Sezioni unite civili; sentenza 17 maggio 1984, n. 3017; Pres. Mirabelli, Est. Sammartino, P. M.Miccio (concl. conf.); Quadrelli (Avv. D'Esposito, Prearo) c. Camera di commercio italiana inMadrid. Regolamento preventivo di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 10 (OTTOBRE 1984), pp. 2497/2498-2501/2502Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178081 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ma questi, dall'interpretazione, sulle orme di certa dottrina, di
quella parte dell'art. 2 1. cit. ove testualmente si dispone « inoltre,
gli effetti delle variazioni del costo della vita su qualsiasi elemen
to della retribuzione non possono essere computati in difformità
della normativa prevalente prevista dagli anzidetti accordi inter
fcdcrali », ha estrapolato la dicotomia tra nuovi istituti contrat
tuali, e cioè successivi all'entrata in vigore della legge, e quelli,
invece, precedenti. E con riguardo ai secondi, entro cui rientrano quelli in disputa,
i divieti posti dalla legge (con lettera, però, inequivocabile nella
disposizione che precede quella sopra trascritta) non opere
rebbero, salvo a provare da parte dell'imprenditore che trat
tasi di miglioramenti retributivi più favorevoli rispetto a quelli
previsti dalla normativa contrattuale collettiva prevalente.
Ora, anche a voler aderire all'iter interpretativo suesposto, non
si comprende, però, la ragione per cui il primo giudice inverta
l'onere probatorio. In tal modo, facendo conseguire la vittoria di quella parte
processuale che, avendo proposto una domanda in contrasto
quanto meno con il testo letterale di una disposizione legislativa
(del che deve essersi resa ben conto detta parte quando, per
giustificare la pretesa azionata, ha insistito sulla funzione non
retributiva degli istituti contrattuali in contestazione), per contro
doveva rigorosamente provare i fatti costitutivi su cui la doman
da stessa era stata basata.
Le suesposte considerazioni non sembrano vulnerate dalla im
postazione difensiva degli appellati che, sulla base di una rico
struzione storica della disciplina relativa alla c.d. scala mobile,
pervengono all'affermazione che il dettato letterale e lo spirito della 1. n. 91/77 significherebbero solamente che l'indennità di
contingenza non può essere conglobata nella retribuzione base,
per cui deve esserne tenuta distinta, ma ciò non precluderebbe il
computo di essa a far tempo dal 1° febbraio 1977 relativamente
agli istituti contrattuali in disputa, anche se in misura ridotta,
stante la previsione delle parti contraenti di far decorrere l'au
mento solo dall'anno successivo.
Ma, anche a voler condividere la suenunciata impostazione,
che, però, trascura la disciplina autoritativa dei massimi desumi
bili dall'art. 2 della legge più volte citata e la regola dell'indi
scriminata inderogabilità di tali massimi di cui al successivo art.
4 stessa legge, sta di fatto che pur sempre gli attuali appellati non hanno fornito la prova che il trattamento prevalente nel
settore industriale, che costituisce il termine di paragone adottato
dal legislatore in materia, consente il calcolo su cui si basa la
pretesa dedotta in lite. In altri termini, manca la prova (che,
giova ribadirlo, incombe su chi assume aver diritto ex lege alla
ripercussione della contingenza sugli istituti contrattuali in dispu
ta) che il richiesto conglobamento non urta contro i divieti
sanciti dalla legge, nel senso che non si verte in tema d'incremen
ti retributivi in misura superiore a quella prevalente prevista nella
normativa interconfederale e categoriale dell'industria. (Omissis)
IV
Motivi della decisione. — È pacifico che dal 1982 la società resistente non ha tenuto conto degli scatti di contingenza, matura ti da allora, nel computo dell'indennità di trasferta e di concorso
pasti. Posto ciò, il pretore osserva che tali indennità, ai sensi di
contratto, vanno determinate tenendo come base la « retribuzione minima conglobata» {art. 20/B e 21/B c.c.n.l. degli autoferro tramvieri dell'ottobre 1976). E poiché quest'ultima comprende, pure per espressa previsione contrattuale (art. 6, lett. a), anche l'indennità di contingenza, è indubbio che l'incidenza in questione andrebbe senz'altro riconosciuta, se al regolamento contrattuale non si fosse aggiunta la disciplina statuale di cui all'art. 2 d.l. 1°
febbraio 1977 n. 12, convertito in legge con la 1. 31 marzo 1977
n. 91, che, è noto, «sterilizza» l'indennità di contingenza attra
verso un meccanismo di inderogabilità assoluta (o bilaterale) del
tutto inedito per operare anche in meglio. Nella specie si tratta, quindi, di verificare se la normativa
legislativa escluda o meno la computabilità dell'indennità di
contingenza negli istituti in questione. Lo scrivente ha già in precedenza deciso la questione, con sent.
28 aprile 1981 (Foro it., 1981, I, 2884) in cui testualmente era
scritto: (omissis) Alle considerazioni sopra riportate il pretore si richiama anche
in questa sede, limitandosi ad aggiungere come nel medesimo
senso si sia recentemente espressa la Corte di cassazione (sez.
lavoro, 27 settembre 1983-19 gennaio 1984, pres. Franceschelli, rei.
Tondo, A.m.a.g. c. Oleose e altri, id., 1984, I, 2491) nonostante
abbia deciso sull'incidenza della contingenza sugli scatti di anzia
nità, per i quali il discorso era pure più delicato. E cosi, conforme è parte della giurisprudenza di merito: Pret. Genova 16
aprile 1981, id., 1981, I, 2884, confermata in appello; Pret.
Milano 3 settembre 1982, id., 1983, I, 1400; Pret. Palermo 1°
aprile 1982, id., 1983, I, 1401, e altre.
Si pone, però, a questo punto il problema di individuare su chi
gravi l'onere della prova circa la corrispondenza del sistema in atto nel settore degli autoferrotramvieri alla prevalente normativa
degli altri settori e agli accordi interconfederali del 1957 e del 1975.
Anche su questo aspetto il decidente deve riportarsi alla sua citata propria decisione 28 aprile 1981. In proposito non convince
quanto sostenuto nella prodotta sentenza del Tribunale di Pavia
(20 novembre 1981, pres. Raffa, est. Pedroni, inedita per quel che
consta; ora, id., 1984, I, 2491), che, riformando propria la su indica ta pronuncia di questo pretore, ha posto l'onere della prova a cari co degli attori, sul rilievo che esso incombeva « su chi assume aver diritto ex lege alla ripercussione della contingenza sugli istituti con trattuali in disputa », e precisando che la prova deve avere per og getto « che il richiesto conglobamento non urta contro i divieti san citi dalla legge, nel senso che non si verti in tema di incrementi
retributivi in misura superiore a quella prevalente ». Ed invero, il fatto costitutivo della pretesa degli attori era ed è il contratto; e sul punto la prova, a loro carico ex art. 2697, 1° comma, c.c., è stata fornita. Era ed è il convenuto a dover dimostrare il fatto estintivo o modificativo, e cioè che la esistente disciplina invoca ta contrasta con quella degli accordi interconfederali del 1957 e del 1975, e con quella prevalente dei contratti collettivi del settore industriale. E che sia questo il sistema previsto dalla legge è confermato dal fatto che, altrimenti, a carico dei ricorrenti sarebbe posto un onere del tutto insolito, quello di dover dimostrare l'esistenza di un fatto negativo.
Posto tutto ciò, poiché il quantum non è contestato, il pretore deve accogliere la domanda. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 17 mag
gio 1984, n. 3017; Pres. Mirabelli, Est. Sammartino, P.M.
Miccio (conci, conf.); Quadrelli (Avv. D'Esposito, Prearo) c.
Camera di commercio italiana in Madrid. Regolamento preven tivo di giurisdizione.
Camera di commercio, industria e agricoltura — Camera di commer
cio italiana all'estero — Persona giuridica privata — Dipendenti — Rapporto di lavoro privatistico — Controversie d'impiego —
Giurisdizione ordinaria
Le camere di commercio italiane all'estero sono persone giuridi che private di tipo associativo; pertanto il rapporto di lavoro
tra le stesse ed i propri dipendenti è rapporto di lavoro privato e
le relative controversie sono di competenza dell'autorità giudizia ria ordinaria. (1)
Motivi della decisione. — Per costante giurisprudenza, ai fini dell'identificazione di un rapporto di pubblico impiego, sono
requisiti necessari e sufficienti: a) la natura di ente pubblico (non economico) dell'ente datore di lavoro; b) la subordinazione e la continuità della prestazione, la predeterminazione della retribu
zione, lo stabile inserimento del dipendente nell'ambito dell'orga nizzazione pubblicistica dell'ente stesso e la coordinazione della
prestazione di lavoro con le finalità istituzionali del medesimo
(tra le più recenti: Cass., sez. un., nn. 833, 1788, 2467 e 4212/82, Foro it., Rep. 1982, voce Impiegato dello Stato, nn. 133, 97, 85, 125; 5105/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 174).
(1) ili solo precedente specifico in materia è T.A.R. Lazio, sez. Ili, 14 maggio 1979, n. 387, Foro it., Rep. 1979, voce Camera di
commercio, n. 3, e voce Impiegato dello Stato, n. 123, ove si riba disce che le oamere dii commercio italiane all'estero non sono enti pubblioi ma associazioni private, a nulla rilevando né il riconoscimento ufficiale che esse possano ottenere, né la concessione di contributi da
parte dello Stato italiano, né le funzioni pubbliche di autenticazione e certificazione. Da ciò discende che le controversie relative al rapporto d'impiego tra detti enti ed i loro dipendenti rientrano nel campo del diritto privato, con quanto ne consegue ai fini della competenza giurisdizionale.
In dottrina, per quel che riguarda la natura giuridica delle camere di commercio italiane all'estero, v. in senso conforme F. Molteni, Camera di commercio, voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, V, 957, 966, e G. Belli, Camera di commercio, voce del Novissimo
digesto, Torino, 1964, II, 768, 771.
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2499 PARTE PRIMA 2500
Occorre quindi accertare innanzitutto se si sia in presenza di un
ente pubblico. In proposito è noto che anche attualmente, a parte, com'è ovvio, l'espressa indicazione legislativa, è oltremodo difficile
identificare un criterio distintivo di tranquillante certezza fra ente
pubblico ed ente privato a causa soprattutto della molteplice varietà e della disomogeneità degli enti da considerare.
Alla disomogeneità ha principiato a porre rimedio la 1. 20
marzo 1975 n. 70 <(« disposizioni sul riordinamento degli enti
pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente ») con
l'elencazione tabellare di cui all'art. 1/3, che però non riguarda
quegli enti pubblici che, in forza del 2° comma dello stesso art.
1, sono esclusi dall'applicazione della legge e tra i quali sono
menzionate le « camere di commercio ».
Data peraltro l'indubbia portata dichiarativa dell'indicazione
come enti pubblici degli enti esclusi, la menzione delle « camere
di commercio » senza distinguere tra quelle interne e quelle costituite all'estero, lascia in piedi il problema se la legge abbia
attribuito anche a queste ultime la natura pubblica, problema che
va perciò risolto attraverso la disamina della legislazione prece dente.
Varie teorie sono state formulate per apprestare un criterio
discretivo sufficientemente sicuro. Per citare le principali, esse
possono sinteticamente cosi elencarsi: 1) quelle che hanno ri
guardo ad elementi ritenuti volta a volta determinanti (indici
rivelatori): a) conferimento all'ente del potere d'imperio {essendo
questo uno degli attributi essenziali dell'ente pubblico per eccel
lenza — lo Stato — non è pensabile che sia diviso con soggetti
privati); b) la costituzione dell'ente per diretta iniziativa dello
Stato (il privato può dar viita sia ad un ente privato che ad un
ente pubblico, ma se l'iniziativa è dello Stato ciò significa che
esso considera propria la funzione dell'ente cosi creato); c)
l'esistenza di un rapporto fra ente e Stato tale che il consegui
mento dello scopo per cui il primo è sorto costituisca un obbligo
di esso verso il secondo, e che il secondo eserciti sul primo un
controllo a che l'obbligo sia puntualmente adempiuto; 2) quelle
che fanno perno sull'inquadramento dell'ente nell'organizzazione dello Stato, nel senso di un particolare rapporto di diritto
pubblico (c.d. rapporto di servizio) per cui il primo svolga a
servizio del secondo un'attività che deve ritenersi propria dell'en
te cosi per la titolarità come per l'esercizio; 3) quelle che si
fondano sulla combinazione di più o anche di tutti gli elementi
sopra indicati; 4) quella — ed è fra le più recenti — che,
argomentando proprio dalla tendenza legislativa — almeno ante
riore alla 1. n. 70/75 — « a differenziare anziché accomunare le
posizioni dei diversi enti pubblici », assumenti ciascuno una
regolamentazione propria, e limperniando il problema sulla diversa
sfera d'applicazione dell'art. l'I (« persone giuridiche pubbliche —
Le province e i comuni, nonché gli enti pubblici riconosciuti
come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico ») rispetto all'art. 12 (« perso ne giuridiche private ») del codice civile, suggerisce — come
unico criterio certo — la dicotomia ente di diritto comune/ente di diritto singolare, la prima categoria regolata dalle nonne del
codice civile (libro I, titolo II: «delle persone giuridiche») o da
norme integrative di esse, la seconda da norme (non integrative) costituenti uno specifico ed autonomo ordinamento, sufficiente a
regolare la struttura e l'attività dell'ente esaminato (se la legge
regola la struttura e la vita d'un ente in modo diverso ed
autonomo rispetto alla normativa del codice civile, che regola la
struttura e l'attività delle persone giuridiche private — tertium
non datur — segno che ha inteso sottrarlo a tale normativa e per
conseguenza dargli natura pubblica); 5) vi è, infine, chi sostiene
che oggi non ha importanza distinguere un ente dall'altro secondo
di criterio della pubblicità, quel che importa essendo « studiare il
modo di formazione dell'ente, la capacità di cui gode e la
disciplina della sua attività ».
Questa corte osserva che al fine della decisione della questione
oggetto dell'istanza di regolamento, mentre rimane indispensabile
distinguere tra pubblico e privato, poiché, come si è detto, non vi è
rapporto di impiego pubblico con un ente che non sia pubblico, e se vi è rapporto di impiego pubblico solo il giudice amministra
tivo può conoscere della controversia, non è, d'altra parte, necessario scendere ad esaminare quale fra le teorie suelencate sia preferibile, essendo sufficiente constatare che in base a nessu
na di esse può attribuirsi alla camera di commercio italiana in
Spagna la qualifica di ente pubblico, non ricorrendo alcuno degli indici rivelatori di pubblicità sui quali esse sono costruite.
Giova premettere che la 1. 1° luglio 1970 n. 518 (« riordinamen
to delle camere di commercio italiane all'estero ») che ha sostitui
to il d.l. 13 ottobre 1918 n. 1573 dallo stesso titolo, a differenza
di quel che stabilisce, per le camere di commercio interne, il d.l.
21 novembre 1944 n. 315 (art. 2: «È ricostituita, in ogni
capoluogo di provincia, una camera di commercio, industria e
agricoltura, che coordina e rappresenta gli interessi commerciali, industriali e agricoli della provincia ed esercita le funzioni e i
poteri demandatile dalla legge, sinora attribuiti ai soppressi con
sigli dell'economia. La camera è ente di diritto pubblico ») non contiene alcun accenno alla qualifica delle camere all'estero in senso pubblicistico (e già questo dato, risultante dall'interpreta zione comparativa di due testi regolanti materie in qualche modo
affini, è fortemente sintomatico della volontà del legislatore di
escludere l'attribuzione della natura pubblica) ed anzi, limitandosi a stabilire che il riconoscimento come camere di commercio italiane all'estero, può essere concesso alle « associazioni di opera tori economici, libere, elettive, costituite all'estero al fine di contribuire allo sviluppo delle relazioni commerciali con l'Italia »
(art. 1), sembra porre in rilievo un'autonomia di costituzione di vita e di regolazione affatto incompatibile con l'intenzione di attribuire quella qualifica e invece perfettamente collimante col risultato riduttivo di quell'elemento ermeneutico comparativo.
Ciò posto, si deve peraltro escludere anche la ricorrenza di
quegli indici rivelatori o requisiti di pubblicità. Le camere di commercio italiane all'estero: 1) a) non sono
munite di alcun potere d'imperio — cioè non possono imporre obblighi o stabilire limiti per le persone e per gli averi al di fuori dei patti che vincolano gli associati gli uni agli altri — non essendo ciò previsto da alcuna norma di diritto positivo; per le camere interne la legge prevede il potere di imporre tributi, tra i
quali l'imposta camerale propriamente detta, mentre la 1. n.
518/70, disponendo semplicemente — all'art. 9 — che il « mi nistro per il commercio con l'estero può concedere alle associa zioni riconosciute ai sensi della presente legge contributi alle
spese di funzionamento », ha eliminato perfino quei « diritti di
segreteria » che l'art. 2 di. 13 ottobre 1918 n. 1573 includeva fra le entrate, ma che anche allora potevano costituire un indice rivelatore di pubblicità; b) non sono costituite direttamente dallo
Stato, che riconosce un ente già costituito in modo autonomo, con propria organizzazione statutaria e per il raggiungimento di fini propri degli operatori associati; c) non hanno alcun preciso obbligo giuridico nei confronti dello Stato di sviluppare le relazioni commerciali con l'Italia; l'attività di « sviluppo » di tali relazioni è considerata dallo Stato solo come una condizione per concedere il riconoscimento nei limiti in cui essa « risponda ad un reale interesse degli scambi commerciali con l'Italia » (art. 2/2), ma non è imposta dalla legge, il che vai quanto dire che lo Stato non ha mezzi per influire direttamente su tale attività, cioè non esercita un controllo in senso tecnico, né di legittimità né di merito, l'unica conseguenza d'un'attività associativa, che non interessi in modo concreto gli scambi con l'Italia, essendo la revooa del riconoscimento (art. 8) ovvero, nel caso che tale interesse scemi, l'eventuale diminuzione della misura dei contribu ti alle spese di funzionamento (art. 9/2), ed essendo venuta meno anche quella « tutela » delle « autorità diplomatiche e consolari », sotto cui le camere erano poste nel vigore del d.l. del 1918, quando cioè il riconoscimento era dato soltanto a « sodalizi liberi elettivi dei nostri commercianti e industriali residenti all'estero » e con l'obbligo —
poi attenuato dal d.l. 20 febbraio 1919 n. 273 — di accogliere come soci effettivi soltanto cittadini italiani residenti in loco; « tutela » che, peraltro, genericamente cosi intesa, non poteva neanche allora costituire sicuro indice rivelato re di pubblicità; ed a riprova che le camere all'estero sono attualmente soggette — come erano nel vigore del d.l. del 1918 — non ad un ampio controllo in senso tecnico, ma ad un'assai tenue vigilanza, avente l'unica finalità di accertare che esse continuino ad essere meritevoli e del riconoscimento e dei contri buti di spesa (come accade sotto il secondo aspetto per qualsiasi persona fisica o giuridica sovvenzionata dallo Stato) basta citare, rispettivamente, l'art. 7 di quel decreto per cui gli « agenti diplomatici e consolari, o, in sostituzione di essi, gli addetti commerciali residenti » nel luogo dove aveva sede la camera, facevano parte di diritto del consiglio direttivo, ma con semplice voto consultivo — e l'art. 7 della legge vigente che l'ha sostituito — per cui, nei confronti del capo della rappresentanza diplomati ca competente e del titolare dell'ufficio commerciale della rap presentanza stessa, è rimasto soltanto l'obbligo di invitarli alle riunioni degli organi collegiali, obbligo che nei confronti del capo dell'ufficio consolare e del titolare dell'ufficio locale dell'istituto nazionale per il commercio estero si riduce ad una mera facoltà
d'invito; d) non trovano nella legge speciale uno specifico e autonomo regolamento, ma solo norme integrative di quelle del codice civile quanto agli elementi la cui sussistenza è richiesta dalla legge come condizione per godere del riconoscimento (art. 3 — come già l'art. 4 del d.l. del 1918 — secondo cui lo statuto
deve determinare « le attività che l'associazione intende svolgere
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
per incrementare gli scambi con l'Italia ») ovvero come dati influenti sulla misura del contributo (art. cit. n. 5: lo statuto deve determinare « le modalità di approvazione dei bilanci annua li »); l'art. 5 dispone che la « scelta del segretario generale deve
riportare il gradimento del ministero del commercio con l'estero, su conforme parere del ministero degli affari esteri » e che al
segretario « è affidata la direzione amministrativa della camera »
(affidamento non previsto dal precedente decreto): si tratta anche
qui di disposizione integrativa del codice civile, volta ad assicura
re l'idoneità del soggetto prescelto a garantire il regolare svolgi mento dell'attività associativa in considerazione dell'interesse che
lo Stato ad essa annette, interesse la cui sussistenza è indubbia
ma che non acquista mai quell'imponenza ed essenzialità tali da
far ritenere che lo Stato abbia inteso conferirne la tutela all'ente
mediante un'investitura formale (alla soddisfazione del pubblico interesse alle relazioni commerciali con l'estero lo Stato opera attraverso i ministeri competenti).
In altri termini, l'interesse allo sviluppo delle relazioni com
merciali è perseguito dall'ente come proprio e in nome proprio ed il suo perseguimento, se e nei limiti in cui esso coincida con
quello della collettività, è favorito dallo Stato con un contributo
finanziario la cui erogazione non può prescindere da qualche
garanzia che il contributo stesso sia usato proprio a quel fine.
Pertanto, negata alla camera di commercio italiana in Spagna la qualità di ente pubblico, diventa per ciò stesso inconfigurabile — data la premessa — la pubblicità del rapporto di impiego del
segretario generale, nemmeno ricorrendo un'ipotesi di rinvio ad
ordinamenti di altri enti che siano pacificamente pubblici (nessu na norma di collegamento o di richiamo esiste tra la 1. n. 518/70 e il d.l. 21 settembre 1944 n. 315 sulla ricostituzione delle camere
interne, e neppure esisteva tra il d.l. del 1918 e la legislazione
speciale vigente prima della soppressione delle camere stesse
all'avvento del fascismo: 1. 20 luglio 1862 n. 680, 1. 20 marzo 1910
n. 121 e reg. 19 febbraio 1911 n. 245) ed è superfluo accertare se
ricorrano gli altri requisiti del rapporto medesimo.
Non hanno alcun fondamento le rimanenti obiezioni sollevate
dall'istante a sostegno della tesi della pubblicità: 1) che il
presidente della camera di commercio all'estero è nominato dal
ministro per il commercio con l'estero: alla stregua delle consi
derazioni che precedono non è argomento di per sé decisivo, ma
vai la pena, per completezza, osservare che, per l'art. 45 dello
statuto associativo, regolarmente approvato dal ministro competen te, il presidente è nominato dal consiglio direttivo, organo previsto espressamente dal d.l. del 1918 all'art. 4, n. 5, e permesso dall'art.
3/2 1. n. 518/70, che questa tace sul punto e che, viceversa, la nomina ministeriale — ma ad opera del ministro per l'industria ed il commercio, di concerto con il ministro per l'agricoltura e foreste — è richiesta per le camere interne, ex art. 9/2 d.l. n.
315/44; 2) che egli, come segretario generale, svolgeva una serie di funzioni pubblioistiche, quali l'autenticaziione di firme e di atti degli organi camerali, la certificazione di « congruità dei
prezzi », di « origine delle merci », di conformità degli atti agli originali: tranne che per la prima categoria — ma si tratta di
semplici « visti » con firma legalizzata dal console competente —
nessuna prova documentale è stata fornita e comunque neppure tali attività trovano riscontro alcuno nella legge, come non ne
trovano nel vecchio testo del 1918, sia pure attraverso un
generico richiamo, in quanto applicabili, alle norme di organizza zione delle camere interne.
In conclusione: la camera di commercio italiana in Madrid, riconosciuta ai sensi della 1. 1° giugno 1970 n. 518, è persona giuridica privata di tipo associativo; il rapporto di lavoro tra la
stessa e il suo segretario generale è rapporto di lavoro privato e
la controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 15
maggio 1984, n. 2952; Pres. Moscone, Est. Scanzano, P. M. Miccio (conci, conf.); Cooperativa Nuova Comprosme (Avv. Colaci no, Lanocita) c. Soc. Coprosme (Avv. Fusco, Lamberti).
Regolamento di giurisdizione.
Edilizia popolare ed economica — Convenzione di cessione di
aree a cooperativa edilizia — Risoluzione della convenzione — Revoca dell'assegnazione — Giurisdizione ordinaria —
Esclusione (L. 22 ottobre 1971 n. 865, programmi e coordina
mento dell'edilizia residenziale pubblica, art. 35).
Difetta di giurisdizione il giudice ordinario a conoscere della
domanda con cui una cooperativa edilizia, cessionaria di al
cune aree edificatili in base a convenzione con il comune ai sensi dell'art. 35 l. 865/71, lamenti l'illegittimità della revoca
della delibera di assegnazione delle aree e, conseguentemente, della risoluzione della suddetta convenzione invocata dal co
mune. (1)
Svolgimento del processo. — Con riferimento all'art. 35 1. 22 ottobre 1971 n. 865 — che autorizza i comuni a cedere in
proprietà a cooperative edilizie, con apposita convenzione, aree
per la costruzione di alloggi — il comune di Salerno deliberò il
13 dicembre 1974 di assegnare alla coop. Nuova Compresine alcuni lotti di terreno (di cui non era ancora proprietario, ma
prevedeva di acquistare la proprietà in via di espropriazione per
pubblico interesse). In esecuzione di tale deliberazione stipulò poi, con rogito notaio
Barda del 28 settembre 1978, la convenzione di cessione delle
stesse aree alla cooperativa, cui affidò anche la delega per lo
svolgimento del procedimento di espropriazione.
Successivamente, avendo la cessionaria incontrato difficoltà or
ganizzative nell'attuazione del programma sociale e chiesto di
essere perciò autorizzata a cedere la convenzione ad altro ente, la
giunta municipale del detto comune, con deliberazione del 2
giugno 1980 n. 3448, dichiarò risoluta ai sensi degli art. 1453 e
1463 c.c. la convenzione medesima, revocò la deliberazione del
13 dicembre 1974 e contestualmente assegnò le stesse aree alla
cooperativa Coprosme Salerno.
In relazione a tale situazione la coop. Nuova Comprosme, con
ricorso notificato il 15 settembre 1980, adi' il T.A.R. della
Campania e chiese l'annullamento della citata deliberazione n.
3448 per eccesso di potere, violazione di legge ed incompetenza, deducendone tra l'altro che nella materia de qua il comune non
ha poteri di autotutela e che non sussistevano i presupposti per la risoluzione della convenzione.
Propose contemporaneamente dinanzi al Tribunale civile di
Salerno domanda diretta a sentire dichiarare illecito l'atto del
comune. i
Con riferimento al processo come sopra istituito dinanzi al
T.AjR. la coop. Nuova Comprosme ha proposto poi istanza di
regolamento preventivo di giurisdizione. Non hanno presentato controricorso né il comune né la coope
rativa Coprosme Salerno, la quale è intervenuta però all'udienza di discussione.
Motivi della decisione. — La ricorrente sostiene che il provve dimento con cui il comune dichiara « risoluta » la convenzione
stipulata ai sensi dell'art. 35 1. n. 865/71 per l'assegnazione di aree in proprietà, incide sul diritto soggettivo dell'assegnatario, tutelabile dinanzi al giudice ordinario. Chiede pertanto che venga dichiarata la giurisdizione di tale giudice in ordine alla domanda come sopra proposta dinanzi al T.A.R.
L'istanza è priva di fondamento. Essa implica che l'adozione dello strumento, tipicamente privatistico, della convenzione e
l'effetto traslativo a questa connesso valgano ad attrarre il rappor to totalmente e defintivamente nell'area del diritto privato. Ma tale presupposto è smentito dalla legge.
L'art. 35 1. 865/71, con riferimento alle aree comprese nei piani di zona previsti dall'art. 10 1. 18 aprile 1962 n. 167, attribuisce ad comuni (e loro consorzi) il potere di acquisirle attraverso l'e
spropriazione per i fini dell'edilizia residenziale. La maggior parte di tali aree viene ad essere definitivamente ricompresa nel patri monio indisponibile dell'ente, che destina ciascuna di esse concre
tamente ai fini su indicati concedendole (con deliberazione cui
segue la stipula di una convenzione) in superficie per la costru
zione di alloggi economici e popolari e dei relativi servizi urbani
e sociali.
(1) Non constano precedenti in termini. Per l'affermazione della giurisdizione dei tribunali amministrativi
regionali relativamente alle controversie promosse dall'assegnatario ac
quirente con patto di riservato dominio dei terreni di riforma fondia
ria, contro l'ente concedente — cui le sezioni unite fanno riferimento
per l'evidente affinità della situazione giuridica tutelata nell'assegnatario — cfr., fra le più recenti pronunce, Cass. 12 ottobre 1983, nn. 5924 a
5934, Foro it., Rep. 1983, voce Agricoltura, nn. 105-113; 18 gennaio 1982, n. 293 e 10 dicembre 1981, n. 6517, id:, 1982, I, 683, con nota di richiami di C. M. Barone; v., altresì', Cass. 27 luglio 1982, n. 4317 e 24
settembre 1982, n. 4934, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 114, 115. In ar
gomento v. da ultimo M. Monina, Clausole compromissorie e assegna zioni di terre nelle decisioni giurisprudenziali, in Rass. dir. civ., 1983, 464.
Sul contenuto delle convenzioni ex lege 167/62 {art. 35), cfr. A.
Ruggiero, Contenuto e finalità delle convenzioni urbanistiche nell'e
sperienza notarile, in Convenzioni urbanistiche e tutela nei rapporti fra privati, a cura di M. Costantino, Milano, 1978, 153-163.
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