Sezioni unite civili; sentenza 18 aprile 1961, n. 853; Pres. Lorizio P., Est. Giannattasio, P. M.Pepe (concl. conf.); Società Istituto naz. medico farmacologico Serono (Avv. Biamonti, Boitani)c. Treves, Momigliano, Talamini, De Benedetti (Avv. Bernardini, Ottolenghi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 4 (1961), pp. 571/572-577/578Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151021 .
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571 PARTE PRIMA 572
n. 2, sull'ordinamento delle guide, dei portatori alpini, dei
maestri di sci, degli aiuti maestri di sci e delle scuole di
sci in Valle d'Aosta : art. 4. 1° comma, nella parte in cui
si dispone che l'iscrizione nel ruolo regionale si effettua per il tramite delle società locali e dell'Unione valdostana
guida e maestri di sci ; art. 4, 2° comma ; art. 10, lett. b, lett.
e, nella parte in cui si richiede la buona conoscenza della
lingua francese, e lett. g ; art. 14 ;
c) dichiara, a norma dell'art. 27 legge 11 marzo 1953
n. 87, l'illegittimità costituzionale delle seguenti disposi zioni della stessa legge regionale : art. 2, 4° e 5° comma ; art. 3, nella parte in cui richiama le disposizioni illegittime dell'art. 2 ; art. 8 ; art. 9, 2° comma ; art. 11, 3° comma ; art. 12, in quanto impone la presentazione delle domande
di autorizzazione per il tramite delle società locali o del
l'Unione valdostana ; art. 13. nella parte in cui richiama
l'art. 8.
1° comma, giacché questo si limita a dichiarare che non
occorre l'autorizzazione della Valle per l'esercizio saltuario,
imponendo soltanto l'osservanza delle norme di sicurezza
dettate nell'interesse dell'incolumità di tutti. Occorre sol
tanto avvertire che dovrà essere eliminato il richiamo al
l'art. 8, che, come si dirà, viene dichiarato illegittimo con
la presente sentenza.
Per le stesse ragioni ora esposte nessun rilievo può muoversi al 2° comma dell'art. 13, il quale chiarisce quando
l'apertura di corsi e di scuole di sci o di alpinismo dehba
considerarsi come esercizio stabile di professioni alpine,
sottoposte ad autorizzazione regionale. Manifestamente illegittimo è l'art. 14, 1° comma, della
legge regionale, il quale dispone che l'esercizio non auto
rizzato a norma delle disposizioni della legge stessa è punito a termini dell'art. 3 decreto legisl. pres. 1° aprile 1947 n. 218.
La giurisprudenza della Corte è costante nel senso che
la materia penale è riservata alla competenza esclusiva
dello Stato, ed è precluso alle Regioni non soltanto stabilire
nuove figure di reati, ma anche richiamare, per violazione
di norme regionali, sanzioni già comminate dalle leggi dello Stato.
Se, poi, per l'esercizio delle professioni di guida, portatore e maestro di sci senza licenza della Yalle sia applicabile la sanzione penale comminata con l'art. 3 del richiamato
decreto legislativo, è questione che deve essere risoluta
dal giudice penale, ma non può essere definita, con norma
imperativa, dal legislatore regionale. È anche illegittimo il 2° comma dell'art. 14. Tale il
legittimità deriva dal fatto che il potere disciplinare ricono
sciuto all'Unione valdostana ed alle società locali non è
quello spettante ad ogni sodalizio sopra i propri iscritti ma è
quello che, in relazione alla non legittima ampiezza delle
attribuzioni conferite dalla legge regionale alle predette
organizzazioni, presidia e sanziona l'attività delle organiz zazioni stesse volta al conseguimento di fini in contrasto
con le norme costituzionali, come si è chiarito esaminando
le precedenti disposizioni della legge regionale ed in par ticolare l'art. 4.
In conseguenza della dichiarazione di illegittimità adot tata con la presente decisione nei riguardi di alcune di
sposizioni della legge regionale, sono da dichiarare altresì
illegittime, per le ragioni esposte in sede di esame delle
disposizioni predette, le seguenti altre norme della legge stessa :
а) il 4° ed il 5° comma dell'art. 2, a norma dei quali l'Unione valdostana tiene aggiornato il ruolo regionale, istruisce le domande di autorizzazione, cura la disciplina e
provvede, in genere, a quant'altro necessario per la migliore
organizzazione professionale e per l'attuazione dei compiti affidatile dall'Assessorato che presiede al turismo ; nonché il 1° comma dell'art. 3, nella parte in cui richiama, a pro posito delle società locali, le disposizioni illegittime del
l'art. 2 ;
б) l'art. 8, che stabilisce l'inderogabilità delle tariffe ;
c) il 2° comma dell'art. 9, che affida all'Unione valdo
stana il compito di impartire l'approvazione a norme va levoli per tutti i professionisti alpini e per i loro clienti ;
d) il 3° comma dell'art. 11, il quale stabilisce che per la « promozione a guida » occorre un effettivo servizio triennale nella Valle ;
e) l'art. 12, in quanto subordina la presentazione delle
domande al necessario tramite dell'Unione o delle società
locali alle quali, in sostanza, affida interamente l'istruttoria ;
/) l'art. 13, nella parte in cui richiama l'art. 8.
Per questi motivi, a) dichiara non fondata la questione
proposta con l'ordinanza del Tribunale di Aosta del 28
aprile 1960 sulla legittimità costituzionale degli art. 1 e 3
decreto legisl. pres. 1° aprile 1947 n. 218 : « Ordinamento delle professioni di guida alpina, di portatore alpino, di
maestro di sci nella circoscrizione della Valle d'Aosta », in riferimento all'art. 2, lett. u, dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta ;
6) dichiara, in riferimento^agli art. 4, 41 e 120 Cost.,
l'illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni della
legge della Regione della Valle d'Aosta 28 settembre 1951
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili; sentenza 18 aprile 1961, n. 853 ; Pres.
Lorizio P., Est. Giannattasio, P. M. Pepe (conci,
conf.) ; Società Istituto naz. medico farmacologico Se
rono (Avv. Biamonti, Boitani) c. Treves, Momigliano, Talamini, De Benedetti (Avv. Bernardini, Otto
LEKGHI).
(Gass. App. Boma 22 settembre 1958)
Società — Società per azioni — Impugnazioni di
deliberazioni assembleari — Deposito di azione — Iscrizione a ruolo della causa (Cod. civ., art. 2378).
Società —• Società per azioni — Deliberazioni as
sembleari — Votazione — Soci in conflitto di in
teressi Impugnabili! à — Danno potenziale Sufficienza (Cod. civ., art. 2377).
Società — Società per azioni Deliberazioni ordi
narie e straordinarie — Unica assemblea — Ap
provazioni — Regime separato (Cod. civ., art. 2364,
2365).
Per la procedibilità del giudizio di opposizione a delibera
zione assembleare è sufficiente che il deposito nella cancel
leria del giudice adito di almeno un'azione avvenga al
momento della iscrizione della causa a ruolo. (1) La deliberazione di una società per azioni è impugnabile
se alla votazione abbiano partecipato soci in conflitto di
interessi, ancorché il danno arrecato dalla deliberazione
■medesima alla società, sia non effettivo ma potenziale. (2) Convocata Vassemblea di società per azioni, con unico ordine
del giorno comprendente materie di competenza dell'as
semblea ordinaria e straordinaria, per l'approvazione delle
materie riservate all'assemblea, ordinaria è sufficiente la
maggioranza prescritta per tale assemblea. (3)
(1) Come si precisa nella motivazione, le Sezioni unite
vanno in contrario avviso rispetto a quanto sin qui ritenuto dalle
Sezioni semplici : per i precedenti si veda la nota di richiami alla
sentenza App. Roma 22 settembre 1958, confermata su tal
punto, Foro it., 1959, I, 1555 ; successivamente App. Milano 12
aprile 1960, id., 1960, I, 1019, con nota di richiami, e, per qualche riferimento, Cass. 1° aprile 1960, n. 2535, retro, 298, con nota di
richiami. Richiami anche in Frè, nel Commentario, a cura di
A. Scialoja e G. Branca, 3a ed., 1961, pag. 342.
(2) In senso conforme, Oraziani, Diritto delle societàNa
poli, 1960, pag. 328. Vedi pure : Frè, op. cit., pag. 307 ; Mignoli, L'interesse sociale, in Hiv. società, 1958, 725 ; Minervini, Delibe
razione assunta da tutti i soci in conflitto di interessi con la società?, in Giur. it., 1960, I, 1, 585 ; Guerra, Le società di partecipazione, Milano, 1957, pag. 140 e segg., cui si rinvia per ulteriori richiami.
(3) Cass. 9 luglio 1958, n. 2466, Foro it., Rep. 1958, voce
Società, n. 374, ricordata nella motivazione di quella che si
annota, ha ritenuto che, ove in una stessa seduta assembleare
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573 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 574
La Corte, ecc. — Con il primo motivo il ricorrente de
nuncia violazione dell'art. 2378, capov., cod. civ. per avere
la Corte di merito rilevato che il deposito dell'azione da
parte dell'opponente alla deliberazione sociale possa essere
eseguito all'atto dell'iscrizione a ruolo della causa e non
già in un momento anteriore alla notifica della citazione, a
pena di improcedibilità. Queste Sezioni unite non ignorano elio il Supremo col
legio ha, per due volte, affermato che il deposito dell'azione,
previsto dall'art. 2378, capov., cod. civ., costituisca un pre
supposto processuale dell'opposizione del socio e, come, tale, debba essere effettuato al più tardi al momento della noti
ficazione della citazione (Cass. 5 ottobre 1953, n. 3172, Foro it., 1954, I, 947 ; 11 maggio 1957, n. 1676, id., 1958,
I, 1300), ma, da un rinnovato esame del problema, sono
indotte ad accogliere una diversa soluzione.
La Corte suprema, nelle sue precedenti sentenze, ha
individuato la ratio dell'art. 2378, capov., nell'esigenza di
evitare che il diritto d'impugnazione possa trasformarsi
in uno strumento per tardive azioni di dubbia serietà e di
evitare altresì contestazioni e discussioni, in via preliminare, sulla legittimazione dell'impugnazione della delibera so
ciale ; ma se il legittimato ad impugnare detta deliberazione
è il socio assente o dissenziente (art. 2377, capov.) e, se, in conseguenza, può invocare una sentenza di annullamento soltanto il socio che era tale sin dal momento in cui fu
adottata la deliberazione che si assume viziata, la soluzione, in precedenza accolta dalla Cassazione, non dà, pur con il maggior rigore, alcuna certezza e non elimina il dubbio relativo alla legittimazione. Infatti, pur depositandosi l'azione al momento della notificazione dell'opposizione, il
che può avvenire ben tre mesi dopo la deliberazione ed anche successivamente, se si tratta di delibera soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese (e, in via transitoria, nel registro di cancelleria), nel qual caso il trimestre de corre dall'iscrizione (art. 2377, capov.), resta sempre un intervallo di tempo scoperto, pari a diversi mesi, cui ben
poco aggiunge l'ulteriore spazio di tempo di dieci giorni (o soltanto di cinque giorni nel caso di abbreviazione di
termini) quanti ne intercorrono dalla notificazione della citazione alla costituzione dell'attore (art. 165, 1° comma, cod. proc. civ.). Se davvero il legislatore avesse inteso assi
curarsi, nell'imporre il deposito dell'azione, l'eliminazione di ogni questione preliminare sulla legittimazione ad im
pugnare la deliberazione, non si sarebbe preoccupato di
coprire soltanto il brevissimo intervallo tra la notificazione
dell'opposizione e l'iscrizione a ruolo della causa, ma avreb be posto la sua attenzione anche e soprattutto sull'assai
più lungo periodo che decorre dalla deliberazione alla notifica
dell'opposizione. In realtà l'art. 2378 cod. civ., mentre esige il deposito
dell'azione quale prova della legittimazione ad agire del socio (art. 2325, capov.) che propone opposizione ad una deliberazione assembleare, cioè quale condizione, non su scettibile di equipollenti, affinchè il giudice possa dichia rare esistente ed attuare la volontà di legge invocata dal
l'attore, pur dettando una diffusa regolamentazione dei pro cedimento d'impugnazione (giudice dell'opposizione, even tuale garanzia per danni, istruzione congiunta delle impu gnazioni, unica decisione, eventuale sospensione dell'ese cuzione della delibera, iscrizione dei provvedimenti giu
vengano adottate deliberazioni plurime, sia pure contenute in unico verbale, ma tra loro autonome e indipendenti, il termine d'impugnativa decorre per tutte dalla data di deliberazione, meno per quelle soggette a iscrizione nel registro delle imprese, per le quali il termine inizia da detta iscrizione.
Muovendo dal principio che è l'oggetto posto in discussione che caratterizza ed individua la natura, ordinaria o straordi naria, dell'assemblea, App. Torino 10 gennaio 1951, id., 1951, I, 1541, ha giudicato irrilevante la mancata menzione della straor dinarietà dell'assemblea nell'avviso di convocazione.
In dottrina, conformi, Oraziani, op. cit., pag. 317, n. 4 ; Frè, op. cit., pag. 271 ; Galgano, Sostituzione di amministratori da parte di assemblea straordinaria, in Foro it., 1957, I, 518 (specie Du 9).
diziari, ecc.) non precisa affatto il momento dell'acquisi zione, a mezzo deposito, al processo, di detta prova le
gale. Se il codice civile nulla dice al riguardo, è segno che,
per quanto attiene al modo e al tempo dell'inserimento nel
processo dell'azione della società, la legge ha inteso rimet tersi al criterio generale dell'inserimento delle prove nel
processo civile, cioè al criterio suggerito dall'art. 165 cod.
proc. civ., secondo il quale l'attore, all'atto della costitu
zione, deposita in cancelleria il proprio fascicolo conte nente l'originale della citazione, la procura ed i documenti offerti in comunicazione.
Tale soluzione soddisfa, innanzi tutto, l'esigenza che
presupposti processuali siano espressamente contemplati dalla legge ; essa inoltre è suffragata da una considerazione di ordine pratico, ma che è anche di ordine giuridico, se condo la quale, anteriormente alla costituzione dell'attore, la causa non è iscritta a ruolo e non è formato il fascicolo
d'ufficio, per cui resterebbe sempre da risolvere la diffi coltà di esecuzione di un deposito in cancelleria di un docu mento relativo ad un procedimento, per il quale ancora non c'è e s'ignora persino se vi sarà costituzione delle parti.
La tesi, secondo la quale il deposito dell'azione costi tuirebbe un presupposto processuale e che, come tale, do vrebbe precedere o quanto meno accompagnare la notifi cazione dell'opposizione trova, per di più, smentita in
precise disposizioni della legge, la quale, allorquando vera mente ha inteso imporre un deposito preventivo o coevo alla citazione o al ricorso, lo ha espressamente stabilito.
Il deposito per il caso di soccombenza (art. 364, 651 cod. proc. civ.) attiene effettivamente alla procedibilità della domanda ed in vista di ciò la legge ha voluto che il
deposito stesso preceda il ricorso per cassazione (nel quale, a norma dell'art. 366, n. 5, devono essere indicati gli estremi della quietanza) ovvero la opposizione contro il decreto
ingiuntivo nei casi previsti dall'art. 642 (<< deve essere pre ceduto », « debbono essere precedute »). Così pure la legge stabilisce un preciso termine entro il quale deve essere depo sitato nella cancelleria la quietanza del deposito relativo alla domanda di revocazione (art. 399, 1° comma, cod.
proc. civ.), mentre nell'art. 66 legge cambiaria 14 dicembre 1933 n. 1669 subordina l'esercizio dell'azione causale al
deposito nella cancelliria della cambiale ed analogamente dispone l'art. 58 r. decreto 21 dicembre 1933 n. 1736 per l'esercizio dell'azione causale da parte del possessore del
l'assegno bancario. Di fronte a tali precise disposizioni, l'art. 2378 cod. civ. si limita a dire che il socio opponente deve depositare in cancelleria l'azione e tale deposito, in mancanza di una disposizione particolare, non può avve nire che secondo la regola generale e cioè, come si è pre cisato, all'atto dell'iscrizione della causa a ruolo.
Il deposito dell'azione non attiene, quindi, ai presup posti del processo, ma attiene alla spettanza del diritto a chi pretende esserne titolare ; non appartiene al piano processuale dell'azione ma a quello del diritto sostanziale. In relazione allo scopo perseguito, che è quello della prova della titolarità del diritto che si fa valere in giudizio, il
legislatore ha ammesso come dimostrazione esclusiva della
legitimatio ad causarti il deposito di almeno un'azione nella cancelleria del giudice adito, e perchè la qualità di legitti mato venga acquisita all'intero processo, ha imposto il vincolo d'indisponibilità, che è connaturale al deposito.
Potrebbe obiettarsi che, specie dopo la « novella i> del
1950, che ammette, con maggiore larghezza, l'acquisizione di prove anche in appello, una volta contestato che il de
posito dell'azione costituisca un presupposto processuale, sarebbe arbitrario anche il pretendere che il deposito sia necessariamente effettuato all'atto dell'iscrizione della causa a ruolo, e tanto varrebbe ammettere l'esecuzione del depo sito stesso nel corso del giudizio e solo ed in quanto sorga contestazione sulla qualità di socio. Può agevolmente rispon dersi che proprio per la particolare natura dell'azione, la
legge sottrae la sua produzione alla disponibilità delle parti ed esige quel vincolo d'indisponibilità cui dianzi si accen nava. L'azione può benissimo essere trasferita mediante sem
plice girata, con la conseguenza che non sempre le registra zioni del libro dei Soci corrispondono all'effettiva distri
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PARTE PRIMA
buzione del capitate azionario. Per impedire che l'azione
possa essere trasferita in corso di causa e quindi eliminata
dal fascicolo di parte, salvo poi a sostituirla con altra, la
legge prescrive l'acquisizione dell'azione al fascicolo d'uf
ficio, che è custodito dal cancelliere e che è sottratto alla
disponibilità delle parti e dei loro difensori, che possono soltanto esaminarlo ed estrarne copia (art. 76 disp. att.
cod. proc. civ.). Siffatto deposito accompagna il giudizio in tutta la sua durata, vale a dire dall'iscrizione della causa
a ruolo sino alla sentenza definitiva sull'opposizione. Il primo motivo del ricorso è pertanto infondato.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione
dell'art. 2373 cod. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., anche per omessa e contraddittoria motiva
zione su un punto decisivo, e sostiene che nel caso di specie non sarebbe ravvisabile un conflitto di interessi tra la
Società e i soci, in quanto ne mancherebbero gli estremi
essenziali (una situazione obiettiva di collisione tra gli interessi della Società e quelli del socio ; un rapporto di
retto tra la detta situazione e l'oggetto della deliberazione ; un effettivo danno alla Società) ; e ciò varrebbe tanto più
per gli intestatari delle azioni non optate, in quanto, quale che fosse stato l'avviso dell'assemblea sull'operato degli amministratori, non avrebbero, nella loro qualità di terzi,
riportato alcun danno.
Tali censure non hanno fondamento. La deliberazione
assembleare era stata impugnata per avere ratificato l'ope rato degli amministratori, i quali avevano acquistato in
proprio o venduto a terzi al valore nominale azioni della
Società che avevano un valore effettivo notevolmente su
periore, e con l'opposizione si rilevava che gli amministra
tori avevano operato nel loro personale interesse e a danno
della Società, cui spettava la differenza. La Corte di merito, con diffusa motivazione, ha precisato le ragioni di fatto
e di diritto per le quali ha ritenuto la sussistenza di un con
flitto di interessi tra gli amministratori e la Società, giun
gendo alla conclusione che gli amministratori stessi (in sieme a quegli altri soci per i quali, del pari, ha ritenuto
sussistere il conflitto) avrebbero dovuto assolutamente aste
nersi dalla votazione, in quanto si trattava di deliberazione
avente per oggetto una irregolarità da loro commessa, nel
loro personale interesse e con pregiudizio della Società, alla
quale soltanto competeva il plusvalore delle azioni, consi
stente nella differenza tra il valore nominale e quello com
merciale. Affermata così, con incensurabile apprezzamento di fatto, la sussistenza del conflitto di interessi, la denunciata
sentenza non offre il fianco a critiche, per quanto attiene
a tale punto, neppure sotto il profilo giuridico. Il problema dell'impugnazione della deliberazione per
inosservanza del 1° comma dell'art. 2373 cod. civ. («il diritto di voto non può essere esercitato dal socio nelle
deliberazioni in cui egli ha, per conto proprio o di terzi, un
interesse in conflitto con quello della società ») non è un
problema di tutela dei diritti della minoranza contro lo
strapotere della maggioranza che dirige la società, ma è
un problema di tutela dell'interesse della medesima società.
11 socio, in particolare se investito delle funzioni di ammini
stratore, nell'ipotesi in cui direttamente o per conto altrui
viene a trovarsi in una situazione di antagonismo rispetto all'interesse della società, ha il dovere di astenersi dall'eser
cizio del voto, con le conseguenze di cui al capov. del ricor
dato art. 2373, nè la legge esige che la deliberazione da adot
tare debba necessariamente arrecare un effettivo danno
alla società, perchè a delineare il conflitto e a legittimare
l'impugnazione della deliberazione è sufficiente la semplice
possibilità di tale danno.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli art. 2364, 2365 e 2378 cod. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. e, premesso che la Corte di merito
ha ritenuto necessaria per l'approvazione delle deliberazioni
riflettenti materie di competenza dell'assemblea ordinaria
(approvazione dell'operato degli amministratori), le mag
gioranze prescritte per l'assemblea straordinaria solo perchè tutti gli argomenti da trattare, sia in sede ordinaria sia in
sede straordinaria, erano compresi in un unico ordine del
giorno, sostiene che, pur in presenza di un'unica assemblea,
la maggioranza richiesta dalla legge per la validità delle deli
berazioni doveva essere calcolata con criteri diversi in rap
porto all'oggetto, di modo che relativamente alle materie
riservate all'assemblea ordinaria doveva ritenersi sufficiente
la maggioranza prescritta per tale assemblea.
Il ricorrente soggiunge che la Corte di merito ha omesso
di esaminare i denunciati errori di calcolo commessi dal
consulente tecnico e dal Tribunale nel computo dei voti, senza dei quali era stata abbondantemente raggiunta la
maggioranza richiesta.
La censura è fondata. Il codice vigente mantiene la
distinzione tra assemblea ordinaria ed assemblea straordi
naria in ragione della diversa competenza determinata ri
spettivamente dagli art. 2364 e 2365. Per stabilire il ca
rattere di assemblea ordinaria o straordinaria si fa quindi riferimento alla materia da trattarsi secondo quanto è
indicato nell'ordine del giorno, il che importa che è persino
priva di conseguenze giuridiche la mancata indicazione nel
l'avviso di convocazione del carattere ordinario o straordi
nario dell'assemblea. Tanto ciò è vero che non si discute
minimamente, e tanto meno è discusso nel presente giudizio, che sia consentita la convocazione contemporanea e cumu
lativa delle due assemblee, emergendo la distinzione dal
l'oggetto della convocazione. Nell'unico avviso di convo
cazione si elencano gli oggetti sui quali l'una e l'altra as
semblea è chiamata a deliberare, ma, una volta aperta la
riunione, nulla vieta che sia invertito l'ordine preventivato :
quello che va fatto salvo è soltanto l'osservanza delle di
sposizioni relative alla costituzione dell'una e dell'altra
assemblea e alla validità delle loro deliberazioni, per cui,
allorquando saranno adottate deliberazioni su argomenti pre visti dall'art. 2364, saranno necessarie le maggioranze pre scritte per l'assemblea ordinaria, quando invece si tratti
di deliberazioni su materie contemplate dall'art. 2365, do
vranno essere rispettate le maggioranze prescritte per l'as
semblea straordinaria.
In realtà, sebbene la legge riferisce all'assemblea, della
quale sdoppia la figura, quelle che sono invece le condizioni
di validità delle deliberazioni, ove si guardi alla sostanza
delle cose, non esistono due assemblee di azionisti, ma c'è
un'unica assemblea, organo sovrano della società, la quale
provvede in sede ordinaria oppure in sede straordinaria, ed
unicamente in considerazione delle deliberazioni che devono
essere adottate è richiesta una diversa partecipazione di
soci e una diversa maggioranza o è consentito oppure ini
bito ad alcune categorie di soci l'esercizio del dir'tto d'
voto. Non si pone neppure un problema di verbalizzazione,
allorquando l'unico verbale, relativo all'insieme delle deli
berazioni, sia stato redatto nella forma solenne richiesta per l'assemblea straordinaria (art. 2375, capov.).
A tali criteri, del resto, ha già avuto occasione di ispi rarsi la Suprema corte riconoscendo che le varie delibera
zioni adottate nel corso di un'unica assemblea sociale e verbalizzate sia pure in unico atto, non cessano di rimanere
tra loro autonome, dando luogo a distinti provvedimenti (Cass. 9 luglio 1956, n. 2466, Foro it., Rep. 1958, voce So
cietà, n. 374). Partendo da tale errore di diritto, la Corte di merito
non si è data carico, come pur avrebbe dovuto, di sotto
porre la deliberazione, adottata in sede ordinaria, alla co
siddetta prova di resistenza per stabilire se il voto dei soci, che si trovavano in conflitto di interessi era oppur no deter minante agli effetti della formazione della maggioranza.
Il ricorso va pertanto accolto relativamente al terzo
motivo e l'impugnata sentenza va cassata. Il giudice di
rinvio, al quale la causa va rinviata per nuovo esame, do
vrà uniformarsi al seguente principio di diritto : « Allorché
più deliberazioni della società per azioni vengono adottate
nel corso di un'unica assemblea e verbalizzate in un unico
atto, esse conservano la loro autonomia e danno luogo a distinti provvedimenti, ciascuno dei quali esige, per la sua validità, il concorso dei soci e la maggioranza che sono
rispettivamente richiesti per le assemblee ordinarie o straor
dinarie, a seconda che riguardino materie riservate alla com
petenza dell'una o dell'altra assemblea ».
L'accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso prin
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577 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 578
cipale, importa l'assorbimento di quello incidentale che
riguarda la seconda deliberazione assembleare di ratifica della deliberazione impugnata.
Per questi^motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 15 aprile 1961, n. 816 ; Pres.
Lombakdo P., Est. Fessati, P. M. Pepe (conci, conf.) ; Società elettrica Selt-Valdarno (Avv. Conte, Franco) c. Finanze (Avv. dello Stato Nista), Provincia di Lucca
(Avv. Gaspaeki), Comuni di Fosciandora, Pieve Fo
sciana e Castelnuovo Garfagnana (Avv. Codacci Pi
san elli).
(Conferma Trib. sup. acque 2 luglio 1959)
Acque pubbliche c private — Tribunale superiore in
sede amministrativa — Decisioni •— Impugnabi lità in Cassazione (Costituzione della Repubblica, art. Ili ; r. d. 11 dicembre 1933 n. 1175, t. u. sulle acque e gli impianti idroelettrici, art. 201).
Acque pubbliche e private — Grandi derivazioni —
Comuni rivieraschi e Provincie — Sovracanone —
Ammontare — Determinazione del Ministro delle
finanze — Efficacia retroattiva del decreto — Le
gittimità (R. d. 11 dicembre 1933 n. 1175, art. 53).
Le decisioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche in sede di giurisdizione amministrativa sono impugna bili in Cassazione per violazione di legge. (1)
Il Ministro delle finanze, imponendo, a carico del concessio
nario di grandi derivazioni d'acqua per produzione di
energia elettrica trasportata oltre il raggio di quindici chilometri dal territorio dei comuni rivieraschi o fuori
provincia, un sovracanone a favore di comuni e provincie, deve determina/rne il concreto ammontare. (2)
È legittimo il decreto ministeriale che, imponendo il sovra
canone previsto dall'art. 53 (testo originario) t. u. sulle
acque pubbliche, ne fissa retroattivamente la decorrenza
all'inizio del trasporto dell'energia elettrica. (3)
La Corte, ecc. — (Omissis). L'eccezione di inammissi
bilità del ricorso sollevata dai Comuni resistenti è manife
stamente infondata.
(1) Conf., da ultimo, Cass. 17 febbraio 1960, n. 260 (citata nella motivazione della presente), retro, 381, con nota di richiami.
(2-3) In senso conforme, oltre la decisione confermata Trib. sup. acque 2 luglio 1959, l'altra decisione 21 agosto 1959, entrambe riassunte nel nostro Rep. 1959, voce Acque, nn. 96
106, 177, 178. Cass. 11 luglio 1955, n. 2194 (id., Eep. 1955, voce Competenza
civ., nn. 87-89) ha ritenuto, nella motivazione (Foro amm., 1956, II, 1, 18), che il 1° comma dell'art. 53 t. il. sulle acque, «non che
restringere il potere (del Ministro) alla determinazione unica mente dell'aliquota, fissa unicamente il criterio per la determina zione del sovracanone dovuto dal concessionario in rapporto al
complesso dell'energia prodotta o trasportata ». Sui criteri di determinazione del raggio di quindici km. da
ciascun comune rivierasco, v. Trib. sup. acque 19 novembre
1956, Foro it., 1957, I, 860. Sulla natura non tributaria del sovracanone, v. C. Centrale
26 novembre 1954, n. 65953, id., Rep. 1955, voce cit., n. 40. La competenza del Trib. superiore a conoscere delle contro
versie relative al conseguimento dei sovracanoni dai comuni rivieraschi è riconosciuta da Trib. acque Torino 24 aprile 1942, id., 1943, I, 306.
L'art. 53 del più volte citato t. u. è stato ora sostituito dal l'art. 1 della legge 4 dicembre 1956 n. 1377 (Le Leggi, 1956, 1642), che, all'art. 2, fissa al 1 gennaio 1957 la decorrenza della nuova disciplina per tutte le concessioni già assentite, comprese quelle per le quali abbia già avuto luogo la liquidazione del sovra canone. Sul che vedi le Istruzioni del Min. finanze, date con circ. 22 luglio 1959, n. 158, prot. 56037, riprodotta in Ammin. loc., 1959, 436.
È ben vero ohe l'art. 201 t. u. 11 dicembre 1933 n. 1175
consente il ricorso a queste Sezioni unite della Corte di
cassazione contro le decisioni del Tribunale superiore delle
acque pubbliche emesse in sede di giurisdizione amministra
tiva soltanto per incompetenza o eccesso di potere, ma è
giurisprudenza ormai costante che anche nei riguardi di
tali decisioni trovi applicazione la norma generale dell'art.
Ill Cost., a mente della quale contro le sentenze pronunciate
dagli organi giurisdizionali, ordinari o speciali, è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge.
Invero l'assunto che ai fini del ricorso per cassazione
le sentenze del Tribunale superiore delle acque pubbliche
pronunciate in sede di giurisdizione amministrativa deb
bano essere parificate alle decisioni del Consiglio di Stato
e della Corte dei conti, che sono impugnabili solo per motivi
inerenti alla giurisdizione, urta contro il preciso disposto del precetto costituzionale, il quale, avendo dettato un'ap
posita disciplina per le impugnazioni contro le decisioni
di quegli organi della giustizia amministrativa, ha necessa
riamente voluto che per ogni altro organo giurisdizionale, e quindi anche per il Tribunale superiore delle acque pub
bliche, fosse operante la regola generale contenuta nel
2° comma dell'art. Ili, regola generale che, d'altra parte, non limita il proprio campo di applicazione alla sola ma
teria penale. Anzi queste Sezioni unite hanno ripetutamente affermato
(da ultimo sent. 17 febbraio 1960, n. 260, Foro it., 1961,
I, 381) che l'art. Ill Cost., nel consentire il ricorso per vio
lazione di legge contro le sentenze pronunciate dagli or
gani giurisdizionali, ordinari o speciali, ha inteso sancire
un principio valevole per ogni caso di violazione di legge, tanto sostanziale quanto processuale, ditalchè rientra nei
limiti di detto controllo anche il vizio inerente alla motiva
zione della sentenza impugnata dal momento che l'obbligo della motivazione costituisce un principio generale, cui ogni
organo giurisdizionale deve conformarsi nel pronunciare la propria sentenza.
Ritenuta adunque l'ammissibilità del ricorso, si osserva
che il medesimo si impernia sull'interpretazione dell'art. 53
t. u. 11 dicembre 1933 n. 1175 sulle acque ed impianti elettrici, il quale prevede la possibilità di stabilire a carico
del concessionario di grandi derivazioni d'acqua per pro duzione di energia elettrica un'ulteriore prestazione, defi
nita, appunto sovracanone, a favore dei comuni rivieraschi e dell'amministrazione provinciale quando l'energia pro dotta venga trasportata oltre una determinata distanza dal territorio comunale o fuori provincia.
Secondo la ricorrente il Ministro delle finanze dovrebbe limitarsi a stabilire il sovracanone, a fissare il limite del
l'aliquota da applicarsi alla potenza prodotta ed esportata e a determinare inoltre a quali comuni e provincie spetti il sovracanone stesso, mentre dovrebbe « lasciare agli ac
cordi delle parti la liquidazione o, in analogia ai tributi
degli enti locali, lasciare a questi ultimi, gli accertamenti
e la liquidazione » : in correlazione a tale assunto si denuncia
quindi per violazione di legge l'impugnata sentenza, la
quale, invece, ha riconosciuto al Ministro un più ampio potere di accertamento e di liquidazione in quanto ha di
chiarato legittimo il decreto con cui, all'atto stesso del
l'imposizione del sovracanone ne venne determinato il con
creto ammontare dovuto dalla Società.
Questa prima censura, che la stessa ricorrente prospetta in modo alquanto dubbioso, trova immediata confutazione nel testo della legge.
L'art. 53, che per questa parte riproduce testualmente i
comma dal quarto all'ottavo dell'art. 40 del precedente t.u. 19 ottobre 1919 n. 2161, nè è stato modificato dalla legge 4 dicembre 1956 n. 1377, ha una portata assai più vasta di quella riconosciutagli dalla ricorrente, la quale, in so
stanza, appunta la propria attenzione soltanto sul 1° comma, nel quale è conferito al Ministro il potere di stabilire il
sovracanone, fissandone l'aliquota massima.
È d'uopo, invece, riflettere che il 2° comma del medesimo
articolo, oltre a disciplinare la decorrenza del sovracanone
(del che si farà parola più avanti) dispone inoltre che il
sovracanone sia ripartito tra i comuni rivieraschi con de
Il Foro Italiano — Volume LXXX1V — Parte I-38.
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