sezioni unite civili; sentenza 16 luglio 2001, n. 9645; Pres. Vessia, Est. Criscuolo, P.M. Lo Cascio(concl. conf.); Soc. Mastedil (Avv. Calzolaio) c. Soc. Poste italiane (Avv. Bellini). Regolamento digiurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 3 (MARZO 2002), pp. 805/806-813/814Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196916 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
collegio è consentito solo nel caso previsto dall'art. 174 c.p.c. e
solo quando, per la necessità di assumere mezzi istruttori, s'im
ponga la necessità di dilazionare in più udienze la trattazione
della causa.
Ne deriva, secondo il ricorrente, che il principio fissato dal 1°
comma dell'art. 276 c.p.c. conserva la sua rilevanza nel giudizio
d'appello, ancorché non sia richiesta la discussione, non poten dosi consentire che un collegio diverso da quello che unitaria
mente ha trattato la causa ovvero diverso da quello che ha udito
la precisazione delle conclusioni ed ha ritenuto la causa in deci
sione, possa decidere la causa, previo inevitabile totale riesame
di tutti gli atti processuali. In alternativa alla dichiarazione di nullità della sentenza, il ri
corrente propone che, di ufficio, questa corte sollevi questione di legittimità costituzionale dell'art. 276 c.p.c., la cui formula
zione è rimasta immutata rispetto alla riforma in senso intera
mente collegiale del giudizio d'appello, per contrasto con gli art. 24 e 25 Cost., nella parte in cui, richiamato dall'art. 131, 1°
comma, disp. att. c.p.c., non prevede che alla decisione in ap
pello debbano partecipare solo i componenti del collegio che ha
ritenuto la causa per la decisione.
11 motivo è fondato con riferimento alla seconda delle due
censure in cui si articola.
Decisamente irrilevante deve ritenersi il fatto che, ad onta
dell'indubbia collegialità che, a seguito della novella del 1990,
caratterizza l'intero giudizio di appello, nel caso in esame sia
stato designato un giudice relatore tra i componenti il collegio e
che allo stesso sia stato assegnato il ruolo di relatore nel proce dimento incidentale di discussione dell'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado, es
sendo evidente che, una volta assicurata la collegialità della
trattazione della causa, per essersi, tutte le attività processuali
disciplinate dagli art. 350 e 351 c.p.c., svolte innanzi al collegio — del che non si dubita da parte del ricorrente — l'affidamento
praeter legem, non già contra legem, di un non previsto ruolo di
relatore ad uno dei magistrati componenti il collegio che trattò
la causa non può costituire causa d'invalidazione del procedi mento e della sentenza pronunciata dal giudice d'appello.
Sembra invece contrastare gli scopi acceleratori della novella un'in
terpretazione che, forzando i testi modificati, escogita nuove regole sulla «costituzione del giudice» d'appello, per questa via giungendo a
comminare la nullità degli atti processuali (art. 158 c.p.c.) oltre i casi
determinati dalla legge e ad essa sola riservati (art. 156 c.p.c.). Risultato negativo, per altro, raggiunto senza che si possa almeno
vedere assicurato un qualunque vantaggio per le parti o per le istituzio
ni civili e che fa ben capire il seguente passo della relazione Acone
Lipari alla commissione del senato: «11 Consiglio superiore della magistratura condivideva espressamente
l'idea di procedere ad una riforma parziale della normativa processuale, da attuarsi con la tecnica della novellazione, pur precisando che 'la
scelta del modello novellistico ha non solo una portata tattica, ma un
valore strategico', in quanto 'la crisi del processo civile è cosi radicata
e profonda (in termini di cultura oltreché di efficienza pratica) da ren
dere necessario, dapprima, un circoscritto intervento di pronto soccor
so, capace di innescare un'inversione di tendenza su cui possa calarsi in
un secondo momento, senza reazioni di rigetto, altrimenti inevitabili, una riforma più generale' (così la risoluzione sul tema 'misure per l'ac
celerazione dei tempi della giustizia civile' con riferimento al disegno di legge governativo presentato sull'argomento nella decorsa legislatu ra ed approvata dal Consiglio superiore della magistratura il 18 maggio 1988)». In effetti, la decisione che si commenta sembra dovuta princi
palmente alla mancanza di esperienza nei componenti del collegio della
terza sezione della Suprema corte dello svolgersi effettivo del processo di appello secondo il nuovo rito e, si direbbe, alla conseguente mancata
attenzione verso le riconoscibili ragioni del mutamento normativo.
Non si riesce altrimenti ad ammettere che si accetti come invalida
una decisione cui segue un rimedio assolutamente apparente, dato il
principio di legge secondo cui «la nullità di un atto non importa quella
degli atti precedenti» (art. 159 c.p.c.). Dunque, l'avvenuta precisazione delle conclusioni d'appello resterà
intoccabile; dunque, la redazione ed il deposito delle conclusionali e
delle repliche resterà intoccabile.
Cambierà solo la composizione del collegio decidente, caratterizzato
rispetto al precedente unicamente dall'avere assistito a movimenti del
processo puramente temporali, senza mutamenti nel contenuto di un
qualunque atto. Perdita di tempestività secca: senza contropartita.
Al contrario, come esattamente sostiene il ricorrente, invali
dante deve ritenersi il mutamento della composizione del colle
gio giudicante rispetto a quella del collegio che, avendo presie duto alla trattazione della causa, raccolse le conclusioni formu
late dalle parti e ritenne la causa per la decisione.
La possibilità di tale mutamento si porrebbe in immediabile
contrasto con la ratio della significativa riforma dell'art. 350
c.p.c. operata con la novella del 1990, che, attribuendo alla
trattazione del giudizio d'appello la caratteristica di piena colle
gialità (v. primo alinea dell'articolo citato), ha inteso, non solo, come osserva il ricorrente, contemperare i rischi conseguenti al
l'introduzione del giudice unico di primo grado con la garanzia di un giudizio di secondo grado interamente collegiale, conside
rato, per ciò stesso, indice di maggiore equilibrio, ma anche as
sicurare la piena osservanza dei principi d'immediatezza e di
concentrazione del procedimento d'impugnazione. La seconda finalità verrebbe, con tutta evidenza, frustrata
dalla possibilità di mutare, in sede di decisione, la composizione del collegio che raccolse le conclusioni delle parti e ritenne la
causa per la decisione.
Tale rilievo vale, pertanto, non solo per l'ipotesi configurata come eventuale dal 2° comma dell'art. 352 c.p.c., che alla trat
tazione sia seguita, a richiesta di alcuna delle parti, la discussio
ne della causa, bensì anche per l'ipotesi, ora normale rispetto al
previgente rito — ipotesi verificatasi nel caso in esame — che
alla decisione si pervenga direttamente dalla trattazione, senza
passare per la discussione.
Sicché, ad onta della formulazione del 1° comma dell'art. 276
c.p.c., rimasta immutata nonostante la riforma del 1990 — for
mulazione che sembrerebbe limitare il divieto di mutamento
della composizione del collegio in sede decidente solo con rife
rimento alla composizione di esso in fase di discussione — deve
ritenersi che l'attuale caratteristica di collegialità piena dell'in
tero giudizio d'appello impedisca, a pena di nullità della senten
za, la variazione della composizione del collegio in sede di de
cisione rispetto alla composizione del collegio che ascoltò le
conclusioni rassegnate dalle parti e ritenne la causa per la deci
sione, ancorché nessuna delle parti abbia richiesto la discussio
ne della causa.
La sentenza impugnata va, pertanto, dichiarata nulla con con
seguente rinvio della causa, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d'appello di Cagliari, perché proceda ad un nuovo giudizio di appello.
L'accoglimento, per le ragioni esposte, del primo motivo del
ricorso, comportando la dichiarazione di nullità della sentenza
impugnata, assorbe l'esame degli altri motivi proposti dal ricor
rente.
Giovacchino Massetani
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 16
luglio 2001, n. 9645; Pres. Vessia, Est. Criscuolo, P.M. Lo
Cascio (conci, conf.); Soc. Mastedil (Avv. Calzolaio) c. Soc.
Poste italiane (Avv. Bellini). Regolamento di giurisdizione.
Giurisdizione civile — Pubblici servizi — Responsabilità
precontrattuale —
Fattispecie (D.leg. 31 marzo 1998 n. 80,
nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa,
emanate in attuazione dell'art. 11, 4° comma, 1. 15 marzo
1997 n. 59, art. 33; 1. 21 luglio 2000 n. 205, disposizioni in materia di giustizia amministrativa, art. 6, 7).
Giurisdizione civile — Pubbliche forniture — Responsabili
tà precontrattuale — Giurisdizione amministrativa —
Esclusione (Cod. civ., art. 1337, 2043; d.leg. 24 luglio 1992 n. 358, t.u. delle disposizioni in materia di appalti pubblici di
forniture, in attuazione delle direttive 77/62/Cee, 80/767/Cee
e 88/295/Cee, art. 9, 16).
Il Foro Italiano — 2002.
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807 PARTE PRIMA 808
Giurisdizione civile — Responsabilità precontrattuale della
pubblica amministrazione — Giurisdizione ordinaria
(Cod. civ., art. 1337, 2043).
Spetta al giudice ordinario la vertenza, inerente a responsabi lità precontrattuale in materia di pubblici servizi, promossa
dopo l'entrata in vigore de! d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, ma
prima dell'entrata in vigore della l. 21 luglio 2000 n. 205:
infatti, per valutare la giurisdizione, non è determinante / 'art.
33 d.leg. 80/98, perché dichiarato incostituzionale, né è de
terminante la l. 205/00, perché, ai sensi dell'art. 5 c.p.c., co
me sostituito dall'art. 2 I. 26 novembre 1990 n. 353, la giuris dizione si determina con riguardo alla legge vigente e allo
stato di fatto esistente al momento della domanda e non han
no rilevanza i mutamenti successivi. ( 1 )
(1 ) La sentenza affronta la questione della giurisdizione in materia di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale (ipotesi che la Cassazione riconduce a quella della responsabilità extracontrattuale), all'indomani di Corte cost. 17 luglio 2000, n. 292 (Foro it., 2000, I, 2393, con osservazioni di A. Barone e nota di A. Travi, Giurisdizione esclusiva e legittimità costituzionale), con la quale è stata dichiarata
l'illegittimità dell'art. 33, 1° comma, d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, nella
parte in cui, eccedendo la delega conferita dall'art. 11,4° comma, lett.
g), I. 15 marzo 1997 n. 59, istituiva una giurisdizione esclusiva del giu dice amministrativo in materia di pubblici servizi, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle vertenze risarcitorie. Subito dopo la sentenza della Corte costitu zionale, la 1. 21 luglio 2000 n. 205 ha introdotto nuove ipotesi di giuris dizione esclusiva del giudice amministrativo, confermando nella so stanza il disegno dell'art. 33 citato decreto 80/98 e affrontando nuova mente (ma in modo non chiaro) la questione della giurisdizione per le vertenze risarcitorie (cfr. art. 7). Tuttavia tale legge non contiene una
disciplina transitoria e non dispone nulla per le vertenze già preceden temente promosse.
All'esame della Cassazione era una controversia instaurata prima dell'entrata in vigore della 1. 205/00. per danni imputati all'ammini strazione a titolo di responsabilità precontrattuale (si trattava di danni subiti per effetto dell'ingiustificata interruzione delle trattative nel l'ambito di una procedura negoziata per un appalto pubblico di fornitu
re). il riparto della giurisdizione introdotto dalla 1. 205/00 non poteva assumere rilievo, alla luce dell'art. 5 c.p.c., nel testo novellato dalla 1.
353/90, secondo cui la giurisdizione si determina con riguardo alla leg ge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, senza che assumano rilievo i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo. Nella specie, non poteva trovare
applicazione neppure il consolidato principio giurisprudenziale della c.d. convalidazione della giurisdizione sopravvenuta. Tale principio, in fatti, opera solo a favore della competenza del giudice originariamente adito, quando nel corso del giudizio intervenga una disposizione che
assegni la giurisdizione (o la competenza) a quel giudice. Per l'applica zione del principio, v. Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2000, n. 6315, id., 2001, III, 125, con nota redazionale di L. Carrozza-F. Fracchia. In
precedenza, in materia di controversie attinenti alle opere pubbliche, v. Cass., sez. un., 18 maggio 2000, n. 366/SU, 3 aprile 2000, n. 88/SU, e 1° aprile 2000, n. 73/SU, ibid.. I, 205, con nota di L. Carrozza-F. Fracchia. Sulla giurisdizione sopravvenuta in materia di concessioni amministrative, v. Cass., sez. un., 21 dicembre 1999, n. 918/SU, e 25
maggio 1999, n. 287/SU, id., 2000, I, 1185, con nota di L. Carrozza-F.
Fracchia, Il regime processuale delle controversie in materia di con cessioni amministrative. V. anche Tar Puglia, sez. I, 17 maggio 2001, n. 1761, id., 2002, III, 3, secondo il quale alla stregua del principio della «convalida» della giurisdizione da parte dello ius superveniens, deve ritenersi che l'art. 7, 3° comma, 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, come modificato dall'art. 7, 4° comma, I. 205/00, sia applicabile anche ai
processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge medesima. Si tenga presente, in argomento, la disciplina transitoria dettata dal
l'art. 45, 18° comma, d.leg. 80/98. In ordine ad essa, v. Cass., sez. un., 2 marzo 1999, n. 107/SU, id., Rep. 1999, voce Giurisdizione civile, n.
141, secondo cui, in materia di procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo opera a far tempo dal 1° luglio 1998, mentre per i giudizi pendenti alla data del 30 giugno 1998 la giu risdizione viene regolata secondo le norme precedentemente vigenti; nonché Pret. Palermo 10 marzo 1999, ibid., voce Giustizia amministra tiva, n. 142, la quale, sottolineando la diversa formulazione del comma citato rispetto al 17°, concernente le controversie di pubblico impiego, rileva come mentre in quest'ultimo caso la devoluzione avviene per le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di la voro successivo al 30 giugno 1998, ai sensi del 18° comma cit., il nuo vo criterio di riparto della giurisdizione nella materia di cui agli art. 33 e 34 opera unicamente con riferimento alla data di introduzione del
giudizio.
Il Foro Italiano — 2002.
La circostanza che una fornitura fosse assoggettata al d.leg. 24
luglio 1992 n. 358. in tema di appalti pubblici di forniture, non è sufficiente per riconoscere la giurisdizione al giudice amministrativo, qualora l'attore faccia valere la responsabi lità precontrattuale dell'amministrazione, dato che il giudizio non verte in tal caso né su atti della procedura, né sulla indi
viduazione del contraente, né sull'aggiudicazione dell'ap
palto. (2) In mancanza di una norma (vigente al momento della domanda)
che attribuisca al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia, la cognizione su una vertenza risarcito
ria (per responsabilità extracontrattuale o per responsabilità
precontrattuale) è devoluta al giudice ordinario, senza che
assuma rilievo se la situazione giuridica lesa sia un diritto
soggettivo o un interesse legittimo. (3)
In dottrina, sulle problematiche sollevate dalle nuove ipotesi di giuris dizione esclusiva previste dal d.leg. 80/98 e dalla 1. 205/00, cfr., in
particolare, A. Proto Pisani, Verso il superamento della giurisdizione amministrativa?, id.. 2001, V, 21; G. De Giorgi Cezzi, Processo ammi nistrativo e giurisdizione esclusiva: profili di un diritto in trasforma zione, in Dir. proc. ammin., 2000, 696; G. Romeo, La giurisdizione amministrativa tra presente e futuro, ibid.. 121; F. Bile, Qualche dub bio sui nuovo riparto di giurisdizione, in Giust. civ., 1999, II, 17; non
ché, con particolare riferimento alle espropriazioni, G. De Marzo, Le
procedure espropriative e la giurisdizione esclusiva de! giudice ammi nistrativo nella materia urbanistica ed edilizia, in Foro it., 2000, I, 2144.
Sulla rilevanza, ai fini della giurisdizione, dell'oggetto della doman
da, v., da ultimo, Cass., sez. un., 1° marzo 2000, n. 50/SU, id., 2001, I, 2339, con nota di richiami di L. Carrozza.
La giurisprudenza più recente ritiene che il principio generale del l'art. 1337 c.c., che impone a tutti i soggetti di comportarsi nello svol
gimento della fase della trattativa secondo buona fede, seppure non di rettamente invocabile quando rilevino posizioni di interesse legittimo, valga anche nei confronti dell'attività negoziale dell'amministrazione. Sul punto, per la giurisprudenza amministrativa successiva al d.leg. 80/98, v. Tar Lombardia, sez. Ili, 31 luglio 2000, n. 5130, id., 2002, IH, 4, con note di V. Molaschi e E. Casetta-F. Fracchia (confermata in
appello da Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2001, n. 4776, inedita), se condo cui la rottura delle trattative in una procedura di trattativa privata senza motivi idonei a giustificarla costituisce fonte di responsabilità precontrattuale in capo alla pubblica amministrazione, dato che la di screzionalità dell'amministrazione nell'individuazione del contraente e nella successiva conclusione dell'accordo incontrano un limite insupe rabile nell'obbligo di buona fede e nella tutela dell'affidamento ingene rato nel privato per mezzo della conduzione delle trattative. Negli stessi
termini, Tar Abruzzo, sez. Pescara, 6 luglio 2001, n. 609, ibid.. 2, se condo la quale è da ritenere configurabile la responsabilità dell'ammi nistrazione ex art. 1337 c.c., qualora essa abbia tratto in errore il pri vato ingenerando aspettative fondate su un suo comportamento, fermo restando che, non rilevando gli stati d'animo soggettivi, tale violazione del precetto di buona fede deve risultare documentalmente e deve esse re causata da ragioni che esulano dal pubblico interesse. Sulla respon sabilità precontrattuale dell'amministrazione, alle pronunce citate, adde Tar Friuli-Venezia Giulia 26 luglio 1999, n. 903, id.. Rep. 1999, voce Contratti della p.a.. n. 179. Per la giurisprudenza civile, cfr. Cass. 26
agosto 1997, n. 7997, id., Rep. 1998, voce cit„ n. 125; 2 novembre 1998, n. 10956, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 108; sez. un. 26 maggio 1997, n. 4673, id., Rep. 1998, voce cit., n. 131; App. Roma 17 aprile 1990, id., 1990, I, 2953, con nota di richiami. In dottrina, v. M.R. Mu las, La responsabilità precontrattuale nei contratti ad evidenza pubbli ca. in Contratti Stato e enti pubbl. 1999, 39; D. Palmieri, La respon sabilità precontrattuale nella giurisprudenza, Milano, 1999; G. Coro na, In tema di responsabilità precontrattuale delia pubblica ammini strazione. in Cons. Stato. 1997, II, 2142; S. Verzaro, Brevi note in te ma di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in Giur. it., 1998, 570; F. Caringella, Responsabilità precontrattuale della p.a. a cavallo tra schemi privatistici e moduli procedimentali, in Corriere giur., 1996, 294; E. Liuzzo, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, Milano, 1995; D. Carusi, Problemi della responsabilità precontrattuale alla luce della giurisprudenza sulla «culpa in contrahendo» della pubblica amministrazione, in Giur. it., 1995, I, 1, 95.
(2-3) La peculiarità della sentenza è rappresentata dal riferimento
specifico al d.leg. 24 luglio 1992 n. 358, che disciplina le procedure per gli appalti pubblici di forniture. La Cassazione rileva che l'applicazione di questa disciplina non incide sulla questione di giurisdizione, nel caso di una vertenza risarcitoria promossa per responsabilità precontrattuale, dato che, a fondamento della pretesa, non viene in rilievo un atto della
procedura di aggiudicazione da impugnare quanto piuttosto la lesione del principio posto dall'art. 1337 c.c. Inoltre ribadisce il principio già
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con citazione notificata il 23
giugno 1999 la società Mastedil s.r.l., con sede in Macerata, in
persona dell'amministratore unico e legale rappresentante pro tempore ing. Fulvio Cristofanelli, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Macerata la società Poste italiane s.p.a. (già ente Poste italiane), in persona del legale rappresentante, esponendo che:
1) con bando pubblicato il 26 novembre 1996 l'ente Poste
italiane, sede regionale delle Marche, aveva avviato una trattati
va privata (procedura negoziata) per la fornitura nelle Marche di
alcuni fabbricati per «uso lavorazioni postali, autorimessa, ma
gazzini ed uffici», prevedendo per l'edificio in Macerata una
superficie lorda compresa tra 3.500 e 4.500 mq coperti e 2.000
mq scoperti;
2) il 27 dicembre 1996 la Mastedil aveva presentato domanda
di partecipazione alla gara, dopo aver stipulato un'opzione per
affermato da Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500/SU, Foro it., 1999, I, 2487, con nota di A. Palmieri-R. Pardolesi, e successivamente ripreso in giurisprudenza (da ultimo, Cass., sez. un., 1° marzo 2000, n. 50/SU, cit.), secondo cui, nelle materie non devolute alla giurisdizione esclusi
va, la cognizione sulla pretesa risarcitoria ai sensi dell'art. 2043 c.c., e
dunque anche ex art. 1337 c.c., spetta sempre al giudice ordinario, sen za che assuma rilievo la qualificazione della situazione giuridica de dotta in giudizio come diritto soggettivo o interesse legittimo. Ciò in
ragione dell'autonomia che caratterizza il diritto (soggettivo) al risar cimento del danno rispetto alla posizione giuridica, che può essere in differentemente di interesse legittimo ovvero di diritto soggettivo, la cui lesione obbliga al risarcimento.
Diversa sarebbe stata la soluzione se fosse stata vigente, al momento della domanda, una norma attributiva al giudice amministrativo della
giurisdizione esclusiva nell'ambito in esame. Poiché la delega conferita con la citata 1. 57/97 consentiva non tanto
l'istituzione di nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva quanto l'esten sione della giurisdizione amministrativa, sia di legittimità che esclusiva
(purché già esistente), alla cognizione dei diritti patrimoniali conse
guenziali, ivi compreso il risarcimento del danno, la dichiarazione di
parziale illegittimità costituzionale dell'art. 33 d.leg. 80/98 non esclude la permanenza di una competenza del giudice amministrativo per le vertenze risarcitorie. 11 giudice amministrativo rimane competente per le vertenze risarcitorie inerenti a una materia devoluta alla sua giurisdi zione esclusiva prima del d.leg. 80/98.
Sulla problematica del risarcimento dei danni per lesione ad interessi
legittimi, tra i contributi più recenti, v., oltre alle note di V. Molaschi e E. Casetta-F. Fracchia, cit., A. Travi, Tutela risarcitoria e giudice amministrativo, in Dir. ammin.. 2001, 7; G. Falcon, Il giudice ammini strativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, in Dir. proc. ammin., 2001, 287; 1. Franco, L'oggetto del giudizio dopo la
riforma della giurisdizione amministrativa ex d.leg. 80/98. Tipologie di
illegittimità e reintegrazione patrimoniale, con particolare riguardo agli atti di pianificazione del territorio, ibid., 399; L.V. Moscarini, Ri
sarcibilità degli interessi legittimi e termini di decadenza: riflessioni a
margine dell'ordinanza n. 1 dell'ad. plen. del Consiglio di Stato 2 gen naio 2000, ibid.. 1. Per i primi commenti a Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500/SU, cit., cfr. R. Caranta, La pubblica amministrazione nell'età della responsabilità, F. Fracchia, Dalla negazione della risar cibilità degli interessi legittimi ali 'affermazione della risarcibilità di
quelli giuridicamente rilevanti: la svolta della Suprema corte lascia
aperti alcuni interrogativi, A. Romano, Sono risarcibili: ma perché de vono essere interessi legittimi?, E. Scoditti, L 'interesse legittimo e il costituzionalismo. Conseguenze della svolta giurisprudenziale in mate ria risarcitoria, in Foro it., 1999, I, 3201 ss. Per la dottrina successiva alla sentenza 500/SU/99, cfr. G. Berti, F.G. Scoca, A. Luminoso, S.
Menchini, V. Angiolini, in Dir. pubbl., 2000, 1 ss.; S. Cassese, La pie na giurisdizione del giudice amministrativo, in II sistema della giustizia amministrativa dopo il d.leg. 80/98 e la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione 500/99, Milano, 2000, 325; L. Torchia, Il danno ingiusto derivante dall 'azione amministrativa: lesione della si
tuazione soggettiva, pregiudizio risarcibile e tecniche di tutela, ibid. ; L.
Carrozza-F. Fracchia, Art. 35 d.leg. 80/98 e risarcibilità degli «inte
ressi meritevoli di tutela»: prime applicazioni giurisprudenziali, in Fo
ro it., 2000, III, 200; F. Fracchia, Risarcimento danni da c.d. lesione di
interessi legittimi: deve riguardare i soli interessi a «risultato garanti to»?, ibid., 479; E.M. Barbieri, La giustizia amministrativa sulla via
dell'effettività, in Foro amm., 2000, 1551; S. Cogli ani, La giurisdizio ne piena del giudice amministrativo, in Giornale dir. amm., 2000, 796;
Barbieri, Quale risarcimento per la lesione di interessi legittimi?, in
Riv. trim, appalti, 2000, 245; M. Donno-A. Pascucci, Art. 35 d.leg. n.
80 del 1998 e risarcimento informa specifica, ibid., 807; M. Protto, È
crollato il muro delta irrisarcibilità delle lesioni dì interessi legittimi: una svolta epocale?, in Urbanistica e appalti. 1999, 1067.[S. Rodolfo
Masera]
Il Foro Italiano — 2002.
l'acquisto di un'area idonea per la realizzazione del fabbricato richiesto dall'ente Poste;
3) ricevuto l'invito a partecipare alla procedura la Mastedil, in data 19 marzo 1997, aveva presentato l'offerta di vendita di un fabbricato al prezzo di lire 11.713.000.000 ed aveva poi in
trapreso i contatti con l'ufficio area patrimonio e lavoro, invian do a Roma il proprio legale rappresentante ed i collaboratori con cadenza quasi settimanale fino al luglio 1998 (circa quarantotto trasferte);
4) nel corso di questi colloqui essa aveva appreso che la mag gior parte delle offerte pervenute avevano ad oggetto la ristrut
turazione d'immobili già esistenti, mentre due (una della stessa Mastedil e una di altra società) proponevano l'acquisto di nuovi fabbricati e tale soluzione era preferita dall'ente Poste;
5) la procedura si era quindi concentrata nella trattativa con le due società che avevano presentato offerte per un nuovo fabbri
cato, società alle quali era stato chiesto di presentare una nuova
offerta, con indicazione di requisiti ritenuti determinanti dal
l'ente;
6) nel frattempo, il 7 novembre 1997, una società collegata alla Mastedil, essendo ormai prossima la scadenza dell'opzione sull'area, aveva deciso di acquistare una delle due porzioni di
questa per poter proseguire nella trattativa;
7) queste si erano poi sviluppate con ulteriori contatti, in data 15 dicembre 1997 erano state presentate le nuove offerte, quella della Mastedil era stata ritenuta migliore e più conveniente per l'ente, onde la società aveva chiesto che fosse formalizzato l'af
fidamento dell'appalto; 8) il 14 gennaio 1998 il direttore dell'ufficio area patrimonio
e lavori di Roma, sentito il corrispondente ufficio di Ancona, aveva chiesto un nuovo ribasso e la società dopo tre giorni ave
va presentato un'offerta di vendita per lire 7.650.000.000, eser
citando poi in data 23 gennaio 1998 il diritto di opzione per l'altra porzione dell'area;
9) il 16 marzo 1998 l'ufficio area patrimonio e lavori di Ro
ma aveva consegnato il preliminare di compravendita per con
sentirne l'analisi da parte della Mastedil allo scopo di addiveni
re alla stipula; 10) dopo tale evento, però, per oltre quattro mesi alla società
non era pervenuta alcuna comunicazione, sicché il suo ammini
stratore in data 30 luglio 1998 si era recato a Roma, dove aveva
appreso dal responsabile dell'area patrimonio e lavori dell'ente
che quest'ultimo intendeva procedere ad un riesame dell'intera
vicenda e che nessun impegno sussisteva verso la Mastedil; 11 ) dopo un silenzio protrattosi per altri tre mesi quest'ulti
ma aveva diffidato l'ente Poste alla stipula del contratto e, co
munque, lo aveva costituito in mora per la responsabilità pre contrattuale;
12) in replica le era stato comunicato che la proposta di ac
quisto non era più attuale per l'azienda.
Su tali premesse l'attrice affermò che l'ente Poste aveva vio
lato ogni regola di correttezza nello svolgimento delle trattative, in guisa da integrare la fattispecie di responsabilità prevista dal
l'art. 1337 c.c., sia per il legittimo affidamento ingenerato in
capo ad essa Mastedil, sia per l'ingiustificato recesso posto in
essere dall'ente medesimo. Aggiunse che essa aveva subito
danni (interesse contrattuale negativo), sia per la perdita di
chances, sia per le spese sostenute, ammontanti a complessive lire 2.421.184.000. Chiese, pertanto, che la Poste italiane s.p.a. (subentrata all'ente Poste) fosse dichiarata responsabile ai sensi
dell'art. 1337 c.c. e/o degli art. 2043 ss. c.c. o di qualsiasi altra
disposizione applicabile e fosse, pertanto, condannata a risarcire
i danni, nella indicata misura di lire 2.421.184.000 o nella di
versa misura da liquidare, se del caso, anche in via equitativa, con vittoria di spese giudiziali.
Produsse i documenti indicati in citazione ed articolò una
prova testimoniale.
La società Poste italiane, con la comparsa di risposta, eccepì il difetto di competenza del Tribunale di Macerata, indicando la
competenza del Tribunale di Roma, e sostenne nel merito l'in
fondatezza della domanda. Con successiva memoria dedusse il
difetto di giurisdizione del giudice ordinario, rilevando che il
bando e il successivo invito pubblico richiamavano come nor
mativa di riferimento il d.leg. n. 358 del 1992, da cui tutto il
procedimento (compresi gli effetti della mancata aggiudicazio
ne) era governato. Affermò quindi che, vertendosi in tema di
enti pubblici e di appalti pubblici, la controversia era devoluta
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
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PARTE PRIMA
La società Mastedil, con atto notificato l'I 1 maggio 2000, ha
proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo che sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordina
rio. La Poste italiane s.p.a. (già ente Poste italiane) resiste con
controricorso, chiedendo che sia dichiarata la giurisdizione del
giudice amministrativo.
La società Mastedil ha depositato memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Oggetto della domanda propo
sta dalla società Mastedil (cui occorre riferirsi per la decisione
sulla giurisdizione ai sensi dell'art. 386 c.p.c.) è il risarcimento
dei danni che la detta società assume di aver subito per l'inter
ruzione (a dire dell'attuale ricorrente, ingiustificata) delle trat
tative e per la mancata stipulazione del contratto, nel quadro della vicenda esposta nella narrativa che precede.
Il titolo della pretesa azionata è la dedotta responsabilità pre contrattuale dell'ente Poste italiane (poi Poste italiane s.p.a.), «ai sensi dell'art. 1337 c.c. e/o ai sensi degli art. 2043 ss. c.c.
e/o di qualsiasi altra applicabile disposizione». Come questa corte ha già affermato, la responsabilità precon
trattuale, configurabile per la violazione del precetto posto dal
l'art. 1337 c.c., costituisce una forma di responsabilità extra
contrattuale, che si collega alla violazione della regola di con
dotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell'/ter di for
mazione del contratto, sicché la sua sussistenza, la risarcibilità
del danno e la valutazione di quest'ultimo devono essere va
gliati alla stregua degli art. 2043 e 2056 c.c., tenendo peraltro conto delle caratteristiche tipiche dell'illecito in questione (Cass. 29 aprile 1999, n. 4299, Foro it.. Rep. 1999, voce Con
tratto in genere, n. 356; 30 agosto 1995, n. 9157, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 259; 1° febbraio 1995, n. 1163, id., Rep. 1995, voce
cit., n. 284; 18 giugno 1987, n. 5371, id., 1988,1, 181). 2. - La domanda è stata proposta con citazione notificata il 23
giugno 1999, in relazione ad una vicenda che, secondo l'esposi zione dei fatti contenuta in quell'atto, si è svolta tra il novembre 1996 e l'ottobre del 1998.
Ai sensi dell'art. 5 c.p.c., nel testo sostituito dall'art. 2 1. 26
novembre 1990 n. 353, la giurisdizione (come la competenza) si
determina con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non
hanno rilevanza rispetto ad essi i successivi mutamenti della
legge o dello stato medesimo.
Nel caso in esame, dunque, non trovano applicazione le nor me in materia di giurisdizione dettate dalla 1. 21 luglio 2000 n.
205 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 26 luglio 2000 ed en
trata in vigore il 10 agosto successivo), perché detta legge non ha efficacia retroattiva (in assenza di ogni disposizione al ri
guardo), onde di essa non può tenersi conto in un processo ini
ziato prima della sua entrata in vigore e pendente davanti al
giudice ordinario. Prima della citata 1. n. 205 del 2000 è stata vigente, rispetto ai
processi iniziati dopo il 1° luglio 1998, la norma recata dall'art. 33 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, in forza della quale erano devo lute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, tra cui, il partico lare, quelle «aventi ad oggetto le procedure di affidamento di
appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti all'applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale». Per il dettato dell'art. 35 stesso d.leg. «il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli art. 33 e
34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifi ca, il risarcimento del danno ingiusto».
Tale normativa sarebbe stata applicabile ratione temporis alla
fattispecie di cui si tratta (art. 45, 18° comma, d.leg. n. 80 del
1998), salvo a verificare se questa fosse o meno riconducibile nelle categorie giuridiche dalla normativa medesima contem
plate (in particolare accertando se il rapporto de quo debba esse re collocato nello schema dell'appalto o della compravendita).
Si deve però osservare che la Corte costituzionale, con sen tenza 17 luglio 2000, n. 292 (Foro it., 2000,1, 2393), ha dichia rato l'illegittimità costituzionale dell'art. 33, 1° comma, d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, nella parte in cui (eccedendo la delega conferita dall'art. 11, 4° comma, lett. g, 1. 15 marzo 1997 n. 59) istituisce una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguen ziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno.
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Per conseguenza ha dichiarato l'illegittimità costituzionale
dell'art. 33, 2° comma, stesso d.leg., contenente un'esemplifi cazione delle controversie in materia di pubblici servizi (tra cui
il menzionato riferimento alle procedure di affidamento di ap
palti pubblici di lavori, servizi e forniture). L'efficacia ex tunc delle sentenze dichiarative dell'illegitti
mità costituzionale di una norma di legge trova un limite sol
tanto nei rapporti già esauriti per formazione del giudicato o per il verificarsi di altro evento cui il sistema normativo collega il
consolidamento del rapporto medesimo, mentre la declaratoria
d'illegittimità deve applicarsi agli altri rapporti (tra le più re
centi, Cass. 21 aprile 2000, n. 5240, ibid., 2525; 28 gennaio 2000, n. 948, id., Rep. 2000, voce Società, n. 960; 13 febbraio
1999, n. 1203, id., 2000, I, 173). Per effetto della ricordata sentenza della Corte costituzionale,
dunque, il citato art. 33, almeno nella sua originaria estensione, non può più trovare applicazione nei processi pendenti.
La pronuncia d'illegittimità costituzionale, però, è stata par ziale, come si desume dal dispositivo e dai paragrafi 5 e 5.4
della motivazione. Bisogna allora stabilire in quale parte la di
sposizione dichiarata illegittima abbia conservato vigore, conti
nuando a fungere da limite all'applicazione della regola gene rale sulla giurisdizione del giudice ordinario rispetto ai processi iniziati dopo il 1° luglio 1998 e pendenti.
Orbene, la declaratoria suddetta muove dalla considerazione
che il legislatore delegato ha operato in eccesso rispetto alla
delega di cui all'art. 11, 4° comma, lett. g), 1. n. 59 del 1997,
perché il compito assegnato al medesimo legislatore delegato non era quello di istituire nuove giurisdizioni esclusive bensì
quello di estendere la giurisdizione amministrativa già esistente
(di legittimità o esclusiva), attribuendo al giudice amministrati
vo — nei limiti in cui già conosceva delle materie contemplate (servizi pubblici, edilizia e urbanistica) — la giurisdizione an
che per la conseguenziale tutela risarcitoria, prima riservata al
giudice ordinario. L'oggetto, normativamente individuato, di
tale estensione erano i «diritti patrimoniali conseguenziaii», in
esso compreso il risarcimento del danno. Le tre materie dell'e
dilizia, urbanistica e servizi pubblici si ponevano come l'ambito
all'interno del quale la giurisdizione amministrativa doveva es
sere estesa.
In questo quadro deve ritenersi che la dichiarazione di (par ziale) illegittimità costituzionale abbia lasciato intatta l'esten
sione della competenza giurisdizionale del giudice amministra
tivo nelle materie considerate (e, per quanto qui rileva, nella
materia dei pubblici servizi come esemplificati nel citato art.
33), comprendendo in essa il risarcimento del danno, qualora il
giudice amministrativo già prima fosse stato munito di giurisdi zione, indipendentemente dal fatto che il legislatore delegato avesse inteso collegare tale effetto all'istituzione nelle stesse
materie di una giurisdizione esclusiva.
Così ricostruito il decisi/m del giudice delle leggi, si deve af
fermare che, quanto ai pubblici servizi, la giurisdizione del giu dice amministrativo nei processi iniziati dopo il 1° luglio 1998, se non può essere ravvisata in base alla giurisdizione esclusiva istituita dall'art. 33, 1° comma, d.leg. n. 80 del 1990, potrebbe esserlo qualora, in base alle norme preesistenti, fosse stata con
figurabile la giurisdizione (di legittimità per l'annullamento dell'atto o esclusiva sul rapporto), perché nella materia de qua dopo il 1° luglio 1998 il giudice amministrativo avrebbe potuto conoscere anche di pretese relative al risarcimento del danno.
Si deve quindi stabilire se, nell'ordinamento anteriore al 1°
luglio 1998, la controversia introdotta da Mastedil fosse devo luta alla cognizione del giudice amministrativo. E a tale quesito va data risposta negativa.
La pretesa azionata dall'attrice ha contenuto risarcitorio e trova titolo nella dedotta responsabilità precontrattuale della convenuta (art. 1337 e 2043 c.c.). La domanda ascrive a que st'ultima, come fatto produttivo del danno, non un atto o prov vedimento di cui si chieda l'annullamento ma una condotta non conforme al principio di buona fede.
L'argomento, propugnato dalla resistente, secondo cui la gara di appalto in questione e l'intera procedura sarebbero state di
sciplinate dal d.leg. n. 358 del 1992 non giova ad attribuire la
giurisdizione al giudice amministrativo, appunto perché non
vengono in rilievo atti o provvedimenti della procedura, né sono stati impugnati atti relativi alla individuazione del contraente a
seguito di aggiudicazione, o all'aggiudicazione stessa, bensì è dedotto un comportamento che non avrebbe consentito la con
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
clusione del contratto e tale comportamento costituirebbe fonte
della pretesa risarcitoria.
Né può condividersi la tesi secondo cui, in coerenza con un
precedente orientamento di questa corte formatosi (in particola re) in tema di licitazione privata, la previsione anche per la
trattativa privata di un procedimento di scelta del contraente
(art. 9 ss., 16 d.leg. n. 358 del 1992) non consentirebbe di ravvi
sare un'attività negoziale del tutto libera e svincolata da qual siasi schema procedimentale, potendosi individuare in capo al
privato partecipante alla detta procedura soltanto un interesse
legittimo al corretto svolgimento di questa da parte dell'ammi
nistrazione aggiudicatrice oppure, secondo il tenore dell'art. 33, 2° comma, lett. e, d.leg. n. 80 del 1998, da parte del soggetto
comunque tenuto all'applicazione delle norme comunitarie o
della normativa nazionale o regionale. Invero —
pur trascurando l'indagine circa la possibilità di
qualificare il rapporto de quo in termini di appalto pubblico di
lavori, servizi o forniture — ai fini della giurisdizione è assor
bente il rilievo che, in assenza di una norma (vigente nel mo
mento in cui la domanda è stata proposta) attributiva al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva nella materia in
esame, la cognizione sulla pretesa risarcitoria nel quadro del
l'art. 2043 c.c. (al quale il precetto dell'art. 1337 c.c. si collega) è devoluta alla cognizione del giudice ordinario senza che as
suma rilievo la qualificazione della situazione giuridica dedotta
in giudizio come diritto soggettivo o interesse legittimo, in forza
dei principi affermati da questa corte a sezioni unite con senten
za 22 luglio 1999, n. 500/SU (id., 1999, 1, 2487). Pertanto, alla stregua delle considerazioni che precedono, de
ve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 6 lu
glio 2001, n. 9211; Pres. Fiduccia, Est. Vittoria, P.M. Mac
carone (conci, conf.); Menichelli (Avv. Soleto) c. Ducci e
altro (Avv. Marino). Conferma Trib. Velìetri 5 maggio 1998.
Esecuzione forzata in genere — Successione a titolo parti
colare nel diritto controverso — Legittimazione ad agire
(Cod. proc. civ., art. 111).
La volontà contraria manifestata dal successore a titolo parti colare nel diritto del creditore procedente in ordine alla pro secuzione del processo di esecuzione è sufficiente da sola ad
interrompere l'azione esecutiva e ad estromettere dal proces so stesso il dante causa. ( 1 )
( 1 ) Non constano precedenti in termini. Nella sentenza in epigrafe la Corte di cassazione ritiene che nel pro
cesso di esecuzione forzata possa trovare applicazione l'art. 111 c.p.c., ma non il 3° comma dello stesso articolo nella parte in cui, per l'estro
missione dell'alienante dal giudizio, richiede il consenso delle altre
parti. L'applicabilità dell'art. 111 c.p.c. nel processo esecutivo è stata ri
conosciuta dalla giurisprudenza sia in via diretta che in via mediata, at
traverso l'applicabilità dei principi che da esso possono desumersi.
Secondo il primo e più risalente orientamento la compatibilità del
l'art. 111 c.p.c. nel processo di esecuzione può evincersi dalla colloca
zione della norma tra le disposizioni generali del libro 1 del codice di
rito che trovano applicazione in ogni tipo di processo: cfr. Pret. Trieste
27 giugno 1951, Foro it., Rep. 1952, voce Procedimento civile, n. 59, e
Rass. giuliana, 1952, 285; Cass. 1° marzo 1974, n. 572, Foro it.. Rep. 1974, voce Esecuzione forzala in genere, nn. 183, 184. In questo senso
anche la maggior parte della dottrina: cfr. Carnelutti, Istituzioni del
nuovo processo italiano, Roma, 1951, III, 128; Calamandrei, Istituzio
ni di diritto processuale civile secondo il nuovo codice, Padova, II, 224;
Il Foro Italiano — 2002.
Svolgimento del processo. — 1. - Roberto Pace e Rita Tetti,
con ricorso al Pretore di Velletri, depositato il 4 maggio 1995,
proponevano opposizione di terzo all'esecuzione per obblighi di
fare iniziata da Achille Menichelli nei confronti di Saverio Ma
struzzi e Maria Ducci.
Elementi di fatto e ragioni di diritto della domanda i seguenti. Erano proprietari di un appartamento, che avevano acquistato
da Menichelli.
Denti, L'esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1953, 158; De
Stefano, Appunti sulla successione a titolo particolare ne! processo esecutivo, in Giur. sic., 1961, 414; Mandrioli, Legittimazione ad agire «in executivis» e successione ne! credito, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1957, 1364 ss.; Bonsignori, Assegnazione forzata e distribuzione dei
ricavato, Milano, 1962, 142; Jager, Corso di diritto processuale civile, Milano, 1956, 577. Altra parte della dottrina ritiene invece che l'art. 111 c.p.c. possa applicarsi nel processo di esecuzione solo quando vi sia stata successione nella posizione del creditore procedente: cfr. Ro
magnoli, Considerazioni sulla successione a titolo particolare nel pro cesso esecutivo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1961, 332 ss.; Id., Suc cessione nel processo, voce del Novissimo digesto, Torino, 1971, XVIIÌ, 695; Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1957, III, 138
(cfr. anche 5a ed., 2000). Nel senso dell'inapplicabilità dell'art. 111
c.p.c. nel processo di esecuzione, cfr. Satta, Commentario, Milano, 1965, I. 421; La China, L 'esecuzione forzata e le disposizioni generali del codice di procedura civile, Milano, 1970, 361, e Lorenzetto Pese
rico, La successione nel processo esecutivo, Padova, 1983, 369 ss. In
argomento, cfr. anche Gatti, Estinzione del processo esecutivo, aliena zione della res pignorata e intervento nel giudizio di reclamo de! terzo
acquirente: risulta utile l'applicazione dell'art. Ili c.p.c.?, in Riv. esecuzione forzata, 2001.81 ss.
Il secondo orientamento giurisprudenziale ritiene invece che l'art. 111 c.p.c. non sia direttamente applicabile al processo esecutivo ma
che, previo adattamento, possono trovarvi applicazione i principi che si evincono dalla stessa norma: cfr., riguardo ad un caso di successione ne! lato passivo del rapporto, Cass. 4 settembre 1985, n. 4612, Foro it.,
1986, 1, 494, e Giust. civ., 1986, 1, 441, con nota di Luiso; Dir. e giur., 1986, 970, con nota di Proto Pisani, Un «grand arrét» della Corte di
cassazione; ibid., 973, con nota di Donati, Riflessioni in materia di
poteri processuali de! terzo acquirente de! bene pignorato', Riv. dir.
civ., 1986, II, 387, con nota di Costantino e Vaccarella; cfr. anche Cass. 19 dicembre 1989, n. 5684, Foro it., 1991, I, 242, con nota di
Sangiovanni. In tema di successione nel diritto controverso verificatasi prima del
l'inizio dell'esecuzione forzata, cfr. Cass. 13 aprile 1955, n. 1015, id.,
Rep. 1955, voce Divisione, n. 58, e Giust. civ., 1956, I, 750; 24 gennaio 1964, n. 172, Foro it., 1964, I, 1197, con nota di Florino.
Sull'applicabilità della disposizione di cui al 3° comma dell'art. 111
c.p.c. nel processo di esecuzione, in senso conforme alla sentenza in
rassegna, cfr. Cass. 24 ottobre 1975, n. 3532, id., Rep. 1976, voce Ese
cuzione forzata in genere, n. 49. e Giur. it., 1976, I, 1, 758, la quale ha
affermato l'inapplicabilità al processo esecutivo dell'art. Ili, 3° com
ma, c.p.c. poiché in esso non si controverte sull'esistenza del diritto del
creditore, già accertato nel titolo esecutivo, ma sulla sua concreta attua
zione. In senso contrario alla sentenza in epigrafe, cfr. Cass. 15 settembre
1995, n. 9727, Foro it.. Rep. 1995, voce Procedimento civile, n. 101, che in ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto del creditore
procedente durante la pendenza del processo esecutivo, ha ritenuto che l'alienante mantenga la legittimazione attiva, anche nel caso di inter
vento del successore a titolo particolare, fino a quando non sia estro
messo con il consenso delle altre parti. Sull'argomento, cfr. anche Cass. 4 settembre 1985, n. 4612, cit., se
condo la quale l'intervento del successore dell'esecutato, tramite l'op
posizione all'esecuzione o agli atti esecutivi, comporta l'automatica
estromissione del dante causa dal giudizio. In senso contrario, la dottri
na che ritiene invece necessaria la richiesta od il consenso del dante
causa: cfr. Luiso, L'acquirente de! bene pignorato nel processo esecu
tivo, in Giust. civ., 1986, 1, 450; Merlin, Principio dei contraddittorio e
terzo proprietario in due recenti pronunce, in Giur. it., 1986, IV, 336;
Donati, Riflessioni in materia di poteri processuali, cit.; Vaccarella, lì terzo proprietario nei processi di espropriazione - La tutela, in Riv.
dir. civ., 1986, II, 407 e 421. Sul tema, cfr. anche Oriani, L 'opposizio ne agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 297, secondo il quale all'acquirente del bene pignorato non spettano i rimedi propri del debitore.
Da ultimo, cfr. Cass. 26 settembre 2000, n. 12762, Foro it., Rep. 2000, voce Esecuzione forzata in genere, n. 89, e Riv. esecuzione for zata, 2001, 67, con nota di Gatti, che ha riconosciuto la legittimazione a proporre l'eccezione di estinzione del processo esecutivo al terzo che
vi abbia interesse, quindi, anche all'acquirente del bene sottoposto a
pignoramento titolare dell'interesse sostanziale a sottrarre il bene ac
quistato all'azione esecutiva.
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