sezioni unite civili; sentenza 18 febbraio 1997, n. 1479; Pres. Iannotta, Est. Varrone, P.M.Morozzo Della Rocca (concl. conf.); Min. difesa e altri c. Scimia (Avv. Di Battista, Lopardi). Cassasenza App. L'Aquila 4 maggio 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1867/1868-1871/1872Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192028 .
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1867 PARTE PRIMA 1868
a coloro che a tale titolo erano stati convenuti di non aver pro vato il contrario. La doglianza non ha fondamento, perché la
corte territoriale ha osservato che dalla prova testimoniale era
no emersi elementi sufficienti a dimostrare che la cessione del
terreno costituì l'utile risultato dell'attività del mediatore, il quale,
proprio in vista di quel risultato, si era posto in contatto con
ciascuna delle parti interessate, favorendo in tal modo il loro
incontro e, quindi, la conclusione dell'affare, e, senza incorrere
nella denunziata violazione di legge, ha poi osservato che la
prova così fornita dall'onerato andava assunta a fondamento
della decisione perché non era stata contraddetta da alcun ele
mento di prova contraria. I ricorrenti obiettano che dalla prova testimoniale erano desumibili solo scarsi spunti indiziari e la
mentano che, in violazione dell'art. 2729 c.c. e con insufficiente
motivazione, la corte catanese li abbia elevati al rango di pre sunzioni gravi, precise e concordanti. L'obiezione è inconferen
te perché consiste in una critica generica della valutazione delle
acquisizioni processuali, che il giudice del gravame di merito
ha espresso nell'ambito delle sue attribuzioni e che, essendo ade
guatamente motivata, sfugge al controllo di legittimità. Con il primo motivo i ricorrenti, ai sensi dell'art. 360, n.
3, c.p.c., denunziano erronea interpretazione dell'art. 1754 c.c.,
dolendosi che la corte di merito abbia da un canto ritenuto che
la pura e semplice segnalazione di un contraente all'altro fosse
sufficiente ad integrare gli estremi della mediazione, d'altro canto,
omesso di considerare che lo Spina, avendo dato suggerimenti alla società Aia circa il modo migliore di utilizzare il terreno
oggetto della permuta, fosse venuto meno all'obbligo di impar
zialità, l'osservanza del quale costituisce requisito imprescindi bile dell'attività mediatoria.
La doglianza è infondata sotto entrambi i profili. Infatti, l'art.
1755, 1° comma, c.c. non richiede l'intervento del mediatore
in tutte le fasi delle trattative sino all'accordo definitivo, essen
do sufficiente che la conclusione dell'affare possa ricollegarsi
all'opera da lui svolta per l'avvicinamento dei contraenti, con
la conseguenza che anche la semplice attività consistente nel ri
trovamento e nella indicazione dell'altro contraente o nella se
gnalazione dell'affare legittima il diritto alla provvigione, sem
pre che — come appunto ha ritenuto nella specie la corte di
strettuale — tale attività costituisca il risultato utile di una ricerca
fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti (Cass. 23 otto
bre 1980, n. 5724, Foro it., Rep. 1980, voce Mediazione, nn.
3, 4; 14 dicembre 1988, n. 6813, id., Rep. 1988, voce cit., nn.
7, 8; 27 maggio 1987, n. 4734, id., Rep. 1987, voce cit., nn.
16, 17). Inoltre, la imparzialità del mediatore, che è senza dub
bio requisito indefettibile della mediazione, non consiste in una
generica e, come tale, astratta equidistanza del mediatore dalle
parti, né può, conseguentemente, escludersi per il solo fatto che
il mediatore prospetti a taluna di queste la convenienza dell'af
fare (che, anzi, ciò integra la ragion d'essere dell'attività media
toria), ma, conformemente al dettato dell'art. 1754 c.c., va in
tesa come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione
d'opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda referibile al dominus l'attività dell'intermediario (Cass. 25 febbraio 1987, n. 1995, ibid., n. 7; 8 giugno 1993, n. 6384, id., Rep. 1993, voce cit., n. 16), e, poiché nel caso di specie nessuno di tali vincoli è stato dedotto o rilevato, l'impugnata decisione non appare efficacemente attinta dalla censura in esame.
Il ricorso va, dunque, rigettato.
li Foro Italiano — 1997.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 18 feb
braio 1997, n. 1479; Pres. Iannotta, Est. Varrone, P.M.
Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Min. difesa e altri c.
Scimia (Avv. Di Battista, Lopardi). Cassa senza App. L'A
quila 4 maggio 1993.
Prescrizione e decadenza — Diritto al risarcimento del danno — Reato — Cause di interruzione o sospensione stabilite dal
la legge penale — Irrilevanza (Cod. civ., art. 2947).
Nell'ipotesi in cui il fatto dannoso integri gli estremi di reato
ed all'azione civile debba applicarsi il più lungo termine di
prescrizione stabilito dalla legge penale, le eventuali cause di
interruzione o sospensione della prescrizione relative al reato
non rilevano ai fini della decorrenza della prescrizione del
diritto al risarcimento del danno. (1)
Svolgimento del processo. — Con citazione 2-3 novembre 1982
Scimia Antonio conveniva davanti al Tribunale de L'Aquila Sal
vatore Caolino, il 13° reggimento artiglieria ed il ministero del
la difesa per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti a seguito del sinistro verificatosi il 18 agosto 1971 quando, alla
guida della sua autovettura Fiat 1100 D tg. AQ 32604, era stato
violentemente tamponato dall'autocarro militare tg. EI 600787
del reggimento suidicato, condotto dal Caolino. Quest'ultimo e l'amministrazione della difesa si costituivano, proponendo pre liminarmente eccezione di prescrizione che il tribunale adito, in esito ad istruttoria documentale, accoglieva, con sentenza 7
giugno 1989.
L'appello proposto dallo Scimia ed al quale resistevano l'am
ministrazione della difesa ed il Caolino (mentre l'ufficio stralcio
del 13° reggimento restava contumace) era però accolto dalla
corte aquilana, con sentenza non definitiva 4 maggio 1993, e
rimessione della causa al C.I. con separata ordinanza per il pro
sieguo istruttorio (le spese al definitivo). Riteneva il giudice del gravame, per quanto ancora possa ri
levare: — che lo Scimia si era costituito parte civile all'udienza del
20 giugno 1977 nel procedimento penale a carico del Caolino
per il reato di cui all'art. 590 c.p.; — che tale procedimento si era concluso con sentenza 4 otto
bre 1978 del pretore aquilano di proscioglimento dell'imputato
per essere il reato estinto per l'amnistia di cui al d.p.r. 4 agosto 1978 n. 413;
— che occorreva verificare se il diritto al risarcimento dello
Scimia si era prescritto alla data del 3 ottobre 1980 di costitu
ti) Ad onta della identica denominazione e del riferimento al tempo quale elemento strutturale della fattispecie, gli istituti della prescrizione civile e della prescrizione penale hanno ben poco in comune. Ponendo l'accento sulle evidenti divergenze in termini di ratio e di funzione, le sezioni unite provvedono a risolvere nel senso indicato in massima la
questione che era stata loro rimessa al fine di dirimere un contrasto
interpretativo in ordine alla effettiva portata del richiamo alla discipli na penale operato dall'art. 2947, 3° comma, c.c. (sul significato da attribuire a questa disposizione nell'attuale contesto storico ed econo mico e sulle numerose problematiche che ne scaturiscono, v. E. Colom
bini, Prescrizione del diritto al risarcimento del danno, in Arch, civ., 1995, 641).
Da un lato, si era sostenuto che mediante tale richiamo veniva ad essere recepita l'intera normativa della prescrizione del reato, ivi com
presa la parte concernente l'efficacia degli atti interruttivi di quest'ulti ma (Cass. 14 febbraio 1987, n. 1636, Foro it., Rep. 1987, voce Prescri
zione e decadenza, n. 102); dall'altro, si era affermato che il collega mento instaurato con la prescrizione penale doveva essere circoscritto al solo profilo della durata, con la conseguenza che ai fini del diritto al risarcimento erano destinate ad operare esclusivamente le cause di interruzione previste nella disciplina civilistica (Cass. 22 gennaio 1968, n. 175, id., 1968, I, 977). Le sezioni unite hanno accordato la preferen za a quest'ultima soluzione, riportando ampi stralci della motivazione di Cass. 175/68. Quanto alle altre due pronunce — Cass. 1° marzo
1994, n. 2012, id., Rep. 1994, voce cit., n. 66, e Resp. civ., 1995, 322, e 29 marzo 1990, n. 2585, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 11 —
ascritte al medesimo orientamento, non sembra che da esse potessero trarsi indicazioni decisive in tal senso; infatti, pur rinvenendosi nelle relative massime ufficiali l'affermazione secondo cui non assumono ri lievo eventuali cause di interruzione o sospensione della prescrizione relative al reato, entrambe le pronunce fanno specifico riferimento all'i
potesi in cui sia previsto per il reato un termine di prescrizione uguale o inferiore a quello stabilito per l'azione risarcitoria, il che comporta l'applicazione dei primi due commi dell'art. 2947 c.c.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zione in mora dei debitori tramite richiesta di risarcimento da
parte del procuratore dello Scimia; — che l'eccezione di prescrizione andava rigettata non aven
do gli appellati dato la prova, a loro incombente, che la senten
za penale era divenuta irrevocabile prima del 3 ottobre 1978.
L'amministrazione della difesa, il Caolino e l'ufficio stralcio
del 13° reggimento artiglieria «Granatieri di Sardegna» hanno
proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi. Ha
resistito la Scimia con controricorso.
Il ricorso, originariamente assegnato alla terza sezione civile, è stato rimesso al primo presidente il quale — in presenza di
un contrasto giurisprudenziale — ne ha disposto la trattazione
da parte delle sezioni unite.
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo i ricorrenti, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2947, 3° comma, c.c. e l'omesso esame di un punto decisivo della
controversia prospettato nei gradi di merito, in relazione all'art.
360, nn. 3 e 5, c.p.c., lamentano che il giudice dell'appello non
abbia rilevato che alla data della costituzione di parte civile del
lo Scimia nel processo a carico del Caolino (20 giugno 1977) era già trascorso anche il maggior termine (quinquennio) di pre scrizione del reato di lesioni colpose rispetto al giorno dell'e
vento infortunistico (18 agosto 1971). La censura coglie nel segno. Va al riguardo premesso che,
pacifiche essendo le date di cui sopra nonché della richiesta for
male dei danni, rivolta dal procuratore dello Scimia ai respon
sabili, con telegramma del 3-4 ottobre 1980, il giudice del gra vame ha correttamente richiamato il principio giurisprudenziale alla stregua del quale se la costituzione di parte civile nel pro cesso penale dà luogo a vera e propria proposizione di doman
da risarcitoria, la quale comporta l'interruzione della prescri zione del diritto al risarcimento del danno per tutta la durata
del processo penale sino alla data in cui diviene irrevocabile
la sentenza che defiinsce il procedimento, tale interruzione, tut
tavia, si verifica solo se, iniziatosi il procedimento penale e non
ancora esaurito il termine prescrizionale, la parte lesa abbia real
mente esercitato la facoltà di costiturisi come parte civile (Cass. 21 aprile 1976, n. 1421, Foro it., 1976, I, 1856, ex plurimis). Ma ha aggiunto che tale essendo il quadro di riferimento nor
mativo, occorreva vedere «se il diritto vantato dall'appellante si era prescritto alla data del 3 e 4 ottobre 1980, cioè alla data
di costituzione in mora dei debitori». Invece, secondo i ricor
renti, doveva accertarsi se alla data del 20 giugno 1977 di costi
tuzione di parte civile, il termine quinquennale di prescrizione dell'azione risarcitoria fosse già trascorso, a nulla rilevando even
tuali cause di interruzione della prescrizione relative al reato
(art. 160 c.p.). Ora, questa prospettazione, da un lato deve ritenersi ammis
sibile ancorché sia stata addotta specificamente solo nel giudi zio di appello, perché proprio in quel grado — acquisita la pro va della costituzione di parte civile non offerta in prime cure — era sorto l'interesse degli appellati a dedurla; dall'altro, ri
propone il problema se gli atti interruttivi della prescrizione in
tervenuti in sede penale spieghino influenza o meno sulla per manenza in vita del diritto al risarcimento del danno al fine
dell'applicabilità dell'art. 2947, 3° comma, c.c., riguardo al quale esiste un contrasto nella giurisprudenza di questa corte. Ed in
fatti, come indicato nell'ordinanza 24 novembre 1995 di rimes
sione degli atti al primo presidente, ad un'isolata affermazione
secondo la quale l'art. 2947 c.c., nel disporre che, in ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato
è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche
all'azione civile, recepisce — sia per l'ampiezza della formula
del richiamo, sia per la ratio di fare effettivamente corrisponde
re, nel concreto, la prescrizione dell'azione civile a quella del
reato — l'intera normativa della prescrizione del reato, compre sa quella parte di essa concernente l'efficacia degli atti interrut
tivi ex art. 160 c.p. (Cass. 14 febbraio 1987, n. 1636, id., Rep. 1987, voce Prescrizione e decadenza, n. 102), si contrappongo no altre due pronunce, nelle quali si è ritenuto che «non assu
mono rilievo eventuali cause di interruzione o sospesione della
prescrizione relative al reato, essendo ontologicamente diversi
l'illecito civile e quello penale» (Cass. 29 marzo 1990, n. 2585,
id., Rep. 1990, voce cit., n. 11, e 1° marzo 1994, n. 2012, id.,
Rep. 1994, voce cit., n. 66). In realtà, quest'ultimo indirizzo era stato per la prima volta
affermato a chiare lettere nella sentenza 22 gennaio 1968, n.
Il Foro Italiano — 1997.
175 (id., 1968, I, 977, ancorché la relativa massima ufficiale non ne evidenzi tutta la portata pur sottolineando, significativa
mente, la mancanza, nel nostro sistema normativo, di una nor
ma generale che importi la sospensione del termine di prescri zione dell'azione civile fino a quando è in vita l'azione penale od è in corso il processo penale), con una motivazione così esau
stiva d'avere convinto anche la dottrina interessata all'argomento
(ivi compreso chi, da ultimo, si è indotto ad aderirvi, pur rile
vandone il contrasto con la presumibile ratio dell'art. 2947 c.c.
volta ad evitare che, dichiarata la responsabilità penale, resti
escluso l'obbligo di risarcimento della vittima del reato, in con
seguenza della maturata più breve prescrizione civile). Ed allora
proprio tale motivazione va richiamata e ribadita, rilevando che
la prescrizione del diritto al risarcimento del danno cagionato dal reato, sebbene raccordata, sotto il circoscritto profilo del
periodo di durata, alla disciplina della prescrizione dettata per il reato, si inserisce nel quadro generale dell'istituto della pre scrizione civile, senza comprometterne la sostanziale autonomia
rispetto all'analogo istituto regolato nel sistema penale. Se si
eccettua tale collegamento, ciascuno dei due istituti costituisce
un complesso normativo in sé chiuso e perfetto, con la conse
guenza che, ai fini del diritto al risarcimento, operano esclusi
vamente le cause di interruzione previste nella disciplina civili
stica, senza possibilità di mutua integrazione o di interferenze
fra le due discipline. A tacere delle innumerevoli complicazioni che, in via teorica
e nell'applicazione pratica, sorgerebbero dall'esigenza di com
porre, in un'opera di difficile coordinamento, un sistema unifi
cato, ma indubbiamente composito ed eterogeneo, delle cause
interruttive previste in ognuna delle due discipline, l'esposta opi nione trae in primo luogo conferma dal rilievo che gli atti inter
rottivi della prescrizione della pretesa punitiva dello Stato, in
quanto hanno per punto di obiettiva incidenza una materia di
versa dal diritto al risarcimento del danno e non provengono dal titolare di quest'ultimo diritto, non possono direttamente
influire sulla sua persistenza. Ove, poi, si potesse rescindere dal
computo dei termini di prescrizione sulla base della pena editta
le stabilita per il reato (costituente, nel contempo, titolo per il risarcimento) e dare rilievo, invece, ai sopravvenuti atti inter
ruttivi di cui all'art. 160 c.p., non si avrebbe un unico termine
di prescrizione, ma una variabile molteplicità di termini per un
solo tipo di reato, a seconda delle diverse vicende processuali
verificatesi, in relazione a ciascun caso pratico, in sede penale.
Ora, non si può sottovalutare l'evidente pregiudizio per le parti
private, le quali non potrebbero contare, al fine di vigilare sulle
proprie pretese o di difendersi da quelle avverse, su di un preci so ed immutabile dato di riferimento (salvo l'intervento delle
ordinarie cause interruttive di cui agli art. 2943 ss. c.c.), ma
dovrebbero tenere conto di atti ed eventi la cui esistenza potreb bero persino ignorare. Vi è, infine, da ritenere fondatamente
che, in coerenza con quanto stabilito dai primi due commi del
l'art. 2947, il legislatore abbia voluto accogliere un criterio fon
dato sull'unicità del termine prescrizionale per ogni tipo di reato.
Del resto, l'incompleta parificazione dei termini di prescrizio ne dell'azione civile e di quella penale è ammessa anche dalla
relazione ministeriale al codice civile e trova ulteriore conforto
nel vigente codice di procedura penale, che ha dettato una disci
plina volta ad accentuare l'autonomia del processo civile da quello
penale. Concludendo e componendo il contrasto giurisprudenziale, va
affermato che quando il fatto dannoso è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga,
quest'ultima si applica anche all'azione civile, ma le eventuali
cause di interruzione o sospensione della prescrizione relative
al reato non rilevano ai fini della decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno.
Orbene, applicando l'esposto principio al caso di specie, è
agevole rilevare che la motivazione adottata nell'impugnata sen
tenza non vi si è uiformata dal momento che — pur senza un'e
spressa statuizione sul punto — ritenendo che all'atto di costi
tuzione di parte civile — non essendosi prescritto il reato —
non si era neppure prescritto il diritto al risarcimento del dan
no, ha implicitamente esteso la rilevanza degli eventuali atti in
terruttivi della prescrizione del reato anche alla prescrizione del
l'azione civile.
Il primo mezzo va, pertanto, accolto, restando assorbito l'ai
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1871 PARTE PRIMA 1872
tro motivo, che attiene esclusivamente alle vicende del processo
penale.
Peraltro, stante l'irrilevanza ai fini della interruzione della
prescrizione civile degli atti di instaurazione del processo penale ed essendo pacifico che l'unico atto in tesi rilevante ai fini della
prescrizione civile è, nella specie, la costituzione di parte civile,
pacificamente avvenuta il 20 giugno 1977, rispetto all'evento
lesivo del 18 agosto 1971, risulta certo, senza necessità di ulte
riori accertamenti di fatto, che alla predetta data del 20 giugno 1977 il diritto era già prescritto per decorreza del maggior ter
mine (quinquennale) previsto per il reato.
La corte quindi, decidendo nel merito ex art. 384, 1° comma,
c.p.c. novellato, rigetta la domanda risarcitoria proposta dallo
Scimia, essendo estinto il relativo diritto per prescrizione.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 feb
braio 1997, n. 1413; Pres. Lipari, Est. Fioretti P.M. Cenic
cola (conci, conf.); Parazzini (Avv. Graziani, Bufano) c.
Soc. Firs italiana assicurazioni (Avv. Iannotta). Cassa App. Roma 30 settembre 1993.
Dogana — Fideiussione doganale — Diritti di surrogazione e
regresso nei confronti del proprietario importatore — Pre
scrizione quinquennale — Applicabilità (Cod. civ., art. 1949,
1950; d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, t.u. delle disposizioni le gislative in materia doganale, art. 78, 79, 84).
Si prescrive nel termine di cinque anni, previsto per la riscossio
ne dei tributi doganali da parte dello Stato, il diritto di surro
ga e regresso del fideiussore, che quei tributi doganali abbia
pagato, nei confronti dello spedizioniere doganale il quale,
eseguendo operazioni in dogana per conto del proprietario della merce, abbia garantito il pagamento differito con una
polizza fideiussoria sostitutiva della cauzione. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione, notifica
to il primo giugno 1987, la s.p.a Firs chiedeva al Tribunale di
Roma la condanna della ditta Professional Equipment, con se
de in Milano, al pagamento della somma di lire 5.672.360, oltre
gli interessi del nove per cento semestrali dalla scadenza della
bolletta doganale, per avere essa istante, quale prestatrice di
(1) A partire da Cass. 15 gennaio 1993, n. 500 (Foro it., 1993, I, 760, con nota di Capone), il principio in epigrafe è stato pacificamente acquisito al patrimonio giurisprudenziale, affermandosi la configurabi lità del diritto di regresso nei confronti del proprietario (o, come nel caso di specie, dello spedizioniere doganale) delle merci, in virtù dell'i nesistenza di qualsivoglia diversità tra l'obbligazione tributaria di que st'ultimo e l'obbligazione assunta dall'operatore doganale ammesso al
pagamento periodico o differito (nel nostro caso, si tratta della società di assicurazione che ha prestato la fideiussione).
La corte sottolinea che soggetto passivo del rapporto d'imposta è, in ogni caso, il proprietario delle merci, mentre coobbligato solidale è lo spedizioniere, secondo lo schema della delegatio solvendi. Quanto dire che, se in senso oggettivo l'obbligazione del proprietario della mer ce nei confronti del fideiussore e la stessa obbligazione nei confronti dell'amministrazione doganale, è se il regresso del fideiussore nei con fronti del debitore si pone come effetto dinamico della sua surrogazio ne nei diritti del creditore, i diritti di surrogazione e regresso si prescri vono nello stesso termine previsto dall'art. 84 d.p.r. 43/73 per la pre scrizione dell'azione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali.
Più in generale, per quanto riguarda la natura della polizza fideiusso ria, si è sostenuto (Cass. 500/93, cit.) che si tratta di un contratto inno minato coincidente con il modello legale tipico di cui agli art. 1936 ss. c.c.: l'odierno giudicante precisa ulteriomente che «il sistema che
regola le fattispecie surrogatoria e di regresso, con riguardo all'ipotesi fideiussoria, si caratterizza sia per elementi tipici del fenomeno surroga torio che per elementi tipici del regime della fideiussione».
Il Foro Italiano — 1997.
fideiussione doganale, versato detta somma alla dogana di Mi
lano II in virtù della polizza 463494/6 del 29 settembre 1980.
L'attrice esponeva che con la polizza fideiussoria per il cau
zionamento di diritti doganali aveva assicurato all'amministra
zione doganale la regolare corresponsione alle singole scadenze, mediante pagamento periodico e/o differito, ai sensi degli art.
78, 79, 80, 81 e 87 d.p.r. 43/73, dei diritti doganali dovuti per importazioni di merci effettuate dallo spedizioniere s.a.s. Gior
gio Carnana di Milano, in nome e per conto dei proprietari delle merci;
che il ricevitore capo della dogana di Milano, rilevato che
non erano stati soddisfatti i diritti doganali garantiti con la cita
ta polizza fideiussoria, ne aveva richiesto ad essa Firs quale fi
deiussore, il pagamento, al quale aveva effettivamente provve duto in data 19 agosto 1982;
che fra le operazioni di importazione effettuate dallo spedi zioniere presso la dogana di Milano II ed in riferimento alle
quali non era stato assolto il pagamento dei diritti di confine,
figuravano quelle espletate per la ditta convenuta; che vani erano risultati i solleciti rivolti a quest'ultima per
ottenere il pagamento delle somme corrisposte alla dogana per i diritti di importazione dovuti.
Il giudizio si svolgeva in contumacia della convenuta.
Con altro atto di citazione del 9 settembre 1987 Parazzini
Ermanno, quale titolare della impresa commerciale Professio
nal Equipment, premesso che i diritti doganali in questione, il
cui pagamento era stato richiesto dalla Firs (lire 5.672.360), erano
stati da lui assolti a mani dello spedizioniere Giorgio Carnana
e che egli fin dal 1983 aveva cessato ogni attività, provvedendo ad ottenere la cancellazione della propria impresa dal relativo
registro, conveniva la suddetta società davanti al Tribunale di
Roma per sentir dichiarare la prescrizione del diritto di credito
vantato dalla convenuta e, in subordine, il difetto di legittima zione di quest'ultima relativamente ai diritti doganali da esso
istante dovuti per l'importazione delle merci o la non debenza
di alcuna ulteriore somma a tale titolo per effetto del pagamen to già eseguito allo spedizioniere.
Costituitasi, la Firs eccepiva l'infondatezza delle richieste at
trici, chiedendo, in via riconvenzionale, quanto già formava og
getto della sua domanda del 1° giugno 1987.
Entrambe le cause venivano riunite. Esaurita l'istruttoria, il
tribunale con sentenza del 16 giugno-13 ottobre 1988, provviso riamente esecutiva, accoglieva la domanda attrice e per l'effetto
condannava il Parazzini al pagamento in favore della Firs s.p.a. della somma di lire 5.672.360, oltre gli interessi del dodici per cento a decorrere dal 19 agosto 1982 e le spese del giudizio.
Avverso tale decisione il Parazzini proponeva appello alla Corte
d'appello di Roma. A sostegno dell'impugnazione deduceva la
nullità della notifica dell'atto di citazione della Firs che aveva
dato luogo al primo giudizio, sostenendo che non poteva rite
nersi sanata dalla costituzione del convenuto; ribadiva l'ecce
zione di prescrizione quinquennale del diritto azionato dalla Firs; deduceva la inammissibilità della domanda della Firs per essere
stata proposta due volte, la prima in via principale e la seconda
in via riconvenzionale; assumeva la ingiustizia della decisione
per averlo condannato al pagamento di una somma che aveva
già corrisposto allo spedizioniere Carnana.
La corte adita respingeva l'appello con sentenza, depositata in cancelleria il 30 settembre 1993, osservando che la notifica
dell'atto di citazione proposto dalla Firs era stata sanata dal
comportamento processuale dello stesso Parazzini il quale dopo aver chiesto ed ottenuto la riunione dei due giudizi, solo all'u
dienza di precisazione delle conclusioni, dopo aver compiuta mente svolto le sue difese, rifiutò il contraddittorio. Osservava
ancora la corte che la Firs aveva esercitato l'azione di regresso ex art. 1950 c.c. contro il debitore principale soggetta alla pre scrizione ordinaria decennale e che la dedotta inammissibilità
della domanda della Firs per duplicazione della stessa, avendola
riproposta in via riconvenzionale, appariva più un sofisma che
un vero e proprio motivo di gravame. Osservava, infine, che la Firs non poteva sottrarsi al pagamento richiestole, quale fi
deiubente dalla dogana di Milano II e che, ove il Parazzini avesse
corrisposto la somma dovuta per i diritti doganali allo spedizio niere Carnana, avrebbe dovuto chiedere a questo, che non ave va adempiuto l'obbligazione nei confronti della dogana sum
menzionata, la restituzione di quanto versatogli. Avverso detta sentenza il Parazzini ha proposto ricorso per
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