sezioni unite civili; sentenza 15 ottobre 2003, n. 15406; Pres. Delli Priscoli, Est. Criscuolo, P.M.Palmieri (concl. conf.); A. Rosato (Avv. G. Rosato) c. Consiglio nazionale forense e altro.Conferma Cons. naz. forense 29 novembre 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 1 (GENNAIO 2004), pp. 93/94-95/96Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199633 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 15
ottobre 2003, n. 15406; Pres. Delli Priscoli, Est. Criscuolo, P.M. Palmieri (conci, conf.); A. Rosato (Avv. G. Rosato) c.
Consiglio nazionale forense e altro. Conferma Cons. naz. fo rense 29 novembre 2001.
Avvocato — Procedimento disciplinare o penale in corso —
Cancellazione a domanda dall'albo — Esclusione (R.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ordinamento delle professioni di
avvocato e di procuratore, art. 37; 1. 22 gennaio 1934 n. 36, conversione in legge, con modificazioni, del r.d.l. 27 novem
bre 1933 n. 1578).
La domanda di cancellazione dall'albo professionale per rinun
zia dell'iscritto presentata dall' avvocato in pendenza di pro cedimento disciplinare o penale, non può trovare accogli mento. (1)
Svolgimento del processo. — Con istanza in data 23 novem
bre 2000 l'avv. Antonio Rosato dichiarò al Consiglio dell'ordi
ne degli avvocati di Trani di rinunziare, con decorrenza dal 31
dicembre 2000, all'iscrizione nell'albo degli avvocati, cui era
iscritto dal 9 marzo 1948.
Con deliberazione in data 29 novembre 2000, comunicata il 2
dicembre successivo, il suddetto consiglio dell'ordine respinse l'istanza, «in riferimento a quanto previsto dall'art. 37, 7°
comma, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578».
Con atto del 18 dicembre 2000 l'avv. Rosato propose ricorso
al Consiglio nazionale forense, adducendo che il citato art. 37, 7° comma (recte: 8°), era stato erroneamente interpretato dal
detto consiglio dell'ordine, trattandosi di norma stabilita a tutela
dell'iscritto all'albo e diretta ad impedire la cancellazione d'uf
ficio in dipendenza di un procedimento disciplinare o penale, mentre non si applicava al caso in cui il professionista rinunziasse all'iscrizione.
Il Consiglio nazionale forense, con decisione depositata il 29
novembre 2001, respinse il ricorso. Richiamato il disposto della
norma in questione, osservò che essa non distingueva il caso di
cancellazione d'ufficio da quello conseguente alla rinunzia del
l'iscritto. Aggiunse che la disposizione era diretta a tutelare la
categoria forense, evitando che l'iscritto, sottoposto a procedi mento disciplinare, potesse eludere lo svolgimento di detto pro cedimento chiedendo la cancellazione dall'albo, in quanto, pri ma di tale provvedimento, vi era da ripristinare il prestigio fo
rense leso dalla condotta del professionista.
(1) In base all'art. 37, 1° comma, r.d.l. 1578/33 il consiglio dell'or dine procede alla cancellazione dall'albo «quando l'iscritto rinunci al
l'iscrizione»; l'avvocato (o il praticante) può, quindi, rinunciare all'i scrizione all'albo presentando formale domanda di cancellazione. Lo stesso art. 37, al 1° comma, n. 6, prevede, però, che nell'ipotesi in cui sia in corso un procedimento penale o disciplinare, non può essere pro nunciata la cancellazione. E ciò perché la norma tende a tutelare la ca
tegoria, evitando che l'iscritto, assoggettato a procedimento disciplina re, possa «eludere» il procedimento disciplinare presentando al consi
glio dell'ordine domanda di cancellazione dall'albo: Cass., sez. un., 22
luglio 1960, n. 2074, Foro it., Rep. 1960, voce Avvocato, n. 23 (l'e stromissione del professionista dalla categoria preclude al consiglio dell'ordine ogni ulteriore indagine sulla sussistenza o meno degli adde biti oggetto del procedimento disciplinare); analoga preclusione alla cancellazione dall'albo si ha durante la «esecuzione» di una sanzione
(es., esecuzione della sanzione della sospensione): in tale ipotesi la cancellazione potrà essere pronunciata al termine del periodo di so
spensione (conf. Cons. naz. forense 30 maggio 1959, id., Rep. 1959, voce cit., n. 60, e Rass. cons. naz. forense, 1959, 164).
In generale, nel senso che non può essere pronunciata la cancellazio ne dall'albo professionale in ossequio alla norma contenuta nell'art. 37 r.d.l. 1578/33, quando a carico del professionista sia in corso un proce dimento penale o disciplinare, Cass., sez. un., 20 ottobre 1993, n.
10382, Foro it., 1994, I, 427; Cons. naz. forense 27 ottobre 1978, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 37; occorre evidenziare, comunque, che tale di vieto (di cancellazione dall'albo quando sia in corso un procedimento penale o disciplinare) non può essere eccepito dal professionista, poi ché la norma è posta nell'esclusivo interesse del consiglio dell'ordine
(conf. Cons. naz. forense 10 gennaio 1969, id.. Rep. 1970, voce cit., n.
31). In dottrina, sul tema specifico affrontato dalla riportata sentenza, R.
Danovi, Corso di ordinamento forense e deontologia, Milano, 2003, 78: M. de Tilla, La professione di avvocato, Milano, 1998, I, 174; E.
Ricciardi, Lineamenti dell'ordinamento professionale forense, Milano,
1990, 215.
Il Foro Italiano — 2004.
Avverso la suddetta decisione l'avv. Antonio Rosato ha pro
posto ricorso alle sezioni unite civili di questa corte, adducendo
un motivo di annullamento, illustrato con memoria.
Con ordinanza interlocutoria depositata il 4 novembre 2002
questa corte ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei
confronti del procuratore generale.
Espletato l'adempimento, la causa è stata nuovamente chia
mata all'udienza di discussione.
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo di cassazione il
ricorrente denunzia violazione dell'art. 37 r.d.l. 27 novembre
1933 n. 1578. Richiamati gli argomenti addotti nel ricorso al Consiglio na
zionale forense (Cnf) avverso la decisione del consiglio dell'or
dine di Trani, sostiene che il detto Cnf avrebbe omesso ogni motivazione in ordine alle censure formulate, avendo trascurato
del tutto la rimarcata natura recettizia della rinunzia all'iscrizio
ne, mentre, con riguardo al principio sancito dall'art. 37 r.d.l. n.
1578 del 1933, avrebbe affermato in modo molto succinto che
«prima della cancellazione vi è l'esigenza di ripristinare il pre
stigio forense, leso dal comportamento del professionista, es
sendo interesse collettivo che l'immagine della classe forense
non sia compromessa dai singoli avvocati e che da essi non
venga offuscato».
In sostanza il Cnf avrebbe affermato che, nonostante l'avve
nuta rinunzia all'iscrizione, il consiglio dell'ordine dovrebbe
sempre procedere nell'esame degli addebiti a carico dell'iscrit
to, quasi sostituendosi all'organo cui la legge assegna tale fun
zione, cioè al giudice penale. Il consiglio dell'ordine, invece, non avrebbe tale obbligo, in
quanto il suo compito sarebbe limitato a tutelare il prestigio della classe forense, nella quale potrebbero essere compresi soltanto coloro che siano iscritti ed intendano conservare l'iscri
zione all'albo, mentre tale esigenza più non sussisterebbe quan do il professionista rinunzi all'iscrizione, venendo così a cessare
la materia del contendere, come avverrebbe in caso di morte del
professionista medesimo.
D'altro canto, non sarebbe dato comprendere l'esigenza, e
tanto meno l'obbligo, del consiglio dell'ordine di esaminare e
valutare la condotta di colui che, per espressa dichiarazione di
rinunzia, non intende più far parte della classe forense, diven
tando un privato cittadino sul quale il consiglio dell'ordine sa
rebbe privo di potere decisionale.
Inoltre, nel ricorso al Cnf sarebbe stato precisato che il 7°
comma dell'art. 37 r.d.l. n. 1578 del 1933 non si sarebbe potuto invocare per precludere la rinunzia all'iscrizione, perché la ratio
posta a base di detta norma sarebbe stata diversamente indivi
duata dalle sezioni unite di questa corte (sentenza 20 ottobre
1993, n. 10382, Foro it., 1994,1, 427) che l'avrebbero ravvisata
nell'esigenza garantista di vietare che alla misura della cancel
lazione, quale forma di autotutela, il consiglio dell'ordine possa fare ricorso per via breve, nei casi in cui il comportamento del
proprio iscritto o abbia già dato luogo all'apertura di un proce dimento disciplinare o debba dare adito ad una contestazione di
sciplinare (come riflesso di fatti imputati in sede penale), con
maggior ampiezza di difesa per l'inquisito. Secondo la citata
sentenza, dunque, la norma in questione sarebbe diretta soltanto
a tutelare il diritto dell'avvocato di difendersi con maggiore
ampiezza nel procedimento penale. Su tale profilo il Cnf nulla avrebbe osservato, adagiandosi
sull'interpretazione letterale della norma, senza compiere alcun
approfondimento ermeneutico.
Il ricorso non è fondato.
L'art. 37, 1° comma, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, stabili
sce che la cancellazione dagli albi degli avvocati è pronunciata dal consiglio dell'ordine, d'ufficio o su richiesta del pubblico ministero, nei casi dalla norma medesima previsti, tra i quali al
n. 6 è contemplata l'ipotesi che l'iscritto rinunzi all'iscrizione.
Il 2° comma aggiunge che la cancellazione, tranne nel caso
indicato nel n. 6, non può essere pronunziata se non dopo aver
sentito l'interessato nelle sue giustificazioni. Il 3°, 4° e 5° comma dettano disposizioni di carattere proce
dimentale (contemplando, tra l'altro, la facoltà per l'interessato
e il pubblico ministero di presentare ricorso al Cnf avverso le
deliberazioni del consiglio dell'ordine in materia di cancella
zione).
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PARTE PRIMA
Il 6°, 7° e 9° comma disciplinano il diritto dell'avvocato can
cellato dall'albo di essere nuovamente iscritto in presenza delle
circostanze nelle disposizioni medesime contemplate, con i re
lativi effetti.
Infine, l'8° comma dispone che «Non si può pronunciare ìa
cancellazione quando sia in corso un procedimento penale o di
sciplinare». Come si vede, il tenore della norma è chiaro ed esplicito: essa
pone un (generale) divieto di pronunciare la cancellazione,
quando sia in corso un procedimento penale o disciplinare, sen
za distinguere tra le diverse ipotesi previste nel 10 comma, tra le
quali è annoverata in modo espresso anche la rinunzia dell'av
vocato all'iscrizione, con la conseguenza che anche tale
rinunzia non può sottrarsi al divieto emergente dal dettato nor
mativo.
Gli argomenti addotti dal ricorrente, a sostegno della tesi da
lui propugnata, non valgono a superare la conclusione ora rag
giunta, che è saldamente ancorata al disposto della norma.
Invero, che la dichiarazione di rinunzia all'iscrizione abbia
natura recettizia è circostanza irrilevante ai fini di causa, perché la natura dell'atto non incide sui limiti normativamente posti ai
poteri del consiglio dell'ordine in materia di cancellazione,
quando sia in corso un procedimento penale o disciplinare. Il richiamo alla sentenza di questa corte n. 10382 del 1993
non è producente, perché essa ha identificato una delle ragioni
giuridiche giustificative del precetto, ma non ha affermato che
quella fosse l'unica possibile. Anzi, proprio l'ampiezza del pre cetto normativo, che non esclude alcuna delle ipotesi in cui si fa
luogo alla cancellazione indicate nel 1° comma dell'articolo (tra le quali è contemplata la rinunzia all'iscrizione, cui pure è dedi
cata una menzione espressa nel 2° comma), impone di com
prendere nella previsione di quel precetto anche tale rinunzia. E
ciò conferma che l'esigenza garantista individuata nella senten
za di questa corte, sopra citata, ben può affiancarsi l'esigenza di
tutelare in via prioritaria (quando sia in corso un procedimento
penale o disciplinare) il prestigio della classe forense, in ipotesi leso dalla condotta del professionista, secondo la ratio enucleata
nella decisione in questa sede impugnata. Tra le due ragioni giu ridiche ravvisabili a fondamento della norma, infatti, non si con
figura alcuna incompatibilità, né sul piano giuridico né su quello
logico. Al contrario, esse appaiono complementari, perché all'e
sigenza di tutelare la posizione del professionista ben si affianca
quella di assicurare tutela anche alla credibilità dell'ordine pro fessionale, nel quadro di una scelta operata dal legislatore che, del resto, risulta coerente e ragionevole avuto riguardo alla spe cifica posizione degli iscritti all'ordine forense.
Alla stregua delle considerazioni esposte, la decisione impu
gnata si sottrae alle censure del ricorrente, non sussistendo né la
violazione del citato art. 37, correttamente applicato, né le pro
spettate omissioni di motivazione, perché il Cnf ha dato conto, in modo conciso ma adeguato, delle ragioni della decisione, in
compatibili con i diversi argomenti addotti dall'istante.
Ne deriva che il ricorso deve essere respinto.
II. Foro Italiano — 2004.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 11
settembre 2003, n. 13350; Pres. Corona, Est. Mazzacane, P.M. Golia (conci, diff.); Oliva (Avv. Dieci, Florino) c.
Condominio via Curtatone 6, Genova; Condominio via Cur
tatone 6, Genova (Avv. De Paola) c. Oliva. Cassa App. Ge
nova 8 luglio 1999.
Comunione e condominio — Condominio negli edifici — As
semblea — Diritto del condomino di esaminare la docu
mentazione pertinente — Violazione — Deliberazioni —
Annullabilità (Cod. civ., art. 1130, 1136, 1713).
La violazione del diritto del singolo condomino di esaminare a
sua richiesta, secondo adeguate modalità dì tempo e di luogo, la documentazione attinente ad argomenti posti ali 'ordine del
giorno di una successiva assemblea condominiale, determina
l'annullabilità delle delibere in quella sede approvate ri
guardanti la suddetta documentazione, in quanto incide sul
procedimento di formazione delle maggioranze assemblea
ri. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 8 ago sto 2003, n. 11940; Pres. Corona, Est. Trombetta, P.M. Api
ce (conci, conf.); Scanaglia e altra (Avv. Del Re) c. Condo
minio viale Regina Margherita 175, Roma (Avv. Della Bel
la). Conferma Trib. Roma 19 febbraio 2000.
Comunione e condominio — Condominio negli edifici — As semblea — Diritto del condomino di esaminare la docu
mentazione pertinente — Violazione — Deliberazioni —
Annullabilità — Fattispecie (Cod. ci v., art. 1130, 1136,
1713).
La violazione del diritto del singolo condomino di esaminare a
sua richiesta la documentazione contabile, non resa disponi bile da parte dell 'amministratore, mentre in sede di approva zione del consuntivo comporta la violazione da parte del
l'amministratore dell'obbligo di rendiconto e l'invalidità
della relativa delibera di approvazione, non può, invece, es
sere invocata quale causa di invalidità della delibera di ap
provazione del preventivo, giacché normalmente la previsione di spesa viene fatta sulla base della gestione dell 'anno prece dente. (2)
(1-2) Le pronunzie in rassegna, muovendo dal riconoscimento del di ritto del singolo condomino di prendere visione dei documenti contabili
riguardanti il condominio (diritto che può essere esercitato non solo in occasione del rendiconto annuale, ma anche al di fuori di tale sede: v. Cass. 29 novembre 2001, n. 15159, Foro it., Rep. 2002, voce Comu nione e condominio, n. 121, e 26 agosto 1998, n. 8460, id., 1998, I, 3201, con ampia nota di richiami; nonché Trib. Bologna 9 aprile 2002. id.. Rep. 2002, voce cit., n. 124) sottolineano l'incidenza della sua vio lazione sulla validità delle delibere assembleari, puntualizzandone i li miti. La più recente delle sentenze, occupandosi di una vicenda esami nata in primo grado da Trib. Genova 21 ottobre 1998, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 196 (riportata, in extenso, in Arch, locazioni, 1998, 881), rileva, in particolare, come l'impedimento frapposto all'esercizio del diritto del singolo condomino di informarsi adeguatamente, mediante l'esame dei documenti pertinenti, sugli argomenti oggetto di future de libere condominiali, incide sul corretto esplicarsi della dialettica as sembleare, sicché ai fini della validità delle delibere assunte non può assumere alcuna rilevanza la maggioranza più o meno ampia con cui
queste sono state approvate. Nel senso dell'annullabilità della delibera assunta dall'assemblea dei •
condomini qualora ad un condomino sia stato impedito di intervenire nella discussione su fatti attinenti all'ordine del giorno, v. Cass. 11
maggio 1984, n. 2893, Foro it.. 1984, I, 1821. Con riferimento ad un caso analogo (impedimento del potere di discussione e di voto spettante a ciascun condomino sui punti all'ordine del giorno), Cass. 23 febbraio 1999, n. 1510, id.. Rep. 1999, voce cit.. n. 226 (annotata da R. Barba nera, in Riv. giur. edilizia, 1999, I, 2459), si è espressa, invece, per la nullità radicale della delibera adottata, trattandosi di vizio assimilabile a quello derivante dall'omessa convocazione. Secondo l'orientamento
più recente della corte di legittimità, peraltro, l'omessa convocazione all'assemblea di taluno dei condomini comporta non già la nullità, ben sì la semplice annullabilità delle delibere adottate (ove impugnate nel
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