Sezioni unite civili; sentenza 15 gennaio 1968, n. 80; Pres. Tavolaro P. P., Est. La Farina, P. M.Criscuoli (concl. conf.); Ditta Andretta (Avv. Javicoli) c. Russo; Russo (Avv. Capotorti, Viola) c.Ditta AndrettaSource: Il Foro Italiano, Vol. 91, No. 6 (GIUGNO 1968), pp. 1579/1580-1587/1588Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23157559 .
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1579 PARTE PRIMA 1580
art. 82 della legge n. 2248, all. F, del 1865) attinenti ai rap
porti di vicinanza tra proprietà pubblica e privata derivanti
dall'obiettiva situazione dei luoghi e a riguardo delle quali, pur non essendovi in dottrina e in giurisprudenza concordia sulla
qualificazione della posizione soggettiva, è più facile ipotizzare una situazione di diritto soggettivo; ed escluse, altresì', che l'at
tore pretendesse che fosse riconosciuta la trasformazione a
suo favore dell'accesso in servitù di passaggio, la domanda si
basava unicamente sul titolo, per cosi dire, che la qualità di
frontista dà all'uso delle strade e delle aree adiacenti sotto
l'aspetto della viabilità. Il Bodini, cioè, è bene ribadirlo, in
nanzi il giudice ordinario si è limitato a far valere la sua po sizione di frontista esclusivamente riguardo l'uso ordinario,
generale e comune, consentito cuivis de populo, delle strade
pubbliche e delle aree adiacenti, cioè di accedere, sostare, tran
sitare su esse sia a piedi sia con veicoli, e la pretesa alla de
claratoria di nullità della compravendita si traduceva nella
pretesa alla conservazione della demanialità del bene. Ora il
fatto che i frontisti facciano del demanio stradale un uso più
frequente non costituisce un fenomeno intrinsecamente di
verso, per qualità, dall'uso generale spettante a chiunque, per ché non varia la sostanza del fatto con la sua ripetizione. Tale
uso, pertanto, neppure per i frontisti sarebbe qualificabile, se
condo la dottrina prevalente, come diritto soggettivo (servitù di passaggio) sia perché non esiste norma di legge alcuna che
10 riconosca tale, sia, e soprattutto, perché esso non è con
nesso né è compreso nel diritto dominicale del frontista, il
quale esercita il transito su suolo non proprio ma pubblico, uti civis. Cosicché l'ente pubblico anche rispetto ai frontisti
è titolare e giudice degli interessi generali ai quali il suolo de
maniale deve soddisfare circa la viabilità, e non trova in ciò
limite alcuno di diritti soggettivi: tant'è, a non considerare i
divieti e le limitazioni previste anche dal codice stradale (art.
3-8), che si ritiene non esistere neppure per i frontisti rimedio
alcuno per omessa o difettosa manutenzione di strade pub
bliche, e la possibilità di transito su esse si estingue, in caso
di sdemanializzazione, senza che i cittadini possano dolersene,
salvo, per i frontisti, l'osservanza dell'art. 18 della legge sui
lavori pubblici, e l'eventuale trasformazione in servitù di pas
saggio di diritto privato della precedente situazione, come è
stato riconosciuto da questa Suprema corte (cfr. sent. n. 1178
del 17 maggio 1961, Foro it., Rep. 1961, voce Strade, n. 35). Se cosi non fosse, se, cioè, i frontisti avessero, come sostiene
11 ricorrente, un diritto soggettivo al mantenimento del dema
nio stradale anche per il solo transito, ne sarebbe addirittura
impossibile la sdemanializzazione.
Soltanto si ammette dalla dottrina, come dal Consiglio di
Stato, e questo Supremo collegio ritiene di dover accedere a
tale opinione, che il frontista è interessato all'uso della strada
pubblica anche uti singulus qualora sul bene demaniale ab
biano immediato o diretto accesso i suoi immobili. E per tale ragione gli si riconosce un interesse qualificato, più intenso
di quello della generalità, e cioè un interesse legittimo e, in
conseguenza, la facoltà di ricorrere al giudice amministrativo
per l'annullamento degli atti di sdemanializzazione di strade
pubbliche o di aree ad esse adiacenti, che egli ritenga illegit timi.
Ne consegue che siccome, in concreto, il Bodini non ha
fatto valere innanzi il giudice ordinario situazioni soggettive
configuragli come diritti soggettivi perfetti egli, pur avendo
interesse ad agire, doveva rivolgersi al Consiglio di Stato, come
del resto ha fatto.
Tutto ciò coincide con la decisione n. 493 del 14 ottobre
1961 resa dal Consiglio di Stato sul ricorso del Bodini con
il quale, pur essendosi impugnata la deliberazione dell'ammi
nistrazione provinciale di Cremona, in data 14 aprile 1959, di
vendere l'area in questione al Robusti (atto costituente il pre
supposto necessario alla conclusione del contratto), e non la
vendita avvenuta con il rogito del 16 luglio 1959, tuttavia la
posizione soggettiva fatta valere era quella stessa a tutela della
quale il Bodini agi davanti al giudice ordinario: l'interesse le
gittimo di frontista. La pronuncia, poi, del Consiglio di Stato
di annullamento della deliberazione amministrativa, non im
pugnata, è passata in giudicato sul merito prima che il pretore
si pronunciasse: quindi è passata in cosa giudicata la qualifi cazione giuridica d'interesse legittimo data dal giudice ammi
nistrativo alla situazione soggettiva dedotta dal Bodini come
causa petendi e, in conseguenza, anche l'affermazione della giu risdizione del Consiglio di Stato.
Ora la pronuncia sul presupposto (cioè l'annullamento della
deliberazione amministrativa) ha come effetto immediato l'in
validità del contratto di compravendita, essendo venuta sen
z'altro meno la volontà dell'ente pubblico di vendere: il
che rende irrilevante l'apparente diversità del petitum innanzi
al giudice ordinario (dichiarazione di nullità del contratto, in
base alla stessa causa petendi). Invero le parti sono le stesse,
non avendo rilevanza che, innanzi il Consiglio di Stato, contrad
dittore necessario fosse l'amministrazione provinciale di Cre
mona, una volta che questa è parte nella causa presente, come
nel giudizio amministrativo fu parte anche il Robusti quale
controinteressato, la cui presenza, in quella sede, era del resto,
altrettanto necessaria che in questa. L'unicità della situazione
soggettiva dedotta come titolo in entrambi i giudizi consente
di rilevare le differenze della fattispecie in esame con quella decisa con la sent. n. 1675 del 28 giugno 1966 pure di queste Sezioni unite (Foro it., 1967, I, 299), nella quale fu ravvisata,
invece, circa la controversia allora agitata, una duplicità di
situazioni soggettive, con duplicità conseguente di tutela.
Nel caso concreto essendo stata la giurisdizione già piena mente consumata dal Consiglio di Stato è superfluo dichia
rarla.
11 ricorso viene, pertanto, accolto per il difetto di giurisdi zione del giudice ordinario, rilevato d'ufficio. (Omissis)
Per questi motivi, dichiara il difetto di giurisdizione del
giudice ordinario e, in conseguenza, cassa senza rinvio la sen tenza impugnata e quella del primo giudice, ecc.
CORTE SUI'RKMA DI CASSAZIONE
Sezioni unite civili; sentenza 15 gennaio 1968, n. 80; Pres.
Tavolaro P. P., Est. La Farina, P. M. Criscuoli (conci,
conf.); Ditta Andretta (Avv. Javicoli) c. Russo; Russo
(Avv. Capotortj, Viola) c. Ditta Andretta.
(Conferma App. Bari 4 marzo 1964)
Delibazione — Competenza internazionale — Poteri della Cas sazione — Limiti (Cod. proc. civ., art. 360, 797, n. 1).
Competenza e giurisdizione in materia civile — « Lex fori »
del contratto — Obbligazioni dedotte in giudizio — Giu risdizione del giudice italiano — Sussistenza (Cod. proc. civ., art. 4, n. 2).
Competenza e giurisdizione in materia civile — Indebito og gettivo — Convenuto residente in Italia — Giurisdizione del giudice straniero — Insussistenza (Cod. proc. civ., art.
4, n. 2, 797, n. 1; cod. civ., art. 1182).
La Corte di cassazione, nell'accertamento della competenza in ternazionale del giudice in sede di delibazione, non può prendere in esame momenti di collegamento, per la prima volta prospettati, né riesaminare i documenti che dinanzi al
giudice della delibazione siano stati esibiti, dovendosi limi
tare, per contro, ad accertare che il giudice della deliba zione abbia osservato le norme sostanziali e processuali inerenti a quel giudizio. (1)
Il giudice italiano ha giurisdizione nei confronti dello stra
niero, ai sensi dell'art. 4, n. 2, cod. proc. civ., nel caso di una controversia avente per oggetto un contratto concluso all'estero e solo in parte eseguibile in Italia, anche se le
obbligazioni dedotte in giudizio siano diverse da quelle che
(1) Conf. Cass. 21 aprile 1966, n. 1015, Foro it., 1966, I, 1525, con nota di richiami, cui adde Cass. 12 ottobre 1965, n. 2123, id., Rep. 1966, voce Delibazione, n. 22.
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1581 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1582
si dovevano eseguire in territorio italiano, purché tra di
esse esista un collegamento non soltanto occasionale ed
estrinseco, ma intrinseco ed organico. (2) Non sussiste la giurisdizione del giudice straniero a cono
scere dell'azione di ripetizione per indebito oggettivo nei
confronti di convenuto residente nel territorio nazionale,
ove, come nella specie, tale indebito non sia precisato nel
suo ammontare, dovendosi, per tale effetto, considerare
luogo di esecuzione dell'obbligazione il domicilio del debi
tore, in conformità dell'art. 1182, 4° comma, cod. civ. (3)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto di
citazione notificato il 13 giugno 1960, la ditta Mario An
dretta, corrente in Monaco di Baviera, conveniva dinanzi la
Corte d'appello di Bari la ditta Luca Russo, corrente in Mar
gherita di Savoia, per sentire dichiarare l'efficacia della sen
tenza pronunciata il 15 dicembre 1959 dal Tribunale di Mo
naco di Baviera, con la quale il titolare della stessa ditta
Russo era stato condannato a pagare al predetto Andretta la
somma di 5.700,38 marchi tedeschi, con interessi e spese del
giudizio. Costituitosi in causa, il Russo deduceva che il rapporto
litigioso riguardava la fornitura di kg. 48.000 di patate, in
viate da esso Russo all'Andretta nel maggio 1958, e per la
quale lo stesso Andretta, come acconto sul prezzo, gli aveva
corrisposto 20.000 marchi tedeschi; che successivamente, pe
rò, l'Andretta aveva dichiarato che il ricavo netto della ven
dita della partita era stato di soli 6200 marchi tedeschi circa,
ed aveva preteso in restituzione, da esso Russo, la differenza
di marchi tedeschi 13.875, della quale somma parte era stata
realizzata, in Germania, attraverso sequestri ed esecuzioni ar
bitrarie, ed il residuo costituiva l'oggetto della condanna pro nunciata dal Tribunale di Monaco; che, in effetti, i ricavi
esposti dall'Andretta erano contrari alla realtà, e più bassi
di quelli realizzati, sicché doveva ritenersi che l'operazione avesse dato luogo ad un credito di esso convenuto verso la
ditta attrice. Eccepiva, inoltre, che, a norma dell'art. 797,
nn. 1 e 2, cod. proc. civ., non poteva essere dichiarata l'effi
cacia della sentenza tedesca, tra l'altro, perché il giudice tede
sco difettava di giurisdizione, e perché ad esso convenuto non
era stato assegnato un termine congruo a comparire; chie
deva, in subordine, a norma dell'art. 798 cod. proc. civ., il
riesame del merito della causa, per essere stata la sentenza
pronunciata in contumacia, e perché ricorreva il caso di dolo
dell'attore.
11 giudizio, interrotto per la sopravvenuta morte del Russo,
veniva riassunto nei confronti dei di lui figli ed eredi, Salva
tore ed Antonio.
Con sentenza pronunciata il 4 marzo 1964, la Corte d'ap
pello di Bari rigettava la domanda della ditta Andretta.
La corte considerava, tra l'altro, che, in relazione all'esame, da espletarsi anche d'ufficio, circa la ricorrenza delle con
dizioni previste dall'art. 797 cod. proc. civ., affinché possa essere dichiarata l'efficacia della sentenza straniera, non sus
sisteva né l'uno né l'altro dei due momenti di collegamento indicati dall'attore come idonei a radicare, secondo i prin
cipi sulla competenza giurisdizionale vigenti nell'ordinamento
italiano, la giurisdizione presso il giudice straniero. Non sus
sisteva, infatti, il momento di collegamento di cui all'art. 4,
n. 1, cod. proc. civ. (presenza, in loco, di un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell'art. 77
cod. proc. civ.); non sussisteva, nemmeno, quello di cui al
(2) Giurisprudenza costante: Cass. 29 aprile 1967, n. 799 (Foro it., 1967, I, 1517, con nota di richiami), citata nella motivazione della presente.
(3) Non risultano precedenti specifici; sui limiti d'applicabi lità dell'art. 1182, 4° comma, cod. civ. al campo della competenza territoriale interna, si rinvia ai precedenti elencati nella nota reda zionale a Cass. 21 aprile 1967, n. 1890, Foro it., 1967, I, 2042.
L'orientamento dottrinale, di cui le Sezioni unite fan parola nella motivazione corrispondente a questa terza massima, è espo sto da Quadri, Lezioni di diritto internazionale privato3, 1961, pag. 257 segg.
l'art. 4, n. 2 (luogo d'esecuzione della obbligazione). A que sto riguardo, era infondata la tesi dell'Andretta, secondo cui
l'obbligazione inerente alla restituzione della rimessa anti
cipata sul prezzo della partita di patate doveva essere ese
guita a Monaco e doveva intendersi collegata con altre obbli
gazioni contrattuali da eseguirsi a Monaco. Nel quadro della
complessa relazione commerciale (attività, da parte dell'An
dretta, di commissionario a favore del Russo, nel cui nome le
merci venivano vendute, e per il quale venivano anticipate le spese di nolo, dazio ed imposte, salva contabilizzazione
in saldo finale, tenuto conto delle provvigioni spettanti e de
gli acconti ricevuti) non risultava quale connessione la re
stituzione dell'anticipo del prezzo, nella specie versato a fa
vore del committente, avesse con quel complesso di obbliga zioni contrattuali; né, comunque, risultava che tale anticipo avesse generato un'obbligazione che fosse da eseguirsi al do
micilio del commissionario; ciò in quanto tornava applicabile l'art. 1182, 4° comma, cod. civ., mancando la determinazione
convenzionale o giudiziale dell'importo che si era chiesto, ap
punto, al giudice tedesco di accertare o liquidare. L'obbliga zione dedotta in giudizio si identificava, cosi, in un indebito
oggettivo, pel quale il luogo di adempimento, una volta accer
tati l'esistenza e l'ammontare del debito, doveva essere iden
tificato nel luogo del domicilio del debitore. (Omissis)
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo del ricorso
principale si deduce la violazione degli art. 797, n. 1, e 4,
n. 2, cod. proc. civ., nonché degli art. 1326, 1° e 2° comma, cod. civ.; falsa interpretazione ed applicazione dell'art. 2033
cod. civ.; violazione dell'art. 360, nn. 1, 3 e 5, cod. proc. civ.
La corte di merito, nell'indagare, d'ufficio, sull'esistenza dei
momenti di collegamento, non avrebbe tenuto conto: a) che
l'obbligazione di commissione era sorta in Germania, luogo in cui la proponente ditta Andretta aveva avuto, con l'annun
cio della spedizione e l'invio della merce, l'accettazione della
sua proposta, ex art. 1326, 1° comma, cod. civ.; b) che Mo
naco, a norma dell'art. 1182, 1° comma, cod. civ., era il
luogo di esecuzione dell'obbligazione, cioè della vendita della
merce; c) che la ditta Andretta era creditrice del saldo fi
nale risultante da molteplici titoli: provvigioni, nolo, dazio,
imposte anticipate, e, infine, differenza tra somma e spese
anticipate, nonché provvigione, da una parte, e importo rica
vato, dall'altra, e che, pertanto, la stessa ditta era abilitata a
convenire il debitore nel luogo del proprio domicilio in Mo
naco, ex art. 1182, 3° comma, cod. civ., norma, questa, appli cabile al pagamento di somme certe e determinate fin all'ori
gine, ancorché debbano essere oggetto di dichiarazione da
parte del giudice in base ad elementi certi e prestabiliti; d) che non avrebbe potuto ritenersi integrato un indebito ogget tivo in un caso in cui non mancava la causa contrattuale ori
ginale del pagamento, né essa era venuta successivamente me
no (il contratto aveva avuto il suo integrale svolgimento e
si era esaurito, non per risoluzione o per recesso, residuando
una ragione creditoria accertata dal giudice straniero nel ri
spetto della causa originaria del contratto e non per altra
diversa causa); da ciò, l'erronea conseguenza di avere ritenuto
applicabile l'ultimo comma dell'art. 1182 cod. civ., anziché il
1° e il 3° comma.
Il motivo è infondato. È opportuno, preliminarmente, ri
levare la erroneità del presupposto su cui è basato il ricorso dell'Andretta quanto all'ambito dei poteri della Corte di cassa
zione, ove si controverta, come nella specie, sulla sussistenza o sull'insussistenza delle condizioni necessarie, elencate nel
l'art. 797, affinché il giudice italiano possa dichiarare l'effi
cacia, nel territorio della Repubblica, di una sentenza stra
niera. Secondo il ricorrente, la Corte di cassazione, al cui
riesame sia sottoposta una sentenza di corte d'appello che ab
bia accertato la sussistenza o l'insussistenza di quelle condi
zioni, potrebbe pur sempre, sulla base dei documenti, degli atti
e degli altri elementi acquisiti al grado pregresso di giudizio, esercitare quegli ampi poteri di indagine e di accertamento
che le sono attribuiti ogni qualvolta si discuta dell'esistenza
dei presupposti processuali; sarebbe, in altri termini, giudice del fatto, con piena autonomia di giudizio di fronte alle con
siderazioni ed alla ratio decidendi della impugnata sentenza,
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PARTE PRIMA 1584
ed alla stessa impostazione delle difese delle parti in sede di
legittimità, e la sua decisione avrebbe valore immediato e di
retto di giudicato, con efficacia assorbente, in ogni caso di
fronte alla pronuncia del giudice sottordinato. Tale potestà della Cassazione di fronte ai problemi attinenti all'efficacia
della sentenza straniera, sarebbe tanto più da affermarsi ove
il thema decidendum consistesse nell'accertamento del punto se (art. 797, n. 1, cod. proc. civ.) il giudice dello Stato nel
quale la sentenza è stata pronunciata potesse conoscere della
causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale vi
genti nell'ordinamento italiano, riconducendosi, in tal caso, l'in
dagine, cosi assume il ricorrente, a quella riguardante la sus
sistenza del fondamentale e primario presupposto processuale, cioè della giurisdizione. Ma tale opinione non può essere ac
cettata, giacché, dati la natura, gli scopi e l'oggetto della « delibazione », le condizioni prescritte dall'art. 797 cod. proc. civ. non possono identificarsi con i presupposti processuali di un giudizio svoltosi in Italia, e della cui legittimità e ri
tualità la Corte di cassazione sia chiamata direttamente a
conoscere; ne deriva, in particolare, che la Corte di cassazio
ne, nell'accertamento, in sede di « delibazione », della compe tenza giurisdizionale per territorio del giudice straniero, non
ha gli stessi poteri che le sono attribuiti, invece, quando si
tratti della giurisdizione e della competenza dei giudici nazio
nali, ma deve limitarsi ad accertare se il giudice della « de
libazione » abbia osservato le norme di diritto processuale e
sostanziale relative a quel giudizio; conseguentemente, a par te l'eventuale esistenza di vizi logici e giuridici riconducibili
al motivo di ricorso ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., la
Cassazione non può riesaminare i documenti e gli altri ele
menti esibiti ed offerti alla corte d'appello a prova dell'esi
stenza della competenza giurisdizionale del giudice straniero,
per accertare se lo stesso giudice del merito li abbia bene
valutati ed apprezzati (Cass. 21 aprile 1966, n. 1015, Foro it.,
1966, I, 1525; 12 ottobre 1965, n. 2123, id., Rep. 1966, voce
Delibazione, n. 22; 15 maggio 1962, n. 1029, id., 1962, I, 1611; 17 settembre 1955, n. 2590, id., Rep. 1955, voce cit., n. 11).
Invero, il concetto risultante dall'art. 797, n. 1, cod. proc. civ., secondo il quale la competenza giurisdizionale del giudice stra
niero deve essere valutata secondo gli stessi criteri, desunti
dall'ordinamento italiano, che servirebbero a stabilire la com
petenza giurisdizionale del giudice italiano, ove la causa, aven te analoghi elementi di estraneità o di collegamento a tale or
dinamento, fosse portata alla cognizione di quest'ultimo giu dice, non trasforma un problema di concessione dell'efficacia della sentenza straniera in un problema di giurisdizione, né, tanto meno, in un problema di conflitto di giurisdizione tra il
giudice italiano e quello straniero.
Devesi aggiungere, giacché concetti in parte divergenti an
che a questo riguardo sembrano emergere dal ricorso in esame, che l'azione intesa a fare attribuire efficacia in Italia alla sentenza straniera è dominata dai normali criteri circa l'onere
probatorio incombente all'attore; questo deve provare, quindi, l'esistenza di quelle circostanze di fatto attraverso cui si rea
lizzano i presupposti giuridici della « delibazione »; pertanto, ove l'attore non riesca a provare la ricorrenza, in fatto, di uno di quei momenti alternativi di collegamento, che, a norma del combinato disposto degli art. 797, n. 1, e 4 cod. proc. civ., determinano la competenza giurisdizionale del giudice straniero, conseguenza inevitabile è il rigetto della domanda
(Cass. 18 giugno 1955, n. 1889, Foro it., Rep. 1955, voce
Delibazione, n. 10). D'altra parte, anche in rapporto al con trollo di mera legittimità cui è ristretta, come già si è detto, la funzione della Cassazione nella soggetta materia, una volta
negata dal giudice del merito l'efficacia alla sentenza straniera
per la ritenuta inesistenza in fatto del momento, o dei mo
menti, di collegamento invocati in quel grado di giudizio dal
l'attore, non può essere invocata per la prima volta, in sede di cassazione, l'esistenza in fatto di altri e diversi momenti di collegamento, valevoli, in via alternativa, a far riconoscere la giurisdizione del giudice straniero già denegata dalla corte
d'appello. Quest'ultima osservazione, insieme con quelle che precedo
no, vale a delimitare, in questa sede, il campo del riesame at
finente alla specie; invero, abbandonata con il ricorso l'asser
zione originaria che la competenza giurisdizionale del giudice straniero potesse essere radicata anche ex art. 4, n. 1 (pre
senza, nel territorio dello Stato federale tedesco, di un rap
presentante della ditta Russo, che fosse autorizzato a stare
ivi in giudizio, a norma dell'art. 77), non può il ricorrente,
avendo dinanzi la corte d'appello invocato soltanto l'altro
momento di collegamento, concorrente o alternativo, consi
stente nella circostanza che la domanda riguardava obbliga zioni da eseguirsi nel territorio della Repubblica federale
tedesca, dedurre per la prima volta in Corte di cassazione
e tentare di far ivi dichiarare che detta competenza potesse derivare anche, o esclusivamente, dalla diversa circostanza,
mai dedotta, né tanto meno provata nel precedente grado di
giudizio, che la domanda riguardasse obbligazioni sorte nel
medesimo territorio. Pertanto, questa Suprema corte non può
seguire il ricorrente nell'esposizione delle ragioni per cui do
vrebbe ritenersi perfezionato in territorio tedesco il contratto
più o meno complesso di rappresentanza, commissione o man
dato, dal quale deriverebbe l'obbligazione di pagamento di
somma di cui si discute; e, a parte quanto, per altro riflesso, sarà detto circa la contestata derivazione dell'obbligazione in oggetto da quel contratto, deve limitarsi a controllare la va
lidità del giudizio logico giuridico, in base al quale la corte
d'appello è stata indotta a negare che la domanda riguardasse obbligazioni da eseguirsi in territorio germanico.
Passando, adesso, all'altra tesi, quella sostenuta senza
successo dal ricorrente davanti alla corte di merito, che
l'azione si riferisse ad obbligazioni da adempiersi in territorio
germanico, si è già visto come tale tesi si fondi sul concetto che
l'obbligazione dedotta in giudizio dovesse essere qualificata come
contrattuale, che, cioè, il credito vantato dalla ditta Andretta
per differenza tra l'anticipo versato e il ricavo delle opera zioni di vendita derivasse direttamente dal contratto di com
missione, al pari dell'obbligo della ditta di ricevere la merce, di venderla in Germania per conto e, pare, in nome della
ditta Andretta, e degli obblighi della ditta Russo di corrispon derle le provvigioni e di rimborsarle nolo, dazio e imposte
pagate. A questo riguardo, la Suprema corte ritiene di dovere
ribadire il principio, costituente ormai ius receptum nella sua
giurisprudenza (ancorché non condiviso da parte della dot
trina), secondo il quale il criterio di collegamento consistente nel luogo di esecuzione dell'obbligazione, valevole per l'art.
4, n. 2, cod. proc. civ. a determinare la giurisdizione del giudice italiano (e correlativamente, ai fini del giudizio di « deliba zione », del giudice straniero che abbia emanato la sentenza), deve ritenersi applicabile tutte le volte che la domanda si
riferisca a contratti che siano fonti di obbligazioni che, pur non essendo sorte nel territorio dello Stato, debbano, anche solo in parte, essere eseguite nel territorio stesso, e ciò indi
pendentemente dal fatto che la specifica obbligazione concreta mente dedotta in giudizio non risulti tra quelle che avrebbero
dovuto essere adempiute in quel territorio. Tale criterio appare sorretto tanto dal principio dell'inscindibilità del rapporto con
trattuale, quanto dalla considerazione che, anche in questo caso, l'assoggettamento dello straniero alla giurisdizione del
magistrato italiano nelle controversie che abbiano per oggetto obbligazioni eseguibili all'estero, trovano giustificazione ogget tiva nell'interesse dello Stato di attribuire alla cognizione dei propri organi giudiziari tutti i rapporti, che, per qualche elemento soggettivo o materiale di collegamento col territorio
nazionale, siano idonei a spiegare effetti rilevanti per l'ordi namento giuridico dello Stato stesso. Tale interpretazione, già accolta, dopo il superamento di più antico contrasto di
giurisprudenza, sotto l'impero del codice di procedura civile del 1865, è stata ribadita dopo l'entrata in vigore del codice di procedura civile del 1942, osservandosi che, se con l'art.
4, n. 2, si fosse voluto, regolare la giurisdizione con rigoroso ed esclusivo riferimento alla specifica obbligazione dedotta in giudizio, sarebbe stata adottata la stessa formula dell'art. 20 cod. proc. civ., per il quale, ai fini della determinazione della competenza territoriale interna, viene, appunto, presa in considerazione la sola obbligazione « dedotta in giudizio »
(cfr., da ultimo, Cass. 29 aprile 1967, n. 799, Foro it., 1967,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I, 1517; 5 marzo 1965, n. 370, id., 1965, I, 1345; 16 maggio
1963, n. 1243, id., Rep. 1963, voce Competenza civile, nn. 26,
27). Ciò posto, e considerato che alcune delle obbligazioni derivanti dal contratto di commissione, e più particolarmente attinenti all'attività del commissionario, in modo indubbio do
vevano essere adempiute in territorio tedesco, sarebbe stato
sufficiente accertare la derivazione anche dell'obbligazione in
contesa da quel contratto per potere affermare la competenza
giurisdizionale del giudice tedesco; e ciò indipendentemente dalla circostanza che, secondo le norme di diritto sostanziale
(art. 1182 cod. civ.) vigenti nell'ordinamento italiano, l'obbliga zione pecuniaria specificamente contemplata dovesse essere
adempiuta, in uno o in altro luogo, in territorio italiano o
germanico. Senonché, tale elemento di « derivazione » è stato
negato dalla corte di merito in base ad un apprezzamento che,
rispondendo, da una parte, ad esatti concetti giuridici, e costi
tuendo, d'altra parte, logica e congrua valutazione degli ele
menti di fatto che erano a disposizione di quel giudice, sfugge ad ogni censura in questa sede.
Invero, le ragioni stesse di quella estensione della giu
risdizione del giudice italiano (o, correlativamente, del giudice
straniero) ad azioni con le quali si facciano valere obbliga
zioni diverse da quelle specificamente da eseguirsi nel terri
torio su cui si estende il potere di quel giudice, esigono, come
bene ha visto il giudice di merito, un collegamento non sol
tanto occasionale ed estrinseco, bensì organico e intrinseco con
quelle specifiche obbligazioni; a tale proposito, sono signifi
cative le esemplificazioni fatte, in tema di obbligazioni con
trattuali, dalla giurisprudenza (nonché da quella parte della
dottrina ad essa conforme), con l'indicazione delle obbliga
zioni corrispettive, delle obbligazioni accessorie, di quelle
conseguenziali ex lege, nonché di tutte le azioni costitutive
{annullamento, risoluzione, rescissione) derivanti dal contratto.
Ora, nella specie, né dagli scarsi elementi forniti dagli atti di
sponibili del processo svoltosi dinanzi al giudice tedesco (cita
zione, verbali, sentenza la quale ultima nemmeno menziona il
titolo giustificativo della condanna) né da quel minimo di
elementi di fatto con cui pur le parti hanno concordato nel
giudizio di « delibazione » (anticipo del prezzo della par
tita, da parte della ditta Andretta, alla speditrice ditta Russo)
è stato dato alla corte di merito di desumere se e quale col
legamento intrinseco, e non semplicemente occasionale, vi fosse
tra tale anticipo e le altre obbligazioni contrattuali e recipro
che, nascenti a carico dell'una e dell'altra parte dai rapporti
di rappresentanza, mandato o commissione; ciò tanto più
in quanto non inerisce alla struttura tipica di quei rapporti,
che si dicono, nella specie, ormai esauriti per ogni altro riflesso,
ed esula dalla normale prassi di affari, che il mandatario,
ecc. incaricato dal mandante della vendita della merce ne
anticipi a qualsiasi titolo il prezzo o il valore al man
dante stesso; né è risultato in alcun modo che tale anticipa
zione rispondesse ad una precisa clausola contrattuale, e fosse
giustificata da uno specifico titolo. Rimanendo ignoto, o, co
munque, non essendo stato provato il collegamento intrinseco,
funzionale, con il rapporto contrattuale e con le obbligazioni da eseguirsi in Germania, e, d'altra parte, profilandosi che la
ditta Russo dovesse restituire quella parte della somma anti
cipata, della quale la ditta Andretta non avesse potuto sod
disfarsi mediante la realizzazione del prezzo della merce in Ger
mania, bene la corte di merito ha inquadrato l'azione di
restituzione di somma (cosi definita dallo stesso attore sia
dinanzi al giudice straniero che dinanzi al giudice italiano) nella fattispecie ridotta e generale dell'indebito oggettivo, de
rivante da un pagamento indebito perché privo di causa (art.
2033 cod. civ.); in ciò scarsamente rilevando che l'indebito
potesse derivare dalla mancata realizzazione, o da una realiz
zazione del prezzo, da parte del solvens, sul mercato tedesco,
inferiore alle prospettive e alle aspettative.
Il ricorrente, ammessa in linea concessiva e subordinata
l'esistenza di un'obbligazione del tipo ritenuto dalla corte
d'appello (indebito oggettivo), deduce, poi, che anche riguardo ad obbligazioni di questa natura, quando abbiano per oggetto somme di denaro, sarebbe applicabile la norma dell'art. 1182, 3° comma, cod. civ., per cui l'obbligazione pecuniaria deve
Il Foro Italiano — Volume XCI — Parte /-101.
essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza; con il che emergerebbe, nella specie, a parte la connessione con altre obbligazioni contrattuali, il criterio di collegamento, desunto da una norma del nostro ordinamen
to sostanziale, con l'ordinamento germanico.
Ora, se è esatta l'affermazione concernente l'applicabilità della norma sopra citata anche alle obbligazioni pecuniarie da indebito (cfr. Cass. 22 febbraio 1957, n. 648, Foro it., 1958, I, 945; 22 febbraio 1957, n. 645, id., Rep. 1958, voce Compe tenza civile, n. 247), tuttavia, anche nell'ipotesi di indebito occorre rifarsi al costante orientamento giurisprudenziale di
questo Supremo collegio, per cui la norma stessa postula che si tratti di obbligazione di cui siano prestabiliti (in titolo convenzionale o giudiziale, o altrimenti) la misura e la sca
denza, in modo che possa considerarsi già liquida ed esigi bile, senza che sia necessaria alcuna ulteriore indagine in sede
giudiziaria; ché se, invece, l'obbligazione, pur avendo per og getto una somma di denaro, deve essere ancora accertata e
liquidata, la norma applicabile è quella dell'ultimo comma dell'art. 1182 cod. civ., che stabilisce come luogo di pagamento il domicilio del debitore (da ultimo, Cass. 19 luglio 1967, n. 1845, id., Rep. 1967, voce Pagamento, n. 5; 8 maggio 1967, n. 920, ibid., n. 7; 23 febbraio 1966, n. 565, id., Rep. 1966, voce cit., n. 6).
Né può tenersi conto del concetto, su cui particolarmente insiste il ricorrente nella specie, secondo il quale il luogo di
adempimento dell'obbligazione è pur sempre quello indicato dal 3° comma dell'art. 1182, allorché l'ammontare della somma,
pur non essendo esplicitamente indicato, può essere, tuttavia, agevolmente determinato mediante un semplice calcolo arit
metico, in base ad elementi precisi e tassativi stabiliti dal ti
tolo, o, comunque, predeterminati tra creditore e debitore e ad entrambi noti (cfr. le già citate sentenze n. 920 del 1967 e n. 565 del 1966).
Invero, nella specie, non avrebbe potuto parlarsi di deter minazione o di determinabilità, mediante un semplice calcolo
aritmetico, della somma da restituirsi; a questo proposito, deve osservarsi che, lungi dall'esservi un'obbligazione il cui am
montare fosse determinabile sulla base di elementi certi e
prestabiliti, fu necessario adire il giudice tedesco per fare ac certare e liquidare la somma per cui l'attrice vantava il cre
dito di restituzione, e che il parametro concreto alla cui stre
gua l'entità di tale credito avrebbe dovuto essere determinata
per differenza (prezzo effettivo di vendita della partita di mer ce sul mercato tedesco) è stato ed è tenacemente contestato
dalla controparte, la quale assume essere inesatta la misura del
prezzo indicata dalla ditta Andretta come ricavata dalla ven
dita, ed afferma che sia stato riscosso un prezzo ben maggiore, tale da superare, eventualmente, la stessa entità della somma
anticipata; finendo, poi, per prospettare, nell'indicazione del l'asserito falso prezzo, addirittura un comportamento doloso della controparte, tale da aprire l'adito (v. infra) al riesame del merito della controversia, a norma dell'art. 798 cod. proc. civ.
In conclusione, difettando la prova di una connessione con
obbligazioni contrattuali da eseguirsi in territorio germanico, e dovendo di per sé l'obbligazione essere eseguita in Italia, ex art. 1182, ult. comma, cod. civ., esattamente la corte d'ap pello ha negato la dichiarazione di efficacia alla sentenza de
qua. È opportuno, infine, notare che non viene nella specie in
considerazione il principio accolto dalla dottrina per cui, in
deroga al generale criterio della valutazione dei momenti di
collegamento, anche di diritto sostanziale, secondo la lex fori, la determinazione del luogo in cui l'obbligazione deve ese
guirsi va fatta, ai fini dell'art. 4, n. 2, cod. proc. civ., in base alla legge eventualmente straniera, dalla quale, secondo la norma di diritto internazionale privato, l'obbligazione è re
golata. Infatti, trattandosi di obbligazione non contrattuale, essa, a norma dell'art. 25, 2° comma, delle preleggi, è regolata dalla legge del luogo ove è avvenuto il fatto dal quale deriva
(cioè, in concreto, dalla legge italiana, essendo avvenuta paci ficamente in territorio italiano la ricezione della rimessa del
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1587 PARTE PRIMA 1588
prezzo), e non occorre, quindi, indagare se la legislazione ger manica adotti, in tema di determinazione di luogo di adem
pimento delle obbligazioni, norme difformi da quelle dettate
dall'art. 1182 cod. civ. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione III civile; sentenza 11 gennaio 1968, n. 65; Pres.
Vallillo P., Est. Bevilacqua, P. M. Raja (conci, parz.
diff.); Gamberini (Avv. Bonaccorsi) c. Venè (Avv. Balle
rini).
(Cassa Trib. Massa 7 novembre 1963)
Locazione — Immobili urbani — Proroga legale — Aumenti
di canone — Accettazione tacita da parte del conduttore —
Efficacia (Legge 23 maggio 1950 n. 253, disposizioni per le locazioni e le sublocazioni di immobili urbani, art. 16).
Locazione — Immobili urbani — Proroga legale — Aumenti
di canone — Limiti di applicabilità (Legge 1° maggio 1955 n. 368, norme in materia di locazioni e sublocazioni di immobili urbani, art. 2).
L'accettazione tacita da parte del conduttore degli aumen
ti del canone locatizio, prevista dall'art. 16 legge 23 maggio 1950 n. 253, ha efficacia per gli aumenti compresi entro i limiti di legge e non preclude eventuali contestazioni sul
canone base e sulla percentuale degli aumenti, quando que sta sia inferiore a quella legale. (1)
La misura massima del canone locatizio fissata dall'art. 2
legge 1° maggio 1955 n. 368, costituisce un limite agli aumenti previsti dalla legge stessa che non annulla i limiti delle maggiorazioni stabilite da leggi precedenti. (2)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso
del 19 febbraio 1960 Cesare Gamberini esponeva al Pretore
di Massa che nell'anno precedente aveva acquistato uno sta
bile sito in Massa in via Piastronata 12. Soggiungeva che l'ap partamento all'ultimo piano dello stabile era goduto in lo
cazione vincolata da Iole Venè e che la stessa non aveva cor
risposto gli aumenti legali del canone disposti dal 1949 in poi e che, anzi, non aveva neppure risposto alla lettera raccomandata con ricevuta di ritorno che egli le aveva diretto il 23 maggio 1959, richiedendole la corresponsione del canone dovuto dal 1° giugno 1959. Precisava che la Venè aveva seguitato a pagare il canone nella misura originaria di lire 1.500, maggiorandola del 20% dal 1° gennaio 1960. Chiedeva che la Venè fosse con dannata a pagargli la somma di lire 11.197, quale canone di locazione mensile, con decorrenza dal 1° giugno 1959, col favore delle spese.
All'udienza fissata la Venè non compariva. Dichiaratane la contumacia, il pretore, con sentenza 24 aprile-21 giugno 1961, accoglieva la domanda del ricorrente e condannava la Venè a corrispondere al Gamberini la somma di lire 11.197, quale canone di locazione mensile, a decorrere dal 1° giugno 1959. Riteneva il pretore che la mancata risposta della con
(1) Conf., oltre alla sentenza citata in motivazione: Cass. 13 agosto 1964, n. -2312, Foro it., Rep. 1964, voce Locazione, n. 250; 26 aprile 1962, n. 2122, id., Rep. 1962, voce cit., n. 396; 14 marzo 1960, n. 504, id., Rep. 1960, voce cit., n. 416; 22 giugno 1960, n. 1648, ibid., n. 415; 14 novembre 1959, n. 2833, id., Rep. 1959, voce cit., n. 384.
(2) Conf. Cass. 26 febbraio 1965, n. 312, Foro it., Rep. 1965, voce Locazione, n. 235; 10 agosto 1965, n. 1918, ibid., n. 236.
In dottrina, sebbene con riferimento all'art. 4, 4° comma, della stessa legge, Tabet, In tema di limiti massimi di aumento nelle locazioni (nota a Cass. 22 gennaio 1959, n. 155), id., 1959, I, 359.
duttrice alla raccomandata, con cui le erano stati chiesti gli aumenti importava accettazione degli aumenti stessi.
Proponeva appello la Venè sostenendo che la mancata ri
sposta alla lettera raccomandata non poteva far ritenere accet
tati gli aumenti, in quanto essa conduceva in locazione l'appar tamento da epoca anteriore alle leggi vincolistiche per il ca
none di lire 80 mensili ed in quanto, pur applicando tutti gli aumenti di legge, il canone da essa dovuto al 1° giugno 1959
non poteva superare le lire 1.552,70; che, comunque, essa do
veva soltanto corrispondere il canone di lire 1.500 mensili, in
quanto il precedente proprietario dell'immobile si era impe
gnato a non pretendere ulteriori aumenti.
Resisteva all'impugnazione il Gamberini, chiedendone il ri
getto con la conferma della sentenza appellata.
Il Tribunale di Massa, ammessa ed assunta una prova te
stimoniale dedotta dalla appellante per dimostrare che il ca
none di locazione del suo appartamento era originariamente di lire 80 mensili, con sentenza 29 ottobre 1963, in riforma
della decisione del pretore, determinava in lire 3.200 mensili, con decorrenza dal 1° giugno 1959, il canone che la Venè era
tenuta a pagare. Osservava il tribunale: a) che non poteva farsi derivare
dalla mancata risposta della Venè alla lettera raccomandata
del Gamberini del 23 maggio 1959 la conseguenza della tacita
accettazione del nuovo canone posto che gli aumenti richie
sti superavano il limite massimo consentito dalla legge; b) che
il canone iniziale di lire 80 mensili, pattuito prima delle
leggi vincolistiche, era stato consensualmente elevato dalle
parti a lire 1.500 con decorrenza dal 1° gennaio 1949, in con
seguenza delle riparazioni eseguite nello stabile dal prece dente proprietario; c) che tale aumento appariva legittimo ai sensi dell'art. 10 decreto legisl. luog. 12 ottobre 1945 n.
669; d) che sul canone così aumentato dovevano essere ope rati i successivi aumenti disposti dalle leggi di proroga, te
nendo peraltro presente il limite massimo del quarantuplo stabilito dall'art. 2, ult. comma, della legge 1° maggio 1955 n. 368. (Omissis)
Molivi della decisione. — Con il primo motivo di ri
corso, il Gamberini deduce la violazione dell'art. 16 della
legge 23 maggio 1950 n. 253, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Sostiene il ricorrente che la mancata risposta della Venè alla lettera raccomandata importava, per se stessa, accettazione degli aumenti del canone da lui chiestile.
Il motivo deve essere disatteso. Come già questa corte ha
affermato (cfr. sent. n. 792 del 1965, Foro it., Rep. 1965, voce
Locazione, n. 243), l'accettazione tacita da parte del condut
tore degli aumenti del canone locatizio vale soltanto per quelli che siano compresi nei limiti previsti dalle leggi vincolisti
che, ma non è preclusiva di eventuali contestazioni sul ca
none base e sulla percentuale degli aumenti corrisposti, o che si
pretende dover essere corrisposti, in misura superiore a quella legale. Nella fattispecie, ora sottoposta all'esame della corte, la Venè ha contestato il canone base: canone che (inoltre) il tribunale ha accertato essere stato, inizialmente, corrisposto in modo conforme a quanto assume la Venè. Onde la contesta zione della conduttrice Venè non risulta preclusa dalla di lei mancata risposta alla lettera raccomandata, direttale il 23
maggio 1959 dal Gamberini, con la indicazione del canone che egli pretendeva dovergli essere corrisposto, proprio per ché risulta essere stato contestato dalla conduttrice dell'im
mobile locato il canone base su cui quel calcolo era fondato.
Con il secondo motivo di ricorso il Gamberini deduce la violazione dell'art. 2, ult. comma, della legge 1° maggio 1955 n. 368 e dell'art. 3, ult. comma, della legge 21 dicembre 1960 n. 1521, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Sostiene il ricorrente che il tribunale, decidendo la controversia nel
l'ottobre 1963 in base all'art. 2 della legge n. 368 del 1955, non ha tenuto conto che quella norma non esisteva e non po teva spiegare i suoi effetti il 1° gennaio 1952 e che, inoltre, era stata abrogata dall'ultimo comma dell'art. 3 della legge n. 1521 del 1960.
Il motivo risulta fondato. Il tribunale ha definitivamente accertato in linea di fatto: a) che la locazione concerneva un immobile adibito ad uso di abitazione; b) che l'immobile
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