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Sezioni unite civili; sentenza 14 marzo 1961, n. 579; Pres. Oggioni P. P., Est. Flore, P. M. Pepe...

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Sezioni unite civili; sentenza 14 marzo 1961, n. 579; Pres. Oggioni P. P., Est. Flore, P. M. Pepe (concl. parz. diff.); Galeazzi Lisi (Avv. Pallottino, Pannain) c. Procuratore Repubblica Trib. Roma, Prefetto di Roma, Medico Provincia Roma, Consiglio dell'Ordine dei medici della Provincia di Roma (Avv. Funari, Jemolo) ed altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 3 (1961), pp. 399/400-405/406 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23152101 . Accessed: 28/06/2014 16:10 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.176 on Sat, 28 Jun 2014 16:10:50 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 14 marzo 1961, n. 579; Pres. Oggioni P. P., Est. Flore, P. M. Pepe(concl. parz. diff.); Galeazzi Lisi (Avv. Pallottino, Pannain) c. Procuratore Repubblica Trib.Roma, Prefetto di Roma, Medico Provincia Roma, Consiglio dell'Ordine dei medici dellaProvincia di Roma (Avv. Funari, Jemolo) ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 3 (1961), pp. 399/400-405/406Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152101 .

Accessed: 28/06/2014 16:10

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399 PARTE PRIMA 400

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

I

Sezioni unite civili ; sentenza 14 marzo 1961, n. 579 ; Pres.

Oggioni P. P., Est. Flore, P. M. Pepe (eonol. parz.

diff.) ; Galeazzi Lisi (Avv. Pai.lottino, Pannain) e.

Procuratore Repubblica Trib. Roma, Prefetto di Roma,

Medico Provincia Roma, Consiglio dell'Ordine dei me

dici della Provincia di Roma (Avv. Funari, Jemolo) ed altri.

(Conferma Comm. centr. esercenti professioni sanitarie 6

maggio 1959)

Professioni intellettuali Medico Provvedimenti

disciplinari dei Consigli dell'Ordine - Commis

sione centrale Annullamento per omessa moti

vazione Ricorso per cassazione Ammissi

bilità.

Professioni intellettuali Medico Provvedimenti

disciplinari Uccisione della Commissione cen

trale — Impugnazione Consigli dell'Ordine —

Intervento nel giudizio di cassazione Ammis

sibilità.

Professioni intellettuali Medico Consigli del

l'Ordine Attività disciplinare Xatura ammi

nistrativa — Fattispecie.

È ammissibile il ricorso per cassazione della decisione con

cui la Commissione centrale esercenti professioni sani

tarie annulli il _provvedimento disciplinare del Consiglio dell'Ordine per omessa motivazione, facendo salva al Con

siglio stesso la facoltà di rinnovare, a decorrere dall'atto

nullo, il procedinwnto disciplinare a carico dell'incolpato che aveva chiesto il proscioglimento da ogni addebito. (1)

Il Consiglio dell'Ordine dei medici è contraddittore necessario

nel giudizio di Cassazione promosso avverso la decisione

della Commissione centrale esercenti professioni sanita

rie, che siasi pronunziata sull'impugnazione di un provve dimento disciplinare del Consiglio stesso. (2)

La funzione disciplinare svolta dai Consigli dell'Ordine

dei medici ha natura amministrativa e la Commissione

centrale può annullarne i provvedimenti per omessa moti

vazione, facendo salvi i poteri del Consiglio stesso di instau

rare un nuovo procedimento disciplinare. (3)

II

Sezioni unite civili ; sentenza 25 ottobre 1960, n. 2893 ; Pres. Oggioni P. P., Est. Di Majo, P. M. Colli (conci,

conf.) ; Paoli (Avv. Murdaca) c. Consiglio nazionale

forense ed altri.

(Conferma Cons. naz. forense Iti luglio 1958)

Avvocato e procuratore Consiglio nazionale fo

rense - Risoluzione di conflitti di competenza —

Ricorso per cassazione Inammissibilità (D. 1.

28 maggio 1947 n. 597, norme sui procedimenti dinanzi

ai Consigli degli ordini forensi ed al Consiglio nazionale

forense, art. 3).

È inammissibile il ricorso per cassazione della decisione con cui

il Consiglio nazionale forense risolve il conflitto di compe tenza fra i Consigli dell'Ordine. (4)

(1, 3 e 4) La natura amministrativa della funzione disci

plinare dei Consigli dell'Ordine dei medici èj stata affermata dalla Corte suprema da ultimo nella sentenza 15 novembre 1900, n. 3040, Foro it., 1960, I, 1889, con nota di richiami, cui si rinvia per i precedenti. La sentenza è commentata da Lega, Sull'efficacia delle tariffe degli Ordini dei medici, in Giur. it., 1961, I, 1, 141.

Per quanto concerne l'Ordine forense, la Cassazione aveva

I

La Corte, ecc. Svolgimento del processo. (Omissis). Con decisione in data 12 dicembre 1958 il Consiglio dell'Or

dine, udito il relatore, consigliere prof. Ugo Peratoner e

l'incolpato, riconosceva provati gli addebiti e la particolare

gravità di essi e applicava la sanzione della radiazione del

detto professionista dall'albo professionale. Il Galeazzi Lisi

ricorreva tempestivamente alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, deducendo numerosi mo

tivi, e tra questi la violazione dei principi generali e del

l'art. 47 del regolamento approvato con decreto del Presi

dente della Repubblica 5 aprile 1950 n. 221, per difetto di

motivazione del provvedimento impugnato, anche in rela

zione alle prove prodotte da esso ricorrente in sede disci

plinare. Con successivo atto deduceva numerosi motivi

aggiunti. Il Consiglio dell'Ordine controdeduceva e resi -

steva al ricorso.

La Commissione centrale, con decisione del 29 aprile 6 maggio 1959, ritenuto assorbente il motivo di omessa moti

vazione, lo giudicò fondato ; ritenne pertanto assorbito

l'esame degli altri motivi di legittimità e preclusivo di quello dei motivi di merito, e annullò l'atto del Consiglio dell'Or

dine. La parte motiva della decisione termina con il periodo « salva al Consiglio dell'Ordine la facoltà di rinnovare il

procedimento disciplinare a carico dell'incolpato, a decor

rere dall'atto nullo e nel rispetto delle norme procedurali ».

Il dispositivo, contiene, dopo la pronuncia di annullamento

l'inciso « salvo gli ulteriori provvedimenti ».

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassa

zione, con atto notificato il sei giugno 1959. il Galeazzi Lisi,

deducendo due mezzi di annullamento.

Resiste, mediante controricorso il Consiglio dell'Ordine

dei medici di Roma. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione. Il Procuratore generale ha con

cluso per la inammissibilità del ricorso per mancanza di inte

resse, giacché, avendo la Commissione centrale annullato

il provvedimento disciplinare impugnato, il Galeazzi Lisi

non può in nulla, attualmente, dolersi di questa pronuncia. Ha aggiunto il Pubblico ministero che il Consiglio dell'Or

dine potrà o non procedere di nuovo disciplinarmente contro

il ricorrente, a seconda che lo voglia o no ; e che in tal caso

al Galeazzi Lisi rimarrebbero comunque aperti i rimedi che

la legge gli concede.

Prima di esaminare se questa eccezione sia fondata occorre

precisare la portata della decisione che s'impugna. Sostiene

il ricorrente — e se ciò fosse vero, nessun dubbio che egli man

cherebbe d'interesse all'impugnazione — che essa valga deci

sione di proscioglimento per insufficienza o mancanza di

prove ; ch'essa sarebbe pertanto una pronuncia di merito.

Ciò non è esatto. La decisione della Commissione centrale non dice affatto che non esistano o non siano sufficienti le

prove degli addebiti mossi in sede disciplinare al Galeazzi

Lisi. Essa si limita, invece, a rilevare che l'atto impugnato davanti alla Commissione centrale non era motivato e non

permetteva al giudice di controllare le ragioni per le quali il

Galeazzi Lisi era stato riconosciuto colpevole. La pronuncia, infatti, non esclude che vi siano le prove : ma dice che di

esse nel provvedimento manca la specifica esternazione. La

affermato analogo principio con la sentenza 6 giugno 1960, n. 1481, Foro it., Mass., 329 (e, per esteso, in Giur. it., 1961, I, 1, 314, con osservazioni adesive di Lega) e, di sfuggita, nella motivazione di quella 25 ottobre 1960, n. 2894, Foro it., 1960, I, 1658 (che afferma esplicitamente la natura amministra tiva dell'attività svolta esprimendo pareri sugli onorari), mu tando l'opinione seguita con quella 11 aprile 1959, n. 1070, id., 1959, I, 959, con nota di richiami, cui adde, per la natura

giurisdizionale dell'attività disciplinare, App. Lecce 16 aprilo 1959, id.. Rep. 1959, voce Avvocato e procuratore, n. 85.

In dottrina, l'opinione attualmente seguita dalla Corte re

golatrice è espressa, da ultimo, da Piscione, Ordine e collegi professionali, Milano, 1959, pag. 128 e da Giuliano, Ordini ed Albi professionali, Roma, 1960, pag. 22.

(2) In senso conforme Cass. 16 novembre 1960, n. 3077, Foro it., Mass., 697 e 15 novembre I960, n. 3040, citata supra, alla cui nota di richiami si rinvia per i difformi precedenti.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Commissione centrale, quindi, non lia giudicato nel merito

il Galeazzi Lisi, perchè si è trovata davanti ad un atto ille

gittimo, da annullare per motivi di forma, e non ha avuto

modo, come si vedrà, di entrare nell'esame della sostanza

degli addebiti, cioè di rilevarne la reale consistenza.

Ciò premesso, la Corte suprema ritiene, che l'interesse

attuale alla impugnazione sussista. Il Galeazzi Lisi aveva

chiesto di essere prosciolto nel merito da ogni imputazione :

aveva quindi chiesto una pronuncia sulla quale sarebbe stata

possibile la formazione di un giudicato sostanziale, che

avrebbe precluso ogni potere del Consiglio dell'Ordine di

procedere disciplinarmente, per gli stessi fatti. La Commis

sione ha, sì, annullato il provvedimento, ma ha precisato che il Consiglio può ancora procedere nei confronti del ricor

rente. Anzi a stare letteralmente alla motivazione della deci

sione della Commissione centrale, poiché l'atto annullato

fu quello terminale del procedimento disciplinare, questo soltanto (cioè la decisione disciplinare) dovrebbe essere rin

novato. Si legge, infatti, nella decisione « salva la facoltà

al Consiglio dell'Ordine di rinnovare il procedimento disci

plinare a carico dell'incolpato a decorrere dall'atto nullo».

Rispetto dunque al vantaggio sperato, di un prosciogli mento nel merito, con accertamento negativo dei fatti im

putati e della responsabilità disciplinare, è evidente che

l'annullamento per motivi di legittimità non precludenti il rinnovarsi del procedimento disciplinare, costituisce un

minus. Il Galeazzi Lisi avrebbe quindi interesse a rimuo

vere, se ne ricorre il caso, la pronuncia della Commissione

centrale.

Essendo il ricorso ammissibile, occorre, prima di passare all'esame di esso, occuparsi della eccezione di mancanza di

legittimazione ad processimi, del Consiglio dell'Ordine dei

medici, opposta dalla difesa dei ricorrenti sulla scorta della

precedente giurisprudenza di questa Corte suprema. Ma, come è noto, è ora prevalente l'opposta soluzione : che,

cioè, l'Ordine, rappresentato dal Consiglio come ente pub blico dal quale promanano gli atti impugnati, è contraddit

tore necessario dei professionisti, che, in sede giurisdizionale, anche davanti la Corte di cassazione, chiedano l'annulla

mento o la riforma di quegli atti. E cig è tanto vero che i

Consigli sono senz'altro espressamente legittimati a contrad

dire innanzi la Commissione centrale, giudice speciale ; che

ad essi deve essere comunicata la decisione della Commis

sione centrale del Consiglio dell'Ordine. Ciò, del resto, è

stato ritenuto con le sentenze 22 luglio 1960, n. 2075 (Foro

it., Mass., 455) e n. 3040 del 1960 (id., 1960, I, 1889), nelle

quali fu perfino affermata la legittimazione dei Consigli a

ricorrere contro la decisione della Commissione centrale, non potendo negarsi che la disposizione del 2° comma del

l'art. 68 che sembra limitare al professionista, al prefetto e

al procuratore della Repubblica il potere di impugnazione, sarebbe illegittima in quanto, contenuta in un regolamento di esecuzione, priverebbe di un potere giuridico l'ente (il

Collegio professionale) che la legge n. 233 del 1946 abilita

a perseguire determinati fini e che pertanto, nell'ambito di

questi, deve potere anche valersi del ricorso al giudice. La

legge non esclude questo potere ; e pertanto il regolamento, che è un mero regolamento di esecuzione, non può avere

l'efficacia di privamelo. Si deve, dunque, esaminare il merito del ricorso. Questo

pone, attraverso una sottile disamina, una doppia questione,

sviluppata con grande acume e dottrina, ma di soluzione

indubbiamente negativa.

A) Si sostiene con copia di argomenti che l'attività di

sciplinare dei Consigli dell'Ordine dei medici sia giurisdi zionale, allo stesso modo di quella, che sarebbe ritenuta

giurisdizionale, dei Consigli degli Ordini forensi ; che, per

tanto, la Commissione centrale, giudice di secondo grado, nel pronunciare l'annullamento della decisione del giudice di primo grado, avrebbe « consumato l'azione disciplinare », con la conseguente illegittimità della salvezza dei poteri del primo Giudice a procedere a nuovo processo disciplinare, salvezza che, oltre tutto, suonerebbe rinvio al Consiglio,

provvedimento eccezionale nel nostro ordinamento pro

cessuale, e non consentito se non in casi espressamente pre veduti dalla legge.

Il Foro Italiano — Volume LXXXIV — Parle I-27.

tì) Si sostiene (2° mezzo) che, ammessa pure la natura

amministrativa delle decisioni disciplinari dei Consigli dell'Ordine professionale, ne deriva anche qui che il giudice

speciale, investito dalla impugnazione dell'atto, con il suo

provvedimento avrebbe consumato l'azione disciplinare, es

sendo esso competente illimitatamente a pronunciarsi tanto

sulla legittimità quanto sul merito del provvedimento impu

gnato. E pur non essendosi pronunciato sul merito, avrebbe

ugualmente consumato l'azione disciplinare, perchè della

omessa pronuncia (sul merito) nessuno si sarebbe lamentato

tempestivamente innanzi questa Corte suprema. Le due censure sono infondate.

In sintesi, si risponde alla prima, che non è affatto vero

che il potere disciplinare dei Consigli degli ordini sanitari

si eserciti attraverso un'attività giurisdizionale. La funzione

è di natura amministrativa, perchè svolta nei confronti

di appartenenti ad un gruppo organizzato, da un organo che di questo è diretta emanazione, e nell'interno del gruppo,

per violazione di interessi propri di questo. L'intervento

della giurisdizione avviene dopo l'esercizio del potere del

gruppo, a garanzia dei singoli ; ha luogo mediante l'esame

dell'atto amministrativo che ha posto termine al procedi mento. Per conseguenza non vi è doppio grado di giurisdi zione disciplinare, ma un procedimento amministrativo,

chiuso con un provvedimento e un processo in sede di impu

gnativa di questo, chiuso con sentenza

Nè è vero che l'azione disciplinare si consumi con l'in

tervento della giurisdizione. A questa può porre termine

o il giudicato che accorti o neghi la esistenza degli addebiti, o

la responsabilità disciplinare ; oppure quando è possibile la prescrizione dell'azione disciplinare. Finché non si avveri

l'una o l'altra ipotesi, il potere disciplinare può essere eserci

tato legittimamente dagli organi del gruppo, fino a quando non sia stato soddisfatto l'interesse pubblico tutelato da

quel potere. Le censure, peraltro, sono così complessamente artico

late, che occorre, a convincere della totale infondatezza

di esse (nonostante l'innegabile sforzo dialettico dei difen

sori del ricorrente), esaminarle e confutarle più partita mente.

Sul primo mezzo. Il patrocinio del Galeazzi Lisi tenta di

stabilire un parallelismo fra le norme che regolano i giudizi

disciplinari nei confronti dei medici e quelle relative al pro cedimento disciplinare concernente gli esercenti le profes sioni forensi, che questa Suprema corte ha ritenuto ripetuta mente di natura giurisdizionale. Aggiunge che, dal punto di vista sostanziale, non vi può essere potere disciplinare esercitato in sede amministrativa sugli esercenti le libere

professioni, perchè quel potere postula un rapporto interno

di gerarchia e l'esercizio di esso da parte del superiore sullo

inferiore ; mentre ogni rapporto gerarchico è escluso per i

professionisti, rispetto ai quali l'attività degli organi disci

plinari è sostitutiva in ordine al comportamento che i pro fessionisti medesimi sarebbero tenuti ad osservare sponta neamente. Il potere disciplinare vero e proprio sarebbe in

vece funzione primaria e diretta degli organi superiori. Fermandosi, per il momento, a questa parte degli argo

menti della difesa del ricorrente, si deve rilevare innanzi

tutto ohe, se è vero che con la sentenza n. 1070 del 1959

(Foro it., 1959, I, 959) questa Corte suprema ebbe a rite

nere (come già altre volte) che la funzione disciplinare* dei

Consigli degli Ordini forensi ha natura giurisdizionale ; è

d'altra parte da rilevare che essa ha con le sentenze mi. 1481

e 2893 del 1960 (id., Mass., 329, 648) affermato invece che

la detta funzione ha natura amministrativa, e che natura

amministrativa hanno i Consigli anche quando esercitano

la funzione disciplinare. Costantemente invece è stata rite

nuta la natura amministrativa dei Consigli degli Ordini

dei medici. Perde così consistenza l'argomento fondato sul

parallelismo delle funzioni e sulla necessità di unica qua lificazione di esse : la qualificazione è infatti già unica, nel

senso che si tratta, in entrambe le ipotesi, di funzioni

amministrative.

Tuttavia non è con un semplice richiamo ai precedenti che può dirsi esaurito l'obbligo della motivazione. E per tanto va aggiunto che la qualificazione anzidetta risponde

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403 PARTE PRIMA

esattamente alla natura degli enti, degli organi e della fun

zione che esercitano e del rapporto che lega il professionista alla sua corporazione. Non è vero, innanzi tutto (come si è

già detto), che unica fonte di un yincolo particolare, violato

il quale si incorra in un torto disciplinare, sia la subordi

nazione gerarchica : da un punto di vista più ampio basta,

perchè sorga il potere disciplinare, che vi sia un dovere di

natura specifica verso una collettività, alla quale si è le

gati da un vincolo particolare. L'appartenenza ad una collet

tività, infatti (e qui il discorso, che potrebbe essere fatto

più in generale, vuole essere limitato ai gruppi riconosciuti

dallo Stato, attivi anche nell'interesse pubblico), che, in

quanto è istituzione, è altresì ordinamento giuridico, crea

appunto rapporti fra il gruppo eretto in persona, e il singolo che concorre a formarlo, in virtù dei quali questi è tenuto

ai comportamenti richiesti dai fini istituzionali del gruppo. Questo ordinamento a sè tutela i propri fini direttamente ; e pur se nell'ambito di esso si profilano funzioni distinte e

poteri distinti (come, del resto, nell'unità dello Stato, i

diversi poteri) essi si esauriscono di norma nell'interno di

esso, come aspetto della sua attività complessiva, che è di

amministrazione. Tra questi poteri, tipico è quello di ricon

durre, attraverso la minaccia e l'irrogazione delle sanzioni, all'osservanza dei particolari doveri il singolo che se ne allon

tana. Il potere "disciplinare riconosciuto dalla legge è quindi

espressione diretta della rilevanza dei fini della istituzione

e dell'autonomia di essa. Di conseguenza (a meno che la

legge non disponga diversamente) anche la funzione disci

plinare dei Consigli degli Ordini professionali, al pari della

tenuta degli albi e simili, è amministrativa.

Per quel che concerne l'Ordine dei medici chirurghi, esso

è l'organizzazione in persona giuridica di questi professionisti, che esercitano un servizio di pubblica necessità, ai sensi

dell'art, 359, n. 1, cod. pen. (donde, la natura pubblica del

l'ente), i quali devono essere iscritti negli albi professionali, tenuti dal Consiglio (art. 8 e 7 decreto legisl. 13 settembre

1946 n. 233). Tra i beni dell'Ordine sono l'autonomia e il

prestigio ; alla conservazione di essi il Consiglio ha il dovere

e il potere di vigilare. Il professionista, per il solo fatto della

iscrizione, contrae il particolare dovere di non operare in

modo da recare pregiudizio a questo patrimonio morale.

La violazione di esso non può non essere repressa con san

zioni, che il Consiglio, organo nell'interno dell'Ordine, ir

roga. Così facendo il Consiglio non si sostituisce ad altri, ma

direttamente provvede : non si saprebbe, del resto, a chi

esso dovrebbe sostituirsi, posto che, esattamente come nel

procedimento disciplinare contro gli impiegati dello Stato o

di altri enti pubblici, la funzione è esercitata non solo dal

l'Ente, ma dallo specifico organo interno che cura la tutela

dell'interesse leso dal comportamento non conforme a

quello dovuto.

Basterebbero già le considerazioni ora esposte a confu tare l'assunto del ricorrente. Ma nel mezzo sono svolti

motivi di natura testuale, tratti dalla formulazione delle

norme regolamentari (decreto pres. n. 221 del 1951) che sem

brano a tutta prima risolutivi nel senso del carattere giuris dizionale della funzione, sicché appare opportuno rilevarne la reale inconsistenza.

Il ricorrente punta sulla qualificazione di « azione » data

all'esercizio del potere disciplinare ; sulla possibilità che

l'iniziativa dell'esercizio di essa parta anche dal prefetto e

dal procuratore della Repubblica, estranei all'ente; sulla pos sibilità di ricusazione dei membri del Consiglio con richiamo

alle norme del codice di procedura civile ; sulla possibi lità di ricorso a un collegio indubbiamente giurisdizionale contro i provvedimenti del Consiglio ; sulla denominazione

di « decisione » data al provvedimento ; sulla pienezza del

contraddittorio e sui poteri dell'incolpato ; sui requisiti della decisione ; sugli adempimenti posteriori (pubblica zioni, notificazioni alle parti ; comunicazioni al Pubblico

ministero) ; sulla possibilità di riesame del merito da parte della Commissione centrale, in sede di ricorso, che sarebbe

un vero appello. Nè la somma degli argomenti anzidetti, nè ciascuno

di essi hanno peso decisivo. In complesso, dalla qualificazione della funzione, dall'esercizio del potere, e dalle disposizioni

relative al procedimento, si può soltanto ricavare la conclu

sione che la decisione disciplinare, presa dai Collegi professio nali, cioè dai loro Consigli, ha natura contenziosa ed appar tiene alla categoria delle decisioni amministrative, che hanno

apparenza simile a quella delle pronunce giurisdizionali, co

me il procedimento ad esse relativo. Gli stessi requisiti è

dato riscontrare, per esempio, nel provvedimento svi ricorso

gerarchico : anche qui esiste un provvedimento impugnato dell'autorità inferiore ; un'istanza, un contraddittorio, una

decisione : e nessuno penserebbe che il giudizio innanzi al

Consiglio di Stato sia un giudizio di secondo grado. Presi uno per uno, poi, gli argomenti non hanno valore.

Che la legge chiami azione l'esercizio del potere non importa ch'essa si identifichi con l'omonimo potere di eccitare la

funzione giurisdizionale, perchè ciò che consta nel caso non è

il sostantivo (azione) ma l'aggettivo « disciplinare » che lo

qualifica, che è indice proprio dell'esercizio di un particolare

potere amministrativo.

Il fatto che l'iniziativa dell'azione possa spettare anche

ad organi dello Stato, se è segno della rilevanza pubblica dei doveri professionali, non toglie minimamente che il po tere di provvedere spetti al Consiglio dell'Ordine, organo in

terno di questo, che resta l'arbitro della tutela del prest g'o del gruppo.

La ricusazione poi, è ammessa, per esempio, anche nel

procedimento disciplinare contro gli impiegati dello Stato

(art. 149 decreto pres. n. 3 del 10 gennaio 1957) ; e nessuno, nemmeno il ricorrente, dubita della natura amministrativa di tale procedimento.

Il ricorso a un giudice speciale, inoltre, costituisce, ap

punto, un rimedio giurisdizionale contro un atto ammini

strativo, esattamente come il ricorso generale di legittimità o anche, nei casi consentiti, il ricorso per il merito al Con

siglio di Stato ; e l'ampiezza dei poteri del giudice speciale non è affatto indice della natura giurisdizionale dell'atto

impugnato, ma, se mai, della larghezza della tutela consen

tita al professionista. La denominazione di « decisione » non ha rilevanza,

perchè, oltre tutto, essa si attaglia esattamente alla natura

di decisione amministrativa dell'atto del Consiglio dell'Or

dine : e del resto la stessa denominazione è usata nella ru

brica dell'art. 115 decreto pres. 10 gennaio 1957 n. 3, in

rapporto al parere del Consiglio di disciplina degli impiegati dello Stato.

Quanto agli adempimenti posteriori essi non sono propri delle decisioni giurisdizionali, perchè anche gli atti dei proce dimenti amministrativi, talvolta anche se non terminativi,

sono soggetti a formalità per assicurarne l'immutabilità

formale e perchè siano portate a conoscenza degli interes

sati ; e le ipotesi del genere sono tanto numerose che appare anche superfluo accennarvi. Del resto, nel caso specifico le

formalità sono richieste dalla collegialità dell'atto e dalla

complessità di esso, Che non ne consente la reazione imme

diata (pubblicazione), e molto più dal principio del contrad

dittorio proprio del carattere contenzioso del procedimento

disciplinare. E in proposito basterà considerare quanto

più minuziose siano le regole sul procedimento disciplinare, contenute nello statuto degli impiegati civili dello Stato,

approvato con decreto pres. 10 gennaio 1957 n. 3, che pure, secondo una dottrina molto autorevole, non culmina nean

che in una decisione amministrativa, ma in una delibera

zione che ha valore di proposta ed ha certamente natura

amministrativa (cioè non giurisdizionale), per trarne la

conclusione che gli elementi formali e le somiglianze con i

processi veri e propri non sono sufficienti per trasformare

una funzione amministrativa in giurisdizionale. Sul secondo mezzo. Come si è già detto, non si può

ricorrere a criteri puramente nominalistici, basati sul

l'uso del termine « azione » da parte del legislatore, per de

durre che all'esercizio concreto del potere disciplinare si

attagli tutta la gamma di concetti elaborati dalla dottrina

processualistica sull'azione, come potere processuale, sia

essa civile, sia essa penale. La qualificazione « disciplinare », che delimita e definisce il sostantivo « azione » nell'art. 51

regolamento n. 221 del 1951, chiarisce esattamente che si

tratta del particolare potere spettante al Consiglio dell'Ordine

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405 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 406

di tutelare il prestigio dell'Ordine professionale dalla le

sione o dal pericolo ohe possono derivargli da comporta menti dei singoli professionisti, disdicenti al gruppo e non

conformi ai principi ai quali gli appartenenti al gruppo do

vrebbero ispirarsi. Questa tutela è diretta e immediata, anche se può essere

sollecitata da organi dello Stato : perchè e sempre al Consi

glio e solo al Consiglio che spetta di dire, se contro l'Ordine

e il suo prestigio alcunché sia stato commesso da chi all'Or dine appartenga, e la richiesta degli altri non toglie che l'ap

prezzamento definitivo spetti ad esso, e sempre nei con

fronti dei suoi iscritti, non già di terzi estranei. Separare quindi il concetto di « azione » dal suo qualificativo « disci

plinare » significa volere sconfinare arbitrariamente dal

campo del diritto amministrativo in quello del diritto pro cessuale, e mut are ad arte i termini del problema.

Se, dunque, si tratta di un vero e proprio potere ammini

strativo, l'esercizio del quale è eccezionalmente limitato

nel tempo, ne viene di conseguenza che, eliminato per ille

gittimità l'atto nel quale esso si concretò, questo possa essere

ripetuto, osservando la legge. Non è quindi il caso di consun

zione dell'azione, in senso processualistico. L'ente, infatti, finché creda conforme alle esigenze di pubblico interesse, di

restaurare il prestigio dell'Ordine ch'esso solo può giu dicare leso, potrà esercitare il suo potere, con il solo limite

della prescrizione o di un proscioglimento in sede di ricorso al giudice. Né vi è luogo a formazione di giudicato, per tutto

quanto si è detto innanzi circa il carattere amministrativo e non giurisdizionale del procedimento disciplinare ; e circa la portata, in questa causa, della sentenza della Commis

sione centrale.

Resta un ultimo addebito : che, cioè, la Commissione centrale non potesse, annullato l'atto, rinviare il G-aleazzi Lisi innanzi al Consiglio dell'Ordine, avendo essa il potere di conoscere e decidere anche del merito.

Questa censura, è, in realtà, soltanto adombrata e mossa

più che per altro per sostenere che la pronuncia della Com missione abbia gli effetti di una decisione di prosciogli mento. Ma essa è in ogni modo infondata.

Per poter giudicare del merito della causa, la Commis sione centrale avrebbe dovuto esaminare un provvedimento

legittimo, suscettibile appunto di esame nel merito. Il prov vedimento era invece illegittimo, e doveva essere annullato.

Esaminare il merito, con l'effetto di una semplice riforma non era concepibile rispetto a un atto annullabile, perchè il potere della Commissione centrale di giudicare nel merito comincia dove esiste un atto amministrativo legittimo, ma

travagliato di errore in indicando. I vizi in -procedendo eli

minano l'atto ; la situazione dell'incolpato torna qual'era prima della decisione annullata, così come l'Ordine conserva il potere di ripetere il procedimento.

Non va da ultimo taciuto che, sebbene la Commissione centrale abbia indubbiamente il potere di giudicare del me

rito, anche se volesse ritenersi ch'essa eserciti funzione di

giudice di secondo grado, non esiste, nel sistema del p?rti colare procedimento disciplinare, una regola, come quella dell'art. 354 cod. proc. civ., che faccia divieto, nel caso che si riscontri la nullità della decisione impugnata, al di fuori dell'art. 353, di rimettere all'autorità, dalla quale que sta proviene, il procedimento nel corso del quale l'atto an nullato fu emesso. Né risulta l'esistenza di un principio gene rale, in proposito, tale da poter valere nel campo di ogni forma di processo o di procedimento. La considerazione che

precede è valida a fortiori, se invece si ritiene, come questa Corte suprema ritiene, che l'atto impugnato è amministra tivo. La decisione della Commissione centrale, se annulla il provvedimento per il modo con il quale il potere è stato

esercitato, non tocca l'esistenza del potere, che rimane in tatto finché non si verifichi, come si è detto, la prescrizione o non si formi il giudicato sostanziale sull'eventuale suc cessivo provvedimento.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

n

La Corte, ecc. — Dev'essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, e ciò per la fondamentale ragione che nel caso

il provvedimento impugnato del Consiglio superiore fo rense non ha carattere giurisdizionale.

L'art. 3 decreto pres. 28 maggio 1947 n. 597 stabilisce clie il Consiglio nazionale forense decide dei conflitti di

competenza tra i Consigli dell'Ordine.

Trattasi di un'attribuzione predisposta per l'ordinato

svolgimento dell'esercizio delle funzioni pubbliche (tra cui

quelle disciplinari) cui sono istituzionalmente preposti gli Ordini professionali, e non è dubbio al riguardo che gli atti emanati dagli Ordini medesimi, nell'esplicazione di tale loro attività pubblica, sono atti amministrativi e non giuris dizionali. Su tal punto la giurisprudenza di questa Corte

suprema ha già da tempo fissato il principio, in fattispecie analoga, che i Consigli degli ordini (delle professioni sani

tarie) che pronunciano in materia disciplinare non sono

organi di giurisdizione speciale bensì organi amministrativi

(sentenza 2832 del 1955, Foro it., Rep. 1955, voce Profes sioni intellettuali, nn. 25, 28 ; n. 3393 del 1958. icl.. Rep. 1958, voce cit., nn. 50-53).

Alla stregua delle connate essenziali considerazioni rie sce agevole intendere che se la legge affi da a organi superiori (Consiglio nazionale forense) il compito di regolare la compe tenza degli organi inferiori, ossia di stabilire qual'è l'organo che ha potestà di formare la volontà dell'ente e di manife

starla, questo compito è destinato ovviamente a esaurire la propria funzione nell'ambito della particolare organizza zione amministrativa, come tale operante nell'ordinamento

generale, ditalcliè l'atto enunciatore della competenza deve considerarsi emesso con riferimento soltanto alla funzione

amministrativa, di cui s'intende regolare appunto l'ordinato

svolgimento, e quindi esso atto non può assumere altra natura che non sia quella propria della funzione medesima.

Nè, a scuotere tale conseguenza, può giovare il rilievo che contro le pronunce degli ordini professionali è ammesso

gravame a organo superiore (Comm. centrali ; Cons. naz.

forense), le cui decisioni sono poi soggette al ricorso per cas sazione a queste Sezioni unite. Perchè è da. considerare sostan zialmente che organo giurisdizionale speciale è, per l'ordina mento positivo, unicamente quello di grado superiore : il che implica essere presupposto indeclinabile del ricorso stesso una decisione di tale organo che abbia statuito defi nitivamente su posizioni di diritto soggettivo (iscrizioni e radiazioni dai relativi albi, sanzioni disciplinari) la cui vio lazione forma il contenuto della impugnazione.

Posto quindi che nel caso manca una statuizione in tal senso e che non è certo compito di questo Supremo collegio di regolare in via preventiva la competenza tra organi amministrativi, quali, ripetesi, sona i Consigli degli ordini

professionali, rimane riaffermata la inammissibilità dell'at tuale ricorso.

Per questi motivi, dichiara inammissibile il ricorso, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 14 marzo 1961, n. 562 ; Pres. Lorizio P., Est. Di Majo, P. M. Pisano (conci, conf.) ; de Barattis (Avv. Sotis) c. Procuratore gen. Corte app. Roma.

(Conferma App. Iioma 9 ottobre 1958)

Nobiltà (titoli di) — Sentenza straniera di ricono scimento di titolo nobiliare — Delibazione —

Inammissibilità (Costituzione della Repubblica, disp. trans. XIV).

Non può essere dichiarata l'efficacia in Italia di una sen tenza straniera (nella specie, del Tribunale commissariale di San Marino) che riconosca il diritto ad un titolo nobi liare ed a prerogative, qualifiche e trattamenti allo stesso connessi. (1)

(1) Questione nuova, a quanto risulta. Per informazione del lettore si precisa che, come risulta

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