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sezioni unite civili, sentenza 16 gennaio 1986, n. 224; Pres. Mirabelli, Est. O. Fanelli, P. M....

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sezioni unite civili, sentenza 16 gennaio 1986, n. 224; Pres. Mirabelli, Est. O. Fanelli, P. M. Pandolfelli (concl. conf.); Clementini (Avv. Pirani) c. I.n.p.s. (Avv. Sciacca, Sacerdoti). Conferma Trib. Pescara 17 gennaio 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 1575/1576-1579/1580 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180403 . Accessed: 28/06/2014 12:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.62 on Sat, 28 Jun 2014 12:23:27 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezioni unite civili, sentenza 16 gennaio 1986, n. 224; Pres. Mirabelli, Est. O. Fanelli, P. M. Pandolfelli (concl. conf.); Clementini (Avv. Pirani) c. I.n.p.s. (Avv. Sciacca, Sacerdoti).

sezioni unite civili, sentenza 16 gennaio 1986, n. 224; Pres. Mirabelli, Est. O. Fanelli, P. M.Pandolfelli (concl. conf.); Clementini (Avv. Pirani) c. I.n.p.s. (Avv. Sciacca, Sacerdoti). ConfermaTrib. Pescara 17 gennaio 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 1575/1576-1579/1580Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180403 .

Accessed: 28/06/2014 12:23

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1575 PARTE PRIMA 1576

aveva avuto luogo, si applicava solo ai trasferimenti di case già costruite ed abitabili (o abitate); come deve evincersi anche dalla ratio legis, che era quella di agevolare le costruzioni ed i trasferimenti di case per i meno abbienti, nonché dal fatto che l'agevolazione era possibile solo per i trasferimenti di case di abitazione vere e proprie, non anche di appartamenti destinati ad uffici (presupposto accertabile solo a costruzione ultimata) e dalla stessa dizione della norma, che contemplava i trasferimenti di case « costruite » e fissava come ambito di efficacia temporale dell'agevolazione il quadriennio avente inizio dalla dichiarazione di abitabilità o della effettiva abitazione di case quindi già costruite.

La legislazione regionale applicabile in materia non si è disco stata da tale normativa.

Se avesse voluto fissare i presupposti dell'agevolazione in modo diverso dalla legge nazionale, lo avrebbe espressamente fatto: come era avvenuto con la 1. reg. n. 11 del 28 aprile 1954, che espressamente aveva previsto all'art. 6 l'applicabilità dell'agevola zione anche ai trasferimenti aventi ad oggetto case di abitazione in corso di costruzione.

Invece, cassata l'efficacia temporale di detta legge, quella suc cessiva n. 8 del 1966 non ripetette la formula della precedente legge, ma si limitò a prevedere un'ulteriore riduzione dell'imposta proporzionalmente già ridotta dalla legge nazionale per i trasfe rimenti aventi ad oggetto gli immobili di cui all'art. 13 1. nazionale n. 408 del 1949; con il che implicitamente recepì' completamente, senza apportarvi modificazioni, la legislazione nazionale, ivi compreso tutto quanto atteneva ai presupposti per l'ammissione al beneficio fiscale di cui era stata modificata solo l'entità e non anche la disciplina (come confermato dall'art. 4 1. reg. n. 8 del 1966).

Su tale regime nessuna innovazione ha apportato la 1. reg. n. 29 del 30 luglio 1969, limitatasi a stabilire, al 1° comma dell'art. 4, che le agevolazioni tributarie previste dalla 1. reg. del 1966 (aventi la stessa natura di quelle previste dalla legge nazionale) si applicavano ulteriormente in relazione alle abitazioni la cui costruzione sarebbe stata ultimata entro una certa data, il che attiene al beneficio oggettivo della costruzione, non anche al diverso requisito dell'epoca del trasferimento; e a ripetere, al 2° comma, quanto a questo secondo requisito, la previsione della 1. nazionale n. 408 del 1949, ripetendone pressoché testualmente il testo. E cioè che, per poter usufruire delle agevolazioni, i trasferi menti dovevano avvenire non oltre quattro anni dalla dichiara zione di abitabilità e dalla effettiva abitazione; espressione identi ca a quella usata dalla legge nazionale.

La decisione impugnata va cassata con rinvio alla stessa Commissione centrale. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili, sentenza 16 gennaio 1986, n. 224; Pres. Mirabelli, Est. o. Fanelli, iP. M. Pandolfelli (conci, conf.); Clementini (Avv. Pirani) c. I.n.p.s. (Avv. Sciacca, Sacerdoti). Conferma Trib. Pescara 17 gennaio 1881.

Sanitario — Medico convenzionato con l'I.n.p.s. — Lavoro auto nomo — Giurisdizione ordinaria (Cod. civ., art. 2094; cod. proc. civ., art. 409).

Sanitario — Medico convenzionato — Compenso — Disciplina applicabile (Cost., art. 36).

Professioni intellettuali — Onorari — Convenzione — Inderogabi lità dei minimi tariffari — Nullità dei patti in deroga —

Esclusione (Cod. civ., art. 1362, 1418, 2233; 1. 21 febbraio 1963 n. 244, norme generali relative agli onorari e ai compensi per le prestazioni medico-chirurgiche e istituzione della relativa tariffa, art. 2).

Il rapporto avente ad oggetto l'espletamento di attività sanitaria a regime convenzionale con l'I.n.p.s. ha natura di lavoro autono mo e non di pubblico impiego; pertanto, esso è devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario. (1)

(1) Il riconoscimento della natura non subordinata del rapporto di lavoro del medico convenzionato costituisce, ormai, ius receptum: v. da ultimo, Cass., sez. un., 5 dicembre 1985, n. 6094, Foro it., 1986, I, 955, con nota di richiami e Cass. 2 ottobre 1985, n. 4766, ibid., 956; in termini, per il rapporto del sanitario convenzionato con l'I.n.p.s., v. Cass. 10 maggio 1982, n. 2875, id., Rep. 1983, voce Sanitario, n. 30; e

Il Foro Italiano — 1986.

Il principio di cui all'art. 36 Cost, è applicabile al solo lavoro

subordinato (nella specie, l'applicazione è stata esclusa per i medici convenzionati). (2)

Il compenso per prestazioni professionali va determinato attri

buendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta

fra le parti e, poi, in ordine successivo e solo in mancanza di

convenzione, alle tariffe e agli usi e, infine, ove anche questi manchino, alla determinazione del giudice; la violazione del

precetto normativo che impone l'inderogabilità dei minini ta

riffari non importa la nullità, ex art. 1418, 1" comma, c.c., del

patto in deroga, in quanto trattasi di precetto non riferibile ad un interesse generale, cioè dell'intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale. (3)

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Pescara

depositato il 12 ottobre 1974 Carlo Clementini esponeva che dal

luglio 1972 al settembre 1973 aveva lavorato presso il gabinetto diagnostico dell'I.n.p.s. in qualità di medico incaricato di accer tamenti sanitari ad assicurati richiedenti prestazioni previden ziali e per una durata 2-34 ore giornaliere per 6 gior ni alla settimana; che il suo lavoro era soggetto al controllo del direttore sanitario dell'I.n.p.s. che redigeva anche note di

qualifica; che era stato retribuito con un compenso a visita determinato unilateralmente dall'I.n.p.s. e comunque notevolmente inferiore sia ai compensi previsti dalla tariffa della Federazione nazionale ordine dei medici, sia a quelli corrisposti dall'I.n.p.s. ai medici specialisti; che l'I.n.p.s. non aveva provveduto a versare i contributi dovuti all'E.n.p.a.m.; che aveva diritto alla differenza tra il trattamento economico corrispostogli e quello previsto dai minimi tariffari o quanto meno quello stabilito dall'I.n.p.s. per i medici specialisti; che, in via subordinata, nella specie si sareb be potuto ipotizzare la sussistenza di un rapporto d'impiego.

Tanto premesso il dott. Clementini chiedeva che il pretore, in via principale, condannasse l'I.n.p.s. al pagamento della somma di lire 154.843.896 e lire 47.396.760 per i titoli di cui alla premessa; dichiarando altresì' l'istituto tenuto al versamento dei contributi non corrisposti dall'E.n.p.a.m.; e, in via subordinata, dichiarasse che tra le parti era intervenuto un rapporto d'impiego privato a

tempo indeterminato. Costituitosi il contraddittorio, l'I.n.p.s. so steneva che il rapporto intercorso col dott. Clementini aveva avuto natura di lavoro autonomo; che i compensi corrisposti

14 febbraio 1980, n. 1053, id., Rcp. 1980, voce Impiegalo dello Stato, n. 104.

(2) Sul punto della inapplicabilità del principio di cui all'art. 36 Cost, (diritto del lavoratore ad una retribuzione sufficiente) ai rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, v., da ultimo, Cass., sez. un., 15 marzo 1985, n. 2016, Foro it., 1985, I, 1653, con nota di richiami.

(3) Sulla inapplicabilità del principio di cui all'art. 1418, 1° comma, c.c. nel caso di violazione delle norme che impongono minimi tariffari per prestazioni professionali medico-chirurgiche, v., tra le altre, Cass. 13 gennaio 1983, n. 260, Foro it., Rep. 1984, voce Professioni intellettuali, n. 83; 12 novembre 1982, n. 6034, id., Rep. 1982, voce cit., n. 87; 10 maggio 1982, n. 2875, id., Rep. 1983, voce Sanitario, n. 42; 14 febbraio 1980, n. 1053, id., Rep. 1980, voce Professioni intellettuali, n. 67; 8 giugno 1979, n. 3273, id., Rep. 1979, voce cit., n. 69.

La nullità ex art. 1418, 1° comma, c.c. è, invece, ritenuta commina bile per un contratto di prestazione professionale stipulato con un professionista non iscritto al relativo albo professionale: v. Cass. 28 maggio 1980, n. 3511, id., Rep. 1981, voce cit., n. 29; e 13 feb braio 1976, n. 467, id., 1976, I, 2434.

Si ricorda che al professionista è consentita la prestazione gratuita: v. Cass. 6 luglio 1976, n. 2507, id., Rep. 1978, voce cit., n. 66.

Sulla gerarchia delle fonti di determinazione dei compensi profes sionali ex art. 2233 c.c., v., tra le altre, Cass. 14 dicembre 1983, n. 7374, id., Rep. 1984, voce cit., n. 81; 27 gennaio 1982, n. 530, id., Rep. 1982, voce cit., n. 83; 7 gennaio 1981, n. 104, id., Rep. 1981, voce cit., n. 59; 11 ottobre 1980, n. 5453, id., Rep. 1980, voce cit., n. 63; 3 aprile 1979, n. 1903, id., Rep. 1979, voce cit., n. 64; 4 ago sto 1977, n. 3508, id., Rep. 1977, voce cit., n. 33.

L'art. 2233, 1° comma, c.c. è stato riconosciuto non in contrasto con i principi costituzionali di cui agli art. 3, 1° comma, 24, 2" comma, e 101, 2° comma, Cost, da Corte cost. 13 febbraio 1974, n. 32, id., 1974, I, 993.

La violazione dei minimi tariffari è stata, però, ritenuta assoggettabi le a sanzione disciplinare da Cass. 10 marzo 1971, n. 669, id., 1971, I, 1587, con nota di V. Andrioli.

In dottrina: Minafra, Il potere tariffario degli ordini e collegi sanitari e delle federazioni, in Rass. amm. sanità, 1981, 345; G. Pezzano, Onorario, voce dell'Enciclopedia del diritto, 1980, XXX, 175; Lega, Le libere professioni intellettuali nelle leggi e nella giurisprudenza, 1974, 757, ss.; Caputo, Conseguenze derivanti dalla violazione dei mini mi di tariffa, in Temi, 1973, 485; Ruperto, Tariffa professionale, voce del Novissimo digesto, 1971, XVIII, 1063.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

erano stati da lui preventivamente accettati mentre nessuna nor ma prevedeva l'inderogabilità delle tariffe professionali; che il Clementini era stato incaricato di effettuare visite mediche generi che per cui a nulla rilevava il fatto che egli fosse medico

specialista; ed infine che, ove fosse stata ritenuta l'esistenza di un

rapporto di lavoro subordinato, lo stesso si sarebbe dovuto

qualificare come di pubblico impiego e pertanto sottratto alla

giurisdizione del giudice ordinario. Il pretore rigettava la doman

da con sentenza 25 ottobre 1977 che, su gravame del Clementini, veniva confermata dal tribunale con sentenza 17 gennaio 1981. (O missis)

Motivi della decisione. — Nell'ordine logico va preliminarmente esaminato il terzo motivo, con il quale, denunciando violazione

degli art. 2094 e 1362 c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5,

c.p.c., si lamenta che il tribunale ha negato l'esistenza di un

rapporto di lavoro subordinato, omettendo di rilevare il ricorrere della continuità del rapporto stesso (durato 11 anni, per 6 giorni alla settimana e per 3-4 ore giornaliere), dell'inserzione dell'attivi tà nell'ambito dei fini istituzionali dell'ente, della subordinazione

al potere di controllo esercitato dal dirigente sanitario, della

corresponsione di una retribuzione determinata « a prestazione »

(cottimo), dell'assenza di rischio da parte del prestatore d'opera, essendo le visite svolte presso il gabinetto diagnostico della sede

I.n.p.s. di Pescara.

Se fondata, invero, tale censura comporterebbe che, trattandosi

di rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un ente

pubblico (non economico), la giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo. Ma fondata essa non è, alla stregua della copiosa e ferma giurisprudenza di questa corte — cui si è adeguata la

sentenza impugnata — secondo la quale, con specifico riguardo alle prestazioni effettuate da medici in favore dell'I.n.p.s. per gli

adempimenti sanitari occorrenti nei confronti dei richiedenti le

erogazioni assicurative, la ricorrenza di un rapporto di pubblico

impiego postula indefettibilmente la subordinazione tecnica e

gerarchica del medico, correlata ad un potere direttivo dell'ente

datore di lavoro che inerisce all'intrinseco svolgimento di quelle prestazioni, mentre resta a tal fine irrilevante, ove difetti detto

requisito, la eventuale sussistenza di connotati propri del lavoro

subordinato, quali la collaborazione, l'osservanza di un terminato

orario, la natura e la continuità dell'attività, la forma della

retribuzione (sent. 14 febbraio 1980, n. 1053, Foro it., Rep. 1980, voce Impiegato dello Stato, n. 104; 10 maggio 1982, nn. 2875, 2876

e 2877, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 30, 36, 37; 13 gennaio 1983, n.

260, id., Rep. 1984, voce Professioni intellettuali, n. 83; e,

analogamente, quanto ai sanitari convenzionati con l'I.n.a.m., sent. 17 febbraio 1983, n. 1208, id., Rep. 1983, voce Sanitario, n.

35; 19 febbraio 1983, n. 1287, ibid., n. 36; 3 giugno 1983, n.

3785, ibid., n. 40; con l'E.n.p.a.s., sent. 17 febbraio 1983, nn. 1206

e 1207, ibid., nn. 31, 32; 19 febbraio 1983 nn. 1285, 1286, ibid.,

nn. 33, 34; con l'I.n.a.i.l, sent. 24 febbraio 1982, n. 1152, ibid., n.

25; 17 febbraio 1983, nn. 1210-1212, ibid., nn. 27-29; 8 aprile

1983, n. 2496, ibid., n. 37; e con l'O.n.m.i., sent. 2 maggio 1983, nn. 3007 e 3008, ibid., nn. 38, 39).

Nella specie, il tribunale ha escluso, a seguito di specifici accertamenti e con puntuali argomentazioni, che gli elementi

indicati dal ricorrente, e coincidenti con quelli testé elencati come

irrilevanti, potessero ritenersi sintomatici di un rapporto di lavoro

subordinato; e questa corte, in applicazione dei soprariportati

criteri, condivide totalmente siffatte valutazioni e conclusioni

(come può fare mediante diretto esercizio del potere di indagine di merito, che le compete quale giudice della giurisdizione), si

che non resta che respingere la censura nei suoi presupposti e

nelle conseguenze che se ne vogliono trarre, confermando sulla

base della accertata natura autonoma e non subordinata del

rapporto la giurisdizione dell'adito giudice ordinario.

Può, ora, procedersi all'esame del primo mezzo, col quale, denunciandosi erronea interpretazione della volontà delle parti

(art. 1362 c.c.), e dell'art. 2233, 1° comma, c.c., si sostiene che è

vero che allorquando fu conferito nel luglio 1962 al dott.

Clementini l'incarico di prestare la propria opera professionale,

egli accettò il compenso allora fissato da una circolare; ma è

altrettanto vero che dopo di allora il Clementini, come altri

medici incaricati dell'I.n.p.s. in tutta Italia, manifestò il proprio

disaccordo e richiese il pagamento delle visite sulla base della

tariffa minima. Orbene, le reiterate manifestazioni di volontà

degli organismi di categoria e quelle individuali del ricorrente

erano certo idonee ad impedire che si formasse un valido e

definitivo consenso sulla misura del compenso unilateralmente

determinata dall'I.n.p.s., onde non può sostenersi che il dott.

Clementini abbia in alcun modo concordato, soprattutto dopo

Il Foro Italiano — 1986.

l'entrata in vigore della 1. 21 febbraio 1963 n. 244 (che non

consentiva l'esercizio della professione sanitaria ad onorari infe

riori a quelli stabiliti dalla tariffa) la misura del compenso

pro-visita, avendo egli ripetutamente richiesto un adeguamento correlato alle tariffe professionali.

Il compenso dunque, dato che non era più concordato dalle

parti, doveva essere determinato dal giudice secondo le tariffe

professionali e comunque in misura adeguata all'importanza del

l'opera e al decoro della professione. La censura è infondata. Va premesso che, come correttamente

ritenuto dalla sentenza impugnata, la violazione del precetto di

cui al 3° comma dell'art. 2 1. 21 febbraio 1963 n. 244, che fa

divieto di esercitare la professione sanitaria ad onorari inferiori a

quelli stabiliti nella tariffa medesima, non importa la nullità ex

art. 1418, 1° comma, c.c. del patto in deroga al minimo tariffario.

Invero, in mancanza (come nella specie) di esplicita previsione della nullità per contrasto con norma imperativa ai sensi della

richiamata disposizione del codice civile, l'interprete può e deve

specificamente vagliare se il precetto della norma violata sia

dettato nell'interesse generale, e cioè se esso sia dotato di quel carattere di imperatività che vale a rendere nulli negozi o patti ad esso contrari.

Quanto allo specifico precetto che ne occupa, la finalità del

divieto è stata ravvisata, alla stregua dell'enunciazione contenuta

nel 2° comma dell'art. 2 1. 244 del 1963 (essere l'onorario fissato

in tariffa il minimo compatibile con il decoro e la dignità

professionale), appunto nella tutela di detti valori; finalità, que sta, che sicuramente trascende l'interesse delle parti del rapporto di opera professionale, essendo essa riferibile all'interesse della

categoria professionale; ma che altrettanto sicuramente non può ritenersi riferita ad un interesse generale, cioè dell'intera colletti

vità, in quanto l'interesse al decoro e alla dignità professionale

può essere ed è adeguatamente salvaguardato mediante la previ sione e la repressione delle violazioni, da parte dei professionisti, del precetto del quale è alla base, quali illeciti disciplinari.

Con la conseguenza che, come già affermato da questa corte a

sezione semplice specificamente per le prestazioni mediche (sent.

8 giugno 1979, n. 3273, id., Rep. 1979, voce Professioni intellettuali,

n. 69, cui la impugnata decisione si richiama), e del pari specifica mente ribadito anche a sezioni unite (sent. 13 gennaio 1983, n. 260,

id., Rep. 1984, voce cit., n. 83; 12 novembre 1982, n. 6034, 10

maggio 1982, nn. 2875-2877, cit.; 14 febbraio 1980, n. 1053, id.,

Rep. 1980, voce cit., n. 67), la violazione del precetto in questione non determina nullità del patto di deroga del minimo tariffario.

E che tale patto nella specie fosse tra le parti (istituto

previdenziale e sanitario) intervenuto è fuori di dubbio, come

accertato dalla sentenza impugnata sulla base di prova documen

tale, e come non contestato dallo stesso ricorrente. Il quale

tuttavia deduce che, successivamente, l'accordo sarebbe venuto

meno a seguito delle reiterate sue richieste di adeguamento

tariffario.

Ma la sentenza impugnata ha già dato adeguata risposta a tale

deduzione, osservando che anche successivamente, cosi come

inizialmente, il ricorrente aveva — questa volta tacitamente —

manifestato il proprio assenso per facta concludentia. Continuan

do cioè a prestare la sua opera dietro compenso aumentato

dall'I .n.p.s., anche se in misura da esso ritenuta inadeguata.

In altri termini, il consenso si era formato più che sulla

specifica misura della tariffa, sul metodo di sua determinazione

mediante circolare (come lo stesso ricorrente espone), cioè me

diante atto unilaterale dell'istituto; sicché le richieste del sanitario

appaiono volte piuttosto ad aprire una trattativa sulla misura, che

a revocare quel consenso, la cui permanenza è, secondo la

ineccepibile valutazione del giudice di merito, testimoniata dalla

continuazione della prestazione professionale convenuta.

Col secondo motivo, denunciandosi violazione dell'art. 2233, 2°

comma, c.c. si sostiene che in tale norma, nonché nel 1° comma

dell'art. 36 Cost., è posto un limite inderogabile all'autonomia

negoziale delle parti, sicché sarebbe nulla la clausola contrattuale

che, sia in un rapporto di lavoro autonomo che in un rapporto di lavoro subordinato, stabilisse una retribuzione tale da non

essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, o

comunque non sufficiente a garantire al lavoratore e alla sua

famiglia una esistenza libera e dignitosa, ovvero un compenso non adeguato all'importanza e al decoro della professione; ed

essa andrebbe costituita ex art. 1419, 2° comma, dalla determina

zione del giudice ai sensi dell'art. 2233, 1° comma, ovvero anche

ex art. 432 c.p.c. equitativamente. Erroneamente il tribunale, basandosi su un inesistente « tacito comportamento delle parti », ha negato la possibilità del giudice di determinare il compenso

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1579 PARTE PRIMA 1580

dovuto sulla base della norma invocata, con ciò implicitamente avallando la legittimità della corresponsione di compensi irrisori,

certamente in violazione dei principi sanciti inderogabilmente dal

l'art. 2233, 2° comma.

Anche tale censura è infondata. Lo è innanzi tutto quanto al

profilo concernente la violazione dell'art. 2233, in quanto la

sentenza è anche in tal caso in linea con la giurisprudenza di

questa corte, la quale ha avuto occasione di affermare che il

compenso spettante al professionista va determinato in base alla

tariffa e adeguato all'importanza dell'opera solo nel caso in cui

esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto la citata norma

pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di

determinazione del compenso per prestazioni professionali, attri

buendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione che sia

intervenuta fra le parti, e poi, in ordine successivo, e solo in

mancanza di convenzione, alle tariffe e agli usi, ed infine, ove

anche questi manchino, alla determinazione del giudice (sent. 7

gennaio 1981, n. 104, id., Rep. 1981, voce cit., n. 59; 16 marzo

1981, n. 1433, ibid., n. 60; 3 novembre 1981, n. 5773, ibid., n.

61; 27 gennaio 1982, n. 530, id., Rep. 1982, voce cit., n. 83; 14

dicembre 1983, n. 7374, id., Rep. 1984, voce cit., n. 81; 3 aprile

1979, n. 1903, id., Rep. 1979, voce cit., n. 64; 4 agosto 1977, n.

3508, id., Rep. 1977, voce cit., n. 32), sicché il ricorso agli altri

criteri, di carattere meramente sussidiario e suppletivo (sent. 10

settembre 1980, n. 5219, id., Rep. 1980, voce cit., n. 64) è precluso al giudice dall'esistenza della convenzione (sent. 4 gennaio 1977, n. 11, id., Rep. 1977, voce cit., n. 28; 6 marzo 1979, n. 1412, id.,

Rep. 1979, voce cit., nn. 68, 72) quale che sia la difficoltà di

interpretazione e applicazione della medesima, da superare con i

mezzi di cui le parti e il giudice possano disporre (sent. 11

ottobre 1980, n. 5453, id., Rep. 1980, voce cit., n. 63). Parimenti non corretto è, infine, il richiamo all'art. 36, 1°

comma, Cost., perché, come questa corte ha anche di recente

ribadito a sezioni unite, detta norma riguarda esclusivamente il

rapporto di lavoro subordinato, e non è applicabile in tema di

compenso per altre prestazioni lavorative, quali quelle di lavoro

autonomo (sent. 15 marzo 1985, n. 2016, id., 1985, I, 1653; 5

gennaio 1983, n. 38, id., Rep. 1983, voce Lavoro autonomo, n. 5; 12 febbraio 1980, n. 991, id., Rep. 1980, voce cit., n. 9; 10 novem bre 1977, n. 4853, id., Rep. 1977, voce cit., n. 6), e, in

particolare, di lavoro libero-professionale (sent. n. 2016 del 1985,

cit.; 20 dicembre 1978, n. 6124, id., Rep. 1978, voce Professioni intellettuali, n. 71; 21 luglio 1977, n. 1091, id., Rep. 1977, voce

cit., n. 39; 30 ottobre 1969, n. 3605, id., Rep. 1970, voce cit., n.

78). Interpretazione, questa, suffragata dal tenore del 2° e 3° comma

del medesimo art. 36, che possono riferirsi unicamente al lavoro

subordinato, vertendo in materia di orario di lavoro, riposi e

ferie; e non smentita dalla estensione normativa di talune disci

pline tipiche del lavoro subordinato a categorie di lavoratori

autonomi, né dalla applicabilità del rito del lavoro ai rapporti cosiddetti parasubordinati, trattandosi di estensioni eccezionali, come tali confermative della regola della generale inapplicabilità al lavoro autonomo di principi e discipline proprie di quello subordinato.

Il ricorso va dunque rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 17

dicembre 1985, n. 6412; Pres. Gabrieli, Est. Quaglione, P. M.

Leo (conci, conf.); Soc. Zurigo assicurazioni (Aw. Carboni

Corner, Arata) c. Pizzi (Aw. Sasso). Cassa Trib. Milano

8 giugno 1981.

Locazione — Legge 392/78 — Immobile adibito ad uso abitativo — Autorimessa concessa in locazione successivamente — Rap

porto di pertinenza — Sussistenza — Condizioni (Cod. civ., art.

817, 818; 1. 6 agosto 1967 n. 765, modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 18; 1. 27

luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani,

art. 1, 13, 58, 65).

La successiva concessione in godimento al conduttore di im

mobile adibito ad uso abitativo, da parte del medesimo

locatore, di una unità immobiliare destinata ad autorimessa

privata, situata nello stesso stabile, non è circostanza idonea a

configurare la ricorrenza tra i due immobili di un vincolo

pertinenziale perfetto secondo lo schema legale tipico previsto

Il Foro Italiano — 1986.

dall'art. 817 c.c., essendo, altresì, necessaria la dimostrazione

dell'intervenuta novazione dei due contratti originari in un unico

rapporto locatizio avente ad oggetto i due beni. (1)

Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 18 dicembre

1979 la s.p.a. Zurigo assicurazioni, premesso che aveva concesso

in locazione a Lina Pizzi un locale per autorimessa al piano terreno dello stabile sito a Milano in via Inganni n. 103 e che il

contratto scadeva il 29 marzo 1980, conveniva la conduttrice

avanti al Pretore di Milano per sentir convalidare la licenza per finita locazione in precedenza inviatale.

La Pizzi, costituitasi in giudizio, esponeva che era conduttrice

anche di un appartamento sito nel medesimo stabile, anch'esso di

proprietà della Zurigo assicurazioni; che fino al dicembre 1978

aveva provveduto al pagamento dei canoni conglobati in unica

somma che, dopo l'entrata in vigore della 1. 27 luglio 1978 n.

392, la società locatrice aveva iniziato ad emettere bollette

separate. La convenuta chiedeva, quindi, il rigetto della domanda

e, in via riconvenzionale, l'accertamento che il box e l'alloggio costituiscono un'unica entità immobiliare soggetta alla disciplina della 1. n. 392 del 1978, sia quanto all'ammontare del canone

complessivo, di cui chiedeva la determinazione, sia quanto alla durata del rapporto.

Il pretore con sentenza 8 luglio 1980, ritenuto che l'autorimessa era un elemento accessorio dell'abitazione, con la conseguenza che l'intera unità immobiliare era soggetta al regime della legge sull'equo canone, respingeva la domanda di convalida della licen za per finita locazione; dichiarava, inoltre, l'improcedibilità della domanda di determinazione dell'equo canone perché non era sta to esperito il tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 44 1. 27

luglio 1978 n. 392.

L'appello proposto dalla soc. Zurigo assicurazioni veniva in

seguito rigettato con sentenza 8 giugno 1981 dal Tribunale di

Milano in base alle seguenti considerazioni: per i contratti sorti

anteriormente all'entrata in vigore della 1. n. 392 del 1978, i quali risentono della precedente normativa, si deve affermare, in via di

principio, la sussistenza di un vincolo pertinenziale fra i due beni

oggetto di separati contratti per cui l'autorimessa è sottoposta alla

medesima disciplina giuridica dell'alloggio; né la stipulazione di due diversi contratti di locazione può incidere negativamente sulla loro connessione in presenza di un rapporto funzionale tra i due beni (elemento oggettivo) e della destinazione impressa durevolmente dall'avente diritto ad una cosa al servizio e al

(1) Sulle condizioni per la configurabilità, tra abitazione e autori messa concesse in godimento al medesimo conduttore, di un vincolo pertinenziale, cfr. Cass. 27 febbraio 1985, n. 1728, Foro it., 1985, I, 2642, con nota di richiami. Adde: Trib. Genova 12 ottobre 1983, Giur. it., 1985, I, 2, 503, con nota di L. Morellini, Pertinenze dell'abitazione e determinazione del corrispettivo, con riferimento ad una peculiare fattispecie caratterizzata dalla ricorrenza di un rapporto di accessorietà tra un'abitazione e uno scalo di alaggio; Pret. Beneven to 14 maggio 1985, Arch, locazioni, 1985, 315; e Pret. Napoli 10 ottobre 1984, Rass. equo canone, 1985, 141, per le quali, in assenza di un nesso di pertinenzialità con altro immobile abitativo o commerciale, la locazione di un'unità immobiliare con destinazione a deposito privato non è soggetta alia disciplina della 1. n. 392/78. In genere, sul vincolo pertinenziale tra immobili, v. Cass. 18 gennaio 1985, n. 132, Foro it., Mass., 29.

La pronunzia (che, alla luce di quanto esposto in narrativa, sembra riguardare una locazione in corso all'atto dell'entrata in vigore della 1. 392/78) esclude, per implicito, che l'esistenza tra i due immobili di una relazione meramente oggettiva e funzionale sia sufficiente a determinare l'attrazione della locazione concernente l'autorimessa nel l'ambito d'operatività della normativa propria delle locazioni aventi ad

oggetto immobili adibiti ad uso abitativo. In senso opposto, con

riguardo alle locazioni stipulate nella vigenza della c.d. legge dell'e quo canone, v., invece, Cass. 19 marzo 1985, n. 2026, id., 1985, I, 2642, nonché Trib. Vicenza 24 febbraio 1984, id., 1984, I, 2571, con note di richiami.

Sull'art. 18 1. 6 agosto 1967 n. 765, che, asservendo (per finalità urbanistiche) determinate aree coperte e spazi liberi, da destinare alla sosta degli autoveicoli, ad un intero edificio, è stato ritenuto dalla corte del tutto ininfluente sulla problematica relativa agli specifici collegamenti tra singole abitazioni e singole autorimesse, cfr. Cass. 17 dicembre 1984, n. 6602 (citata in motivazione con le pressoché identiche n. 6600 e 6601), id., 1985, I, 710, con nota di N. Matassa.

Non diversamente sembra potersi argomentare a proposito dell'art. 26, ult. comma, 1. 28 febbraio 1985 n. 47 (c.d. « legge sul condono edilizio ») che dispone: « gli spazi di cui all'art. 18 1. 6 agosto 1967 n. 765 costituiscono pertinenze delle costruzioni ai sensi e per gli effetti

degli art. 817, 818, 819, c.c.». Su tale ultima disposizione v. Pret. Roma 29 ottobre 1985, id., 1986, I, 1461, con nota di N. Matassa, Note in margine alla nuova disciplina degli spazi di parcheggio condominiali.

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