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Sezioni unite civili; sentenza 16 settembre 1980, n. 5263; Pres. G. Rossi, Est. Corasaniti, P. M....

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Sezioni unite civili; sentenza 16 settembre 1980, n. 5263; Pres. G. Rossi, Est. Corasaniti, P. M. Silocchi (concl. conf.); Colato e altri (Avv. Paola, C. Romano) c. Secco e altri (Avv. Allorio, Gracco) e Soc. coop. edilizia S. Giorgio. Conferma App. Milano 28 settembre 1976 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 5 (MAGGIO 1981), pp. 1345/1346-1351/1352 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172751 . Accessed: 10/06/2014 17:37 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.149 on Tue, 10 Jun 2014 17:37:52 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 16 settembre 1980, n. 5263; Pres. G. Rossi, Est. Corasaniti, P. M.Silocchi (concl. conf.); Colato e altri (Avv. Paola, C. Romano) c. Secco e altri (Avv. Allorio,Gracco) e Soc. coop. edilizia S. Giorgio. Conferma App. Milano 28 settembre 1976Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 5 (MAGGIO 1981), pp. 1345/1346-1351/1352Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172751 .

Accessed: 10/06/2014 17:37

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

d'appello de L'Aquila con sentenza non definitiva 19 dicembre 1978 - 10 gennaio 1979, in riforma della impugnata decisione: a) di

chiarava risolto per eccessiva onerosità il contratto preliminare di

vendita de quo\ b) condannava il Paludi a riconsegnare l'immobi

le alla Terenzio, previa restituzione, da parte di costei, della

somma di lire 1.000.000 oltre agli interessi; c) condannava inoltre il Paludi a restituire alla Terenzio il valore attuale dei frutti

naturali e civili percepiti dopo il 5 dicembre 1973 e di quelli che

avrebbe potuto percepire dopo tale data usando la diligenza del

buon padre di famiglia.

Con separata ordinanza la corte disponeva che si provvedesse alla determinazione del predetto valore dei frutti mediante consu lenza tecnica.

Tuttavia, all'udienza del 20 febbraio 1979 la Terenzio, dinanzi al consigliere istruttore, premesso di avere ottenuto dal Paludi la

restituzione del bene, dichiarava di desistere dalla domanda relati

va ai frutti e chiedeva che la causa venisse rimessa al collegio per la sola decisione in ordine alle- spese giudiziali.

La Corte d'appello de l'Aquila con sentenza 2-31 maggio 1979:

a) dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla

pretesa relativa ai frutti; b) condannava il Paludi al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio.

Il Paludi ha proposto ricorso per cassazione avverso entrambe le sentenze (definitiva e non definitiva) deducendo, complessiva mente, sei motivi. La Terenzio ha resistito con controricorso e ha

proposto, a sua volta, impugnazione incidentale. Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione. — (Omissis). Con il secondo e il terzo

mezzo, da esaminare congiuntamente perché connessi, il ricorrente — nel denunciare, in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, cod.

proc. civ. violazione degli art. 1467, 1367, 1219, 1404 cod. civ., 115, 1° e 2° comma, cod. proc. civ. — deduce, in sostanza, che la

corte del merito con il ritenere sufficiente, al fine di legittimare la

risoluzione del contratto preliminare per eccessiva onerosità so

pravvenuta, una svalutazione monetaria superiore a quella ordina ria: a) avrebbe omesso di considerare che l'art. 1467 cod. civ., riferendosi alla eccessiva onerosità di prestazioni non eseguite, rivela l'intento di limitare la sua applicazione agli squilibri che

importino difficoltà di esecuzione e non a quelli eventuali per sopraggiunta diminuzione del valore dell'altra prestazione; b) non avrebbe tenuto conto che, nel caso di specie, essendo stato

convenuto il prezzo di lire 8.260 per metro quadrato (la superficie vendibile era mq. 1621 e il prezzo pattuito lire 13.400.000), il minor utile rispetto al prezzo — proprio in base alla ricorrente

svalutazione del 16% dai giudici ritenuta — sarebbe stato di lire

1.174.000, il che non avrebbe potuto costituire la eccessiva so

pravvenuta onerosità prevista dall'art. 1467 cod. civ.; c) in ordine alla svalutazione monetaria avrebbe dovuto, in ogni caso, attenersi alla prova fornita dalla Terenzio — cui incombeva il relativo onere — e non basarsi su dati risultanti diversi dagli indici dei

prezzi al consumo pubblicati dall'ISTAT, e peraltro « incompren sibili », non essendo stata indicata la fonte dalla quale sarebbero

stati desunti; d) avrebbe dovuto esaminare il preteso mutamento

dell'equilibrio economico del contratto con riferimento sia al

prezzo (e quindi alla svalutazione monetaria) sia all'oggetto della

vendita; e, pertanto, avrebbe dovuto anche accertare se il valore

dell'immobile, oggetto del contratto preliminare, aveva subito variazione di valore.

Le censure devono essere disattese. I giudici del merito, alla

stregua degli elementi di fatto esposti nella prima parte della

sentenza, e concernenti le clausole contrattuali nonché le vicende successive alla stipulazione del preliminare — elementi di fatto non contestati — hanno accolto la domanda di risoluzione ex art. 1467 cod. civ., proposta dal promittente, avendo ritenuto che

sussisteva una « straordinaria e imprevedibile svalutazione della

moneta, verificatasi nel 1973 e negli anni successivi; svalutazione che era venuta ad alterare notevolmente l'equilibrio contrattuale e a rendere eccessivamente gravosa la prestazione del Gaspari (promittente venditore) ».

Detto convincimento i giudici hanno desunto — secondo quan to dagli stessi esposto nell'impugnata sentenza — dalle statistiche

pubblicate dall'ISTAT e secondo le quali la svalutazione moneta ria annua, proprio nell'anno successivo a quello della conclusione

del preliminare di vendita (8 gennaio 1972), era passata dal

7,45% al 21,4% e si era poi mantenuta fra il 15 e il 20% negli anni

successivi.

Trattasi . di accertamento in fatto insindacabile in sede di

legittimità, in quanto non solo è sorretto da congrua motivazione, ma è anche immune da errori di diritto.

Invero, agli effetti della eccessiva onerosità di un contratto

preliminare di vendita di beni immobili, il giudice del merito

deve considerare comparativamente sia il valore dei beni anzidetti

sia quello della prestazione corrispettiva, tenendo conto, a que st'ultimo riguardo, della svalutazione monetaria che, nell'arco di

tempo previsto in contratto — e successivamente prorogato, come

nel caso di specie, dalle parti — per la stipulazione del contratto

definitivo, abbia diminuito il valore intrinseco del prezzo ancora

dovuto (cfr. Cass. 8 marzo 1978, n. 1158, Foro it., Rep. 1978, voce Contratto in genere, n. 300).

Né può essere attribuita rilevanza alla censura con la quale è lamentato che il mutato equilibrio economico contrattuale non sarebbe stato, dalla corte del merito, esaminato con riferimento anche al valore dell'immobile. Infatti, a prescindere dalla generici tà della censura con la quale non è dedotto in modo specifico quale diminuzione di valore abbia subito l'immobile in questione, è manifesto che i giudici, nell'affermare la sussistenza della

sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione dovuta dal

promittente, hanno considerato non solo il diminuito intrinseco valore del prezzo pattuito a causa della sopravvenuta svalutazione

monetaria, ma, implicitamente e necessariamente, anche l'intrinseco valore dei beni immobili costituenti l'oggetto della promessa di vendita.

Relativamente, poi, alla censura mossa contro la ritenuta misura della svalutazione monetaria deve essere ricordato — prescinden do dal rilievo che i giudici del merito hanno fatto espresso riferimento ai dati pubblicati dall'ISTAT — che la misura della svalutazione monetaria costituisce nozione di fatto rientrante nella comune esperienza e che, pertanto, la relativa determinazione attiene all'esercizio di un potere discrezionale del giudice del

merito, il quale, nell'avvalersene, non è tenuto a indicare gli elementi sui quali la determinazione stessa si fonda, questa riferendosi a un fatto notorio che il giudice può porre a fonda mento della decisione senza bisogno di prova e senza che la sua valutazione sia censurabile in Cassazione (cfr., da ultimo, Cass. 17 febbraio 1979, n. 1058, id., Rep. 1979, voce Danni civili, n. 177; 19 gennaio 1977, n. 259, id., Rep. 1977, voce cit., n. 141). (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 16 settembre 1980, n. 5263; Pres. G. Rossi, Est. Corasaniti, P. M. Silocchi (conci, conf.); Colato e altri (Avv. Paola, C. Romano) c. Secco e altri (Avv. Allorio, Gracco) e Soc. coop, edilizia S.

Giorgio. Conferma App. Milano 28 settembre 1976.

Società — Società per azioni — Deliberazione assembleare —

Impugnazione — Legittimazione (Cod. civ., art. 2377, 2486, 2511; cod. proc. civ., art. 100, 323).

Edilizia popolare ed economica i— Cooperative edilizie — Deli berazione — Impugnazione — Giurisdizione amministrativa

(R. d. 28 aprile 1938 n. 1165, t.u. sull'edilizia popolare ed

economica, art. 98, 131; legge 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 2).

I soci di una società cooperativa a responsabilità limitata che ab biano resistito in primo grado all'impugnazione di una delibe razione dalla quale traggono un vantaggio diretto e specifico, sono legittimati ad impugnare la sentenza di annullamento o di chiarativa della nullità, anche se la società abbia ad essa pre stato acquiescenza <nella specie, a seguito dell'accoglimento del

l'impugnazione era stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario). (1)

(1) Non si rinvengono precedenti specifici editi. È la prima volta che la Cassazione afferma la legittimazione propria

del socio, che dalla deliberazione assembleare impugnata ricavi un vantaggio diretto e specifico, a resistere all'azione di annullamento ex art. 2377 cod. civ., esperita nei confronti della società da altro socio assente o dissenziente. La conseguenza che se ne trae è quella di attribuire allo stesso la legittimazione ad impugnare in appello la sentenza di annullamento, anche nel caso in cui ad essa la società, convenuta in primo grado, abbia prestato acquiescenza. È però da sottolineare — come si è cercato di evidenziare anche nella mas sima — che il principio è stato affermato in una ipotesi in cui il giudice d'appello prima e la Corte di cassazione poi hanno tratto spunto dall'impugnazione del socio per dichiarare il difetto di giu risdizione del giudice ordinario.

Il principio enunciato sembra contrastare con quanto in precedenza deciso in tema di intervento dei soci nel procedimento di impugnazione di deliberazione assembleare. In una ipotesi di specie, solo in parte riconducibile a quella in oggetto, Cass. 31 marzo 1954, n. 1008, Foro it., 1955, I, 72, aveva escluso l'ammissibilità dell'intervento in appello del socio, nel giudizio di impugnazione di una deliberazione assemblea re, argomentando dal fatto che la sentenza di annullamento ha efficacia di giudicato nei confronti di tutti i soci, abbiano o no partecipato al

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1347 PARTE PRIMA 1348

Le situazioni configurabili in capo ai soci di cooperative edilizie

in ordine all'assegnazione di alloggi e di parti di edificio costruiti con il contributo dello Stato e quelle, più in generale, relative a provvedimenti in tale materia, che precedano l'asse

gnazione, sono qualificabili quali interessi legittimi tutelabili

davanti al giudice amministrativo per essere collegati e condi

zionati al raggiungimento di fini di interesse pubblico perseguiti a norma delle leggi speciali. (2)

La Corte, ecc. Svolgimento del processo. — Iole Centofanti,

Giorgina Alvigini, Laura Sozzi, Ottavia Colato, soci della coope rativa edilizia a contributo statale S. Giorgio, s. r. 1. con sede in

Milano, convennero in giudizio davanti al Tribunale di Milano la

cooperativa stessa e, per quanto occorrente, i soci Alberto Piotti e

Antonio Secco.

Esposero che con deliberazione 2 settembre 1967 l'assemblea

ordinaria della cooperativa aveva disposto che i lastrici solari

dell'erigendo edificio sociale facessero parte integrante dei sotto

stanti appartamenti siti all'ultimo piano dei quali i soci Alberto

giudizio, in quanto essi non sono terzi rispetto alla società e non hanno la titolarità di un diritto proprio, capace di autonoma azione e suscettibile di essere compromesso dalla controversia in corso. Per le medesime considerazioni era stato negato il rimedio della opposizione di terzo ex art. 404, 1° comma, cod. proc. civile.

Quanto all'intervento in primo grado del socio per resistere alla

impugnativa di deliberazione, proposta da altri legittimati, esso è stato

qualificato dalla giurisprudenza di merito sempre quale intervento adesivo dipendente, spettando la legittimazione a resistere all'azione ex art. 2377 cod. civ. alla società e potendo il socio, che deve sottostare alla efficacia della sentenza di annullamento, avere solo un interesse di fatto alla validità del provvedimento impugnato. In tal senso cfr.: Trib. Milano 30 gennaio 1967, id., 1967, I, 840; Trib. Milano 9 agosto 1954, id., Rep. 1955, voce Società, n. 362; Trib. Forlì 9 giugno 1952, id., Rep. 1952, voce cit., n. 282. In senso contrario soltanto App. Milano 1° giugno 1954, id., 1955, I, 576, che ha prospettato l'ipotesi dell'intervento litisconsortile sotto il profilo che l'azionista avrebbe un proprio diritto al riconoscimento della validità della deliberazione

impugnata, diritto che lo stesso con l'intervento farebbe valere con legittimazione eguale a quella di una delle parti.

In dottrina negano al socio, rimasto estraneo al procedimento di impugnazione ex art. 2377, il rimedio dell'opposizione di terzo ordina ria; Romano Pavoni, Le deliberazioni delle assemblee delle società, 1951, 383; Vaselli, Deliberazioni nulle ed annullabili delle società per azioni, Padova, 1948, 74; Candian, L'azione del socio per l'annullamento della delibera della società, in Saggi di diritto, III, 93; A. Proto Pisani, Opposizione di terzo ordinaria, 1965, 164; Id., Appunti sui rapporti tra i limiti soggettivi di efficacia della sentenza civile e la garanzia costituzionale del diritto di difesa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, 1245, quest'ultimo in quanto gli effetti della sentenza di annullamento sono, per il socio, riflessi e non diretti.

Nel senso, invece, che il socio agisce per un interesse proprio, ancorché non suo esclusivo ma concorrente con quello degli altri partecipanti, che ne risentiranno gli effetti in via diretta e non riflessa, Carpi, L'efficacia « ultra partes» della sentenza civile, 1974, 150 ss.

La carenza della legittimazione del socio a resistere alla domanda di annullamento di una delibera assembleare era stata espressamente affermata da Arnaboldi, Società di capitali: intervento nel giudizio di impugnazione di deliberazioni assembleari, in Foro pad., 1955, I, 223; Id., Impugnativa delle deliberazioni assembleari di società di capitali ed intervento dei soci nel relativo procedimento, in Temi, 1954, 21, che aveva, altresì', ritenuto esatta la individuazione della qualificazione di intervento adesivo dipendente nella posizione del socio intervenuto a fianco della società e in appoggio alla medesima per evitare gli effetti pregiudizievoli, anche nei suoi confronti, di una sentenza di annulla mento.

Sull'intervento dei soci di società di capitali in controversie fra la società e terzi, nel senso della inammissibilità, v. Cass. 2 agosto 1975, n. 2949, Foro it., 1976, I, 732, con ampia nota di richiami.

(2) La genericità della massima riflette l'estrema stringatezza della motivazione, della quale è difficile cogliere la ratio decidendi in ter mini più puntuali.

Nel senso che l'assegnatario di un alloggio in cooperativa edili zia, costruita con il totale o parziale contributo dello Stato, è titolare, fino al momento della stipulazione del contratto di mutuo individuale, di un interesse legittimo e non di un diritto soggettivo perfetto, la giurisprudenza della Cassazione ribadisce un indirizzo costante; sent. 12 giugno 1979, n. 3305, Foro it., Rep. 1979, voce Edilizia popolare ed economica, n. 109; 26 febbraio 1976, n. 620, id., Rep. 1976, voce cit., n. 201; 6 novembre 1975, n. 3721, id., Rep. 1975, voce cit., n. 113; 22 febbraio 1975, n. 671, id., 1975, I, 1100.

In dottrina cfr. V. Caianiello, La rilevanza esterna della posizione del socio prenotatario di alloggio cooperativo, id., 1964, III, 13; Cannada Bartoli, Edilizia popolare ed economica: in tema di diritto all'alloggio del socio di una cooperativa edilizia, in Foro amm., 1957, II, 303; G. De Fina, Legittimazione del titolare della situazione giuridica di aspettati va all'esperimento delle azioni conservative, in Giust. civ., 1968, I, 1817; Palma, Sulla posizione soggettiva dell'assegnatario di alloggio sovvenzio nato nei confronti della pubblica amministrazione, in Riv. giur. edilizia, 1964, I, 207.

Piotti e Antonio Secco, per la loro anzianità di iscrizione, avreb

bero rispettivamente avuto la possibilità di ottenere l'assegnazione. Dedussero che tale deliberazione, se non era addirittura inesi

stente, era nulla ai sensi dell'art. 2379 cod. civ. e comunque annullabile ai sensi dell'art. 2377 stesso codice, in quanto: a) il

suo oggetto non rientrava fra quelli indicati nell'avviso di convo

cazione dell'assemblea; b) l'attribuzione senza corrispettivo ad

alcuni soci di parti dell'edificio sociale destinate al godimento comune di tutti gli assegnatari degli appartamenti era contraria

allo statuto e allo scopo della società; c) l'attribuzione stessa non

era avvenuta mediante assegnazione a conclusione del procedi mento prescritto dalla normativa in materia di edilizia popolare ed economica e di cooperative edilizie a contributo statale; d) l'at

tribuzione concretava l'istituzione di una categoria di soci privile

giati, e cioè un provvedimento non rientrante nei poteri dell'as

semblea. Chiesero pertanto che fosse dichiarata l'inesistenza o la

nullità della deliberazione in parola, in subordine che ne fosse pro nunciato l'annullamento, in ogni caso che fosse dichiarato essere di

proprietà esclusiva della cooperativa il lastrico solare dell'edificio

sociale.

La convenuta, costituitasi, resistette alla domanda eccependo in

primo luogo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Altrettanto fecero i soci convenuti.

Il tribunale con sentenza del 1974 cosi' decise: ritenne la

giurisdizione del giudice ordinario; ritenne che la deliberazione

in argomento fosse nulla per illiceità dell'oggetto, e cioè per avere

attribuito ai soci Secco e Piotti la proprietà esclusiva del lastrico

solare prima ancora che venissero formate le quote e senza

osservare il procedimento prescritto dal t. u. del 1938 in materia

di edilizia economica e popolare per ogni assegnazione, anche per

quella prevista dall'art. 206 dello stesso t. u. (assegnazione di

lastrico solare in proprietà ad uno o a più coperativisti), e per avere in tal modo compiuto un atto in contrasto con il t. u. e col

patto sociale, creando dei soci privilegiati mediante l'attribuzione

ad essi in via prededuttiva (e quindi in ispregio di ogni principio mutualistico) di parte dei beni comuni, laddove agli altri soci

sarebbe stata attribuita la proprietà degli appartamenti verso il

pagamento di quote (da intendere: del debito di restituzione del

mutuo) proporzionali (all'assegnazione); osservò che la legittima zione attiva sussisteva per tutti i soci, avendo ciascuno di essi

interesse a far dichiarare la nullità; dichiarò la nullità della

deliberazione e conseguentemente la proprietà della cooperativa sul lastrico solare.

Appellarono il Piotti e il Sacco insistendo in primo luogo nell'eccezione di difetto di giurisdizione.

Resistettero la Centofanti e gli altri attori in primo grado, insistendo anche nelle domande ritenute assorbite e non esami nate.

La cooperativa, in conformità di deliberazione a maggioranza del 10 maggio 1975, dichiarò di non interporre appello incidentale e chiese la conferma della sentenza impugnata.

La Corte d'appello di Milano con la sentenza ora impugnata per cassazione, in riforma della decisione in primo grado, dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine a tutte le domande.

Considerò fra l'altro che l'appello dei soci Piotti e Sacco era ammissibile e idoneo a precludere il passaggio in giudicato della sentenza sia perché i detti soci avevano partecipato al giudizio di

primo grado non già come interventori adesivi dipendenti rispetto alla società convenuta, ma anche essi come convenuti nei con fronti dei quali gli attori avevano proposto specifiche domande, sia perché i detti soci erano rimasti soccombenti nel giudizio di

primo grado; che la giurisdizione spettava al giudice amministra

tivo, trattandosi di controversia compresa fra quelle previste dall'art. 131 t. u. sull'edilizia economica e popolare e concernente situazioni precedenti alla stipulazione del mutuo individuale; che, siccome l'appello era stato proposto anche nei confronti della

cooperativa e il difetto di giurisdizione era rilevabile d'ufficio,

l'acquiescenza della cooperativa stessa era irrilevante.

Contro tale sentenza la Centofanti, il Colato, la Sozzi, l'Alvigili hanno proposto ricorso per cassazione illustrato da memoria. Resistono il Secco e il Piotti con controricorso anche esso illustrato da memoria.

Motivi della decisione. — Vanno anzitutto esaminati congiun tamente, per la loro reciproca connessione, i primi due motivi del ricorso.

Con entrambi tali motivi i ricorrenti si dolgono che la corte del merito non abbia riconosciuto l'intervenuta formazione del giudi cato (da essi dedotta) sulla sentenza di primo grado (ad essi

favorevole) in ragione della mancata impugnazione e comunque dell'acquiescenza da parte della cooperativa edilizia S. Giorgio: e cioè da parte del soggetto che nel giudizio di primo grado

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

trattandosi di giudizio da essi attuali ricorrenti promosso per contestare la validità di una deliberazione della assemblea della

cooperativa medesima — era l'unico vero contraddittore.

In particolare col primo motivo i ricorrenti sostengono che la

corte del merito errò: a) per avere ritenuto la rilevazione del

difetto di giurisdizione non preclusa dalla formazione del giudica to (sul merito); b) per avere ritenuto la formazione del giudicato (sul merito) esclusa dall'impugnazione dei Secco e Piotti, vale a

dire di una parte diversa da quella che sola aveva la disponibilità della situazione giuridica controversa e quindi del giudizio e che

era la vera parte (secondo i ricorrenti sia l'azione di accertamento

della nullità della deliberazione dell'assemblea della società per azioni, sia quella di annullamento della deliberazione stessa do

vrebbe e comunque potrebbe essere proposta nei confronti della

sola società, escluso il litisconsorzio necessario di qualsiasi socio:

ciò si desumerebbe, sempre secondo i ricorrenti, dall'art. 2377, 3°

comma, cod. civ., il quale dispone che l'annullamento della

deliberazione ha effetto nei confronti di tutti i soci, anche se non

hanno partecipato al giudizio, e dalla giurisprudenza di questa

Suprema corte, che in applicazione di tali principi avrebbe

negato l'esperibilità da parte del socio quale litisconsorte preter messo dell'opposizione da terzo ex art. 404 cod. proc. civ. e

dell'intervento in appello ex. art. 344 stesso codice).

Col secondo motivo in particolare i ricorrenti sostengono che la

corte del merito, in conseguenza degli errori denunciati col primo motivo, errò: 1) per avere ritenuto che la sentenza potesse

passare in giudicato per la società e non per i soci Piotti e Secco

(inscindibilità della sentenza e posizione subordinata dei detti soci

nel giudizio); 2) per avere affrontato preliminarmente il problema della legittimazione dei detti soci Piotti e Secco ad impugnare la

sentenza di primo grado, affermando tale legittimazione sulla base

della loro soccombenza e di una supposta loro partecipazione al

giudizio di primo grado quali contraddittori «diretti», laddove

avrebbe dovuto porsi prima il problema della formazione del

giudicato, ritenendo irrilevante la loro impugnazione in relazione

alla qualità di vero contraddittore della sola cooperativa ed alla

partecipazione al giudizio dei soci in parola come soggetti destina

tari di una mera denuntiatio litis, esposti a subire in via riflessa

gli effetti della decisione; 3) per non avere considerato che, al

massimo, al giudicato poteva sopravvivere, in virtù dell'impugna zione dei soci Piotti e Secco, la sola decisione sulle spese o quella sulla proprietà del lastrico solare; quest'ultima in quanto si fosse

potuta considerare autonoma rispetto a quella sulla invalidità

della deliberazione assembleare e non dipendente da essa, come

invece in realtà era.

Le esposte censure non sono fondate.

Va anzitutto osservato che la corte del merito non ritenne

affatto che la sentenza di primo grado potesse passare in giudica to per la cooperativa e non per i soci Piotti e. Secco (motivo secondo sub 1), e ciò perché non parti' affatto dal presupposto che si trattasse di cause scindibili e che pertanto fosse scindibile

il giudicato. La corte del merito parti' invece dal presupposto della inscindibilità della causa e del giudicato — presupposto che

i ricorrenti mostrano di condividere — e ritenne che la sentenza

di primo grado non potesse passare in giudicato per alcuna delle

parti, se fosse stata bene gravata da una soltanto di esse. E, al

riguardo, doveva necessariamente porsi, prima di ogni altro, il

problema se le parti che sole l'avevano gravata, e cioè i soci Piotti e Secco, fossero legittimate a proporre appello.

Fin qua, dunque, contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti

(secondo motivo sub 2 pro parte), non vi è neppure divergenza fra linea logico-giuridica seguita da essi ricorrenti e quella seguita dalla sentenza. La divergenza sta nella soluzione del problema concernente la legittimazione degli appellanti, legittimazione che

la corte del merito riconobbe, traendone la conseguenza che il

giudicato non si era formato per alcuna delle parti, e che i

ricorrenti invece escludono per trarne la conseguenza opposta —

cioè che la sentenza di primo grado era passata in giudicato per tutte le parti — sulla base dell'asserito carattere preminente ed

esclusivo della posizione sostanziale e processuale della coopera tiva e dell'asserito carattere secondario e inautonomo della posi zione sostanziale e processuale dei soci Piotti e Secco. Questo è

dunque il problema che, sollevato specificamente col primo moti

vo sub b), e, pro parte, col secondo motivo sub 2), costituisce il

quesito centrale dei due primi motivi del ricorso, attorno al quale ruotano quelli posti da tutte le altre censure contenute nei motivi

stessi.

Ora, anzitutto non va disconosciuto il peso delle osservazioni

svolte, a sostegno della soluzione adottata dalla corte del merito,

dai resistenti Piotti e Secco, ed in particolare di quelle dirette a

dimostrare: a) che essi erano legittimati all'appello in quanto soccombenti e in quanto vere parti nel giudizio di primo grado

nel quale avevano avuto il ruolo non già di destinatari di una

mera denuntiatio litis, ma di convenuti, essendo state proposte nei

loro confronti della domande; b) che, d'altra parte, ciò era

correlato con l'oggetto della lite, costituito (anche) dall'accertamen

to della asserita nullità della deliberazione assembleare attributiva del lastrico solare agli appartamenti da assegnare ad essi Piotti e

Secco, dovendosi tenere conto che se la legittimazione attiva, in ordine all'accertamento della nullità di un atto, spetta a chiunque abbia interesse a rimuovere gli effetti a sé pregiudizievoli, la

legittimazione passiva spetta ai destinatari degli effetti utili di esso

(nella specie, per essi Piotti e Secco, l'aspettativa legittima o

l'interesse legittimo all'assegnazione). Si tratta invero di considera

zioni — attinenti rispettivamente alla legittimazione e all'interesse

alla impugnazione in generale (art. 323 segg. cod. proc. civ.), alla

qualità di vera parte nel giudizio di primo grado con riferimento

al contenuto della domanda, alla legittimazione passiva in senso

sostanziale con riferimento alla natura del rapporto dedotto in

giudizio, e dell'azione proposta — tutte assai rilevanti, anche se non esaustive in relazione all'intero oggetto della controversia.

Ma ad ammettere, seguendosi l'impostazione dei ricorrenti, che il problema vada risolto esclusivamente e soprattutto sulla base della legittimazione passiva in senso sostanziale con riferimento al

rapporto dedotto ed all'azione proposta, e che sotto quest'ultimo profilo debba riconoscersi decisiva rilevanza al nucleo essenziale

dell'iniziativa giudiziale da essi intrapresa, cioè alla reazione

spiegata contro l'asserita illegittimità della deliberazione, è incon

divisibile la tesi di fondo dei ricorrenti: che cioè la reazione, sia

se diretta all'accertamento dichiarativo della nullità (art. 2379 cod.

civ., qui applicabile per i richiami dell'art. 2486, 2° comma, e 2511 stesso codice) sia se diretta alla pronunzia costitutiva di annullamento (art. 2377 cod. civ. qui applicabile per i richiami

suindicati), trovi il suo unico antagonista nella cooperativa, al

punto tale che dalla partecipazione di essa la presenza in causa di

ogni altro socio anche se controinteressato rimanga inclusa, assor bita o relegata in posizione adiuvante.

Per quanto concerne l'accertamento della nullità sembra decisi va in contrario la considerazione dei resistenti, che cioè qui è

prevalente, o almeno equivalente, la prospettiva degli effetti ri

spetto a quella dell'atto considerato in sé, onde il rimedio si pone come accertamento dell'inesistenza degli effetti piuttosto o almeno a pari titolo che come accertamento del vizio dell'atto, con la

conseguenza che il rimedio stesso è dato a chiunque sia esposto ad effetti sfavorevoli dell'atto e nei confronti di chiunque possa degli effetti dell'atto avvantaggiarsi.

Più difficile il discorso diventa per il rimedio demolitorio, a

proposito del quale la tesi dei ricorrenti potrebbe apparire di

maggiore consistenza sia per l'argomento che potrebbe trarsi dall'essere siffatto rimedio specificamente diretto contro l'atto e

quindi suscettivo di essere con maggiore plausibilità ritenuto azionabile da e contro gli autori di esso, sia per l'argomento che i ricorrenti traggono dalla disposizione dell'art. 2377, 3° comma, che estende gli effetti dell'annullamento della deliberazione a tutti i soci. Ma, a ben vedere, l'uno e l'altro argomento sono fallaci: entrambi perché prescindono dalla considerazione della particolare natura dell'atto (della cui validità si tratta) cioè dalla considera zione della strutturazione giuridica complessiva nella quale esso si inerisce e del modo col quale esso opera, considerazione che è invece il punto necessario di partenza di ogni indagine volta a individuare posizioni soggettive rilevanti rispetto alla sua emana zione e rispetto alla sua eliminazione; il secondo in particolare perché la disposizione suindicata, avuto riguardo alla sua origine, ed alla sua finalità, ha una portata circoscritta e una significazio ne ridotta rispetto a quelle ad essa assegnate dai ricorrenti.

Sotto il primo aspetto si deve tener conto che la deliberazione di un organo collegiale di governo di un gruppo sociale opera nell'ambito di una strutturazione giuridica (comune del resto, sia

pure con note differenziali, a tutte le organizzazioni di collettivi

tà) qualificata dall'attribuzione all'organo di un potere preminente (di cui la deliberazione è atto di esercizio), potere preminente dato per la mediazione e per la realizzazione di tutti gli interessi

(e/o categorie di interessi) correlate alla gestione sociale e quindi anche degli interessi di tale tipo riferibili ai singoli membri (e/o

categorie di membri), e dall'attribuzione ai membri stessi di poteri subordinati, poteri subordinati dati per l'incidenza sull'esercizio del potere preminente sotto forma di partecipazione alla forma

zione e all'emanazione degli atti di esercizio di esso e/o sotto

forma di controllo sull'osservanza da parte di esso di regole precostituite.

Il carattere « autoritativo » cosi conferito alla deliberazione (in tale conferimento è la portata della regola secondo la quale la

deliberazione dell'assemblea è vincolante per tutti i membri del

gruppo ancorché assenti o dissenzienti: cfr. art. 2377, 1° comma,

Il Foro Italiano — 1981 — Parte I-87.

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Page 5: Sezioni unite civili; sentenza 16 settembre 1980, n. 5263; Pres. G. Rossi, Est. Corasaniti, P. M. Silocchi (concl. conf.); Colato e altri (Avv. Paola, C. Romano) c. Secco e altri (Avv.

1351 PARTE PRIMA 1352

1136 e 1137, 1° comma, 21 cod. civ.), mentre importa che le

prospettive attinenti agli atti negoziali « paritetici » possono vale

re per la deliberazione solo con gli opportuni adattamenti, non

importa affatto che i membri del gruppo siano considerati come

soggetti estranei all'atto o al più come strumenti di rettificazione

oggettiva dell'attività dell'assemblea, laddove all'opposto l'attribu

zione del potere d'impugnazione si spiega nel quadro della loro

partecipazione alla detta attività. Ma è ancor più rilevante osser

vare che la subordinazione di poteri e il collegamento di interessi

dianzi descritti come qualificanti la strutturazione o strumentazio

ne giuridica in argomento — subordinazione e collegamento derivanti da ciò, che gli interessi dei membri del gruppo alla

gestione sociale non possono essere realizzati se non attraverso l'esercizio del potere da parte dell'organo sociale, cioè fruiscono di una strumentazione giuridica analoga a quella dell'« interesse

legittimo » del diritto amministrativo — non escludono affatto

l'individuata rilevanza delle posizioni dei singoli membri, e cioè

non importano affatto che tali posizioni debbano ritenersi assorbi

te, o almeno che debbano sempre ritenersi assorbite in una

indistinta unicità, né sul piano sostanziale, né tanto meno sul

piano della tutela giurisdizionale e del processo, piano sul quale l'individua rilevanza delle posizioni stesse è anzi messa in eviden za dal conferimento al singolo membro (purché non consenziente) di un autonomo potere d'impugnazione della deliberazione.

Orbene, la detta individua rilevanza, come acquista particolare risalto per le posizioni dei membri che in conseguenza della deliberazione subiscano un particolare sacrificio, sicché per essi viene in emersione una giustificazione sostanziale della legittima zione a impugnare la deliberazione — giustificazione del resto sottesa a quella formale indicata dalla legge nell'assenza o nel dissenso — cosi essa acquista particolare risalto per le posizioni dei membri che dalla deliberazione traggono un vantaggio spe cifico e diretto, sicché è innegabile che la legittimazione ad

opporsi all'annullamento spetti anche a costoro, oltre che alla società cui la deliberazione è imputata.

Ma anche ad ammettere che la legge determini variamente le cerchie delle situazioni rilevanti nel senso di assumere quale ba

se per l'attribuzione di rilevanza l'area della singola delibera zione (area provvedimentale) piuttosto che quella della gestione sociale nella sua interezza (area gestionale), ed ancora di allargare la cerchia degli interessi rilevanti con riferimento al potere di

impugnare la deliberazione (adottando a tal fine un criterio

formale) e di ridurre invece la cerchia degli interessi rilevanti con riferimento al potere di opporsi all'impugnazione, certo è che tale linea di tendenza non può spingersi al completo diniego di autonoma rilevanza e tutelabilità giurisdizionale alle posizioni dei membri che traggono dalla deliberazione un vantaggio specifico e

diretto, completo diniego che sarebbe in contrasto con l'art. 24 Cost.

Tali principi trovano conferma ove si consideri che essi sono

applicati nel processo davanti alle giurisdizioni amministrative concernenti l'annullamento dei provvedimenti amministrativi ille

gittimi — è cioè materia giuridicamente strutturata secondo sche mi analoghi a quelli cui si conforma la materia in esame —

processo nel quale assume rilevanza, accanto alla figura dell'inte

ressato, quella del controinteressato all'impugnazione (l'art. 7 del

regolamento per la procedura davanti al Consiglio di Stato appro vato con r.d. 17 agosto 1907 n. 642 e l'art. 36 t. u. delle leggi sul

Consiglio di Stato 26 giugno 1924 n. 1054 prescrivono che « il ricorso va notificato tanto all'autorità dalla quale è emanato l'atto o provvedimento impugnato, quanto alle persone alle quali l'atto o provvedimento medesimo si riferisce» e l'art. 15 del regolarne^ to stabilisce che « quando le parti che abbiano interesse a

opporsi al ricorso siano più, la domanda si deve proporre contro

tutte», o almeno contro una di esse, salva l'integrazione prevista anche dall'art. 36 t.u.).

Quanto, poi, al disposto dell'ult. comma dell'art. 2377 è suffi ciente osservare come con esso il nuovo codice abbia espressa mente risolto le questioni che la dottrina si era poste in sede di

interpretazione dell'art. 163 cod. comm., che, dopo aver enuncia to la regola della obbligatorietà della deliberazione per tutti i soci non intervenuti o dissenzienti, prevedeva l'opposizione da parte di

ogni socio. Si discuteva allora quale effetto avesse la decisione

sull'opposizione rispetto agli altri soci e si riteneva da alcuni che si estendesse agli altri soci sia l'effetto della decisione di annulla mento che quella di rigetto della domanda, da altri che si estendesse solo l'effetto della decisione di annullamento. Orbene, l'adozione da parte dell'art. 2377, ult. comma, cod. civ. di questa ultima soluzione mostra come la ratio della norma stia unicamen te nel sottolineare le conseguenze (non tanto dal giudicato anche se secundum eventum litis), quanto della pura e semplice inscin dibilità dell'atto e dell'annullamento di esso, vale a dire la

ritenuta impossibilità che la deliberazione sia annullata solo per alcuni soggetti e non per altri.

Correttamente dunque la corte del merito ritenne che i soci

Piotti e Secco, specificamente contemplati e direttamente avvan

taggiati dalla deliberazione la cui validità era controversa, e come

tali legittimati ad opporsi alla rimozione di essa, fossero altresì

legittimati a proporre appello contro la sentenza con la quale tale

rimozione era stata disposta. E correttamente in conseguenza ritenne che su tale decisione non si era formato il giudicato, che

sarebbe stato preclusivo della rilevazione del difetto di giurisdi zione del giudice ordinario.

Col terzo e col quarto motivo — che vanno anche essi

esaminati congiuntamente per la loro reciproca connessione — i ricorrenti sostengono che la corte del merito errò per avere

ritenuto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la

giurisdizione del giudice amministrativo. In particolare sostengono che, nella specie, non venivano in discussione interessi legittimi, ma veri e propri diritti soggettivi, anche per l'assoluta carenza di

potere dell'assemblea in ordine all'oggetto della deliberazione e

per la conseguente nullità assoluta di questa, e che d'altra parte non può ammettersi una giurisdizione esclusiva del giudice ammi

nistrativo per materia (motivo terzo). Sostengono altresì che la corte del merito incorse in contraddizione per avere affermato da un canto che venivano in discussione posizioni di interesse

legittimo e per aver dall'altro ammesso l'appello da parte dei titolari di meri interessi legittimi (motivo quarto).

Anche tali censure sono infondate.

Quanto a quella di cui al quarto motivo è sufficiente richiamar si a quanto è stato sopra osservato a proposito della natura della

posizione fatta valere e della sua autonoma rilevanza e tutelabilità davanti al giudice purchessia, per escludere qualsiasi contraddi zione fra quanto avvisato a proposito della legittimazione (o dell'interesse) a resistere all'impugnazione della deliberazione e a

proporre gravame e quanto avvisato a proposito della individua zione del giudice provvisto di giurisdizione.

Quanto alla giurisdizione è sufficiente avvertire che con recente sentenza n. 3305 del 1979 (Foro it., Rep. 1979, voce Edilizia

popolare ed economica, n. 109) queste sezioni unite hanno ritenuto che le situazioni configurabili in capo ai soci di coopera tive edilizie in ordine all'assegnazione di alloggi e di parti di edificio costruiti col contributo dello Stato, e più in generale a

provvedimenti in tale materia che precedano l'assegnazione, sono

qualificabili quali interessi legittimi tutelabili davanti al giudice amministrativo per essere collegati e condizionati al raggiungimen to dei fini di interesse pubblico perseguiti a norma delle leggi speciali.

E non vi sono ragioni per discostarsi in questo caso da tale

indirizzo, tanto più ove si consideri che, come è stato già osservato sopra, gli interessi dei soci in ordine al buon andamento della gestione sociale, cui si riferisce l'art. 2377 ed ogni altra norma che concerna l'impugnazione delle deliberazioni dell'organo di governo di qualsiasi gruppo sociale per motivi attinenti alla

legittimità di esse sotto il profilo del legittimo (cioè del corretto) esercizio del potere gestionale (la cosiddetta « azione sociale ») sono anche essi strutturati in modo analogo all'« interesse legitti mo » del diritto amministrativo, anche se ovviamente non ricorre

per tutte le dette posizioni la ragione che vale ad attrarre la tutela giurisdizionale di quelle attinenti agli atti di gestione delle

cooperative edilizie a contributo statale anteriori all'assegnazione nell'orbita della giurisdizione amministrativa.

Va pertanto rigettato il ricorso. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE: Sezione II civile; sentenza 21 luglio 1980, n. 4775; Pres. Corasaniti, Est. Lo Coco, P. M. Canta galli (conci, conf.); Grappi (Avv. E. Biamonti, Schlesinger) c. Soc. Standa (Avv. S. Pescatore, Nicoletti). Cassa App. Milano 14 febbraio 1978.

Vendita — Vendita di suolo — Edificabilità del suolo — Con dizione essenziale — Vincolo d'inedificabilità sopravvenuto do

po il trasferimento della proprietà — Risoluzione del contratto fondata sulla presupposizione — Vizio di motivazione (Cod. civ., art. 1376, 1465, 1467).

Va cassata la sentenza che, in caso di vendita di suolo con clausola che pone « come condizione essenziale » la sua e

dificabilità, ha statuito la risoluzione della compravendita per il venir meno dell'edificabilità del suolo posteriormente al trasfe rimento della proprietà, addossando al venditore il rischio della

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