sezioni unite civili; sentenza 15 giugno 2005, n. 12797; Pres. Carbone, Est. Foglia, P.M. Palmieri(concl. conf.); Inps (Avv. Riccio, Di Lullo, Valente) c. Agostini (Avv. Concetti). Conferma App.Firenze 23 ottobre 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 11 (NOVEMBRE 2006), pp. 3201/3202-3209/3210Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201226 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
«In tema di deduzioni istruttorie concernenti la prova testi
moniale, il termine assegnato dal giudice istruttore ai sensi del
1° comma dell'art. 184 c.p.c. riguarda non solo la formulazione
dei capitoli, ma anche l'indicazione dei testi; una volta ammessa
la prova non è più possibile provvedere a detta indicazione od
integrare la lista testi eventualmente indicata tempestivamente; e l'unica attività processuale giuridicamente possibile circa le
prove ammesse consiste nell'assunzione delle medesime».
Il giudice di secondo grado non ha seguito tale principio di diritto; quindi la sentenza impugnata va cassata in relazione al
l'accoglimento (della suddetta parte) del primo motivo.
L'accoglimento (entro i limiti predetti) del primo motivo ha
ovviamente efficacia assorbente rispetto agli altri, dato che il
giudice del rinvio dovrà procedere ad una nuova decisione alla
luce del principio di diritto predetto e che le problematiche sol
levate con la parte sopra considerata del primo motivo si pon
gono «a monte» dal punto di vista logico e giuridico sia rispetto a quelle sollevate con le doglianze ulteriori contenute nel primo motivo (e concernenti essenzialmente l'utilizzabilità delle di
chiarazioni testimoniali rese da Rossi Angelo, la rilevanza di
ulteriori deposizioni e l'impostazione del ragionamento del tri
bunale) sia rispetto a quelle sollevate nei due motivi ulteriori
(riguardanti le spese di causa).
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 15 giugno 2005, n. 12797; Pres. Carbone, Est. Foglia, P.M.
Palmieri (conci, conf.); Inps (Avv. Riccio, Di Lullo, Valen
te) c. Agostini (Avv. Concetti). Conferma App. Firenze 23
ottobre 2001.
Previdenza e assistenza sociale — Pensioni integrate al mi
nimo — Requisito reddituale — Arretrati — Computabili
tà — Esclusione (Cost., art. 38; d.l. 12 settembre 1983 n.
463, misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari
settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni
termini, art. 6; 1. li novembre 1983 n. 638, conversione in
legge, con modificazioni, del d.l. 12 settembre 1983 n. 463, art. 1).
Ai fini della determinazione del limite di reddito, cui la legge subordina il diritto ali 'integrazione al trattamento minimo
delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbliga toria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, vanno esclusi
dal computo gli arretrati corrisposti sulla base dello stesso
titolo. (1)
(1) Le sezioni unite risolvono il contrasto insorto nella giurispruden za della sezione lavoro fra le sent. 1° marzo 2000. n. 2284, Foro it.,
Rep. 2000, voce Previdenza sociale, n. 784, e 2 agosto 2000. n. 10166.
ibid., n. 785 (che avevano affermato la computabilità secondo il criterio di cassa di tutti gli arretrati reddituali percepiti in ritardo e soggetti a
tassazione separata, ai fini dell'accertamento del limite di reddito cui è subordinata l'integrazione al minimo della pensione) e la sent. 12 ago sto 2004, n. 15701. id., Rep. 2004, voce cit., n. 1120. secondo la quale l'inclusione nel computo non è applicabile agli arretrati dovuti all'assi curato a titolo di integrazione al minimo.
Per la composizione di altro contrasto giurisprudenziale sull'applica bilità del limite reddituale, oltre il quale non si ha diritto all'integrazio ne al minimo, alle pensioni di invalidità riconosciute ai non vedenti, cfr. Cass., sez. un., 24 febbraio 2005. n. 3814. id., 2005, I. 1348, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 2006.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 15 giugno 2005, n. 12796; Pres. Carbone, Est. Foglia, P.M.
Palmieri (conci, diff.); Inps (Avv. Riccio, Di Lullo, Valen
te) c. Privitera (Avv. Boer). Conferma App. Firenze 16 no
vembre 2001.
Previdenza e assistenza sociale — Benefici previdenziali o
assistenziali — Erogazione subordinata a limite reddituale — Emolumenti arretrati — Computabilità — Limiti (Cost., art. 38; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e
disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, art.
12, 15; 1. 8 agosto 1995 n. 335, riforma del sistema pensioni stico obbligatorio e complementare, art. 3).
Nei casi in cui /'erogazione di benefici previdenziali o assisten
ziali sia rapportata ad un limite di reddito (eccettuati quelli in cui sia prevista un 'esplicita esclusione da specifiche norme
di legge, come nel caso dell'assegno sociale), la determina
zione di tale limite si effettua considerando anche gli emolu
menti arretrati percepiti in ritardo e soggetti a tassazione se
parata, ma non nel loro importo complessivo (criterio di cas
sa), bensì nelle quote maturate per ciascun anno di compe tenza. (2)
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 26 luglio 2000
Sestilia Agostini ha convenuto in giudizio dinanzi al Pretore di
Pistoia, in funzione di giudice del lavoro, l'Inps al fine di otte
nere il ripristino della cristallizzazione, a partire dall'anno 2000, della pensione diretta in godimento unitamente alla pensione di
reversibilità, con decorrenza anteriore al 30 settembre 1983.
Con sentenza del 15 gennaio 2001, il Tribunale di Pistoia, in
composizione monocratica, ha accolto la domanda.
Interposto appello da parte dell'istituto, la Corte d'appello di
Firenze ha confermato la decisione di prime cure, con sentenza
del 23 ottobre 2001.
La corte territoriale ha osservato che il superamento dei limiti
di reddito da cui era derivata la revoca del diritto alla cristalliz
zazione era dovuto al pagamento, nell'anno 1999, di arretrati da
parte dell'Inps a titolo di cristallizzazione dal 1° ottobre 1983 in
attuazione della sentenza n. 240 del 1994 della Corte costituzio
nale (Foro it., 1994,1, 2016), della pensione secondo le disposi zioni dettate dalla 1. 23 dicembre 1996 n. 662. Detta legge era
intervenuta proprio per porre rimedio alla prolungata morosità
dell'istituto, sicché detta morosità non poteva ritorcersi a danno
del pensionato laddove il requisito reddituale non fosse superato tenendo conto degli importi pensionistici maturati annualmente.
Propone ricorso per cassazione l'Inps sulla base di un unico
motivo con il quale denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 6 d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito nella 1. 11
novembre 1983 n. 638 e dell'art. 4 d.leg. 30 dicembre 1992 n.
503, modificato dall'art. 11, 38° comma, 1. 24 dicembre 1993 n.
537, dal momento che la sentenza impugnata non ha considerato
che, in base alla citata normativa, per le pensioni con decorrenza
fino al 31 dicembre 1993 rimane in vigore, ai fini dell'integra zione al trattamento minimo, la precedente disciplina che preve de la valutazione del solo reddito personale, con esclusione dei
trattamenti di fine rapporto, del reddito della casa di abitazione
e dell'importo della pensione da integrare al minimo, ma non
(2) La decisione che si riporta, supera l'adozione giurisprudenziale del c.d. criterio di cassa, nella determinazione del limite reddituale pre visto per l'erogazione di qualsiasi beneficio previdenziale o assisten
ziale, per cui v. Cass. 27 aprile 2001, n. 6126, Foro it., Rep. 2001, voce
Previdenza sociale, n. 648; 10 marzo 2001, n. 3552, ibid., n. 375; 12
luglio 1995, n. 7624, id., Rep. 1996, voce cit., n. 741; 27 aprile 1996, n.
3918, id., 1996, I, 3361, con nota di richiami. L'introduzione di tale
criterio, e dei suoi effetti distorsivi, risale a Corte cost. 8 giugno 1992, n. 258, id., 1992,1, 2923, con nota di richiami.
Sulla distinzione dell'ipotesi della pensione sociale, per la quale il
limite di reddito è determinato computando anche gli arretrati, da
quella dell'assegno sociale, con riferimento al quale l'art. 3, 6° comma, I. 335/95 ne esclude il computo, v. Cass. 24 marzo 2004, n. 5936, id..
Rep. 2004, voce cit., n. 1063.
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3203 PARTE PRIMA 3204
delle competenze arretrate soggette a tassazione separata. Tale
criterio — secondo il ricorrente — ha il suo fondamento nella
formulazione letterale del 2° comma dell'art. 6 d.l. 463/83, co
me sostituito dall'art. 4 d.leg. 503/92, che prevede l'ultrattività
della disciplina previgente. Resiste l'intimata con controricorso ulteriormente illustrato
con memoria ex art. 378 c.p.c. Investito della questione, il collegio, preso atto che sui prin
cipi invocati dall'istituto ricorrente si è verificato un contrasto
nell'ambito della stessa sezione lavoro, ha rimesso gli atti al
primo presidente il quale ha assegnato la causa alle sezioni
unite.
Motivi della decisione. — La questione specifica sulla quale le sezioni unite di questa corte sono chiamate a pronunciarsi può essere così sintetizzata: se ai fini del computo del reddito annuo
stabilito per l'integrazione al minimo, devono essere computate anche le somme percepite dall'assicurato a titolo di correspon sione di arretrati della cristallizzazione.
La problematica è stata sollevata in base al presupposto che
la tematica del computo del reddito riveste carattere generale e
riguarda, in realtà, tutte le prestazioni previdenziali e assisten
ziali. Il contrasto è stato ravvisato in relazione al principio affer
mato dalla sezione lavoro nelle sentenze n. 2284 del 1° marzo
2000 {id., Rep. 2000, voce Previdenza sociale, n. 784) e n.
10166 del 2 agosto 2000 (ibid., n. 785), secondo le quali ai fini dell'accertamento dei limiti reddituali cui è subordinata l'inte
grazione al minimo dei trattamenti pensionistici, la previsione di
esclusione dal computo dei redditi delle competenze arretrate
sottoposte a tassazione separata è applicabile anche ad arretrati
riferiti a ratei di pensione maturati prima del 1993 ma pagati in
anni successivi, dovendosi dar valore — atteso il richiamo nor
mativo al regime fiscale delle entrate — al momento del paga mento e non a quello di maturazione dei ratei (criterio di cassa e
non di competenza). Sul piano normativo va tenuto presente che l'art. 6, 1° com
ma, d.l. 463/83, convertito in 1. 638/83, così disponeva: «A decorrere dal 1° ottobre 1983, l'integrazione al tratta
mento minimo delle pensioni a carico dell'assicurazione gene rale per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori di
pendenti, delle gestioni sostitutive, esonerative ed esclusive
della medesima, nonché delle gestioni speciali per i commer
cianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, della
gestione speciale minatori e dell'Enasarco, non spetta ai sog
getti che posseggono redditi propri, assoggettabili all'Irpef per un importo superiore a due volte l'ammontare annuo del tratta
mento minimo del fondo pensioni lavoratori dipendenti, calco
lato in misura pari a tredici volte l'importo mensile in vigore al
1° gennaio di ciascun anno.
Dal computo dei redditi sono esclusi il trattamento di fine
rapporto, e il reddito della casa di abitazione. Non concorre alla
formazione dei redditi predetti l'importo della pensione da inte
grare al minimo».
L'art. 4, comma 1 bis, d.leg. 30 dicembre 1992 n. 503 (sosti tutivo dell'art. 6, 1° comma, che precede) ha disposto: «Dal
computo dei redditi sono esclusi i trattamenti di fine rapporto, il
reddito della casa di abitazione e le competenze arretrate sotto
poste a tassazione separata. Non concorre alla formazione dei
redditi l'importo della pensione da integrare al minimo» (questa
disposizione opera solo dal 1° gennaio 1993, data, questa proro
gata al 31 dicembre 1993 ad opera dell'art. 11, 38° comma, 1. 24
dicembre 1993 n. 537). Il 2° comma stabilisce però che rimane in vigore la previ
gente disciplina per i pensionati in essere alla data del 31 di
cembre 1992.
Nella fattispecie oggetto della sentenza impugnata l'assicu
rata (Sestilia Agostini) era pensionata alla data del 31 dicembre
1993: ne consegue che, secondo le disposizioni appena richia
mate, ad essa non è applicabile la disciplina innovata nel 1992, ma quella del 1983 che non escludeva gli arretrati della cristal
lizzazione sottoposte a tassazione separata. Ciò premesso, queste sezioni unite ritengono più appropriata
la soluzione adottata dalla sezione lavoro della corte (sentenza del 12 agosto 2004, n. 15701, id., Rep. 2004, voce cit., n. 1120) la quale, con riferimento ad una ipotesi del tutto identica (in cui
le competenze arretrate del cui computo si discuteva consiste
II Foro Italiano — 2006.
vano negli arretrati di integrazione al minimo della stessa pen sione che è stata poi riportata a calcolo per effetto della corre
sponsione di tali arretrati) ha affermato che la questione va ri
solta non con la scelta del criterio di cassa al posto di quello di
competenza essendo pacifico che la nuova norma dell'art. 4
d.leg. 503/92 opera testualmente solo dal 1° gennaio 1993 (nel caso esaminato dall'appena citata sentenza il superamento del
reddito a causa degli arretrati si era realizzato nel 1987) ma con
siderando il principio secondo il quale il pagamento della stessa
prestazione oggetto dell'obbligazione di legge (l'integrazione al
minimo) non può essere ostativo all'adempimento dell'obbliga zione atteso che la condizione effettiva, di concreta, attuale di
sponibilità di mezzi economici (che anche secondo la sentenza
n. 258 del 1992 della Corte costituzionale, id., 1992,1, 2923, va
valutata per stabilire la spettanza o meno della prestazione pre
videnziale) non può che riguardare redditi diversi dalla presta zione previdenziale stessa.
Nella medesima linea, va ulteriormente valutata la disposi zione — contenuta nell'art. 6, 1° comma, d.l. 463/83 secondo
cui non concorre alla formazione dei redditi l'importo della
pensione da integrare al minimo. Dal che consegue che non pos sono concorrere al medesimo risultato gli arretrati dell'integra zione medesima, dal momento che quest'ultima altro non è che
una componente della pensione stessa.
Come noto, la c.d. «integrazione al minimo» della pensione risale alla 1. 4 aprile 1952 n. 218 che intervenne sul sistema pen
sionistico, all'epoca scarsamente idoneo — per sua struttura,
oltre che per effetto dell'inflazione particolarmente vistoso nel
dopoguerra — a realizzare una tutela effettiva e rispettosa del
principio costituzionale dettato dall'art. 38 Cost. Il regime pen
sionistico, commisurato fondamentalmente alle contribuzioni
versate, non consentiva infatti ad una larga schiera di lavoratori
non più occupati di fruire di prestazioni rispondenti alle loro più elementari esigenze di vita.
11 trattamento minimo, come disciplinato dalla 1. 218/52, era
erogato senza alcuna condizione relativa al reddito complessivo del pensionato: l'unica limitazione, stabilita nell'art. 10, riguar dava i titolari di più pensioni.
L'art. 23 1. 30 aprile 1969 n. 153 stabilì che al titolare della
pensione di reversibilità, titolare anche di pensione diretta, era
garantito il trattamento minimo sulla pensione diretta, mentre
quella di reversibilità era corrisposta a calcolo, senza integra zione.
A seguito di una serie di sentenze della Corte costituzionale
che, a partire da quella n. 263 del 29 dicembre 1976 (id., 1977,
I, 566), consentì l'integrazione al minimo di più pensioni, alme
no fino all'entrata in vigore del d.l. n. 463 del 1983, convertito
con 1. n. 638 del 1983, numerosissimi pluripensionati hanno ot
tenuto dall'Inps — anche a seguito di azioni giudiziarie
—
l'integrazione al minimo delle pensioni fruite e la c.d. cristalliz
zazione, a partire dall'entrata in vigore del citato d.l., della pen sione non più integrabile, vale a dire il blocco dell'importo per
cepito alla data del 30 settembre 1983 sino al riassorbimento di
tale importo per effetto degli aumenti conseguenti alla perequa zione automatica.
Nella fattispecie in esame risulta — secondo la ricostruzione
offerta dalla sentenza impugnata — che l'assicurata, titolare di
pensione diretta e di pensione di reversibilità, aveva ottenuto
l'integrazione al minimo della prima pensione, cristallizzata dal
1° ottobre 1983, in conseguenza della sentenza 240/94 della
Corte costituzionale, cit., e secondo le disposizioni dettate dalla
1. 23 dicembre 1996 n. 662, intervenuta proprio per porre fine
alla prolungata morosità dell'Inps. Nel 1999 l'Inps provvedeva materialmente al pagamento degli arretrati dell'integrazione al
minimo integrante la cristallizzazione, sennonché detto versa
mento, effettuato in un'unica soluzione comportò il supera mento dei limiti di reddito dell'assicurata, con conseguente re
voca della cristallizzazione a partire dall'anno 2000.
L'iniquità della vicenda è stata rimarcata dalla corte territo
riale la quale ha rilevato come, intervenuta la 1. 662/96 allo spe cifico fine di porre rimedio alla prolungata morosità dell'Inps in
ordine agli adempimenti conseguenti alla citata sentenza della
Corte costituzionale, detta morosità non può ritorcersi a danno
del pensionato laddove il requisito reddituale non sia superato tenendo conto degli importi pensionistici maturati annualmente.
In sostanza — sottolinea la Corte di appello di Firenze — si
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tratta di una ricchezza maturata gradualmente negli anni prece denti alla liquidazione e soggetta a tassazione separata: come
tale, di per sé inidonea a far superare il requisito reddituale agli effetti della conservazione della pensione integrata con il crite
rio della cristallizzazione ai sensi dell'art. 6, 7° comma, 1. n.
638 del 1983 (cfr. Cass. 1° marzo 2000, n. 2284, cit.). Ritiene tuttavia questa corte che l'iniquità della revoca della
cristallizzazione, piuttosto che dipendere dall'applicazione del
criterio di «cassa», anziché di quello di «competenza» operata dall'istituto, deriva dalla natura stessa dell'arretrato corrisposto nel 1999, il quale, avendo ad oggetto l'integrazione al minimo
di una delle due pensioni godute dall'assicurata, comporta che
di tale arretrato non possa tenersi conto proprio per volontà
della legge secondo la quale «non concorre alla formazione dei
redditi predetti l'importo della pensione da integrare al minimo»
(art. 6, 1° comma, 1. n. 638 del 1983, cit.): ed infatti, come non
concorre alla formazione dei redditi l'importo della pensione non integrata, così non può concorrervi l'importo della pensione
integrata. Le conseguenze di un'opposta soluzione sarebbero aberranti:
pagando in ritardo l'integrazione al minimo e la cristallizzazio
ne della pensione integrata al 30 settembre 1993, l'Inps impedi rebbe il diritto al mantenimento della cristallizzazione per il pe riodo successivo, mentre ciò non avverrebbe se il pagamento fosse stato tempestivo (così la citata sentenza 15701/04).
Le argomentazioni fornite dalla sentenza da ultimo citata as
sorbono, superandole, le considerazioni esposte dalla più sopra citata sentenza di questa corte del 1° marzo 2000, n. 2284, che
pure ha concorso ad acuire il contrasto giurisprudenziale regi strato in materia.
Secondo questa sentenza, infatti, ai fini dell'accertamento dei
limiti reddituali cui è subordinata l'integrazione al minimo dei
trattamenti pensionistici, la previsione di esclusione dal com
puto dei redditi delle competenze arretrate sottoposte a tassazio
ne separata è applicabile anche ad arretrati riferiti a ratei di pen sione maturati prima del 1993, ma pagati in anni successivi do
vendosi dar valore — atteso il richiamo al regime fiscale delle
entrate — al momento del pagamento e non a quello di matura
zione dei ratei.
È evidente che la tesi sviluppata dalla sentenza 15701/04, cit., escludendo ogni incidenza degli arretrati delle integrazioni al
minimo sui livelli di reddito compatibili per l'erogazione delle pensioni da integrare al minimo, sia nel regime disciplinato dalla 1. 638/83, sia in quello introdotto dal d.leg. n. 503 del 1993, supera la distinzione operata dalla sentenza 1° marzo
2000, n. 2284 tra momento del pagamento degli arretrati (crite rio di cassa) e quello di maturazione dei ratei (criterio di com
petenza). Per completezza va, peraltro, ricordato che la riforma del
1995 ha abolito l'istituto dell'integrazione al minimo (art. 1, 16° comma, 1. n. 335 del 1995) ma la disposizione interessa solo
coloro le cui pensioni (di vecchiaia, di invalidità ed ai superstiti) vanno liquidate completamente con il sistema contributivo e,
quindi, soltanto i lavoratori assunti dal 1° gennaio 1996 in poi e, eventualmente, quelli che, pur avendo titolo ad usufruire della
precedente disciplina, continuando a lavorare, optino per la
nuova (art. 23 1. cit.). Da quanto precede deve condividersi — sia pure con diversa
motivazione — la soluzione patrocinata dalla sentenza impu
gnata, e, in questi termini, dunque, va respinto il ricorso.
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 22 marzo 2000
Privitera Angela ha convenuto in giudizio dinanzi al Pretore di
Arezzo, in funzione di giudice del lavoro, l'Inps al fine di otte
nere il ripristino della pensione sociale, revocata per supera mento dei limiti di reddito nell'anno 1997, a seguito della corre
sponsione di arretrati di pensione di reversibilità del defunto
marito.
Con sentenza del 18 dicembre 2000, il Tribunale di Arezzo ha
accolto la domanda.
Interposto appello da parte dell'istituto, la Corte d'appello di
Firenze confermava la decisione di prime cure, con sentenza del
16 novembre 2001.
Il Foro Italiano — 2006.
La corte territoriale ha osservato che seppure la normativa in
tema di pensione sociale individua i limiti di reddito con riferi mento a quello assoggettabile all'Irpef, tuttavia il parametro va
usato con riferimento ad un reddito comunque riconducibile al
l'anno preso in considerazione, ovvero ad un reddito reale, indi
pendentemente dai crediti eventualmente riscossi nell'anno di
riferimento ma afferenti ad epoche precedenti.
Propone ricorso per cassazione l'Inps sulla base di un unico
motivo con il quale denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 26 1. 30 aprile 1969 n. 153, nonché degli art. 12 e 13 1. 30 marzo 1971 n. 118 e ancora il vizio di motivazione, rilevan
do che gli arretrati, per di più corrisposti da altro ente, vanno
conteggiati secondo il criterio di cassa e non già secondo quello di competenza.
L'assicurata ha resistito con controricorso, seguito da memo
ria illustrativa ex art. 378 c.p.c. Investito del ricorso, il collegio, preso atto che sui principi
invocati dall'istituto ricorrente si è verificato un contrasto nel
l'ambito della stessa sezione lavoro, ha rimesso gli atti al primo
presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite, poi
disposta, ai sensi dell'art. 374 c.p.c. Motivi della decisione. — La questione specifica sulla quale
queste sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi può essere
così sintetizzata: se ai fini del computo del reddito annuo stabi
lito per il diritto alla pensione sociale, devono essere computate anche le somme percepite dall'assicurato a titolo di correspon sione di arretrati della pensione di reversibilità.
Va precisato che il contrasto è stato ravvisato in relazione al
principio affermato dalla sezione lavoro nelle sentenze n. 2284
del 1° marzo 2000 (Foro it., Rep. 2000, voce Previdenza socia
le, n. 784) e n. 10166 del 2 agosto 2000 (ibid., n. 785), secondo le quali ai fini dell'accertamento dei limiti reddituali cui è su bordinata l'integrazione al minimo dei trattamenti pensionistici, la previsione di esclusione dal computo dei redditi delle com
petenze arretrate sottoposte a tassazione separata è applicabile anche ad arretrati riferiti a ratei di pensione maturati prima del
1993 ma pagati in anni successivi, dovendosi dar valore — atte
so il richiamo normativo al regime fiscale delle entrate — al
momento del pagamento e non a quello di maturazione dei ratei.
La problematica viene, tuttavia, sollevata in base al presuppo sto che la tematica del computo del reddito riveste carattere ge nerale e riguarda, in realtà, tutte le prestazioni previdenziali e
assistenziali, sicché può essere affrontata anche nel presente
giudizio il quale riguarda non gli arretrati dell'integrazione al
minimo (per i quali la soluzione — adottata da queste sezioni
unite in causa Inps c. Agostini, r.g. n. 8330/2002 nella medesi
ma udienza del 21 aprile 2005, che precede — ha seguito una
diversa linea logico-giuridica escludendosi in radice l'incidenza
di quegli arretrati sul computo dei limiti di reddito, in conside razione del fatto che detti arretrati, costituendo parte integrante della stessa pensione da integrare, ne condividono il trattamento
e seguono la stessa disciplina dell'art. 6, 1° comma, 1. 638/83
che espressamente esclude dalla formazione dei redditi l'im
porto della pensione da integrare al minimo) ma arretrati della
pensione di reversibilità percepita dalla intimata, Privitera, co
niuge superstite, decorrenti dal 1° novembre 1996, e corrisposti nell'anno 1997, dai quali è conseguita l'impugnata revoca della
pensione sociale.
Occorre premettere, sul piano normativo, che l'art. 26 1. 30
aprile 1969 n. 153 prevedeva che «ai cittadini italiani, residenti
nel territorio nazionale, che abbiano compiuto l'età di sessanta
cinque anni, che non risultino iscritti nei ruoli dell'imposta di
ricchezza mobile e — se coniugati — il cui coniuge non risulti
iscritto nei ruoli dell'imposta complementare sui redditi, è cor
risposta, a domanda, una pensione sociale non reversibile di lire
156.000 annue da ripartire in tredici rate mensili di lire 12.000
ciascuna, a condizione che non abbiano titolo a rendite o presta zioni economiche previdenziali, con esclusione degli assegni familiari, od assistenziali, ivi comprese le pensioni di guerra, con l'esclusione dell'assegno vitalizio annuo agli ex combat
tenti della guerra 1915-18 e precedenti, erogate, con carattere di
continuità, dallo Stato, da altri enti pubblici o da paesi esteri e
che, comunque, non siano titolari di redditi a qualsiasi titolo di
importo pari o superiore a lire 156.000 annue, dal calcolo dei
redditi è escluso il reddito dominicale della casa di abitazione».
Tale norma è stata sostituita dall'art. 12, 2° comma, i. 30
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3207 PARTE PRIMA 3208
marzo 1971 n. 118 — pensione di inabilità — il quale prevede
che «le condizioni economiche richieste per la concessione della
pensione sono quelle stabilite dall'art. 26 1. 30 aprile 1969 n.
153, sulla revisione degli ordinamenti pensionistici». L'art. 13 della legge, regolando l'assegno mensile, prevede
anch'esso l'esclusione dal calcolo dei redditi del reddito domi
nicale della casa di abitazione.
Va da ultimo tenuto presente che, secondo l'art. 3, 6° comma, 1. 8 agosto 1995 n. 335, «Con effetto dal 1° gennaio 1996, in
luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai
cittadini italiani ... è corrisposto un assegno di base non rever
sibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari ... de
nominato assegno sociale. Se il soggetto possiede redditi propri
l'assegno è attribuito in misura ridotta fino alla concorrenza
dell'importo ... I successivi incrementi del reddito oltre il li
mite massimo danno luogo alla sospensione dell'assegno so
ciale. Il reddito è costituito dall'ammontare dei redditi coniugali conseguibili nell'anno solare di riferimento. Alla formazione
del reddito concorrono i redditi — al netto dell'imposizione fi
scale e contributiva, di qualsiasi natura ... non si computano nel
reddito i trattamenti di fine rapporto ... le anticipazioni sugli
stessi, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione».
L'orientamento prevalente, ribadito anche recentemente in
alcune decisioni, è nel senso di ritenere che in ogni caso di tu
tela previdenziale rapportata ad un limite di reddito, ai fini della
determinazione di tale limite, deve essere considerata ogni di
sponibilità attuale di mezzi economici, ivi compresi gli arretrati
soggetti a tassazione separata, a meno che non siano stati
espressamente esclusi dalla legge, come previsto ai fini della
concessione dell'assegno sociale.
Questo principio — e con esso l'applicazióne del c.d. criterio
di cassa — è stato affermato con riferimento sia all'assegno per il nucleo familiare (di cui all'art. 2 d.l. 13 marzo 1988 n. 69, convertito in 1. 13 maggio 1988 n. 153: Cass. 27 aprile 1996, n.
3918, id., 1996, I, 3361, e 10 marzo 2001, n. 3552, id., Rep. 2001, voce cit., n. 375), sia alla pensione di invalidità (Cass. 12 luglio 1995, n. 7624, id., Rep. 1996, voce cit., n. 741) sia al l'integrazione al trattamento minimo (ai sensi dell'art. 6 d.l. 12
settembre 1983 n. 463, convertito nella 1. 11 novembre 1983 n.
638: Cass. 12 luglio 1995, n. 7624, cit.; 27 aprile 2001, n. 6126, id., Rep. 2001, voce cit., n. 648) e, più di recente, anche alla
pensione sociale, traendosi argomento dal fatto che mentre la
citata 1. n. 335 del 1995, con riferimento all'assegno sociale (di nuova istituzione) esclude dal computo dei limiti di reddito tutte
le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nulla di
analogo è previsto per la pensione sociale che pure ne rappre senta un immediato precedente (Cass. 24 marzo 2004, n. 5936,
id., Rep. 2004, voce cit., n. 1063). Del resto — si aggiunge —
l'adozione del diverso «criterio di competenza» potrebbe risol
versi in un pregiudizio maggiore per l'interessato, perché le
competenze arretrate si verrebbero a collocare in periodi più
ampi e porterebbe alla valutazione di redditi dovuti ma non cor
risposti (così, sent. ult. cit.).
Questo orientamento della Suprema corte ha tratto ispirazione da un paio di pronunzie della Corte costituzionale la quale una
prima volta affrontò la questione concernente l'alternativa tra
criterio di cassa e criterio di competenza ai fini della valutazio
ne della posizione reddituale dell'assicurato con riguardo agli
assegni familiari (sent. 6 dicembre 1988, n. 1067, id., 1989, I,
3268). Successivamente, nella sentenza dell'8 giugno 1992, n. 258
(id., 1992, I, 2923), la stessa corte dopo avere rilevato che sia
gli assegni familiari che la pensione di invalidità sono presta zioni previdenziali, erogate mediante un sistema assicurativo sul
presupposto del sopravvenuto stato di bisogno prodotto da fa
miliari a carico o, rispettivamente, da una menomazione della
capacità di guadagno, ha affermato che, anche ai fini del diritto
alla pensione di invalidità, come in ogni altro caso in cui la leg
ge subordina l'intervento della tutela previdenziale a un limite
di reddito, tale limite va inteso — giusta il concetto dell'art. 38,
2° comma, Cost. — nel senso di condizione effettiva, di con
creta, attuale disponibilità di mezzi economici, mentre è irrile
vante che una somma percepita nell'anno considerato si riferi
sca anziché allo stesso anno, ad anni precedenti, cioè che si
tratti di un arretrato soggetto a tassazione separata.
Il Foro Italiano — 2006.
Nell'occasione, il giudice delle leggi ha ritenuto coerente con
tale sistema la scelta del criterio di cassa, determinando, invece, il criterio di competenza il limite in base a una capacità patri moniale potenziale, realizzata successivamente al periodo di ri
ferimento del computo e quindi inidonea a prevenire, nel corso
di tale periodo, lo stato di bisogno dell'assicurato.
Nella stessa sentenza la corte ha peraltro escluso la violazione
dell'art. 3 Cost., evidenziando che la situazione degli assicurati
che percepiscono in ritardo emolumenti maturati in un anno an
teriore al periodo di paga in corso, non è confrontabile con
quella di coloro che hanno ricevuto tempestivamente il paga mento in quanto solo per i primi si pone il problema circa il
metodo di computo del limite di capacità economica cui la legge subordina l'intervento di misure sociali a sostegno del reddito.
Ancora, nella sentenza 30/04 (id., 2004, I, 641), la Corte co
stituzionale ha affermato che, mentre non esiste un principio co
stituzionale che possa garantire l'adeguamento costante delle
pensioni al successivo trattamento economico dell'attività di
servizio corrispondente, l'individuazione di meccanismi che as
sicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni è riservata alla
valutazione discrezionale del legislatore, operata sulla base di
un «ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, compresi quelli connessi alla
concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei
mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa»
(sentenza n. 119 del 1997, id., 1997,1, 1675; nello stesso senso,
cfr. ordinanza n. 531 del 2002, id., 2003, I, 1969; sentenza n.
457 del 1998, id., Rep. 1999, voce cit., n. 466, e n. 226 del 1993, id.. Rep. 1993, voce Pensione, n. 326), ma con il limite,
comunque, di assicurare «la garanzia delle esigenze minime di
protezione della persona» (sentenza n. 457 del 1998, cit.). Dal nutrito dibattito sviluppatosi tra dottrina e giurisprudenza,
intorno al sistema costituzionale di sicurezza sociale, può dirsi
che le due componenti della previdenza e dell'assistenza pub
blica, presenti nell'art. 38 Cost., pur differenziandosi quanto a
rispettivi ambiti soggettivi di applicazione, ed ai rispettivi si stemi di finanziamento (prevalentemente mutualistico la prima, e più decisamente fiscale la seconda), hanno in comune l'obiet
tivo — costituzionalmente perseguito dalla Costituzione — di
liberare dal bisogno ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, assicurando, in particolare, ai la
voratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di in
fortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, nonché di disoccupa zione involontaria.
Si tratta di un obiettivo che richiede necessariamente il ricor
so a strumenti di solidarietà — generale o categoriale
— compa
rabili, per più versi, a quelli tipici della fiscalità, nei quali assu mono un rilievo centrale, da una parte, la capacità contributiva
di ciascuno dei soggetti obbligati, e dall'altra il grado di biso
gno della persona protetta.
Questo rilievo, del tutto generale, consente di comprendere la
ragione per la quale in situazioni particolari allo stesso soggetto beneficiario della prestazione può essere chiesto di concorrere
alla spesa previdenziale o assistenziale, allorché, per effetto di
un incremento del proprio reddito abbia acquisito egli stesso
una maggiore capacità contributiva. Ed è quanto avviene allor
ché — in una logica ispirata al principio dettato dall'art. 53
Cost. — la legge stabilisce limitazioni di varia misura alla ero
gazione di questa o quella prestazione previdenziale o assisten
ziale, in presenza del superamento dei limiti di reddito in capo al beneficiario.
In questi termini, il riferimento alla capacità contributiva, connesso con le possibili conseguenze sull'erogazione dei bene
fici nei confronti dello stesso assicurato, rende del tutto insoddi
sfacente il ricorso al criterio di cassa il quale, attribuendo valore
decisivo ad un evento (nel nostro caso, la percezione, in ritardo, di arretrati maturati in tempi diversi) del tutto casuale, oltre che
dipendente dall'inadempimento dell'obbligato, e per sua natura
non destinato a riprodursi nel tempo successivo, non può essere
assunto ad indice sicuro di superamento stabile dei previsti li
miti di reddito. Né va trascurato l'inconveniente derivante dall'assumere nel
reddito dell'anno preso in esame, l'intero importo degli arretrati
riferito a crediti maturati negli anni trascorsi, allorché negli anni
successivi — come verosimilmente può verificarsi di frequente — l'incremento del reddito non superi più il limite previsto: in
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tal caso, non essendo previsti meccanismi automatici di sblocco
dell'erogazione della prestazione revocata, sarà onere dell'assi
curato di attivarsi in tale direzione.
Per altro verso, il criterio di cassa potrebbe avere effetti di
storsivi — contrari all'equità contributiva ed alla parità di trat
tamento — per il contribuente che dopo aver maturato consi
stenti incrementi di reddito non ne subisce gli effetti per una ra
gione meramente casuale.
Del resto situazioni del genere non sfuggono all'attenzione
del legislatore nel più ampio ed organico sistema tributario, nel
quale opera — come noto — il meccanismo della tassazione se
parata per gli «emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti,
percepiti dai prestatori di lavoro dipendente ...» (art. 12, lett. d, e 13 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597).
Chiamata a decidere se contrastassero con gli art. 3 e 53 Cost,
le norme appena citate, nella parte in cui non prevedevano l'e
sclusione della tassazione separata dèi redditi costituiti da
emolumenti arretrati per lavoro dipendente quando tali redditi
cumulati con gli altri percepiti dal contribuente nei singoli anni
di riferimento non superassero il minimo imponibile, la stessa
Corte costituzionale (il giudice a quo aveva prospettato il dub
bio che tali disposizioni violassero i principi di uguaglianza e di proporzionalità tra l'imposizione tributaria e la capacità contri
butiva, determinando arbitrarie discriminazioni tra obbligati fi scali che si trovano nelle stesse condizioni) riconobbe che
quella lacuna generava una discriminazione priva di giustifica zione tra chi percepisce gli stessi emolumenti a titolo di pensio ne, a seconda che essi vengano corrisposti subito o negli anni
successivi sotto forma di arretrati, e violava altresì il principio della corrispondenza tra capacità contributiva ed onere fiscale
(sent. 17 aprile 1985, n. 104, id., 1985,1, 2198). Secondo il giudice delle leggi, quest'ultimo principio impone
al legislatore di commisurare il carico tributario in modo uni
forme nei confronti dei vari soggetti, allorché sia dato riscontra
re per essi un'identità della situazione di fatto presa in conside
razione dalla legge ai fini dell'imposizione del tributo (v. pure sent. n. 92 del 1963, id., 1963, I, 1531). E non v'è dubbio che nel caso in esame identica è la situazione del pensionato che ri
ceve gli emolumenti dovutigli anno per anno e di chi invece li
percepisce in modo cumulato sotto forma di arretrati negli anni
successivi. Nell'uno e nell'altro caso infatti la capacità contri
butiva dei due soggetti è perfettamente equivalente, sicché è
priva di ogni giustificazione l'eventuale maggiore onerosità del
tributo dovuto in relazione agli stessi redditi da chi li abbia per
cepiti in ritardo. Dalle considerazioni fin qui esposte si ritiene che il contrasto
rimesso all'esame di queste sezioni unite debba essere superato stabilendo che in ogni caso in cui l'erogazione dei benefici pre videnziali o assistenziali sia rapportata ad un limite di reddito,
per la determinazione di tale limite devono essere considerati
anche gli arretrati — purché non esclusi del tutto da specifiche
norme di legge (ad es. l'art. 3, 6° comma, 1. 8 agosto 1995 n.
335 relativa all'assegno sociale) — non nel loro importo com
plessivo, ma nelle quote maturate per ciascun anno di compe tenza.
In questi termini il ricorso va respinto.
Il Foro Italiano — 2006.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 10 giugno 2005, n. 12336; Pres. Papa, Est. Virgilio, P.M. Ab
brutì (conci, diff.); Min. economia e finanze e Agenzia delle entrate (Avv. dello Stato) c. Grassi e altra (Avv. De Meo, Ru
sconi). Cassa Comm. trib. reg. Lombardia 2 aprile 2003 e
decide nel merito.
Tributi in genere — Domanda di rimborso — Restituzione parziale del credito — Credito restante — Rigetto implici to — Atto impugnabile (D.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, di sposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al
governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413, art.
19).
Qualora, a fronte di un'istanza di rimborso d'imposta, l'ammi
nistrazione finanziaria si limiti, puramente e semplicemente, ad emettere un provvedimento di rimborso parziale, senza e
videnziare alcuna riserva o indicazione nel senso di una sua
eventuale natura interlocutoria, il provvedimento medesimo si
configura, per la parte relativa all'importo non rimborsato, come atto di rigetto
— sia pure implicito — della richiesta di
rimborso, suscettibile di essere impugnato innanzi alla com
missione tributaria: deve pertanto ritenersi improponibile una seconda istanza di rimborso e inconfigurabile la forma zione su quest'ultima di un silenzio-rifiuto impugnabile di: nanzi al giudice tributario. (1)
Svolgimento del processo. — 1. - La Mirepa s.p.a. nella di
chiarazione dei redditi relativa al periodo 1° ottobre 1989 - 30
(1) Conf., nella giurisprudenza di legittimità, v. Cass. 3 settembre
2002, n. 12804, Foro it., Rep. 2003, voce Tributi in genere, n. 1599; 13 novembre 1987, n. 8339, id., Rep. 1987, voce cit., n. 806, entrambe ci tate in motivazione.
V. però le precisazioni di Cass. 6 luglio 2004, n. 12382, id., Rep. 2005, voce Riscossione delle imposte, n. 132, e Riv. giur. trib., 2005, 141, con nota di Basilavecchia, li diniego di rimborso e la sua ricono scibilità, parimenti citata in sentenza, per la quale «non è affatto vero che un provvedimento di accoglimento parziale di un'istanza di rim borso implichi necessariamente un provvedimento di rigetto per la parte non accolta», precisando che «il 'silenzio-rifiuto parziale', a differenza del 'silenzio-rifiuto totale' presuppone l'esistenza di un provvedimento positivo (benché parziale), il cui contenuto deve essere interpretato. Il 'silenzio-rifiuto totale' presuppone il 'nulla' e, quindi, non occorre al tro per procedere ad impugnazione. Il 'silenzio-rifiuto parziale', invece, presuppone l'esistenza di un provvedimento il cui contenuto può anche essere di tipo non necessariamente reiettivo nella parte in cui non acco
glie l'istanza di rimborso. Pertanto, a differenza del 'silenzio totale' che non è suscettibile di interpretazione, in quanto nel contesto norma tivo che qui interessa ha il valore tipizzato del rifiuto, il 'silenzio par ziale' non implica ex se il rigetto dell'istanza nella parte in cui non è
espressamente accolta. Per cogliere contenuti e limiti del provvedi mento che si presenta come di parziale accoglimento, occorre una va lutazione di merito di tutto il suo contesto».
Nella giurisprudenza di merito, v., nel senso che il rimborso parziale del credito tributario è suscettibile di impugnazione innanzi al giudice tributario, Comm. trib. centrale 28 aprile 1998, n. 2173, Foro it., Rep. 1998, voce Tributi in genere, n. 1518; 29 gennaio 1994, n. 338, id.,
Rep. 1995, voce cit., n. 1334; Comm. trib. I grado Catanzaro 5 marzo
1991, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 1062. Diversamente, v. Comm. trib. centrale 22 giugno 1994. n. 2326, id.,
Rep. 1994, voce Riscossione delle imposte, n. 77, secondo la quale in
ipotesi di rimborso parziale dell'intero credito d'imposta indicato nella dichiarazione dei redditi ben opera il contribuente che chiede il rimbor so in via amministrativa impugnando poi il silenzio-rifiuto davanti alla commissione tributaria di primo grado; 7 ottobre 1993, n. 2701, ibid., n. 97.
In argomento, v. anche Cass. 13 maggio 2005, n. 10097, id., Rep. 2005, voce Valore aggiunto (imposta), n. 387, per cui «di fronte ad una rituale richiesta di rimborso di somme [nel caso di specie, a titolo di rimborso Iva] per le quali è previsto ex lege il pagamento anche degli interessi legali, salvo che non vi sia una diversa manifestazione di vo
lontà, deve intendersi: a) che la richiesta di rimborso sia comprensiva della richiesta degli interessi legali; b) che il pagamento non integrale, vale come rifiuto di quanto non liquidato» (nel caso di specie, la Su
prema corte ha ravvisato due autonomi provvedimenti; uno di accogli mento della richiesta di rimborso dell'Iva versata in eccedenza ed un altro di rigetto della richiesta di pagamento degli interessi, precisando che l'autonomia concettuale delle due obbligazioni, non elide tuttavia il vincolo di «connessione necessaria» stabilita dalla legge speciale tri
butaria, nella parte in cui prevede il pagamento degli interessi legali: «pertanto, il provvedimento all'origine del contenzioso, assume, ex le
ge, il valore di rifiuto di pagare gli interessi, e di riconoscimento della
obbligazione presupposta»).
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