è corretta se posta in

rapporto al profilo della esecuzione delle opere senza concessio

ne: invero, se, pur eseguite dall'usufruttuario senza concessio

ne, non alterano la destinazione economica del bene, le opere

dovranno essere da lui rimosse o potranno esserlo dall'autorità

amministrativa a sue spese, ma il comportamento dell'usufrut

tuario non eccede per sé dai limiti del suo diritto e non viola

una sua obbligazione verso il nudo proprietario (per un'analoga

soluzione, in tema di affitto, Cass. 19 giugno 1981, n. 4048,

id., Rep. 1981, voce Contratti agrari, n. 220).

L'affermazione della corte d'appello invece, per le ragioni pri

ma indicate, presenta il vizio di violazione di norme di diritto

in quanto nega che l'usufruttuario possa essere condannato al

ripristino del bene, quando la originaria destinazione economi

ca sia stata alterata da opere da lui eseguite o consentite.

Le precedenti considerazioni dimostrano che nel caso non è

invece configurabile una ipotesi di responsabilità da fatto illecito.

4. - Il terzo motivo denunzia vizi di violazione di norme di

diritto e di norme sul procedimento (art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., in relazione agli art. 1002 c.c. e 112 c.p.c.).

La ricorrente osserva che l'usufruttuario, il quale abbia con

seguito il possesso dei beni senza aver prima prestato idonea

garanzia, viene a versare in una situazione di obbligo a prestar

la e il nudo proprietario può agire in giudizio per ottenere che

l'usufruttuario sia condannato a tanto: la corte d'appello sareb

be perciò incorsa nei vizi denunziati non accogliendo la doman

da sul presupposto che dalla mancata prestazione della cauzio

ne possono derivare per l'usufruttuario solo le conseguenze pre

viste dall'art. 1003 c.c., cui deve indirizzarsi la domanda del

nudo proprietario. Il motivo è fondato, nei limiti e per le ragioni di seguito espo

ste. Gli art. 1002, 3° e 4° comma, e 1003 c.c. dispongono che

l'usufruttuario, che non ne sia dispensato dalla legge (o non

ne sia dispensato dal titolo), è tenuto a prestare cauzione, in

difetto di che non può conseguire il possesso dei beni, all'am

ministrazione (in senso lato) dei quali si provvede allora nei

modi prescritti dall'art. 1003 c.c.

Se il nudo proprietario consente a che l'usufruttuario si im

metta nel possesso dei beni senza prestare previamente la cau

zione, questo comportamento non implica rinunzia a che la cau

zione sia prestata in prosieguo (Cass. 22 aprile 1986, n. 2817, id., Rep. 1986, voce Usufrutto, n. 2).

Se tra le parti sorga controversia sul punto, il nudo proprie tario può agire per ottenere che sia pronunziata condanna alla

restituzione dei beni (Cass. 22 aprile 1986 n. 2817, cit.) da parte dell'usufruttuario il quale non abbia inteso prestare idonea ga

ranzia, ma questo non esclude che il nudo prorietario possa

agire anche solo per ottenere che sia dichiarato l'obbligo dell'u

sufruttuario (Cass. 28 giugno 1968, n. 2200, cit.), salvo ad agire

per la restituzione dei beni od a chiedere la nomina dell'ammi

nistratore, se si tratti di beni immobili, una volta che l'usufrut

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Page 5: sezioni unite civili; sentenza 14 febbraio 1995, n. 1571; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M. Di Renzo (concl. conf.); Ruggeri (Avv. Riccardi) c. Comune di Bari ed altri (Avv. Noya).

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tuario abbia mancato di prestare la garanzia, cui sia stato di

chiarato tenuto.

5. - La domanda proposta da Maria Vincenza Ruggieri con

tro il comune di Bari rientra nella competenza dei tribunali am

ministrativi regionali, in sede di giurisdizione esclusiva, a nor ma dell'art. 16 1. 28 gennaio 1977 n. 10, ed il primo motivo

del ricorso è perciò rigettato. La ricorrente è condannata a rimborsare al Comune di Bari

le spese di questo grado del giudizio, liquidate nel dispositivo. 6. - L'accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo del

ricorso, nei limiti prima indicati, comporta che la sentenza im pugnata debba essere cassata e la causa rimessa al giudice di

rinvio. Il giudice di rinvio riprenderà in esame la domanda proposta

da Maria Vincenza Ruggieri in confronto di Angela Stragapede — basata sulla allegazione che la convenuta aveva modificato

l'originaria destinazione economica dell'immobile oggetto del

suo diritto ed aveva eseguito o consentito che fossero eseguite

opere che avevano comportato un'alterazione di quella destina

zione — domanda volta ad ottenere la dichiarazione di cessa

zione dell'usufrutto o, gradatamente, la condanna alla presta

zione di cauzione ed alla riduzione in pristino. Il giudice di rinvio, nel conoscere di tale domanda, si unifor

merà al seguente principio di diritto:

«L'usufruttuario che esegue 'o consente siano eseguite' opere che alterino l'originaria destinazione economica dell'immobile

'oggetto del suo diritto' si rende inadempiente all'obbligazione di godere della cosa usando della diligenza del buon padre di

famiglia e, essendo tenuto a risarcire il danno che ne derivi al

nudo proprietario, può essere condannato al risarcimento del

danno in forma specifica e perciò al ripristino delle precedenti condizioni dell'immobile».

Il giudice di rinvio, ove pervenga al rigetto della domanda

di condanna alla prestazione di garanzia basata sull'art. 1015

c.c., prenderà in esame la domanda proposta sulla base del

l'art. 1002 c.c., uniformandosi in tale sede al seguente principio di diritto:

«Il nudo proprietario, ancorché abbia consentito che l'usu

fruttuario consegua il possesso dei beni senza previa prestazione di idonea garanzia, può proporre domanda di accertamento del

l'obbligo dell'usufruttuario di prestarla».

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 14 feb

braio 1995, n. 1568; Pres. Brancaccio, Est. M. De Luca, P.M. Di Renzo (conci, conf.); Inps (Aw. Vario, Ausenda) c. Maggi (Avv. Cabibbo). Cassa Trib. Brindisi 8 giugno 1991.

Previdenza e assistenza sociale — Operai agricoli — Pensione

di anzianità — Requisito contributivo (L. 30 aprile 1969 n.

153, revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in ma

teria di sicurezza sociale, art. 22; d.l. 12 settembre 1983 n.

463, misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per

il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari set

tori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termi

ni, art. 7; 1. 11 novembre 1983 n. 638, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 12 settembre 1983 n. 463).

Ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di anzianità in favore degli operai agricoli, il requisito contributivo è co stituito: a) da un minimo di trentacinque anni di iscrizione negli elenchi nominativi di categoria; b) da una complessiva

somma di 5460 contributi giornalieri — non soggetti ad alcu

na rivalutazione — per l'intero periodo di iscrizione, con esclu

sione dei contributi figurativi per malattia e disoccupazione

ordinaria; c) dalla sussistenza di un minimo di contribuzione annua pari a 270 contributi giornalieri — soggetti alla rivalu

Ii Foro Italiano — 1996.

fazione prevista per periodi anteriori al 1° gennaio 1984 —

comprensivi dei contributi figurativi predetti. (1)

Svolgimento del processo. — Con la sentenza ora denuncia

ta, il Tribunale di Brindisi confermava la sentenza del 16 no

vembre 1989 — appellata dall'Inps — con la quale il pretore della stessa sede aveva accolto la domanda proposta dal brac

ciante agricolo Francesco Maggi, nei confronti dell'istituto, per ottenere (pronunce conseguenziali al) riconoscimento del pro

prio diritto alla pensione di anzianità, in base al rilievo che ne ricorreva, nella specie, il requisito minimo di contribuzione (di complessivi 5460 contributi giornalieri, pari ad una media an nua di 156 contributi per 35 anni di anzianità assicurativa) — che riteneva previsto (art. 7, 9° comma, d.l. n. 463, conv. in

1. n. 638 del 1983) per la pensione di anzianità di tutte le cate

gorie di operai agricoli (in luogo del requisito minimo annuale di 270 contributi giornalieri, contestualmente stabilito per le so

le pensioni di invalidità e vecchiaia degli stessi operai agricoli) — sia pure in dipendenza della rivalutazione (commi 12 e 12 bis

dello stesso art. 7) dei contributi (esclusi quelli figurativi per malattia e disoccupazione ordinaria) — relativi a (lavoro agri colo prestato in) periodi anteriori al 1° gennaio 1984 — da ap

plicare «tenendo sempre presente che, in luogo di 270 giornate, deve intendersi 156 come il limite al di sotto del quale è previ sta, per la pensione di anzianità, la rivalutazione dei contributi

pregressi».

Osservava, infatti, il giudice d'appello:

a) essendo pari a 5460 contributi giornalieri il requisito di contribuzione complessivo (per 35 anni di assicurazione) — al

fine della pensione di anzianità in favore di tutte le categorie di operai agricoli (art. 7, 9° comma, d.l. n. 463, conv. in 1.

n. 638 del 1983, cit.) — non può che essere pari a 156 contribu

ti giornalieri (5460 : 35 = 156, appunto) il requisito contributi vo annuale corrispondente (anziché 270 — siccome contestual

mente stabilito a fini diversi — in quanto 270, moltiplicato per 35, darebbe 9450 e non già 5460);

b) coerentemente, la prevista rivalutazione (commi 12 e 12 bis

dello stesso art. 7) si applica ai contributi — relativi a (lavoro

agricolo prestato in) periodi anteriori al 1° gennaio 1984 (con esclusione dei contributi figurativi per malattia e disoccupazio ne ordinaria) — se il numero dei contributi giornalieri sia infe

riore a 156 (non già a 270) per anno;

c) diversamente opinando, «si renderebbe estremamente dif

ficile, ed in alcuni casi impossibile, il raggiungimento del requi sito minimo per i lavoratori appartenenti alle categorie meno

favorite (quali braccianti «eccezionali», donne e ragazzi: n.d.e.), che in passato avevano espletato giornate lavorative in misura

inferiore al nuovo minimo contributivo».

Avverso la sentenza d'appello, l'istituto soccombente ha pro

posto ricorso per cassazione affidato ad un unico, complesso motivo. L'intimato ha depositato procura speciale alle liti. Il

ricorso è stato assegnato alle sezioni unite civili, in quanto pro

pone una questione — concernente il requisito contributivo per l'accesso alla pensione di anzianità in favore degli operai agri coli (di cui all'art. 7 d.l. n. 463, conv. in 1. n. 638 del 1983, cit.) — che ha dato luogo a contrasto di giurisprudenza nel

l'ambito della sezione lavoro di questa corte.

Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico, complesso motivo

di ricorso — denunciando violazione e falsa applicazione di nor

me di diritto (art. 7, commi 9, 12 e 12 bis, d.l. n. 463, conv. in 1. n. 638 del 1983, in relazione all'art. 22 1. 153/69) nonché

vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) — l'Inps censu

ra la sentenza impugnata, per avere riconosciuto il diritto del

bracciante agricolo (attuale intimato) alla pensione di anzianità,

sebbene ne esulasse il requisito minimo (pari a 270 giornate)

di contribuzione annua.

(1) Le sezioni unite dirimono il contrasto interpretativo sull'art. 7

d.l. n. 463 del 1983, convertito in 1. n. 638 del 1983, insorto in seno alla sezione lavoro.

Nel senso disatteso dalla decisione in rassegna, v. Cass. 27 novembre

1992, n. 12673, Foro it., Rep. 1993, voce Previdenza sociale, n. 713.

In senso conforme, v. Cass. 28 aprile 1993, n. 4978, ibid., n. 712; 1° dicembre 1992, n. 12805, ibid., n. 414; 27 aprile 1992, n. 5000,

ibid., n. 626; 29 novembre 1991, n. 12821, id., Rep. 1991, voce cit., n. 791; 12 novembre 1991, n. 12058, ibid., n. 792; 28 febbraio 1992, n. 2466, id., 1992, I, 3316, con nota di richiami.

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